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Autore: Lumos and Nox    30/04/2020    1 recensioni
"Era strano come funzionassero certe cose.
Nick non ricordava con lucidità cosa fosse successo dopo la battaglia, non ricordava esattamente come fossero riusciti a recuperare lui e il cadavere nel bosco tra i campi fatti di mine.
(…)
Ma il rimorso, in quella situazione, si era ficcato dentro di lui con lo stesso dolore acuto e insopprimibile che poteva provocare un proiettile in fronte. Aveva scoperto sfumature e sfaccettature di sensi di colpa che la sua mente non si era mai fatta lo scrupolo di anche solo sfiorare."
Tutte le menti possono spezzarsi.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Agente Maria Hill, Altri, Bruce Banner/Hulk, Nick Fury
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Era strano come funzionassero certe cose.
Nick non ricordava con lucidità cosa fosse successo dopo la battaglia, non ricordava esattamente come fossero riusciti a recuperare lui e il cadavere nel bosco tra i campi fatti di mine. Ma a volte, non ricordava nemmeno con chiarezza il volto di sua madre, e la cosa non gli faceva rimorso. Non rimpiangere le cene di famiglia con lei e i suoi fratelli, il fatto di non ricordare eventi personali in modo chiaro e nemmeno molti dei soldati che erano morti sotto di lui… beh, quella roba non lo aveva mai impensierito troppo: aveva la testa talmente foderata di altri dettagli e piani da ricordare che era normale che non ci fosse materialmente spazio per conservare ricordi o sentimenti non utili.
Ma il rimorso, in quella situazione, si era ficcato dentro di lui con lo stesso dolore acuto e insopprimibile che poteva provocare un proiettile in fronte. Aveva scoperto sfumature e sfaccettature di sensi di colpa che la sua mente non si era mai fatta lo scrupolo di anche solo sfiorare.
E una delle cose che rimpiangeva di più era non averla chiamata per nome quando se n'era andata.
«Resta, occhi su di me. Resta sveglia».
«Non ce la faccio, Nick».

 
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-I keep tryin’ to conceive that

Death comes from above




«Credo che Wanda Maximoff sia instabile».
Nick stava tenendo la testa china sulla sua scrivania ed era ormai trascorso da un po’ il momento in cui ancora riusciva a sentire i muscoli del collo dolergli- passava ore chino sulla suddetta scrivania a controllare prove e carte e documenti, più di quanto ritenesse corretto. Era di nuovo lui il direttore generale del Nuovo S.H.I.E.L.D. e sembrava che comunque fossero altri a decidere come dovesse gestire il suo tempo. Alphonse Mackenzie avrebbe dovuto spiegargli qualche cosa al riguardo. Approvò con uno svolazzo della penna un altro foglio e solo allora alzò finalmente lo sguardo, sondando con il suo unico occhio la stanza.
Maria Hill, quella volta, era in piedi, nella penombra a fianco alla porta, e per qualche motivo indossava l'uniforme di quando lo S.H.I.E.L.D. era stato ai suoi anni migliori- era stato il periodo in cui veniva divorato dall’Hydra dall’interno, certo, ma era stato anche con molte meno complicazioni. Il completo era incredibilmente ben tenuto.
«La Maximoff è instabile» ponderò Nick, per poi scuotere la testa. «Però, da che pulpito».
«Questa è una frase davvero da Stark» sorrise lei per un secondo, ma poi tornò seria. «Andrai a controllare?»
«Credevo dovesse occuparsene Strange».
«E da quando ti fidi di lui?» osservò la Hill. Dal modo in cui aveva inclinato la testa, Nick aveva la netta impressione che fosse venuta lì solo per salvarlo dalle scartoffie.
Nick alzò l'angolo della bocca, il che era il suo proprio equivalente di un sorriso.
Poi si alzò e uscì da quel dannato ufficio.

