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Autore: Fragolina84    29/04/2020    0 recensioni
Sequel di "I belong to you"
"Non posso smettere di essere Iron Man perché il mio compito è proteggervi"
Il palladio gli sta avvelenando il sangue e l'America è di nuovo sotto attacco terroristico. Iron Man dovrà cercare la Chiave del Domani per salvare se stesso e le persone che ama.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tony Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con sgomento e costernazione,
mi sono accorta solo ora che a questa storia
mancava un capitolo;
non so cosa sia successo,
probabilmente ho dimenticato di
inserirlo al tempo della pubblicazione. 
Comunque, eccolo!

Tony era seduto alla propria scrivania. Accanto a lui, il nuovo reattore stazionava sul suo supporto: Jarvis stava facendo altri test perché Tony non voleva ritrovarsi nel petto qualcosa di ancor più letale del palladio, ma le premesse erano buone.
Il cellulare squillò e Tony rispose senza attendere che Jarvis gli annunciasse la chiamata.
«Stark».
«Tony, sono Rhodey» disse l’amico. «Abbiamo un problema». Rhodes iniziava in quel modo ogni telefonata con cui richiedeva l’intervento di Ironman. «La linea è sicura?» chiese.
«Jarvis?»
«Subito, signore».
Jarvis attivò in fretta tutti i protocolli di sicurezza per rendere quella telefonata al sicuro da intercettazioni.
«Signore» intervenne Jarvis, «la linea è sicura».
«Grazie, Jay. Senti, Rhodey, è un brutto momento».
Tony non era tipo da tirarsi indietro, ma la sua armatura lo spaventava ormai. Il biossido di litio stava cedendo e l’avvelenamento da palladio non si arrestava. Usare l’armatura avrebbe significato esporsi maggiormente proprio ora che, forse, era vicino alla soluzione. Lo spiegò brevemente all’amico.
«Tony, quand’è che Victoria deve andare a New York?»
Ne avevano parlato la sera del compleanno di Rhodey, prima che Tony svenisse sul patio.
«È là proprio in questi giorni. Senti un po’, razza di pervertito, hai voluto una linea sicura per parlare di mia moglie?»
«Tony, ascoltami bene». Il tono di gravità che usò mise Tony sull’attenti. «La nostra intelligence ci segnala che è in corso un altro attacco terroristico. Stavolta è una cosa grossa, Tony. Ci sono le premesse per un altro undici settembre».
Tony rabbrividì. Quel giorno terribile si era inciso a fuoco nei cuori e nella memoria di ogni americano e di ogni persona che quel giorno aveva visto due enormi aerei schiantarsi sulle Twin Towers. L’uomo si coprì gli occhi con la mano.
«Dove colpiranno stavolta?»
«L’obiettivo non è cambiato: New York».
Il cuore di Tony si fermò: Victoria ed Elizabeth erano a New York in quei giorni. L’ultimo pensiero di Tony era che potesse loro capitare qualcosa nella città che, dopo l’undici settembre, era considerata la più sicura al mondo.
«Vogliono farci vedere che possono colpirci al cuore, di nuovo. Attaccheranno in fretta, tra qualche ora» concluse Rhodes.
«Rhodey, mia moglie e mia figlia sono a New York» alzandosi in piedi. «Che cosa sappiamo?»
«Non molto, purtroppo. Saranno autobombe e saranno piazzate nei punti di maggior interesse, nei luoghi simbolo della città più famosa degli States. Vogliono colpire duro, come al World Trade Center».
«Tipo Central Park».
La Simon & Schuster aveva deciso di fare il lancio di Luna Blu al Delacorte Theathre, all’interno di Central Park, perché era uno dei luoghi citati nel romanzo di Victoria.
«Sì, è uno dei possibili obiettivi» disse Rhodes.
«Come cazzo hanno fatto a sfuggirci ancora?» domandò Tony.
«Non dirmi che tua moglie è proprio lì».
«Proprio al centro. Ti richiamo, Rhodey».
Tony tolse in fretta la comunicazione e chiamò Victoria. La donna non rispose.
«Jay, chiamami Fury» ordinò.
