Serie TV > Supernatural
Ricorda la storia  |      
Autore: xMoonyx    30/04/2020    2 recensioni
Parigi, anni '30, poco prima della Seconda Guerra Mondiale: Dean e Sam sono due ragazzi ebrei in una Francia che inizia a conoscere le leggi razziali. Eppure nessuno dei due poteva immaginare cosa sarebbe accaduto nel giro di qualche anno...
***
La vita era piacevole quando facevi il postino, quando avevi ventiquattro anni, e quando ti potevi riposare in un bar in compagnia di un bel bicchierone di birra.
Dean lo sorseggiò con gusto, sospirando, mentre si concedeva un’occhiata intorno: la band jazz stava suonando Song of Islands di Louis Armstrong, che Dean adorava sopra ogni cosa.
Se avesse potuto costruire un altarino per Louis, Dean l’avrebbe fatto subito. Ma poi lo avrebbero arrestato per feticismo.
{DESTIEL AU}
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
NDA: Partiamo dal presupposto che ho scritto questa storia 5 anni fa, mi fa stranissimo tornare a pubblicare dopo 5/6 anni di assenza in questo sito. Tante cose sono successe nella mia vita, sia positive che negative, per cui, per un motivo o per un altro, ho totalmente smesso di scrivere. Inizialmente era semplicemente mancanza di tempo, poi è diventato un vero e proprio blocco scrittore, poi di nuovo mancanza di tempo. L'altro giorno, probabilmente causa quarantena, mi sono ritrovata ad aprire una cartella del pc che avevo totalmente dimenticato, e ho ritrovato questa breve storia. Alla fine vi dico più info, perché se parlassi adesso sarebbe spoiler. Onestamente non so nemmeno più chi mi stava seguendo o ricorda le mie storie su Merlin e Supernatural, a me onestamente sembra una vita fa. Sono totalmente fuori da ogni fandom, da tumblr, da efp, non leggo né posto una ff appunto da sei anni (ma seguo ancora Supernatural con lo stesso amore di un tempo, anzi durante questa quarantena ho fatto un rewatch delle prime cinque stagioni, che il mio ragazzo doveva vederselo e quindi gli ho fatto compagnia). Nonostante tutto,  è un peccato lasciarla marcire nella mia cartella no??
Ci rivediamo alla fine del capitolo, buona lettura! :)


La Vie en Rose
 
 

 
«Buongiorno, signor Leroy!»
Dean, una mano sul manubrio della bici, agitò il giornale ripiegato a mo’ di saluto, prima di scagliarlo verso l’uomo in vestaglia che ricambiò dall’uscio.
«Buongiorno a te!» gli urlò dietro. Dean accelerò e svoltò l’angolo, il vento tra i capelli –il berretto che rischiava di volar via ad ogni svolta-, il volto illuminato da un sorriso pieno, le lentiggini che gli davano un’aria sbarazzina.
Che bella giornata, pensò estraendo un altro giornale e lanciandolo nel giardino della casa successiva. Al cancello dopo un cane gli abbaiò e Dean gli indirizzò il giornale dritto in bocca.
«Almeno adesso ti stai zitto» sogghignò mentre il cane lo fulminava con uno sguardo omicida.
La vita era piacevole quando facevi il postino: ti dava modo di conoscere un caleidoscopio di persone differenti, dai vecchi arrugginiti e sgorbutici, alle belle donne formose, ai giovani pieni di sogni e speranze.
E anche Dean Winchester era uno di questi… con più sogni che speranze, a dire il vero.
Lui e suo fratello Sam, più giovane di quattro anni, avevano vissuto assieme alla loro famiglia in America: la madre Mary era morta quando Sam era appena un infante e Dean un bambino, durante un incendio. Il padre John li aveva cresciuti, se nonché, durante una battuta di caccia fu vittima di un brutto incidente e li lasciò soli… Dean sarebbe stato in grado di vivere da solo, ma Sam era ancora solo un ragazzo.
Così si trasferirono dallo zio Bobby, migliore amico del loro defunto padre, a Parigi, la città dell’amore.