Wanda Maximoff era stata a tutti gli effetti e in tutti i sensi instabile.
Molto più che semplicemente instabile, a dire il vero.
Uno pensa che tutti i poteri psichici che la ragazza ha ricevuto dovrebbero come minimo aiutarla a controllare e a gestire il dolore. Tutti avevano perso qualcuno: era stata una condizione piuttosto inevitabile nella vita sulla Terra post Thanos e post-Blip, ma la Maximoff sembrava voler sottolineare di aver l'esclusiva, dopo aver perso prima il fratello contro Ultron e poi l'amante contro quel titano viola dal mento a forma di culo. A quanto Nick aveva sentito, in qualche modo Visione era morto per due volte di fila e pareva che quel genere di cosa in particolare avesse assottigliato fino a lacerare il filo che teneva separate ragione e follia nella mente della Maximoff.
Per quello che lo riguardava, la ragazza poteva anche aver perso la famiglia, la sua città e un intero fottuto allevamento di criceti. Tutti avevano perso qualcuno, in quella dannata guerra, e aver perso il fratello e poi il ragazzo per due volte di fila e qualche amico (sempre se la Maximoff considerasse la Romanoff e Stark come tali) non era un motivo sufficientemente valido a creare una merdosa gigantesca bolla di illusioni sopra a una cittadina dell'Oregon.
Strange era stato già lì quando Nick era arrivato e c’erano buone probabilità che la distruzione totale del municipio ma il non-crollo dell’ospedale e della scuola elementare fossero dovuti ai suoi trucchetti magici.
«Dentro questa sfera protettiva tetradimensionale non dovrebbe creare alcun tipo di problema» gli assicurò.
«L'uso del condizionale non è mai un buon segno» osservò fredda Maria, accanto a lui.
Nick fece vagare il suo sguardo sulla Maximoff: distesa sul lettino di cristalli energetici impalpabili dorati che Strange aveva creato sembrava essere una fottuta principessa Disney. Pareva addormentata e così rilassata, come se non avesse fatto appena saltare in aria proprio un bel niente.
«Anche a me non piace» decretò Nick.
Lo stregone lanciò loro un'occhiata accigliata. «Prego?»
Nick gli indicò l’aspirante principessa dentro la sfera. «Per quanto sarai in grado di contenerla? Non possiamo rischiare. Se dà di matto, la teniamo allo S.H.I.E.L.D. e, nel caso, la si uccide».
Strange lo fissò a lungo, in modo penetrante, e Nick non distolse lo sguardo. Poteva sentire accanto a sé il respiro regolare di Maria.
Alla fine, lo stregone scosse il capo e tornò a fissare la Maximoff nella sua teca. «La follia è relativa, in questo nostro mondo».
«Se dovesse dare un altro singolo problema, la uccideremo».
«Non ce ne saranno». Nessun condizionale, quella volta. «Vedrò di aiutare e assistere personalmente Wanda a controllarsi. E se mai non dovesse esserne in grado, gestirò io la situazione, qualunque cosa richieda».
Nick scambiò un'occhiata con Maria, poi si diresse verso quello che rimaneva dell’uscita.
«Solo una cosa, direttore» lo richiamò però indietro la voce di Strange. Era già seduto a mezz'aria sopra le rovine del municipio, con il mantello che gli volteggiava sulle spalle e le mani tese sulla capsula dorata della principessa. «Consiglio vivamente anche a te di farti aiutare, nella tua situazione».

«Resta, occhi su di me. Resta sveglia».
«Non ce la faccio, Nick».

