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Autore: SimonaMak    01/05/2020    1 recensioni
Clara Stella aveva venticinque anni quando si trasferì da Padova a Milano per coronare il suo sogno. Avrebbe frequentato un costosissimo Master in sceneggiatura che le avrebbe consentito di collaborare con le aziende più famose produttrici di film e serie tv, con i maggiori produttori e registi, attori e sceneggiatori. Inoltre, le offrivano la possibilità di lavorare ad una sceneggiatura originale per un film che sarebbe stato girato, montato e coordinato con lei presente.
La sedentarietà, la monotonia, la prevedibilità erano i fantasmi da cui scappava: non avrebbe mai immaginato che la passione, il proibito, l'ossessione, il desiderio e l'impulsività che tanto cercava, le avrebbero creato dipendenza.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Capitolo 2
IL TIRANNO DEL CINEMA.


Padova non è più la stessa senza di te”
Al messaggio del mio ex, Stefano, non risposi in realtà. Che avrei dovuto dirgli? Pazienza? Sapeva che sarei dovuta andare via per realizzare i miei obiettivi che lui aveva sempre scoraggiato per una visione più razionale. Era inutile rimuginare sul passato e volevo dirglielo, però l’indifferenza sarebbe stata l’unica mia risposta. Dopo tre anni di relazione non fu facile lasciarlo, ma ero un tipo che si focalizzava sul futuro e noi non ce l’avevamo di sicuro. Eravamo così ordinari; che parola orribile. Forse all’inizio mi andava bene, la normalità e la banalità, l’abitudine di passare il mio tempo con lui, di essere amata così facilmente. Tutti desiderano questo, perché io mi ero stancata invece? Era come se fosse diventato scontato, poi si aggiungeva il fatto che lui preferisse fare radici e accontentarsi pur di vivere in tranquillità, cosa che non andava assolutamente d’accordo con il mio modo di pensare. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: non mi importò più di tutte le volte in cui la mattina, prima di andare a lezione, mi portava un cornetto al miele; dei nostri viaggi in Thailandia, Argentina e Canada; dei girasoli che mi regalava ad ogni anniversario; del sesso nelle scale di casa; di quando mi faceva compagnia durante la febbre alta; delle passeggiate a Prato della Valle; dei suoi rimproveri sul fumo e sui bicchierini di tequila di troppo; del suo amore per me. Non mi importò più perché ero stufa e annoiata dalla sua ordinarietà, regolarità e serietà. I primi due anni furono pazzeschi e memorabili, ma l’ultimo…mi sembrava di essere fidanzata con una prevedibile ameba. La scintilla e l’originalità che c’erano un tempo erano state spazzate via. Ero single da poco più di cinque mesi e non avevo minimamente pensato a cominciare un’altra relazione. Qualcosa di occasionale sarebbe stato meglio, se solo ne avessi avuto il tempo! Cercavo un po’ di dinamismo, impulsività, passione che non credevo di poter trovare in un uomo. Mi affidavo ai personaggi dei libri che leggevo e scrivevo, delle serie tv e dei film intriganti e sorprendenti.
Bastava ciò.
Era più importante concentrarsi sulla mia formazione e su come farmi conoscere nel mondo cinematografico. Sarebbe stato facile e meccanico?
Mancava poco all’inizio delle lezioni e decisi di organizzare uno schema da seguire in modo da avere più ordine nella mia testa. Dal lunedì al venerdì, fatta eccezione per mercoledì, la mattina erano previste lezioni, laboratori e workshop riguardanti le arti e tecniche del racconto letterario, cinematografico e televisivo condotte dai migliori scrittori, registi e sceneggiatori di fama nazionale e internazionale, mentre il pomeriggio avrei dovuto partecipare agli stage presso aziende leader nei settori inerenti ai tre ambiti disciplinari: letteratura, cinema e televisione. Io avevo scelto RaiCinema, Sky, Netflix, Mondadori, Universal Pictures e Milano FilmFestival. Il mercoledì e il sabato, invece, dovevo recarmi al set cinematografico per lavorare sulla mia sceneggiatura insieme al regista e a tutti gli attori e collaboratori tecnici; quello era il momento che più aspettavo. Avevo scritto le prime fasi ovvero l’idea, il soggetto e il trattamento: dovevo passare alla scaletta e alla sceneggiatura definitiva insieme al regista. Solitamente, quest’ultimo tende a prendere in mano la situazione e decidere in prima persona l’andamento della storia che poi diventerà un film; speravo solo che il mio caso fosse diverso in quanto doveva mirare a insegnarmi come rendere il mio scritto efficace, concentrandosi sulle mie idee.