Dean, senza rallentare la pedalata, si girò ad ammirare il paesaggio che si intravvedeva dietro le case, specialmente la torre Eiffel che svettava maestosa tra i lampioni.
Parigi era incantevole, rilassante… coi lampioni illuminati di notte, il suono delle fisarmoniche e dei violini, il buon cibo, il profumo di fiori, i colori, la gente.
Sospirò beato, per poi svoltare un altro angolo canticchiando, accostare la bicicletta e scendere al volo nei pressi di una biblioteca.
Senza nemmeno bussare entrò, ancora saltellando. Un campanello suonò annunciando la sua presenza.
«Buongiorno fratellino!»
Sam, prima affaccendato a sistemare dei libri in delle scatole a terra, saltò letteralmente in aria - preso alla sprovvista- facendo volare un mucchio di carte.
«Dannazione, Dean!» lo accolse, nervoso, tentando di recuperarle. «Quante volte ti ho ripetuto di non entrare così? Cristo»
«No, solo Dean» sorrise sornione l’altro, buscandosi un foglio in fronte. Sam si voltò ignorandolo, e riprese il lavoro da dove l’aveva interrotto.
Dean si tolse svogliato il foglio dalla fronte e lo scorse. «Umh, che è ‘sta roba?»
«Niente di importante, ridammelo!» senza nemmeno aspettare una risposta Sam glielo strappò di mano e lo infilò nella risma di carte che era riuscito a riordinare.
«Ma sei stato tu a… vabbè, non importa. Allora, io ho finito il mio giro, che ne pensi se andiamo a fare colazione?»
«Dean, sono un po’ occupato, come vedi…»
«Sì, so che sposerai Jessika, e infatti la mia uscita era intesa come solo tra amici…­»
Sam lo guardò sconvolto, poi gli diede una spinta giocosa ed entrambi scoppiarono a ridere.
«Idiota­»
«Cretino»
Fin da bambini si concedevano questo scambio di battute, era come qualcosa che potevano capire solo loro, e sanciva il loro rapporto, in uno strano modo.
«Piuttosto, siccome stai uscendo… ti spiacerebbe portare questo libro a Bobby?» Sam recuperò un volume un po’ consumato da sotto un mucchio, attento a non far cadere gli altri, ci passò una mano sopra per cacciare la polvere e lo consegnò al fratello.
«Supernatural» lesse Dean sulla copertina marrone, a lettere cubitali gialle. Corrugò la fronte, non del tutto convinto. «Da quando Bobby si interessa di Satanismo?»
«Non è Satanismo! E’ solo… un romanzo.»
Dean annuì, non senza avergli dato una seconda e lunga occhiata.
«Sì, insomma, hai presente quelle cose con le lettere che si leggono? Ecco.»
«Che simpatico» replicò Dean, inserendolo nella saccoccia –con ormai solo un giornale, che tirò fuori e lasciò sulla scrivania-.
Sam si sporse per dargli un’occhiata, mentre Dean sprimacciava il berretto per dargli una forma più decente, e se lo premeva in testa. Si diede una tirata alla bretelle per salire le brache e fece per uscire.
«Va bene allora, Sammy, io scappo. Ci vediamo a cena stasera» fece per infilare la porta, quando la voce allarmata di Sam lo bloccò.
«Dean, hai letto?»
«Intendi quelle cose con le lettere?»
«Sono serio!» Sam aprì il giornale sul tavolo, con una certa urgenza «La Germania questa cosa delle leggi raziali la sta prendendo troppo sul serio…»
«Già» Dean poteva anche sembrare spensierato, ma la verità era che quella situazione lo metteva in ansia: lui e Sam erano ebrei. Non che ci fossero delle leggi a Parigi, ma si era diffusa un po’ in tutta Europa la moda di additare gli ebrei come dei mostri e degli esseri meschini e immondi. 
Dean non ci faceva caso, non si era mai curato di cosa la gente potesse dire alle sue spalle… ma Sam. Sam soffriva tantissimo. Era già successo di sentire persone che si rifiutavano di entrare nella sua libreria e acquistare dei libri solo perché chi li vendeva era ebreo.
