Libri > Le Cronache di Narnia
Segui la storia  |       
Autore: Dhialya    02/05/2020    2 recensioni
Il legame profondo tra una ragazza divenuta Regina e una guerriera dallo sguardo dolce e le frecce dalle piume bianche.
Un passato di cui pochissimi sono a conoscenza, risalente a prima dell'arrivo di Jadis e dei cento anni d'inverno.
Il compito di una lupa dagli occhi di ghiaccio ed un destriero dal manto nero come la notte.
Cosa si cela realmente dietro la Grande Magia e il cui potere è conosciuto solo dal grande Aslan?
C'erano regole che erano state rotte, accordi strappati e segreti che non potevano più essere taciuti, legami che andavano ripristinati e compiti da svolgere. E tutto ciò sarebbe venuto a galla, presto. E non osava - o non voleva - immaginare le conseguenze che tutto ciò avrebbe comportato.
Sulle persone coinvolte e sull'equilibrio di Narnia stessa.

Sullo sfondo della guerra contro Telmar un segreto, tenuto nascosto per più di milletrecento anni, sta per essere rivelato.
[Revisione totale programmata alla sua conclusione.]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Famiglia Pevensie
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Spirits Within - The Just and the Sly special moments.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Narnia's Spirits
Lacrime dal cielo.










-Avete combinato un bel casino.-

I Pevensie, rimasti all'interno della stanza a crogiolarsi nei propri pensieri, si voltarono quasi in contemporanea verso la provenienza di quella voce che, celando una lieve ironia nelle parole, irruppe nel silenzio che si era creato tra loro.

Da quando Eve era sparita non avevano osato fare ancora nulla, troppo terrorizzati – terrorizzati, colpevoli, delusi, non sapevano nemmeno bene loro cosa provassero di preciso, ognuno preso a far fronte alle proprie emozioni ed i proprio ragionamenti – dalle conseguenze che anche solo muovere un muscolo o dire qualsiasi cosa avrebbero potuto portare.

Le cose erano precipitate in un modo così veloce e inesorabile che temevano che, qualsiasi cosa avessero fatto, non sarebbe andata che peggio.

L'aria si era fatta pesante e tetra, i fuochi che, incuranti della disgrazia che si stava abbattendo su di loro, continuavano a scoppiettare lungo il perimetro della sala. Per loro parere, iniziava a fare troppo caldo e quell'ambiente stava diventando troppo stretto, troppo piccolo, troppo soffocante.

Incontrarono la figura di Lia, in quello stesso punto che fino a pochi minuti prima era occupato dal corpo di Dhemetrya. La lupa li scrutava dal basso della sua statura, gli occhi che restituivano loro uno sguardo compassionevole mentre li scrutava in viso, soppesandoli.

Eh si, avevano complicato un bel po' le cose.

-Cosa... cosa è successo?-

Lucy si permise di rompere quel mutismo dietro cui si erano trincerati i fratelli, lanciando loro delle occhiate alla ricerca di spiegazioni. Percepiva il cuore sfarfallarle nel petto per l'agitazione. Era stata l'ultima a raggiungere la stanza di Aslan e aveva colto solo l'ultima parte della conversazione. Come si era arrivati a quel punto le mancava totalmente.

Vide Peter aprirsi in un ghigno amareggiato, passandosi una mano sul viso e sospirare pesantemente, dandole le spalle per nascondersi al suo sguardo. Con uno sforzo che trovò immane in quel momento, il maggiore si morse la lingua, per evitare di dire qualcosa di cui si sarebbe potuto pentire.

Susan si limitò a cercare appoggio su un masso, lasciando che il suo corpo tremante ci cadesse sopra con poca grazia. Il pallore della sua carnagione era fin troppo pallido. Sentiva il fiato mancarle, la vista appannata e la fronte sudata ed ebbe il dubbio di avere una crisi di ansia – o forse un principio di svenimento.

Vedendo il muro dietro cui si ostinavano a restare i due fratelli maggiori, Lucy rivolse l'attenzione ad Edmund, ancora appoggiato al muro e con lo sguardo ostinatamente puntato in basso. Era come se la sua domanda, lui, non l'avesse sentita nemmeno per sbaglio.