Nick spalancò l'occhio buono, ritrovandosi a fissare il soffitto nero della sua camera. Aveva sognato di nuovo qualcosa di indefinito, ma di talmente intenso da lasciargli una sensazione di vuoto sporco dentro. Si alzò dal letto e andò in bagno a sciacquarsi il viso.
Il buco che aveva al posto dell'occhio sinistro gli pulsava come se qualcuno lo avesse appena torturato con un bastone- cosa che in effetti una o due volte gli era successa, con dei mercenari gentiluomini particolarmente attenti al provocare massimo dolore con minimo sforzo. Rinunciando definitivamente a dormire, Nick indossò la benda e i vestiti e uscì senza una meta, a passeggiare per i corridoi dell’elivelivolo.
Non fece molta strada prima di incontrarla.
«Non riesce a dormire?»
Maria Hill era poco più avanti, seduta a terra vicino al parapetto, con le gambe a penzoloni sul panorama vuoto che li separava dalle eliche gigantesche. Nick avrebbe voluto che ci fosse qualcun altro in quel momento, a vederla in quelle condizioni, per assicurargli che non stesse sognando. Sembrava una ragazzina, in una strana sfumatura che non riusciva a spiegare nemmeno a se stesso. Era un comportamento di certo non professionale, inadeguato, ma finché nessuno li vedeva... beh, era allo stesso tempo quasi tenero, in un modo strano e malinconico- era come se di per sé quella visione costituisse qualcosa di irraggiungibile per la sua mente, qualcosa fuori posto ma per qualche ragione da non inserire in quello legittimo.
Avrebbe dovuto dire qualcosa, probabilmente un rimprovero, ma sentiva che sarebbe stato proprio quello a inserire il quadro in quel legittimo spazio che stava così tanto evitando. Così si appoggiò semplicemente al muro, sentendosi per qualche ragione stanco, quasi vecchio. Era ancora notte. Il corridoio in cui si trovavano era aperto verso le eliche, che però non erano alla loro potenza massima- di conseguenza, solo occasionalmente il vento arrivava a disturbarli. Luci illuminavano tutto l’eliveivolo, creando illusioni di stelle. Voci delle pattuglie di sorveglianza e degli agenti arrivavano forti e poi più deboli man mano che camminavano nelle loro vicinanze.
«È stata una lunga giornata» disse, dopo un po’.
«Credo che tutte le giornate allo S.H.I.E.L.D. lo siano» ribattè lei. Gli dava la schiena e sembrava quasi impalpabile alle luci attorno a loro. «Alcune sembrano non avere mai fine. Ti chiedi se sarà così anche quando saremo morti».
Nick alzò un sopracciglio. «Non ho intenzione di provarlo in tempi recenti».
Maria rise. Presto sarebbe sorto il sole.

Stavano correndo in una terra fatta di esplosioni.
Le mine erano ovunque e si spostavano, erano espressamente programmate per seguirli.
Gli uomini saltavano in aria ad ogni passo, facendo piovere su di loro sangue a spruzzi e pezzi grumosi di carne.
Sfrecciavano da una parte all'altra, erano quasi al sicuro sotto agli alberi del bosco vicino e Nick avrebbe fatto fuori personalmente il figlio di puttana che aveva provato a combinare tecnologia e magia in quel modo senza essere assunto allo S.H.I.E.L.D. e contro di loro.
Erano arrivati al bosco e si erano fermati a prendere fiato, in un attimo fatto di respiri pesanti e mozzi, di sudore e di shock rabbioso. All’inizio della missione, erano stati l’intera squadra: ora erano soli, Nick e lei. Ma erano vivi.
Erano vivi. Ed era stato allora, nell’esatto momento in cui l’aveva pensato, che dagli alberi avevano cominciato a fare fuoco su di loro.
A quel punto, urla e gemiti.
«NO!»
Un ultimo scoppio e poi altre urla.
«Resta, occhi su di me. Resta sveglia».
«Non ce la faccio, Nick».
«No. Non te ne andrai, rimani sveglia, sveglia...»