Tony tamburellava con le dita sul piano della scrivania, impaziente. Lanciava occhiate nervose al nuovo reattore Arc la cui luce era forte e ben definita.
«Hai finalmente finito di giocare con le carte di tuo padre?»
La voce di Fury rimbombò nel seminterrato.
«Nick, cosa sai dell’attacco su New York?»
Fury rimase in silenzio. «Che cosa ne sai tu, dell’attacco su New York?» sbottò poi.
«Non ha importanza. La mia famiglia è lì e deve essere fatta evacuare immediatamente» replicò Tony, ma il direttore dello S.H.I.E.L.D. non era disposto a cedere.
«Chi te l’ha detto, Tony?»
«Non è rilevante, Nick» gridò. «Vicky e Liz devono essere allontanate al più presto possibile. Chiama Natasha e falle portare via di lì».
«Non posso farlo».
«Credo di non aver capito, Nick»
«Stiamo collaborando con i federali e li stiamo tenendo d’occhio, Tony. Ma la situazione è delicatissima e non possiamo permetterci errori. Se facessi interrompere la presentazione di tua moglie, potrebbe essere peggio: i terroristi potrebbero pensare di essere stati scoperti e magari affretterebbero i tempi».
«Nick, se succederà qualcosa alla mia famiglia, ti riterrò personalmente responsabile. E non basterà tutto lo S.H.I.E.L.D. per proteggerti. Te lo giuro».
«Tony, non puoi…» cominciò Fury, ma l’altro non lo lasciò proseguire e ordinò a Jarvis di chiudere.
Si tolse la maglietta e fece ruotare il reattore, togliendolo dalla sua sede. Poi afferrò il nuovo reattore e lo posizionò al centro del petto, mettendolo a posto con un colpo secco.
«Signore…» Jarvis provò a fermarlo ma fu inutile.
«Vuoi fare un po’ di test? Ok, facciamoli». Avvertì subito l’energia racchiusa in quel piccolo cerchio di luce e ansimò. «E assembla l’armatura, già che ci sei. Montala» ordinò.
«Non conosciamo quali effetti possono…» tentò di nuovo Jarvis, ma Tony non voleva ascoltarlo.
«Falla finita, Jarvis!»
Il reattore cominciò a brillare con maggiore intensità, mentre Tony avvertiva la strana sensazione che il suo sangue fosse diventato frizzante e gli ribollisse nelle vene. Non poteva esserne certo, ma secondo lui il nuovo nucleo stava risucchiando i residui di palladio dalle sue vene, bruciandoli in una sorta di fusione nucleare. Almeno, era quello che sperava. In caso contrario, il reattore Arc stava per esplodere.
In bocca gli salì un sapore metallico e dolciastro. «Sa di noce di cocco! E di metallo!»
Così com’era iniziata, quell’esplosione di luce cessò. Tony si mise davanti alla webcam dei suoi monitor: i segni sul petto erano completamente spariti e lui si sentiva bene. Certo, era successo lo stesso quando aveva fatto su di sé la prima applicazione del minireattore, ma stavolta sentiva che era diverso: o almeno, sperava con tutto il cuore che lo fosse.
Mentre indossava la nuova armatura, la Mark VI, il telefono squillò di nuovo.
«Signore, il direttore Fury sta provando a chiamarla» annunciò Jarvis.
«Digli di andare a farsi fottere».
«Non credo che i miei protocolli mi permettano di esprimermi in questo modo, signore».
Tony sogghignò. «Bene, allora fai a meno di rispondergli. Ora, collegati ai server dello S.H.I.E.L.D. Fury mi ha detto che li stanno tenendo d’occhio: se è così, lo faremo anche noi».
«Signore, i protocolli di sicurezza dello S.H.I.E.L.D. sono di grado elevatissimo, mi ci vorrà tempo e non sono sicuro di riuscire a bypassare tutti i controlli».
«Oh, sono sicuro che ce la farai, Jay. Ti ho programmato io». Poi calò la maschera sul volto. «Tienimi aggiornato» disse a Jarvis e spiccò il volo.