Non avrei avuto molto tempo libero durante la giornata, ciò infatti mi preoccupava parecchio perché pensavo di andare in palestra in sostituzione della mia amata ginnastica artistica, ma dall’altro lato mi rincuorava il fatto di essere sempre impegnata per non riflettere sulla mia condizione di solitudine e lontananza dalla mia famiglia. Sarei sopravvissuta concentrando tutta la mia attenzione sulle attività universitarie e al massimo mi sarei concessa qualche uscita con i ragazzi conosciuti da poco.
-”Hai finito di schematizzare la tua vita? Dovresti aggiungere lo shopping al centro commerciale di questo pomeriggio!”- puntualizzò la mia coinquilina.
-”Effettivamente ho portato pochi vestiti da casa”-
-”Non solo questo! Arrediamo un po’ la stanza e vediamo che dicono gli altri”-
Mi aveva sorpresa che ci avessero comprese nell’uscita; evidentemente gli eravamo state simpatiche durante la serata al pub. Non avevo mai avuto una comitiva, il mio massimo era uscire con Stefano, con Ruggero e con qualche collega o compagna di ginnastica. Tra l’altro non credevo che a Milano fossero così socievoli, pregiudizi poco fondati dato che Emma, Leo, Pascal e Sergio erano i primi milanesi che conoscevo: gli altri comunque venivano da Roma, Torino e Firenze, rispettivamente Carlotta, Sofiasole e Vittorio.
-”Chi siamo?”- le chiesi conferma.
-”I milanesi e Carlotta”-
Si stava pettinando il caschetto di capelli e io mi limitai a sistemare con le dita la frangetta, non prima di aver appeso la mia bacheca sulla parete della scrivania.
-”Non penserai mica che qui si studia e basta!”- mi rimproverò Agnese.
In teoria era questa la mia idea, ma non potevo mica ridurre la mia vita solo a quello.
La guardai ridacchiando e scossi la testa.
-”No, davvero. Solo l’85% del mio tempo”-
Lei sbuffò e mi trascinò fuori dalla stanza per andare dagli altri.
Non è che ci fosse sole, più che altro spuntava un piccolo raggio luminoso in mezzo alla coltre di nuvole scure e imponenti, protagoniste a quanto pareva del mio nuovo paesaggio quotidiano.
-”Raga, avete fatto troppo presto, siete sicure di essere femmine?”- ci scrutò Leo.
Aspettammo anche l’arrivo della romana e ci mettemmo in macchina, noi quattro ragazze dietro, strette come non mai.
Non che mi piacesse chissà quanto andare a fare compere ma in quel preciso caso avevo bisogno di riempire l’armadio in modo da non indossare le stesse quattro maglie e comprare qualcosa di pesante per il clima più rigido. Il motivo per il quale loro volessero andarci, non lo sapevo di preciso ma almeno eravamo in compagnia soprattutto perché non conoscevamo la città.
-”Vi prego di non stare sei ore per ogni negozio”- alzò gli occhi al cielo Pascal.
-”Come mai siete venuti allora?”- gli fece la linguaccia Carlotta.
-”Mica possiamo lasciare voi donzelle da sole!”- rispose Leo ammiccante.
Emma gli diede uno scalpellotto prima di prendere me a braccetto e andare dentro il primo negozio seguite dagli altri.
Andai verso gli stand dei maglioni di lana e ciniglia ma la bionda mi guardò sconvolta.
-”Spero non comprerai solo ‘ste cose. Andiamo a vedere quei vestiti!”- indicò un reparto di abiti più eleganti ed eccentrici.
-”Ma quando dovrei indossarli? Non è che me ne vado alle serate!”-
-”Va be’ ma ogni scusa è buona per essere fighe! E poi, con noi, ci andrai”- si intromise la mia compagna di stanza.
Avevo sempre desiderato questo genere di compagnia e incoraggiamento. Ogni volta con Stefano non avevo voglia nemmeno di mettere qualcosa di carino e non avendo gruppi di amici, non uscivo molto come avrei voluto fare. Speravo, però, che loro non mi distraessero troppo dai miei obiettivi.