«Ma questa è Parigi, Sammy, non Berlino. Qua non sono tanto stupidi.»
«Speriamo…» mormorò Sam, mogio, perdendosi nella lettura dell’articolo. 
Dean lo vide assorto e così ne approfittò per uscire. Montò sulla bici, prese un grande respiro, e poi ripartì veloce come era arrivato.
 
 
 
La fabbrica dove lavorava Bobby non era molto distante dal centro, così quando Dean arrivò, il sole era ancora alto.
Il rumore delle macchine si poteva percepire già ad un isolato dalla costruzione. Dean lasciò la bicicletta e si catapultò dentro, sistemandosi la saccoccia in spalla. 
«Salve!» salutò il portiere all’ingresso, che ormai lo conosceva. Il signor Berens era un uomo grasso e gentile, che in teoria avrebbe dovuto fare da guardia all’ingresso, ma che in realtà stava stravaccato sulla sedia ascoltando la radio e scarabocchiando qualcosa su un foglio. Oppure al telefono, attorcigliandosi il filo attorno al dito.
Questa volta, era intento a strafogarsi un piatto di insalata.
«Salve giovanotto, cosa ci fa un ragazzo sveglio come te in un posto così deprimente a quest’ora?» lo salutò con la bocca piena, che si curò di tamponare con un fazzoletto.
«Consegne» spiegò Dean mostrando la saccoccia. Berens annuì e gli fece segno col mento di passare.
«Robert Singer, eh?»
«Eh sì.»
«Vecchio birbone»
«Faccio in fretta, comunque»
«Ma che fretta, prenditi tutto il tempo che vuoi»
Dean sorrise incoraggiato e si mosse per entrare: il locale era un lungo e largo budello di cemento, illuminato da numerosissime finestre ai lati delle quali filtrava un filo d’aria, che si andava a mescolare ai vapori dei macchinari. Tra le file di marchingegni Dean scorse un nugolo di teste –o meglio, cappelli- e la consueta divisa degli operai. Sporca di olio ma tutto sommato sobria.
Sobria… come sicuramente non era Bobby.
Dean individuò il suo berretto tra la folla e subito corse da lui per raggiungerlo, attento a non urtare nessun operaio. Passò accanto ad un nastro, e la cannula di un fucile gli si incastrò nella borsa. La separò con un gesto secco e la lanciò all’operaio. Quello la prese al volo e si occupò dell’assemblaggio.
«Scusa» sibilò Dean infossandosi tra le spalle, mentre quello lo guardava in cagnesco. Si diede velocemente alla fuga e raggiunse Bobby, attento in quel momento a recuperare le parti dei fucili dal nastro trasportatore, e metterle assieme con gesti automatici.
«Bobby»
«Dean, dovevo immaginarlo» l’altro nemmeno alzò la testa, si limitò a bloccare un attimo il suo nastro e a guardare il ragazzo.
Era sudato e sporco di olio, nonché visibilmente stanco.
«Non sono ancora in pausa, ragazzo, che sia una visita breve.»
«Oggi siete tutti amorevoli, eh?» lo rimbeccò Dean, sarcastico «Tu e Sam. Proprio sprizzate gioia da tutti i pori, nel vedermi»
«Oh, dai, piantala di fare la femminuccia. Allora, mi hai portato un caffè?»
«Meglio!» Dean sorrise sornione e cacciò fuori il libro.
Bobby si immusonì, poi si lasciò ricadere sulla sedia.
«Non posso scambiarlo con un caffè?»
«Spiacente, non è commutabile»
«Ti odio»
Dean tramontò gli occhi al cielo «Non vuoi nemmeno dargli un’occhiata? Sammy si stava portando la testa».
«Beh, certo, in famiglia qualcuno deve pur farlo» Bobby si aspettò una reazione che non venne, così sbuffò e fece segno a Dean di avvicinarsi. «Fa’ un po’ vedere…»
Dean si avvicinò ma tenne il libro a distanza.
«Supernatural» lesse con voce teatrale, facendo il pomposo. Si schiari la voce e ripetè il titolo con voce più spettrale.
«Ti credi simpatico?» volle informarsi Bobby, paziente.