Raggiunse in fretta il muro del suono e lo superò, avvertendo la possente spinta dei suoi repulsori. Erano quasi quattromila i chilometri che lo separavano da New York e, anche volando a Mach2 come stava facendo, non ci sarebbero volute meno di due ore. Rischiava di arrivare tardi.
Mentre era in volo, tentò di nuovo di mettersi in contatto con Victoria che però non rispose.
«Mi chiedo perché diavolo io le abbia regalato un cellulare se poi non mi considera neanche!» mormorò a se stesso.
Non si accorse di aver accelerato finché l’indicatore di Mach non passò da due a tre.
«Signore?»
«Sì, Jarvis. Ho visto» rispose, rallentando e rientrando nei limiti di Mach2. Finché non fossero stati certi del funzionamento del nuovo minireattore era il caso di andarci con calma.
Il volo era lungo e noioso e Tony aveva tutto il tempo di immaginare gli scenari peggiori. La sua inquietudine cresceva in maniera inversamente proporzionale alla diminuzione della distanza che lo separava da sua moglie e sua figlia.
Lo so che ti ho già chiesto molto e tu mi hai esaudito, disse rivolto a Dio. Ma se mi senti, e dovresti, visto che ti sono così vicino, fammi arrivare in tempo.
«Signore, ho le immagini dei satelliti S.H.I.E.L.D.» comunicò Jarvis, facendogliele apparire all’interno del casco.
«Hanno già evidenziato degli obiettivi?»
«Affermativo, signore» replicò Jarvis, mostrandogli i target contrassegnati da pallini rossi lampeggianti.
Tony ebbe un tuffo al cuore quando vide che uno degli obiettivi era proprio in prossimità di Central Park. Il satellite mostrava una serie di auto parcheggiate su Central Park West, di fronte al Museo di Storia Naturale.
«Proprio sul lato più vicino al Delacorte» mormorò Tony. «Qual è di quelle auto?»
Jarvis tacque, analizzando i dati. «Non lo so, signore. Mi sembra di capire che gli agenti dello S.H.I.E.L.D. sono sul pezzo perché stanno ricevendo rapporti regolari, ma non ci sono informazioni sull’obiettivo di Central Park».
«Maledizione!» imprecò Tony. «Jay, riesci a metterti in contatto con l’agente Romanoff?»
«Subito, signore».
Tony attese che Jarvis gli passasse la comunicazione. Mancava circa mezz’ora di volo per arrivare a Manhattan e i livelli di output del nuovo Arc erano ancora perfetti.
«Agente Romanoff in linea, signore».
«Natasha, sono Tony Stark» abbaiò nel microfono.
«Stark? Come ha fatto ad entrare?»
«Non importa» glissò l’uomo. «Dov’è mia moglie?» chiese, mentre Jarvis gli mostrava la posizione dell’agente dello S.H.I.E.L.D.
«È qui davanti a me, è impegnata. Ora, per favore, esca dal sistema. Deve liberare la linea». Natasha era seccata e irritata. Doveva tenere d’occhio Victoria, ma con un orecchio era impegnata ad ascoltare i rapporti dei colleghi.
All’insaputa di chiunque, New York stava subendo il secondo attacco terroristico nel giro di pochi anni. Ma Natasha era fiduciosa: gli agenti dello S.H.I.E.L.D. stavano cercando il punto d’origine da cui sarebbe partito l’impulso per far detonare gli ordigni che i terroristi avevano disseminato per la città. Doveva trattarsi di un’organizzazione davvero molto potente per essere riuscita a superare i controlli.
«Elizabeth dov’è?» chiese Tony, ignorando le parole della Romanoff.
«Victoria l’ha rimandata al Waldorf Astoria circa un’ora fa».
Tony si rivolse a Jarvis: «Ci sono obiettivi nelle vicinanze?» e quando l’altro comunicò che non c’era alcuna segnalazione sospirò di sollievo. «Jarvis, chiama il Waldorf e fatti passare Zoey. Dille di non muoversi da lì per nessuna ragione» ordinò Tony.
«Che cosa sta combinando, Stark?» intervenne Natasha che aveva ascoltato.