Prendemmo tutte e quattro alcuni capi parecchio vistosi e andammo verso i camerini, seguiti dai due ragazzi. Scelsi un tubino in lurex di colore grigio scuro e qualcosa di più semplice in bianco con scollo a cuoricino, tutto l’opposto di ciò che scelsero le altre: indumenti rossi e attillati, neri di pelle, con lo spacco. Sicuramente volevano giocare un po’, non avrebbero davvero acquistato quegli indumenti! O sì?
Ce li provammo e uscimmo fuori insieme per vederci allo specchio e commentare gli outfit, nel frattempo Leo e Pascal erano seduti sul divanetto pronti a esprimere anche loro opinioni.
-”Sembrate delle prostitute”- cominciò il primo, sghignazzando.
-”Perfetto allora!”- Emma allargò di più la scollatura, nonostante non avesse il seno grande.
Venne da noi e, ridendo, ci abbassò il vestito di proposito solo perché non c’era nessun altro in quel momento che ci potesse vedere.
-”Tendina, te che le hai grosse mettile in mostra – e mi fece l’occhiolino – anche tu Carlotta!”-
Noi tendemmo a coprirci ma fummo contagiate dalla sua ilarità e fingemmo di posare mentre Agnese scattava delle foto.
-”Com’è che Emma può toccarvi e noi no? E non rispondetemi che è una ragazza perché i suoi gusti coincidono con i nostri”- ironizzò Leo, cercando approvazione dal suo amico che scosse la testa, divertito.
Un po’ mi imbarazzava il fatto che ci fossero loro a guardarci come se fossimo uno spettacolino, ma alla fin fine era poi così strano? Si divertivano tanto, giocando davanti allo specchio e scattandosi delle foto perverse che mi feci coinvolgere io stessa.
-”Se qualcuno arriva, io me ne vado ve lo sto dicendo”- mise le mani avanti Pascal.
-”Ma dai, stai zitto! Ora vi mostro il mio tatuaggio”-
La festaiola del gruppo si alzò la gonna fino a scoprire la coscia, come se nulla fosse, indicando il serpente di colore argento che gliela circondava.
-”Ma è stupendo!”- la lodò Agnese.
Effettivamente Emma era un tipo molto particolare, e non perché fosse lesbica: probabilmente non l’avrei immaginato nemmeno, se non l’avessero menzionato più volte e se lei non ne avesse parlato così apertamente. Si vestiva in maniera eccentrica e senza timore di mostrare il suo corpo, cosa che la faceva sembrare sicura di sé e indifferente al giudizio altrui; oltre ad avere la lingua e le orecchie piene di piercing, portava i capelli dorati all’altezza del seno e la cute era nettamente scura, segno che li tingesse; non aveva un viso esclusivo ma era spigoloso e le labbra erano così carnose che sembravano rifatte, ma non le avrei mai chiesto conferma. Ognuno di loro aveva una caratteristica con cui la mia mente li identificava: la mia coinquilina per i suoi ciuffi viola e le lentiggini; Carlotta per il septum al naso pronunciato e le sopracciglia foltissime; Pascal per il viso da Ken e gli occhi verdissimi e intriganti; Leo per la mascella squadrata e l’atteggiamento da figo spocchioso proprio come quello di Emma. Io ero quella spilungona e con la frangetta, almeno nella mia testa.
-”Adesso voi due vi alzate e fate come noi”- andai dai ragazzi e li presi per mano, conducendoli nei camerini.
Se il bruno mi guardò furbo, l’altro si fece tirare.
-”Non mi fate fare stronzate”- ridacchiò.
-”Presto, scegliamo dei vestiti accurati”- precisò Emma.
Tornammo con gonne, giacche di pelle, cravatte e foulard; i due si guardarono esterrefatti e spaventati dalle nostre intenzioni.
Carlotta e Agnese “catturarono” Leo e la bionda chiamò me per conciare per le feste Pascal.
-”QUESTO SI CHIAMA STUPRO”- sentii urlare dal camerino adiacente.
-”No vi prego, io ce l’ho ancora la dignità”- ci supplicò la nostra vittima.
Avevamo in mano una gonna floreale dai colori accesi, una cravatta a quadri e una bella giacca da cerimonia.
-”Dai, levagli i pantaloni”- scoppiò a ridere la mia complice mentre gli annodava la cravatta al collo.