«Certo!» rispose Dean come se fosse ovvio «E tu invece? Perché ti dai alla religione?»
«Non è religione»
«Oh no, certo… parla di soprannaturale e non è di religione?»
«Giralo.»
«Cosa?»
«Gira il libro e leggi la trama.»
Dean lo osservò per un po’, poi scrollò le spalle e lesse «Questo romanzo tratta la storia di due fratelli, Sam e Dean Winche-che???» Dean si bloccò, credendo di aver letto male, e scosse la testa.
Bobby iniziò a sogghignare.
«Aspetta» fece Dean.
«Adesso sì che sei simpatico»
«Aspetta» fece ancora Dean. Girò il libro una volta, poi una seconda, e rilesse di nuovo. «Che diamine significa?!»
«Continua a leggere. A voce alta.»
Dean sospirò.
«Due fratelli, Sam e Dean Winchester –questa Sam me la deve senz’altro spiegare- che, in seguito alla perdita di entrambi i genitori…» Dean si ammutolì di nuovo.
«Continua» lo esortò Bobby.
«… divennero dei cacciatori di demoni e fantasmi, al pari del loro padre. Salvare le persone, cacciare le cose, affari di famiglia, questo divenne il loro motto» Dean fece una pausa «Cosa ho appena letto?»
«Tuo fratello si diletta nella scrittura, ecco cosa stai leggendo. Ha sempre avuto il pallino di voler scrivere un’autobiografia, solo che ha pensato che la vostra vita fosse un po’ troppo…»
«Noiosa?» gli venne in aiuto Dean.
«Normale» disse invece Bobby. Sospirò. «Oh, andiamo, il genere fantastico vende molto di più. La vita delle persone va già abbastanza a rotoli senza dover aggiungere altro realismo. La gente vuole svagarsi.»
«Che lo faccia con la vita di qualcun altro! Cosa c’è di divertente nelle disgrazie altrui? E comunque Sam avrebbe dovuto parlarmene.»
Bobby si alzò per prendere il libro, e se anche si fosse stupito del fatto che la presa di Dean non avesse posto resistenza, non lo diede a vedere. «Voleva farti una sorpresa… e comunque è un inedito. Sam stesso avrà creato la copertina, prendendo i materiali da qualche vecchio libro. Lo sai che tuo fratello è un tutt’uno con quei cosi pieni di pagine.»
Dean scosse la testa contrariato, iniziando a camminare nervosamente. «Tu lo sapevi e non mi hai detto nulla?»
«Sam rispetta la tua riservatezza… lo ha scritto solo per svago. Beh, almeno so cosa fare durante le pause.»
Dean avrebbe voluto ribattere in qualche modo, ma non gli veniva in mente altro. Così mugugnò un assenso e si sistemò la saccoccia in spalla.
«Quando lo avrai finito, sappi che vorrò leggerlo anch’io.»
«Se nel frattempo avrai imparato a farlo, senz’altro.»
«Ancora con questa storia?!» rise Dean «Per tutti i diavoli, io so leggere! E anche meglio di voi!»
Bobby inizio a scimmiottarlo e ridere e Dean con finto sdegno si allontanò da lui.
Si curò di non incastrarsi in nessun nastro, al ritorno… rivolse un saluto al tipo di prima –che lo guardò nuovamente in cagnesco- e poi lanciò una piccola mancia al signor Berens all’ingresso, che nel frattempo aveva finito la sua insalata ed era intento a dormicchiare sulla poltrona, con le gambe incrociate sul tavolo e il cappello sceso sugli occhi.
Dean si ritrovò a scuotere la testa sorridendo, poi uscì e si stupì di non ritrovare il sole ad accoglierlo. Preso in contropiede per un attimo –era già calata la sera?- si accorse che in realtà era semplicemente stato coperto da un paio di nuvole che si stavano ammassando e sembravano preannunciare pioggia.
Sperando che ciò accadesse il più tardi possibile, saltò in bici e se la diede a gambe tra le strade di Parigi.
 
 
 
La vita era piacevole quando facevi il postino, quando avevi ventiquattro anni, e quando ti potevi riposare in un bar in compagnia di un bel bicchierone di birra.