-Ed?- provò, cercando di avvicinarsi di qualche passo e posandogli una mano sulla spalla. Il moro trasalì a quel contatto improvviso, scostandosi più bruscamente di quanto avesse voluto e facendo impallidire Lucy. La ragazza si portò le mani al petto, sbattendo le palpebre per quella reazione inaspettata.

Tuttavia, vedendo l'espressione spiritata e gli occhi lucidi del ragazzo di fronte a lei, non se la sentì di fargliene una colpa. Tentò di sorridere per quel che riusciva – anche se, in quel momento, non c'era proprio niente per cui farlo.

-Scusa.- fu la risposta tra i denti che le diede il moro, scostando il suo sguardo altrove. Non riusciva a sostenere gli occhi di Lu, non riusciva a vedere quell'alone di comprensione che vi aleggiava, quell'innata speranza che vi scorgeva brillare. Sapeva cosa pensava la sorella minore, aveva imparato a conoscere come ragionava. Poteva immaginare perfino le frasi che avrebbe potuto dirgli.

Che sarebbe andato tutto bene. Che le cose si sarebbero risolte. Che avrebbero affrontato anche quello.

Eppure, Edmund ebbe il sospetto che ciò che sapeva Lucy non era ciò che avevano sentito anche Peter e Susan poco prima.

-L'ha scoperto?- fu la semplice domanda che gli fece, senza staccargli gli occhi di dosso. Edmund aprì la bocca secca per parlare, ma dalla gola non risalì nessun suono.

-Si.-

Lucy si voltò leggermente, facendo dardeggiare lo sguardo per la stanza prima di posarlo su Peter. Lesse nei suoi lineamenti contratti, nella forza con cui le braccia si erano nuovamente incrociate al petto, nel modo in cui li stava guardando, così tante emozioni che non seppe decidere quale fosse quella che primeggiava.

Lu fu certa, però, di percepire la sgradevole sensazione che qualcosa le stesse sfuggendo da sotto gli occhi e riportò l'attenzione sul moro vicino a lei. C'era qualcosa che non riusciva a carpire, nel modo in cui Peter continuava ad inchiodare Edmund sul posto con lo sguardo, nel respiro che si faceva pesante ogni qualvolta i suoi occhi si posassero sulla sua figura.

Ed era certa che non fosse per la frase che si era lasciato sfuggire, dal momento che tutti loro erano colpevoli allo stesso modo del peccato di omertà e Peter, per quanto arrabbiato, non era così stupido da non essere consapevole di essere colpevole quanto lui – quanto tutti loro.

Quindi, cosa... ?

Si fece coraggio, ingoiando il nodo che sentiva in gola.

-C'è altro, vero?-


***


Corse.

Corse nel modo più veloce che conosceva, con gli occhi appannati di lacrime, senza una destinazione. Corse finché non sentì più la fatica, finché le gambe non cedettero per lo sforzo. Corse anche se sentiva il fiato mancarle, la milza lanciarle delle fitte al fianco.

Non si fermò nemmeno quando inciampò in varie radici, cadendo e pestando le mani, o quando i rami più bassi le tagliarono le guance. Si mischiò al buio della foresta, scorrendo tra la fitta vegetazione come un animale selvatico scappa da un predatore, forse sperando di perdercisi dentro per non fare più ritorno.

Non le sarebbe importato. Tutto ciò che voleva era andarsene. Scappare. Non tornare più.

Inciampò di nuovo, sentì una fitta alle dita dei piedi ed emise un lamento strozzato che si perse nel silenzio. Rotolò lungo il pendio del sentiero che stava percorrendo alla cieca, scontrandosi con legni e sassi che le cozzarono contro la pelle, percepì gli arbusti frustarle le mani e sentì il fiato mancarle per il contraccolpo contro il terreno duro. Il terriccio le andò negli occhi, nel naso, ne sentì il sapore in bocca e tossì convulsamente, mentre tutto il suo corpo protestava per il dolore.

Evelyn rimase sdraiata sul fianco su cui si era fermata per un tempo che le parve infinito, socchiudendo gli occhi ed ascoltando il proprio respiro accelerato, i muscoli tirati e tremanti per lo sforzo. Attorno a lei, solo il silenzio pesante della vegetazione chiusa in un sonno profondo e millenario che nemmeno le creature notturne osavano disturbare.