«Natasha, so che è in corso un attacco terroristico. Deve prendere Victoria e allontanarla da lì».
La donna rimase di sasso. «Come fa a saperlo lei? È entrato nei nostri server?»
«Senta, sono stufo di domande. Sì, sono entrato nei vostri server e sì, sto tenendo d’occhio gli obiettivi. C’è un’autobomba parcheggiata sulla West e non voglio che mia moglie sia nei paraggi, è chiaro?»
«Lei non capisce. La situazione è perfettamente sotto controllo. I nostri uomini…» ma Tony non ne poteva più.
«I vostri uomini si stanno limitando a guardare. Per me non è sufficiente». Tony ormai vedeva in lontananza la grande macchia verde di Central Park. «Sa che le dico? Non ha importanza, me la sbrigo da solo» disse e tolse la comunicazione.
L’uomo sorvolò l’Hudson e l’Upper West Side, gettando uno sguardo giù verso quelle auto parcheggiate tra cui si celava una minaccia mortale. Vide il teatro e vide anche una miriade di facce rivolte verso l’alto: l’avevano sentito arrivare e già i ragazzini si stavano alzando dalle gradinate.
Anche Victoria alzò il capo e si fece ombra agli occhi con la mano. Era perplessa e Tony non stentava a crederci: per non alimentare false speranze, Tony non le aveva detto di aver trovato una soluzione al problema del palladio, quindi di certo la donna non si aspettava di vederselo piombare sul palco dove atterrò.
Ironman alzò un braccio e salutò i ragazzi assiepati nell’anfiteatro che esplosero in un’ovazione. Mentre li salutava, girò lo sguardo su Victoria: la donna indossava scarpe da ginnastica, jeans e una camicetta nera, abbigliamento che la faceva sembrare ancora più giovane, perfettamente in linea con il suo nuovo pubblico.
«Tony?» chiese Victoria, coprendo il microfono con la mano, come si aspettasse che dentro l’armatura ci fosse qualcun altro.
«Ti spiego tutto tra un attimo, cerca di essere il più naturale possibile».
Victoria si riprese subito e, da brava attrice quale era, si girò verso il pubblico.
«Beh, ragazzi: spero siate contenti della sorpresa che ci ha voluto fare Ironman» disse, mentre lui salutava di nuovo e la cingeva con un braccio, e gli applausi facevano tremare il teatro. Il fatto di esserle così vicino lo faceva stare più tranquillo: se le cose fossero precipitate, l’avrebbe portata via in un baleno.
«Ho bisogno di parlarti. Subito!» mormorò Tony, in modo che sentisse solo lei. E non era difficile: dagli spalti si alzava un boato assordante.
«Ragazzi, come promesso ora ci sarà un po’ di tempo per le vostre domande. Ci sono degli inservienti fra di voi che vi daranno carta e penna: vi prego di scrivere i vostri quesiti su questi foglietti che poi raccoglieremo e vaglieremo. Nel frattempo faremo qualche minuto di pausa».
Tony e Victoria si allontanarono dal palco. Non appena furono fuori vista, Tony sollevò la maschera.
«Ottima performance» le disse, chinandosi per sfiorarle le labbra con un bacio leggero.
«Tony, che ci fai qui?» domandò la donna. «Cioè, sono felice che tu sia qui, ovvio. Ma…» non riuscì a proseguire e fissò il bagliore del reattore Arc al centro del petto di Tony.
«Le informazioni di mio padre sono servite a creare un nuovo reattore. Ora non funziono più a palladio» disse, sogghignando.
«Quindi adesso è tutto ok?» chiese Victoria accarezzandogli il viso, e lui annuì.
«Sì, sto bene. Non riuscirai a liberarti di me».
Natasha Romanoff si avvicinò alla coppia. Indossava pantaloni e giacca di pelle e sembrava appena scesa da una Harley.
«Non dovrebbe essere qui» sbottò la donna. «Sono ore che Fury sta cercando di contattarla. Perché non risponde?»
«Perché non avevo barzellette nuove da raccontargli».