Dean lo sorseggiò con gusto, sospirando, mentre si concedeva un’occhiata intorno: la band jazz stava suonando Song of Islands di Louis Armstrong, che Dean adorava sopra ogni cosa. 
Se avesse potuto costruire un altarino per Louis, Dean l’avrebbe fatto subito. Ma poi lo avrebbero arrestato per feticismo, e Sam per satanismo se avessero trovato Supernatural tra gli scaffali della sua biblioteca.
In ogni caso, l’atmosfera era gradevole, o forse lo era l’alcol, o forse entrambi, fatto sta che se Dean avesse dovuto immaginare un paradiso, sarebbe stato così. E magari anche con una bella auto… ce n’era una che aveva visto dal carrozziere qualche giorno prima. Era nera e lucida, e Dean avrebbe fatto di tutto per averla.
Il locale era abbastanza frequentato quella sera, ma non come le altre sere. C’erano coppiette che si tenevano per mano dondolandosi a ritmo di musica, altre che ballavano, tra cui una di vecchietti.
Dean si chiese come potessero due persone amarsi per tutto quel tempo, e ballare insieme come se il mondo attorno non esistesse. 
Non aveva mai sperimentato quel sentimento… le sue storie erano consistite in scappatelle sia con donne che con uomini –Dean non disdegnava i bei ragazzi- ma nessuna durata più di qualche notte.
Buttò giù un altro sorso di birra e si guardò intorno alla ricerca di qualche vittima: vi era una donna con un vestito rosso scollato che catturò il suo sguardo e gli rivolse un salutino con la mano coperta da un guanto di velluto bordeaux.
Dean rispose con un sorriso da cacciatore e agitò le dita in risposta. Stava per alzarsi per sedersi accanto a lei, quando un uomo lo precedette, le si avvicinò, si sporse e le circondò la vita con un braccio. Un attimo dopo la baciava e Dean distoglieva lo sguardo, irritato.
Si sentiva preso in giro. La coppietta gli passò accanto e la donna lasciò scivolare una mano sulla sua spalla, passandogli accanto.
Dean la ignorò e affogò la sua delusione nell’alcol.
Attraverso il vetro del bicchiere e il liquido giallo vide qualcuno che lo stava fissando. 
Abbassò il bicchiere e intercettò lo sguardo: apparteneva ad un ragazzo di poco più grande di lui, con il volto largo, i capelli scuri e un velo di barba.
«Eih» lo salutò Dean. Il ragazzo trasalì, probabilmente non aspettandosi di essere notato.
Deglutì. «Eih.­»
«Ti annoi, eh?»
«Non più di te» il ragazzo sembrò aver ripreso il coraggio. Dean notò che nel suo drink vi era infilata una cannuccia rossa a forma di forcone. Si trattenne dal ridere.
«Comunque io sono Dean» disse sporgendosi e allungandogli la mano, che l’altro strinse con decisione.
«Crowley.»
«Che nome originale, Crowley. Bene Crow –posso chiamarti Crow? Cosa ti porta qui?»
«L’alcol, suppongo» rispose quello, ironico.
Dean sorrise: il tipo iniziava a piacergli.
«Ma certo, che domanda stupida. Allora non ti dispiacerà se ti offro un altro giro, vero?»
«No, suppongo» rispose Crowley malizioso, con lo stesso tono di prima.
 
Crowley era un tipo particolare, questo Dean lo aveva capito da subito. Ma ne ebbe la certezza circa un’oretta più tardi, dopo una lunga discussione che aveva raccolto un po’ tutti gli argomenti: Crowley studiava scienze politiche e voleva entrare al governo, era molto ambizioso, e viveva da solo. Non aveva mai conosciuto suo padre, e non aveva mai avuto un buon rapporto con sua madre, considerata da lui stesso una “vecchia strega”, e così raggiunta la maggiore età era andato via di casa a cercare fortuna.
Sembrava un tipo che amava il suono della sua voce, nonché utilizzare metafore e accalappiare chiunque lo ascoltasse facendo lunghe pause ricche di suspance. Dean se ne ritrovò catturato. 