Lo sbirciai interdetta, perché per me, al contrario di Emma, non era una cosa del tutto normale e spontanea spogliare un ragazzo per mettergli una gonna. Certo, stavamo giocando ma…
Mi scrutò anche il diretto interessato, trattenendo un sorriso, poi però cominciò lui a sbottonarsi i pantaloni.
-”Faccio io, non la mettere in situazioni imbarazzanti”- rimproverò la sua amica con un ghigno divertito.
Scostai lo sguardo, per rispetto suo, mentre si abbassava i jeans ed Emma lo aiutò a mettere quell’orrenda veste che nemmeno io da femmina avrei mai indossato.
-”Ma che senso ha mettermi giacca e cravatta a petto nudo?”- protestava.
-”Perché secondo te ha senso avere sotto una gonna? Su Clara, almeno la maglia la sai togliere?”- mi provocò lei.
Ruotai gli occhi ma gliela sfilai, lasciando scoperti i muscoli leggermente accennati dell’addome, e subito gli sistemai la giacca senza incontrare il suo sguardo per evitare di arrossire come una ragazzina. Magari se l’avessi conosciuto di più sarebbe stato meno imbarazzante, considerando come mi approcciavo tranquillamente alle nudità del mio migliore amico.
-”CARLOTTA STA INDUGIANDO TROPPO SUL MIO…AHIA”- Leo continuava a protestare fin quando non sentii un botto, forse l’avevano colpito!
I ragazzi uscirono dai camerini abbigliati in modo ridicolo, entrambi mezzi nudi di sopra e con la gonnella di sotto. Ci apprestammo a fotografarli mentre tra di loro si prendevano in giro e infine ci scattammo una foto allo specchio che riprendeva noi tutte scollate e provocanti e loro buffi ed esilaranti.
-”Se le mostrate a qualcuno vi ammazzo. Devo mantenere una reputazione per avere una vita sessuale attiva”- si lamentò il bruno.
-”Ma sentitelo!”- si spazientì Carlotta, come se fosse gelosa di questo.
In effetti sembrava davvero interessata a lui come dicevano loro, ma per quanto avevo capito poteva mettersi il cuore in pace dato l’atteggiamento da dongiovanni di Leo.
-”Cazzo se già con questa tua reputazione non ti caga nessuna, figuriamoci con quelle foto”- lo prese in giro l’amico.
-”Sì certo, te sei il primo maiale solo che io non lo nego né lo nascondo con una facciata seria e da santarellino”- lo schernì di rimando.
-”CHE CI FATE VOI QUI? E’ IL CAMERINO DELLE DONNE, FUORI! E TOGLIETEVI QUEI VESTITI!”-
Una signora che lavorava al negozio ci rimproverò categoricamente e, dopo esserci spaventati, ci cambiammo e scappammo via ridendo a crepapelle.
Riuscii a comprare in altri negozi dei maglioni pesanti, dei jeans e degli abiti più estrosi come volevano le ragazze; speravo di usarli davvero. Inoltre, io e Agnese acquistammo dei mobiletti e degli appendini per la nostra stanza dato che ci consentivano di abbellirla come volevamo.
Fu una bella giornata e mi pentii di non aver avuto amici idioti e coinvolgenti, a parte uno o due, in venticinque anni di vita. Durante gli anni del liceo, eccezion fatta per Ruggero, mi stavano quasi tutti sulle palle e non avevo legato con nessuno in particolare. All’università poi erano tutti così scorbutici e snob che non ci provai nemmeno. Non mi sarei aspettata che in pochissimi giorni dal mio arrivo avrei conosciuto già tante persone con cui potermi svagare un po’.
Mandai nel gruppo della famiglia di Whatsapp le foto di ciò che avevo comprato e mia madre mi scrisse:
-Tutto bello! Non spendere troppi soldi però!-
-Compra qualcosa per me e spediscila!- digitò mia sorella.
-I negozi ci sono anche a Padova, non mi inganni!
Risi del mio messaggio e inviai al mio migliore amico le foto allo specchio insieme ai ragazzi per vedere cosa mi avrebbe risposto. Mi arrivò subito la richiesta di una videochiamata e accettai.
-”Ma chi è tutta quella gente? Mi stai rimpiazzando in fretta brutta stronza!”- mi attaccò, scherzando.
-”Che dici! Te ne ho parlato, sono alcuni di quelli con cui sono uscita la volta scorsa”- gli sorrisi dallo schermo.