Altro sogno, altra levataccia. Nick ci stava facendo il callo: non era di certo il primo incubo che lo tormentava, né sarebbe stato l’ultimo. Eppure, c’era qualcosa che gli sfuggiva, un pensiero che si nascondeva dietro a strati di altri pensieri, ritirandosi più a fondo ogni volta che tentava di afferrarlo. Era per questo che preferiva molto di più uno scontro corpo a corpo, o l’elaborazione e l’attuazione di piani complicati, a qualche battaglia psichica. A volte non poteva fare a meno di chiedersi se forse non fosse il caso di farsi dare una controllata dalla mutante psichica che avevano a bordo, ma non poteva permettersi che qualcuno di cui non si fidava ciecamente mettesse il naso nella sua testa. C’erano troppe cose che dovevano restarsene lì dentro.
«Anche stanotte?» gli chiese qualche ora dopo Maria, seduta nell’auto accanto a lui mentre si destreggiava nel traffico della Manhattan di metà mattina. Tuta nera, quel giorno, e capelli in una coda corta.
Sì, anche quella notte, appena prima che Strange gli comunicasse che la Maximoff non era poi così facile da gestire. «Forse dovrei assegnarti un altro incarico». Nick svoltò a sinistra, superando una serie di macchine ferme a uno stop. «Stai diventando un po’ troppo brava a sondarmi».
Maria non disse nulla, limitandosi a far scorrere le ultime mail sul vecchio cellulare dello S.H.I.E.L.D. Nick si accigliò: si immaginava che lei avrebbe assunto come minimo un’espressione compiaciuta, dato che quello che aveva appena sentito era la cosa più vicina a un complimento che qualsiasi essere umano avrebbe mai potuto da lui ricevere- e Maria lo sapeva perfettamente. Ma invece rimase neutra, senza alcuna traccia di compiacimento. Forse c’era effettivamente qualcosa che non risultava giusto in lei, in quei giorni, e avrebbero dovuto parlarne il prima possibile e in modo approfondito- non erano nella posizione di avere distrazioni di qualsiasi genere. Ma quello non era di certo il momento e quindi nessuno parlò fino a quando lui non parcheggiò sotto la Avengers Tower.
«Prima o poi, la morte bisogna superarla per continuare a vivere, Nick. Devi lasciar scorrere via le cose».
E quello fu tutto ciò che lei gli disse.
Bene, quella chiacchierata che stava pianificando avrebbe dovuto svolgersi quel giorno stesso. Nick scese dall’auto corrucciato e rimase tale per tutto il tempo necessario a raggiungere gli Avengers nella sala riunioni.

«Quindi, l’unica valida alternativa che abbiamo è uccidere la Maximoff prima che la cosa sfugga di mano».
Per un attimo, seguì il silenzio alle sue parole. Cosa che era d’effetto, considerando che di norma i supereroi tendevano ad avere un ego più forte dei loro poteri- e di conseguenza a sentirsi legittimati a porre in discussione qualsiasi cosa dicesse. Specialmente dopo lo scandalo dello S.H.I.E.L.D. e il Blip, si sentivano nella posizione di porre in questione qualsiasi cosa dicesse.
Da quel punto di vista, era solo fortunato non fosse presente- e quindi non dovesse gestire- l’intero team: solo Capitan Wilson, Bucky, Spider-Man e Hulk erano lì- anche Valchiria, a dire il vero, anche se lei non si era mai considerata un Avenger, preferendo per qualche motivo la definizione di Revenger. Ant-Man e Wasp erano in missione, ma avevano mandato al loro posto Matt Murdock, dei Defenders. Nick incrociò lo sguardo di Maria- era rimasta accanto alla porta, appena dietro Sam Wilson e Bucky Barnes. Presto qualcuno si sarebbe espresso e lui avrebbe avuto bisogno di tutto il supporto possibile perché le sue motivazioni risultassero quelle vincenti.
«Ma pensiamoci un momento…». Come volevasi dimostrare.
Banner gesticolava spesso mentre parlava, non considerando le conseguenze che le sue enormi mani verdi potevano causare. Parker, accanto a lui, si scostò prudentemente più in là. «Dovremmo tutti pensare a questo, in primo luogo: è giusto uccidere qualcuno prima che commetta alcunché? Io ho davvero l’impressione, direttore, che la sua potrebbe essere una decisione drastica. Tutto sommato, la situazione in Oregon si è risolta in modo più o meno lineare, senza vittime. E visto che la mente di Wanda è già danneggiata, credo che un approccio morbido potrebbe…»
«Approccio morbido? Bestione, quella ha fatto saltare in aria una città». Il senso pratico di Valchiria, gente: uno dei punti su cui Nick contava maggiormente. «New Asgard non sarà il suo nuovo parco giochi».
«Non accadrà» sottolineò Nick, «se mettiamo a tutto fine. Per tempo».
«In effetti, è una valida opzione» acconsentì Murdock, con un singolo cenno.
«Ma, avvocato Murdock, uccidere…»
Oh no, Banner non avrebbe rovinato tutto. «Quando avremmo dovuto, non abbiamo fatto il necessario con Thanos. Vuoi fare lo stesso errore, Banner? Perché io no».
«Scusa, Fury, e senza offesa, ma tu non hai davvero incontrato Thanos. E lei nemmeno, signor Murdock».
«Non è comunque questo il punto, Capitan Wilson. Se questa ragazza costituisce un pericolo…»
«Ma mi scusi e scusate: stiamo davvero dicendo che uccideremo uno di noi? Tipo un Avenger che uccidere un altro Avenger? Perché tipo no, non potrei neanche nemmeno pensarlo! Non ho mai ucciso nessuno!»
«Questo è perché sei solo un ragazzino, Spider-bimbo».
«Bè, forse è anche vero, Valch… miss Valchiria. Ma sono un ragazzino con un codice morale!»
La discussione continuò, addirittura più intensa del previsto, ma… ma a Nick sembrò farsi sfocata. Stava diventando sempre più distante da lui, sullo sfondo dei suoi stessi pensieri, come se si trovasse in un pianeta diverso da quello degli Avengers e dell’operazione Maximoff. Ogni volta che cercava di focalizzarsi su quello che stava succedendo- cazzo, era lì, nell’Avengers Towers, per convincere gli Avengers e averli dalla sua parte!- la sua mente slittava via. Ricordi indefiniti cozzavano tra le pareti del suo cervello. Poteva quasi avvertire una nebbia rumorosa investirlo in pieno, trascinando via ogni barlume di lucidità, lontano, fuori dalla sua portata, mentre lui cercava di connettere o di anche solo comprendere i pezzi di ciò che stava accadendo dentro di lui.
In qualche modo, si ritrovò seduto al tavolo delle riunioni e iniziò a massaggiarsi dolorante le tempie, mentre attorno a lui la discussione continuava a fioccare.
Non riusciva ad afferrare una singola sola parola. Non di quel mondo, almeno.
«Resta, occhi su di me. Resta sveglia».
«Non ce la faccio, Nick».
«No. Non te ne andrai, rimani sveglia, sveglia...»