«Sai, Dean, il sole è calato e inizia ad essere tardi… e io ho tanto, tanto lavoro da fare e una materia da preparare. Forse è meglio se vai…»
«Ti riaccompagno a casa.»
«Cosa? Ma che, scherzi? Dai…»
«Ho una bici con me, è un piacere»
Crowley era con le spalle al muro, avrebbe dovuto accettare.
«Non c’è problema, davvero.»
«Insisto.»
Crowley sospirò esasperato e allargò le braccia «E va bene, allora! Hai vinto! Ma ho dimenticato il mio cappotto in bagno, se vuoi scusarmi… tu, tu intanto aspettami fuori, okay?»
«Tranquillo, ti aspetto qui!»
Crowley fece una risatina e gli mise una mano sulla spalla «Ma dai, sicuramente avrai caldo, fuori c’è più aria.»
Dean scosse la testa, sempre euforico «Affatto! Ti aspetto qui-»
«Fuori» tuonò Crowley senza ammettere repliche, stringendogli la spalla. Dean si zittì e lo fissò, perplesso: sì, decisamente Crowley era particolare. E vagamente inquietante. Ma a lui piacevano i dominatori… così sorrise, accondiscente.
«E fuori sia. Ma non farmi aspettare troppo!»
«Oh no, tranquillo… tra poco sarà tutto finito» sorrise Crowley, in maniera tetra. Poi allargò il sorriso e si allontanò verso il bagno. Dean lo guardò sparire dietro la porta, con un senso di straniamento, poi diede la colpa all’alcol, scrollò le spalle e si diresse verso l’uscita, dopo aver salutato il cameriere.
Fuori pioveva.
E Dean non aveva né cappotto né ombrello con sé.
Mentre aspettava Crowley, si nascose sotto il balcone di un palazzo nei pressi della bici, per ripararsi dalla pioggia: i lampi tuonavano in lontananza, e l’acqua gli ruscellava attorno, creando dei veri fiumi per strada. 
Dean guardò critico i suoi scarponcini, sperando che non si bagnassero troppo.
Cinque minuti dopo, Crowley non era ancora uscito.
Dean, saltellando sui talloni nervosamente, si sporse per vedere se qualcuno uscisse dal locale. Niente.
Si sentì frustrato sopra ogni limite: nessuno prima d’ora aveva dato buca a lui, Dean Winchester! Di solito le persone si mettevano in fila per andare a letto con lui! 
Avvertì forte il desiderio di salire sulla bici e lasciare Crowley lì, ma una parte di lui, la più infantile e speranzosa, gli suggerì che magari forse Crow avesse avuto un contrattempo, si era sentito male o stava vomitando la birra in bagno.
Si ripromise di aspettarlo solo qualche altro minuto, e proprio quando aveva ormai perso le speranze, ecco che la campanella del locale trillò, e Crowley uscì.
«Oh, eih, ce ne hai messo di tempo! Credevo che te ne fossi calato insieme a…» Dean si bloccò.
Dietro Crowley si erano materializzati altri cinque uomini, nessuno con l’aria di voler fare amicizia.
Per un momento Dean rimase ancorato a terra, indeciso sul da farsi: le gambe intorpidite, non sembravano volersi muovere. Per un momento si chiese cosa stesse succedendo.
Ma il fatto che i cinque uomini non svoltarono all’angolo, ma seguirono Crowley, e che lui stesso non lo stesse affatto guardando, iniziò a fargli serpeggiare una punta di sospetto.
Crowley si fermò. I cinque, invece, continuarono ad avanzare decisi, dei sorrisetti storti in volto, gli occhi diretti verso Dean. E Dean realizzò. La paura lo colpì come una doccia di acqua fredda. 
Avrebbe dovuto salire in bici e scappare il più veloce possibile, ma non c’era tempo di raggiungerla.
Così iniziò a camminare, grato del fatto che ci fosse anche altra gente che vagava per quella strada.
Camminò, dando le spalle a Crowley e ai cinque, cercando di fingere che non si fosse accorto di nulla e che stesse semplicemente tornando a casa.