-”Perché siete mezzi nudi e di poco gusto? No va be’, non voglio saperlo”-
Gli mostrai la stanza per quanto permettesse il telefono e Ruggero mi raccontò di una sua collega con la quale ci stava provando, senza conseguire molti risultati.
-”Tu ignorala, vedrai come cambieranno le cose!”- gli consigliai.
-”Come fa a capire che sono interessato?”-
Ma davvero non sapeva cosa volessimo noi donne?
-”E’ questo il punto: non deve capirlo! Fai il simpatico ma allo stesso tempo quello distaccato”-
La maggior parte di noi, almeno, funziona così. Specialmente tutte le tipe che gli erano piaciute, infatti aveva sofferto molto negli ultimi anni a causa della sua disponibilità e premura nei confronti di Aurora con cui era stato per un bel po’ di tempo senza realmente ricevere nulla da parte sua. Glielo dicevo spesso, che era troppo buono. Bastava che pensasse a sé stesso e facesse un po’ il difficile: a quel punto, avrebbe fatto centro. Era pure un bel ragazzo, alto e intelligente! Non gli mancava nulla. Tra noi non era mai sbocciato l’amore perché quando si conosce qualcuno fin da piccoli, è difficile che lo si riesca a vedere diversamente da un fratello. Mi piaceva così, in modo che il nostro legame fosse stato puro e indissolubile, anche se in quel momento si aggiungeva la distanza.
-”Devo essere bipolare e con disturbo della personalità multipla, tutto chiaro”- ironizzò, colpendosi la fronte rassegnato.
Qualcosa del genere, sì.


 
***


Era sabato, e a differenza di qualsiasi altro giorno di riposo, io avrei dovuto raggiungere un set cinematografico al chiuso in modo da conoscere la troupe, lo staff e i collaboratori che avrebbero contribuito a rendere il mio progetto, la mia sceneggiatura, perfetta. Il vero e proprio “lavoro” sarebbe cominciato il mercoledì seguente; quel primo incontro, invece, era convenzionale a farsi un’idea delle persone, del luogo, delle tecniche e dell’attrezzatura messe a disposizione.
Ero super elettrizzata perché non avevo mai visto un set vero e proprio prima d’allora e l’idea che quella gente fosse lì per realizzare un film insieme a me…beh, non aveva prezzo. Speravo solo di avere la giusta voce in capitolo e che fossero cordiali con me, nonostante per loro fosse un lavoro e per me un progetto universitario che aveva organizzato il Master per “l’elite”.
Addirittura venne a prendermi un autista che guidava una macchina nera e cupa.
-”Sono qui per la sceneggiatrice Clara Stella”- fu ciò che mi disse, e sentirmi chiamare in quel modo mi fece rabbrividire di piacere.
La mia eccitazione non faceva che aumentare sempre di più fin quando, dopo dieci minuti, raggiungemmo il teatro di posa in cui era stato allestito l’ambiente per le riprese. Un signore vestito di nero e dai mille auricolari diede l’ok all’auto di entrare e da che sembrava essere un luogo anonimo, riconoscevo delle roulotte con dei nomi stampati sulle porte, parcheggi riservati, gente che faceva avanti e indietro in modo frenetico, chi portava dei riflettori treppiedi. Scesi dalla vettura e l’autista mi indicò una porta con su scritto “Set” e, un po’ in ansia all’idea di presentarmi e farmi conoscere, entrai.
Nessuno inizialmente aveva fatto caso a me, se non un uomo che assottigliò gli occhi per scrutarmi con diffidenza. Era poco più basso di me, con i capelli corti e lisciati da un lato; dei baffi ben curati che lo facevano sembrare più vecchio di quanto potesse essere; portava degli occhiali fini e rettangolari e in mano aveva una tabella su cui, prima che si avvicinasse a me, stava scrivendo.
-”Lei è?”- mi domandò, con una mano sulle lenti per osservarmi meglio.
Che disagio.
-”Clara Stella. Sono qui per…”- stavo per dire.
-”Ah Stella, sì, che cognome strano. La pseudo sceneggiatrice”-
Quanta diffidenza e circospezione mostrava il suo sguardo indagatore!