Victoria aggrottò le sopracciglia: conosceva Tony troppo bene per lasciarsi sfuggire la sfumatura di esasperazione celata dalla battuta di poco prima.
«Tony, che sta succedendo?»
«Mi dispiace di averti rubato la scena prima, tesoro, ma ora devo portarti via di qui». La prese per le spalle e la fece girare verso di sé. «New York subirà un attacco terroristico» mormorò, abbassando la voce in modo da non farsi sentire. «Ci sono diverse autobombe piazzate in città».
Il pensiero di Victoria corse subito alla bambina, ma Tony la rassicurò: «Natasha mi aveva avvisato che era al Waldorf con Zoey. L’ho chiamata e le ho detto di restare lì, non ci sono problemi in quella zona».
«Tony, dobbiamo avvisare quei ragazzi e farli andare via».
«Non possiamo farlo» intervenne Natasha. «Se si accorgono che stiamo facendo sfollare la gente manderanno l’impulso e faranno detonare gli ordigni che hanno già piazzato»
«Natasha ha ragione» confermò Tony. «E dato che una delle autobombe è a pochi metri da qui, anche se non sappiamo esattamente dove, prima ce ne andiamo e meglio è».
«Aspetta» disse Victoria. «Io so qual è l’auto».
«Cosa?»
Victoria si passò una mano fra i capelli, tirando indietro quella cascata di rame. «Per quello ho mandato via la bambina. Stamattina presto, quando sono arrivata qui con Ashley ho visto qualcuno scendere da un pickup nero con i finestrini oscurati. L’uomo che guidava aveva il viso sfregiato ed era completamente sudato. Si vedeva che era preda di una forte emozione».
Natasha estrasse dalla tasca uno smartphone. Digitò alcuni comandi finché apparvero le immagini satellitari della zona di fronte al museo.
«La macchina è questa?» chiese, girando il cellulare verso Victoria che annuì.
«Sì, è quella». Incrociò lo sguardo di Tony. «La tua mania per la sicurezza deve avermi contagiata perché il pensiero di quell’uomo non mi ha lasciata in pace finché non ho chiesto a Zoey di allontanarsi con Elizabeth».
La Romanoff si defilò, parlando concitatamente nel suo auricolare e Tony si rivolse di nuovo alla moglie: «Ora lascia che ti porti via di qui» ma già lei scuoteva la testa.
«Tony, se le cose volgessero al peggio, qui sarà un massacro. Se la bomba esplodesse, sarebbe il caos e qualcuno potrebbe farsi molto male» disse Victoria. «Dobbiamo fare qualcosa».
Natasha tornò da loro: «Fury vuole parlare con lei» disse a Tony.
«Gli dica che non ho tempo ora».
«Tony, per favore» pregò la Romanoff. «È importante che lei ascolti ciò che il direttore ha da dirle» disse, ma Tony la ignorò.
«Tony, abbiamo bisogno di lei» supplicò infine Natasha e Tony finalmente si girò.
«Ah sì? Beh, sarei stato più che disposto ad aiutarvi» borbottò Tony, «ma Fury si è giocato tutti i bonus quando si è rifiutato di allontanare la mia famiglia».
Tony si girò verso la moglie, sogghignando, ma diventò immediatamente serio quando vide l’espressione della donna, che lo stava fissando con le mani sui fianchi.
«Tu e Fury la dovete piantare di litigare come bambini dell’asilo. C’è un attacco in corso e se puoi dare una mano, lo devi fare» lo rimproverò. «Hai detto che il tuo compito è proteggere me ed Elizabeth: bene, fallo!»
«Lo farò una volta che ti avrò messa al sicuro» replicò lui, ma Victoria non era disposta a cedere così facilmente.
«Non sono una bambola di porcellana che tu puoi mettere al sicuro. Prima senti cosa vuole Fury, poi ne riparliamo» ribatté.
«Wow!» commentò sottovoce Natasha. «Si vede chi comanda a casa Stark».
«Tenga per sé i suoi commenti, Romanoff» brontolò l’uomo, «e mi passi Fury».
La donna nascose un mezzo sorriso e deviò la chiamata a Tony.