Il cuore, però, aveva accelerato, come il respiro.
Altro tuono. Lo scrocio di pioggia costante che aumentò un attimo, la gente che accelerava per strada.
Dean si rese conto dell’errore troppo tardi: allontanandosi a piedi stava cercando di raggiungere una strada trafficata, ma comprese che si stava solo allontanando dall’unico punto frequentato della zona: cioè il bar stesso.
E siccome tornare indietro non era contemplato, e notando che i tipi avevano leggermente accelerato, Dean fu preso dal panico. Si voltò appena per vedere se fosse ancora seguito, e poi iniziò a correre.
E a confermare i suoi timori, i cinque iniziarono a correre dietro di lui.
Dean cercò di accelerare il più possibile, ormai fradicio di pioggia, e si ripromise di girare alla prossima svolta.
Col cuore a mille e l’aria che spremeva i polmoni, Dean si buttò letteralmente nella strada di sinistra.
Comprese troppo tardi di essersi condannato da solo: una strada a fondo cieco, sbarrata da un muro.
Provò in fretta a tornare indietro ma fu bloccato da una gomitata sul naso.
Accusò il colpo cadendo a terra, entrambe le mani sul naso, il sangue che fuoriusciva copioso.
Provò comunque a indietreggiare, mentre le cinque figure comparivano all’imbocco della strada.
Vi erano solo delle case lì, quindi Dean non poteva far altro che urlare.
«Aiut-» un calcio gli mozzò il respiro.
«Schifoso ebreo!»
Un altro calcio.
Dean incassò anche questo colpo e si rimise in piedi.
«Cosa volete? Lasciatemi in pace, non vi ho fatto nulla!»
«Volevi portarti a letto il nostro amico, vero? Ebreo e pure finocchio! Sei una merda!» due lo afferrarono per le braccia. Dean provò a ribellarsi, diede una gomitata a uno dei due e un calcio al secondo, e si era liberato, ma gli altri tre gli furono subito addosso.
«Pensavi davvero che potessi stare con uno come te?»
Dean si interruppe, girandosi verso la voce. Crowley era comparso all’imbocco della strada.
«Gli ebrei non dovrebbero essere toccati con nemmeno un dito… meritate tutti la morte. Oh, e per inciso, ti ho mentito: non voglio fare politica. Mi sto arruolando nell’esercito nazista.»
«Brutto figlio di puttana» Dean gli sputò un grumo di sangue, poi ricevette una nuova scarica di pugni e calci. 
Cadde a terra, e questa volta non riuscì a rialzarsi: sentiva il respiro venirgli meno, da un occhio non ci vedeva più, dall’altro solo puntini rossi, odore di sangue ovunque.
Indolenzito, infreddolito… la pioggia gli scivolava addosso come una carezza, ma non riusciva più a sentirla.
Non aveva nemmeno potuto salutare Sam e Bobby… 
«Lasciatelo stare!»
Dean riaprì gli occhi a fatica –non ricordava di averli chiusi- e non vide altro che una figura nera delinearsi tra il vapore della pioggia e quello della sua vista ferita.
«Senti, amico, ti conviene stare alla larga, non c’è niente da vedere qui…»
L’uomo avanzò, maestoso. «Forse non mi sono spiegato bene.»
«Amico, forse serve una lezione anche a te? Noi non vogliamo testimoni, sai-» stava iniziando Crowley, quando il misterioso nuovo arrivato gli afferrò il collo e lo sollevò con così tanta facilità che gli altri smisero di torturare Dean e lo fissarono a bocca aperta.
Poi l’uomo scagliò lontano Crowley come fosse stato un cuscino di piume, e quello sbattè contro il muro, scivolando a terra e perdendo i sensi.
I suoi cinque amichetti si allontanarono da Dean, due per soccorrere Crowley, gli altri contro il nuovo venuto. Dean forse era troppo spossato, o forse troppo ferito, o forse troppo ubriaco: ma ciò che vide sembrò far parte di un sogno. L’uomo stese i tre senza difficoltà, e gli altri fuggirono trascinandosi un Crowley malandato.