-”Sono Manolo Yılmaz, il segretario di edizione. Mi occupo di tenere il registro di tutti i dettagli del girato e del montaggio; segno gli orari di lavorazione, le inquadrature e scena per scena le eventuali difformità tra sceneggiatura e dialogo girato. Ahimè dovrò anche occuparmi di lei”-
Continuava a girarmi intorno con fare sofisticato e altezzoso, quasi mi veniva da ridere in verità. Da come mi spiegò il suo ruolo, sembrava ritenersi fondamentale.
-”Beh il mio cognome sarà strano, ma il suo non è che…”-
-”E’ un cognome TURCO! Ma può chiamarmi Signor Manolo”- mi interruppe di nuovo, sistemandosi gli occhiali.
Era così effeminato nei gesti e il suo rendersi sprezzante non solo faceva sbellicare, ma quasi mi faceva tenerezza, specialmente perché doveva allungare il collo per guardami bene in faccia.
-”Bene, Signor Manolo signore, si occupi pure di me!”- gli dissi trattenendo un sorriso e indicandomi con gli indici.
-”E cos’è questa felpuccia e codesti jeans? Dalla prossima settimana venga abbigliata in un certo modo, il nostro è un lavoro serio e professionale!”- marcò le parole, sdegnoso ed esilarante allo stesso tempo.
-”In ogni modo, come può vedere lei stessa questo è il set cinematografico dove produrrà. O meglio, lei starà in disparte e sul set lavoreranno il regista, l’assistente alla regia, gli attori, gli scenografi, i fonici, gli elettricisti, il direttore della fotografia…”-
Mentre elencava una serie di ruoli che riteneva superiori al mio, mi godevo lo spettacolo che era lo studio di produzione: il set luci con led panel, proiettori e quarzo; microfoni direzionali con asta telescopica, spallacci, cavalletti; telecamere di ogni genere e grandezza; riflettori; strumenti e attrezzi che non avevo mai visto o di cui non conoscevo il nome.
C’erano tante persone davanti a computer di alta tecnologia, che regolavano le cineprese, curavano la scenografia, portavano materiale di scena, truccatori con in mano pennelli e rossetti, costumisti che misuravano le vesti o le disegnavano. Per me era il paradiso in terra, i miei occhi erano inebriati da tanto splendore e dai dettagli cinematografici che solo in pochi possono vantasi di aver visto.
-”Mi sta ascoltando? Vede, questa è la sua postazione”-
Mi illustrò una scrivania ben ordinata con sopra una sorta di segnaposto che riportava il mio nome: di fianco c’era la collocazione del regista con i suoi attrezzi e la macchina da presa principale che si trovava proprio di fronte al set. Avrei assistito in prima fila alla realizzazione del mio film, cosa potevo desiderare di più?
-”E’ arrivata o devo aspettare tutto il giorno?”-
Qualcuno si era rivolto a Manolo, il quale aveva scacciato la superiorità di prima per mostrarsi stranamente intimorito e sottomesso alla sola domanda del tipo in questione.
Era un uomo molto alto e imponente, dai capelli nerissimi che gli ricadevano sugli occhi di un blu intenso, incorniciati da ciglia foltissime; lo sguardo era categorico e borioso, portava la barba tagliata corta che gli evidenziava la mascella pronunciata. Era vestito in maniera elegante grazie alla camicia bianca di lino e la giacca scura; davano nell’occhio l’orologio d’oro sul polso scoperto e la cintura firmata.
-”Signor Lionheart, certo è proprio qui!”- farfugliò il segretario di edizione, indicandomi.
Mi gettò un’occhiata gelida e da brividi, come se fossi stata un moscerino che gli ronzava fastidiosamente attorno. Mi sentii intimidita e fuori posto, magari era quello il suo intento. In quel caso, ero io a dover stirare il collo per guardarlo negli occhi.
-”Sei tu la signorina Stella? Cos’è un nome o un cognome?”- soffiò sarcastico.
Ma perché ce l’avevano tutti con il mio cognome? E lui? Lionheart? Erano tutti stranieri o cosa? In effetti non aveva un accento particolare che lo identificasse con qualche dialetto delle regioni italiane. Era pulitissimo, come se avesse studiato per parlare in maniera neutra.
-”Il mio cognome. Potete chiamarmi Clara comunque”- risposi, riferendomi ad entrambi gli uomini che avevo di fronte.
Sbuffò rumorosamente e guardò Manolo come se stesse cercando conferma del mio essere ridicola. Quest’ultimo era impassibile.
-”Bene, Clara, il Signor Lionheart è…”- incominciò a dire.