Solo Maria doveva essersi accorta delle sue condizioni dato che se la trovò improvvisamente accanto. «Devi lasciar scorrere via le cose» gli sussurrò ancora, gli occhi velati di qualcosa che pareva un’insopportabile e infinita tristezza- qualcosa che lui non le aveva visto in anni.
«Ma di che cazzo stai parlando, Hill?» sputò fuori.
Realizzò di averlo detto ad alta voce non appena, un secondo dopo, nella sala calò un brusco silenzio. Nick alzò spostò a fatica lo sguardo sui presenti, l’occhio sotto la benda che aveva ricominciato dolorosamente a pulsare come se dovesse da un momento all’altro vomitargli sangue addosso. «Allora? Siamo qui per discutere l’emergenza Maximoff o per guardare la mia faccia?»
Parker ridacchiò nervosamente. «È che ecco… bè, signore, ci sembrava- o almeno, a me è sembrato che…»
«Sputa il rospo, Parker!»
 «Hai detto “Hill”» disse Barnes.
Il dolore si stava facendo se possibile addirittura più forte, come se qualcosa stesse attivamente cercando di uscirgli dal cervello tramite il cratere che aveva al posto dell’occhio. Nick cercò di scacciarlo via con un getto rabbioso del capo. «Quindi?»
Forse per la prima volta da quando erano stati formati, gli Avengers sembravano condividere la stessa opinione: quella di rimanere perfettamente in silenzio. Nick si girò a cercare Maria per condividere almeno con lei il fatto che gli Avengers non avessero realizzato che “Hill” non fosse una parolaccia problematica nello stile del vecchio Capitan America- e che comunque lui avrebbe potuto usarla qualsiasi volta avesse voluto. Forse sarebbe stato meglio andarsene direttamente da Strange, se gli Avengers erano di quell’avviso.
Ma Banner si alzò dalla sedia appositamente progettata per la sua mole e gli si avvicinò a passi pesanti prima che lui potesse muovere un muscolo. Quando parlò, la voce gli uscì gentile e ferma, ma per qualche ragione leggermente tremante. «Nick».
Ok, cos’era tutta quella confidenza? E quella strana espressione?
«Nick, Maria Hill, lei è… lei… non può essere qui».
Ora era il turno di Nick a rimanere in silenzio. Si voltò verso di Hill, indicandola agli altri. «Che diavolo stai dicendo? È esattamente qui».
Gli Avengers lo guardarono con un sentimento che non aveva visto in secoli e che lo lasciò stranito. Quella nei loro occhi era proprio pietà.
«No» disse Sam Wilson, alzandosi a sua volta. «No, signore, Maria non lo è».
«E perché non dovrebbe?»
«Perché è morta» disse Barnes, senza cambiare di un millimetro l’espressione solitamente cupa del suo viso. «È morta. Quasi un anno fa».
 