La pioggia aumentò.
L’uomo avanzò verso di lui.
Dean iniziò a rantolare, cercando di trovare la forza di allontanarsi da quell’uomo.
Non voleva essersi appena salvato per poi morire in modo tanto patetico.
L’uomo si fermò accanto a lui e lo fissò dall’alto: la pioggia non sembrava sfiorarlo.
«Alzati» gli ordinò, deciso.
Dean lo fissò, la bocca aperta, il dolore ovunque.
L’uomo reclinò appena il capo, come se non si aspettasse quella reazione. Poi si inginocchiò davanti a lui e Dean fece uno scatto per allontanarsi quando quello avvicinò una mano verso il suo volto.
«Va tutto bene, sei al sicuro ora, non voglio farti del male.»
Dean non riusciva a vederlo bene, perché da un lato vi era il nero più totale, dall’altro era tutto appannato.
«Quell’occhio te l’hanno ridotto male… riesci ancora a vedere? E a sentirmi? Come ti chiami?»
«Dean…» sussurrò con uno sforzo disumano.
L’uomo annuì. Solo ora che era più vicino Dean notò che aveva i capelli scuri e scompigliati, e indossava la divisa dei soldati.
«Ciao Dean. Io sono Castiel»
L’ultima cosa che Dean vide prima di perdere i sensi furono due grandi occhi blu, di un blu chiaro così profondo e intenso che sembrava il colore del mare e del cielo fusi insieme, e di un cristallo, uno di quelli che trovi nel fondo dell’oceano. 
Quell’uomo l’aveva salvato.
Quell’uomo doveva essere un angelo.
 
 

 
 
The End (?)


***

 
Spazio autrice: ed eccoci arrivati alla fine! Intanto vi dico che il programma NVU che utilizzavo per caricare le storie su efp si è cancellato quando mi si è rotto il computer (ne ho cambiati tre da allora) e quando ho provato a riscaricarlo, l'altro giorno, ho scoperto che fondamentalmente questa app non esiste più. Quindi ho dovuto ripiegare su quello che offre EFP e non ho idea di cosa uscirà. STUPENDO *insert sarcasm here*. 
Anyway....
Comunque inizialmente questa storia doveva essere una long fic di diversi capitoli, angst come mio solito, con quel tocco di Destiel che non può mancare (Cas sarebbe stato una SS, Dean sarebbe finito in un campo di concentramento), ma ovviamente dopo essere stata colpita dal blocco dello scrittore non sono più riuscita a continuarla, anche perché l'argomento a una certa diventava troppo pesante (sì, perfino PER ME. Sì, beh, chi si ricorda di me sa anche che venivo definita Satana dal fandom proprio per via del mio amore per la sofferenza, totalmente ingiustificata, giuro, dei protagonisti). Ma rileggendola mi sono accorta che comunque non è male nemmeno così da sola, è come se il primo capitolo avesse avuto in sé già un finale. Per quanto sono sicura che abbia tutte le potenzialità per essere continuata, a parte che ormai sono passati 5 anni e onestamente non ricordo nemmeno più cosa volevo far succedere nel dettaglio e come evolvere la storia se non per grandi linee, credo anche che a prescindere sia meglio che finisca così. Voi non volete DAVVERO sapere come sarebbe andata avanti, ve lo prometto.
Detto questo dopodomani faccio 25 anni e già questo 2020 è stato una merda (hey coronavirus, parlo proprio di te!) almeno voglio concludere i miei 24 col botto, dato che adesso ho la stessa età di Dean in questa storia.
So che nessuno si filerà questa nota ma dovevo dar delle giuste spiegazioni.
Ps: che palle che SPN sia stato interrotto proprio sul più bello. Spero attori e staff stiano bene e che presto potranno girare gli ultimi episodi <3 non credo di essere pronta a veder fiinire qualcosa che ho amato tanto e con cui sono praticamente cresciuta da quando avevo 16 anni. 
A voi stanno piacendo queste nuove stagioni o avete mollato?
Anyway credo di starmi dilungando troppo. Au revoir *sparisce in una nuvola di fumo*

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: xMoonyx