«Secondo te, se continuo a chiamarti quasi ininterrottamente da due ore, lo faccio per sentire la tua voce?» esordì il direttore dello S.H.I.E.L.D.
«Pensavo che volessi la ricetta della torta di mele di mia madre ma ne sono piuttosto geloso e non sapevo se dartela o meno».
Victoria chiuse gli occhi e scosse la testa: come facesse Tony a mantenere quella spavalderia in qualsiasi situazione le era assolutamente incomprensibile.
«Te l’ha mai detto nessuno che sei insopportabile quando fai così, Stark?»
«Che cosa vuoi, Nick?» tagliò corto Tony.
«Dì a Natasha che ti mostri il video che le ho appena mandato».
Tony lo guardò sul cellulare della donna.
«È stato ripreso dai nostri agenti. Tony, quella cosa è sotto lo Yankee Stadium».
Le immagini erano molto scure e l’uomo non riusciva a vedere bene, ma riprendevano una specie di congegno ad alta tecnologia. C’erano antenne e cavi e quello che Tony riconobbe essere un piccolo reattore Arc. La rivelazione lo sconvolse: quello era un progetto di suo padre. Com’era possibile che qualcun altro ne fosse entrato in possesso?
Non era piccolo come quello che lui aveva al centro del petto, ma nemmeno gigantesco come quello che alimentava le sue fabbriche di Los Angeles. Significava che qualcuno aveva studiato i disegni originali di suo padre e ci aveva lavorato su.
Sulla macchina era applicato un timer con i numeri in cifre digitali rosse.
«Fury, quello è un reattore Arc. Quando salterà, farà un rogo notevole». Le cifre digitali indicavano che mancava un’ora e dieci. «In un’ora è impossibile fare qualcosa».
«Le immagini non sono in diretta, Tony. Restano quarantacinque minuti» disse Fury.
«Vuoi dirmi che fra tre quarti d’ora avremo un’esplosione simultanea di un tot di reattori Arc?»
Tony aveva alzato la voce e Natasha gli fece cenno di abbassarla.
«No, gli altri ordigni che abbiamo rinvenuto sono diversi. Questo è unico nel suo genere, l’unico provvisto di reattore Arc, cosa che ci fa pensare che sia quello che comanda gli altri».
«E cosa credi che io possa fare in così poco tempo?»
«Se avessi risposto subito ne avresti avuto un po’ di più!» replicò piccato Fury. «Tony, tu sei l’unico che capisce quella tecnologia, devi almeno provarci. Se non lo farai, il lavoro di tuo padre sarà associato per sempre al disastro che seguirà».
Fury aveva ragione. L’Arc non era stato pensato per diventare un’arma. Se Tony non l’avesse fermato, New York sarebbe stata nuovamente devastata come nel 2001 e il terrore avrebbe vinto di nuovo. Non poteva permettere che la devastazione e la morte rimanessero legate al nome della sua famiglia più di quanto già non lo fossero.
«Va bene» capitolò infine. «Dì ai tuoi uomini di non toccare nulla, sto arrivando» disse, e chiuse. Poi tornò a guardare Victoria: «C’è una possibilità di poterli fermare, ma devo andare subito».
«Va bene, ma sta attento» disse lei e si alzò in punta di piedi per baciarlo, ma lui si ritrasse.
«Tu però devi promettermi che seguirai l’agente Romanoff e te ne andrai di qui al più presto possibile. Ashley saprà inventarsi una scusa per la tua scomparsa. Io ho bisogno di saperti al sicuro e lontana da qui» disse.
«D’accordo» rispose lei, ma Tony non era convinto.
«Promettilo» insistette e lei sorrise.
«Te lo prometto» mormorò e lo baciò. «Ora va’» disse poi.
Tony calò la maschera sul viso.
«La porti via» disse a Natasha e spiccò il volo.
Victoria rimase ad osservare le scie luminose dei repulsori che sparivano al di sopra degli alberi di Central Park.
«Sappiamo entrambe che non manterrà quella promessa» disse l’agente Romanoff. «E per questo Tony mi ucciderà». Poi sogghignò: «O, almeno, ci proverà».
  
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