«Resta, occhi su di me. Resta sveglia».
«Non ce la faccio, Nick».
«No. Non te ne andrai, rimani sveglia, sveglia, Hill. Resta con me!»

 
Piovevano bombe sulla città. Un giovane Nick correva via, più veloce che poteva.
I cadaveri erano ovunque, anche di bambini, anche di neonati. Ci affondava sopra correndo.

 
Morte, sangue, cadavere.
Mutilazioni, organi, veleno, spari di pistola, morte, sangue.
Morte, sangue, cadavere.

 
«Scusi, capo. Il dio se l'è squagliata...»
«Rimani sveglio, occhi su di me».
«No... timbro il cartellino».
«Opzione non valida».
«Tutto a posto, capo... Quella squadra non funzionerà mai... se loro non avranno qualcosa... da...»
Lo sguardo di Phil Coulson scivolò via da lui, sul pavimento. Coulson arricciò le labbra, in modo quasi impercettibile, mentre del sangue scorreva sulle sue guance. Sembrava volersi quasi scusare di star morendo. Il suo respiro diminuì fino a cessare del tutto.
Qualcosa dentro Nick si ruppe e allora seppe che Coulson semplicemente non esisteva più.

 
«L'agente Romanoff... lei... si è sacrificata nella missione della Pietra dell'Anima».
 