-” Yılmaz, mi so annunciare, non ho mica bisogno che lo faccia tu – e lo fulminò con lo sguardo per poi proseguire – sono Guglielmo Lionheart, il regista, nonché produttore del film che realizzeremo”-
Era irritante il tono e l’atteggiamento arrogante che riservava a noi, a me, ma avrei dovuto tenere la bocca chiusa e digerire la pillola poiché mi conveniva così.
-”E’ un piacere”-
Feci per porgergli la mano ma la osservò come se stessi provando a toccarlo con la mano fatta di merda. Che problemi aveva? Dovevo lavorare con persone del genere?
-”Sì, beh, le hai già spiegato come funziona qua dentro?”- interpellò Manolo.
Che mancate tutti di educazione e buone maniere?
-”Manolo mi ha illustrato le varie postazioni, sì”- risposi io al suo posto.
Certo, era molto intimidatorio e prepotente, ma credeva davvero che chiunque lì dentro dovesse venerarlo perché era il produttore e regista?
Sembrava quasi inorridito del fatto che stessi solo parlando senza leccargli il culo.
-”Immagino avrà letto il mio progetto. Che ne pensa?”-
Forse avevo detto una gran cavolata perché il signor Guglielmo ho-una-cinepresa-conficcata-nel-posteriore Lionheart scoppiò in una risata raggelante.
-”Altrimenti perché sei qui? Hanno scelto la tua sceneggiatura tra quelle che sono state ammesse al Master per cui, avendo la convenzione con l’università, stiamo finanziando questo film”-
Non avevo idea che ne scegliessero solo una. Beh pensandoci meglio, non sarebbe stato facile produrre e girare venti film contemporaneamente. Dal modo in cui lo disse, percepii non solo il fastidio che contornava ogni sua parola, ma anche come se fosse stato costretto dalla collaborazione con la facoltà e che se fosse stato per lui, non avrebbe prodotto niente del genere.
-”E cosa ne penso? - alzò le sopracciglia, si avvicinò paurosamente a me e mi rifilò uno sguardo di sfida – Penso che sto perdendo il mio tempo”-
Se ne andò con nonchalance, quasi avesse avuto a che fare con una scocciatura madornale e non con qualcuno con cui avrebbe dovuto lavorare al film.
-”Ma che bastardo.”- strinsi i denti per contenere la mia rabbia.
-”Sì lo so. Cioè, non ti permettere mai più!”- si corresse in fretta Manolo.
-”Perché ci tratta così? Si sente il re qua dentro?”-
Odiavo i bulli, ancora di più chi si atteggiava a divo per poi schiacciare ogni pedina che si ritrovava davanti.
-”In effetti è come se lo fosse. Non lo contraddire o sfidare, mai. Tutti sono al suo comando, se non ci fosse lui non ci sarebbe nessun film quindi alcun lavoro per noi. Sta’ zitta e assecondalo, e tutto andrà bene”- lo disse con rammarico.
Ma ero finita in una dittatura o cosa? Io avevo creduto si trattasse di un bel progetto in cui avremmo lavorato tutti insieme e ne saremmo usciti entusiasti.
Non potevo permettere a nessuno di rovinare i miei sogni e obiettivi, men che meno ad un idiota che vaneggiava il suo denaro e la sua autorità.
-”Da dove viene? Chi è esattamente?”- indagai.
-”E’ italo-americano. I suoi genitori lavoravano ad Hollywood e ha ereditato fama, prestigio, soldi e mestiere. Ha pure vinto un oscar per miglior regia. A soli trentuno anni ha un impero sulle sue spalle”-
Lo guardava con ammirazione e con invidia allo stesso tempo mentre l’oggetto delle nostre attenzioni torturava altri collaboratori.
Lodevole, certo, ma non per quello poteva permettersi di trattare in tal modo le persone o ritenersi il Re.
-”E te ne prego: almeno davanti a lui chiamami Signor Manolo”- in un attimo la sua altezzosità era stata spezzata.
Era tutto fuorché ciò che speravo: un tiranno aveva in mano tutte le mie speranze ed occasioni e io – testa calda, impulsiva e contro la disuguaglianza – dovevo tacere ed esaudire ogni richiesta, anche se ciò avesse voluto dire…dargli il potere di stravolgere la mia sceneggiatura.
Non sarebbe mai potuto accadere.
   
 
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