L'albero era andato in mille pezzi insieme alla mitragliatrice, ma lui l'aveva a stento notato.
Stava cercando di fare qualcosa. Qualsiasi cosa, con tutte queste sue forze.
Fece scivolare un braccio sotto la sua testa per sollevargliela e con l'altro cercò di bloccare il fiume di sangue che le stava uscendo dal costato. In pochi secondi, le sue mani erano tiepide e i suoi abiti grondanti di rosso.
«Resta, occhi su di me. Resta sveglia» le disse, stringendo i denti.
Maria sorrise, un sorriso inaspettato e improvviso come un tuono. Nonostante il suo stomaco fosse ridotto a un buco da quei venti proiettili, nonostante il suo corpo stesse vomitando e rigettando sangue e cose grumose di un nero rossastro, cose che non dovresti mai, mai scorgere fuori da un corpo vivo, nonostante il suo viso fosse impastricciato da cenere, sangue non suo, pezzi di altri corpi e molta morte. Nonostante tutto quello, sorrise. Un sorriso di sole labbra, perché sollevarle sopra ai denti avrebbe richiesto in quel momento già troppo sforzo- era un sorriso triste e sfinito, nemmeno vagamente simile alle sue smorfie ironiche, e ormai agli sgoccioli. «Non ce la faccio, Nick» mormorò, cominciando a chiudere gli occhi. Due palpebre inesorabili che scendevano verso il basso.
«No. Non te ne andrai, rimani sveglia, sveglia, Hill. Resta con me!»
Tentò di scuoterla, ma si bloccò quando Maria Hill scosse la testa, in un piccolo e soffice movimento- un diniego che un istante dopo era semplicemente svanito.
Per forse la prima volta da quando Nick la conosceva, Maria non seguì i suoi ordini.
E se ne andò, morendo.
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«Riassumendo… non è stato qualcosa causato dalla Maximoff. Ne è sicura».
«Lo sono, signor Mackenzie. Si può più che altro definire come risultato di una sfilza di eventi traumatici, mai curati, superati o anche solo accettati».
«Capisco. E quali sono i suoi suggerimenti su come agire al riguardo, Madame Web?»
Nick aveva sentito abbastanza. Aprì l’occhio, ma la luce accecante della stanza lo costrinse a richiuderlo- gli ci vollero svariati tentativi prima di riuscire a scorgere e a delineare per bene le figure di Mackenzie e di Madame Web, la mutante psichica dello S.H.I.E.L.D. A quel punto, anche Banner era entrato nel suo campo visivo- ed era davvero un bello spettacolo, così grande e a suo agio in quella sorta di laboratorio medico. Fuori dalla stanza, Smerdyakov era appoggiato accanto alla porta, immerso in qualche rivista. Ma tutti quelli attorno a lui lo osservavano con aria preoccupata, come se fosse Nick il vero problema, e assolutamente non la ragazza che aveva fatto esplodere una cittadina in Oregon e che era sul punto di fare lo stesso a New York.
«Come si sente, direttore?» chiese Banner, sempre con quella sua voce irritatamente gentile.
«Dottor Banner…»
«Sì?»
«Perché non sei con gli Avengers? Se ognuno di voialtri ha così tanto tempo da sprecarlo qui stando attorno al mio letto, allora bisognerebbe supporre che abbiate del tutto risolto l’emergenza Maximoff».
«Ecco…» cominciò Banner, ma Nick lo bloccò.
«Non un’altra parola, dottore. Sei l’Avenger da più tempo in servizio, per l’amor di Dio, è con loro che devi stare». Si alzò dal letto e lanciò un’occhiata a Mackenzie e a Madame Web. «E lo stesso vale per voi due. Sono piuttosto sicuro che abbiate del lavoro molto più importante da portare a termine».
La mutante se ne andò senza una parola, ma Mackenzie si fermò sulla porta. «Parleremo il prima possibile di tutto questo, Fury» gli assicurò, per poi uscire.
Nick non badò a lui come a qualsiasi scusa Banner stesse borbottando in quel momento. Si sentiva la gola secca  e il palato reso appiccicoso dalla saliva e la testa gli pulsava ancora terribilmente- si sentiva di nuovo e ancora vecchio. «Tempo sprecato in quel letto» pretese da Banner.
«Forse quattro o cinque ore… Gli altri Avengers, comunque, sono al Sanctum, e il Dottor Strange assicura che la Maximoff sarà sotto controllo per almeno le altre prossime sei ore».
«Gentile da parte sua». Nick terminò di controllare le pistole nei loro appositi posti tra le pieghe dei suoi vestiti, lieto che almeno nessuno si fosse permesso di anche solo sfiorare le sue cose. Indossò il mantello. «Allora incontro previsto alla locazione di Strange, dottor Banner. Arriverò stasera. Evita che la Maximoff o gli altri mandino tutto a farsi fottere».
Ignorò la risposa di Banner, come anche il sospiro che Maria aveva emesso alzandosi dalla sedia- che probabilmente era in realtà vuota- accanto al letto. Nick uscì dalla stanza, facendo cenno a Smerdyakov di seguirlo.
«Portami da lei» gli disse.
Smerdyakov era uno di poche parole e molte azioni: perciò capì e non disse nulla.

La tomba sorgeva in un cimitero pacifico e ordinato, nelle campagne appena fuori da Chicago.
Faceva un bell’effetto, in quella giornata illuminata dai raggi del primo sole primaverile.
Anche se il posto non assomigliava affatto a qualcosa che Maria avrebbe percepito come una casa o come una parte di lei, Nick si sentì sollevato dal fatto che non si trovasse accanto alla lapide della Romanoff o a quella di Coulson- e nemmeno a quella propria finta. Sentiva che in quei casi sarebbe stato semplicemente troppo da vedere e da gestire in una volta sola.
Smerdyakov (e per sua sfortuna altri, via telefono) gli aveva detto che il funerale era stato tranquillo e sereno; c’erano state un bel po’ di facce dello S.H.I.E.L.D e perfino dei supereroi, stando a qualcuno: era stato presente chiunque avesse davvero conosciuto e apprezzato Maria. Il che avrebbe dovuto significare che al funerale aveva presenziato lui da solo, con un mucchio di fantasmi e forse un decrepito Steve Rogers.
Mentre si dirigevano alla tomba, Smerdyakov accennò qualcosa sui discorsi effettuati all’occasione, su come Pepper Stark e la sua figlioletta avessero appoggiato o piantato dei fiori e stronzate del genere. Le sue parole scivolavano su Nick come pioggia su un parabrezza, tanto che non si accorse nemmeno quando Smerdyakov terminò di parlare- sempre che l’avesse fatto davvero. La voce che descriveva il funerale era stata particolarmente simile a quella di Coulson, alle orecchie di Nick.
Poi, finalmente arrivarono.
La lapide era almeno adatta, dal suo punto di vista: un basso quadrato di marmo nero, privo di eccessive decorazioni e con qualche fiore che pareva ancora fresco.
Nick vi si accucciò accanto con qualche difficoltà- quel giorno sembrava davvero che la vecchiaia che fino ad allora non aveva mai davvero percepito lo avesse investito come un’onda in piena. Per un po’ rimase lì, immobile, osservando la scritta e la foto incastrate e sbiadite sugli angoli, immobili sulla roccia. Come se fossero state lì… da almeno un anno.
Solo quando avvertì il vento accarezzargli la faccia e il rimbombo costante del mondo attorno a lui si fece più chiaro, si mosse, tendendosi semplicemente a sfiorare con le punte delle dita il bordo della lapide.
«Devi lasciar scorrere via le cose» gli ripetè di nuovo.
Nick chiuse l’occhio, cercando di ignorare la singola lacrima che gli stava solcando la guancia.
Una delle cose che rimpiangeva di più era non averla chiamata per nome quando se n'era andata.
«Ciao, Maria» disse.


 
 
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Note dell’autrice

Ho scritto questa storia da un’idea nata in un sogno.
Mi sono messa a scriverla quasi subito dopo essermi svegliata o comunque nel corso di una giornata in cui il nucleo del suddetto sogno mi vagava dentro come un piccolo fuoco e di conseguenza ormai non sarei più in grado di dire quale fosse l’idea originaria. Che dire, succede.
Proprio per le sue origini un po’ fuori dal mondo logico, la storia, come avete forse notato, ha un andamento piuttosto onirico- e forse non è del tutto precisa per un’eventuale inserimento dentro l’universo canonico Marvel, né nella caratterizzazione dei personaggi (anche se io con Nick mi sono piuttosto sforzata).
Gli avvenimenti narrati sono da intendersi ovviamente dopo Endgame, come anche dopo Far from Home. Matt Murdock è altrimenti noto come Daredevil e, sebbene io lo conosca principalmente dai fumetti, è qui inserito in riferimento alla sua serie tv Netflix (e al mega crossover dei Defenders, con Iron Fist, Jessica Jones e Luke Cage). La storia di Alphonse Mackenzie e quella di Coulson sono narrate nella serie tv di Agents of S.H.I.E.L.D.- anche se in questo universo ci fa più comodo pensare che Coulson sia semplicemente morto in Avengers contro Loki. Per lo schizzo di Wanda Maximoff, mi sono ispirata alle serie di fumetti di Avengers: Disassembled e di House of M- tra l’altro, stando a certe teoria, anche la futura serie tv Wanda Vision avrà un po’ un andamento simile.
Maria Hill nei fumetti è dalle parti di Chicago, anche se non ha ormai più da anni rapporti con suo padre e la di lui nuova moglie. È un personaggio che mi ha sempre interessato parecchio, specie nella sua badassaggine e nel suo rapporto con Nick. Ecco, veniamo a Nick: come avete visto, nella storia viene approfondito molto il concetto di trauma del lutto. Nick è sul campo circa da quando aveva sedici anni e nella storia da me narrata va ormai per i settantaquattro/settantasei; si è sempre ritenuto in grado di gestire le inevitabili morti che il suo lavoro comportava, ma la cosa ha preso semplicemente una piega diversa quando hanno cominciato a morire uno dopo l’altro gli agenti a cui teneva maggiormente.
Occhio di Falco, tra l’altro, ha deciso di ritirarsi a vita strettamente privata, senza avere più rapporti con nessuno della vita che aveva insieme a Natasha. E così la morte di Maria è stata, diciamo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sono stata molto felice di poter sperimentare nella scrittura qualcosa di più vicino al concetto di pazzia e spero che il risultato non sia troppo male.
Ah, il titolo è randomicamente tratto dalla canzone “I’m so sorry” degli Imagine Dragons.
Il finale, invece, è volutamente aperto alle vostre interpretazioni- che potete lasciarmi in una recensione, se vi va!
Se siete particolarmente timidi, potete anche scrivermi in anonimo qui
Qui passo e chiudo!
 
Baci,
- Nox
  
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