L'aria si era fatta più gelida e le fece venire i brividi. Percepì il viso accaldato, umidiccio, polveroso e non seppe dire se fosse per il sudore o le lacrime mischiati al terriccio che si ritrovava addosso – o tutto insieme.

In alcuni punti la pelle bruciava, soprattutto uno zigomo e la fronte. Il polso le faceva male se provava a ruotarlo, forse l'aveva slogato. Respirare era doloroso, sentiva l'aria vibrare in gola, e sicuramente era per i sassi che le si erano conficcati inclementi nella schiena e i legni che le avevano colpito l'addome e le gambe – sperò comunque, con un lampo di lucidità, di non avere niente di rotto.

Evelyn cercò di calmarsi per abituarsi al dolore che sentiva pulsarle per il corpo, rimanendo immobile in posizione fetale, impaurita che qualsiasi movimento avesse fatto sarebbe tornata a sentire le fitte lacerarle i muscoli.

Chiuse gli occhi, percependo la marea di emozioni incalzare, travolgendola in ogni più piccola cellula che possedeva. Il dolore che provava fisicamente era solo lontanamente paragonabile a quello straziante che la dilaniava all'interno, aggrappandosi senza riserve fino alla sua anima per frantumargliela pezzo dopo pezzo.

Strinse i pugni, torturandosi le dita ed ispirando l'odore della terra fredda. Percepì un pesante groppo in gola che le fece venire la nausea e la testa, inclemente, le riformulò nelle orecchie quelle frasi che avrebbe voluto tanto dimenticare.

-Non è nostra sorella di sangue.-


Perché? Perché non glielo avevano mai detto? Perché glielo avevano tenuto nascosto?

Evelyn tremò, non riuscendo a reprimere un singhiozzo. Ebbe la terribile sensazione che si vergognassero di lei, che non le avessero mai detto niente perché non la consideravano abbastanza importante da meritarsi di sapere la verità. Eppure, quella parte che aveva sempre vissuto con i Pevensie, quella che voleva loro bene, quella che l'avrebbe spinta a sacrificare la vita se necessario, le gridò aspramente che non era così.

Non era così, loro non erano cattivi. Non le avrebbero mai tenuto nascosto qualcosa che la riguardava. Qualcosa di così importante, così fondamentale.

Sicura?

Eve sentì la rabbia accumularsi nel petto, addensarsi sottopelle dandole tanti piccoli brividi di irritazione.

Eppure, lo avevano fatto. Le avevano mentito. Per molti, molti anni.

Per lei fu come se le si conficcasse una spada nella schiena ogni volta che ricordava quelle parole.

-Aslan te lo aveva spiegato...-

-... le sue origini!-


Socchiuse le palpebre, guardando senza emozioni la vegetazione che aveva davanti attraverso gli occhi appannati di lacrime e confusione. Respirare le costava fatica e ogni tanto l'aria la sentiva così graffiante che le provocava dei rantoli. Le palpebre pesanti, la testa una massa informe di pensieri. Aveva freddo? Si, aveva freddo, l'aria le si infilava sotto la schiena sfiorandole la pelle come una mano ghiacciata e lei tremava.

Evelyn si aggrappò al dolore che sentiva come una disperata per non perdere conoscenza. Sentì un tuono in lontananza, il vento spirare in modo sempre più forte facendole arrivare in faccia qualche foglia caduta. Stava per piovere?

Le sue origini...


Strabuzzò gli occhi quanto riuscì, sentendo il tempo attorno a lei cambiare repentinamente, condensarsi e dilatarsi e non capì se fossero passati parecchi minuti o solo pochi secondi. Se possibile, le sembrò che il buio si fosse infittito ancora di più, agglomerando tutto in una massa distorta di ombre e suoni confusi che a mente fredda avrebbe trovato inquietanti.

Ma in quel momento avrebbe solo voluto confondercisi insieme, venire inghiottita e sparire.

Evelyn si sentì sprofondare in un abisso per la domanda che le spaccò la mente, squarciandogliela in modo definitivo e facendola cadere in un incubo da cui era sicura non si sarebbe – ne avrebbe voluto – risvegliarsi. Dopo aver conosciuto Narnia non si sorprendeva più di niente. Se Aslan si era messo in mezzo...

Percepì scivolarle sulla pelle le prime gocce di pioggia mischiate alle lacrime e le sembrò che la terra sotto di lei avesse vibrato nello stesso istante in cui il suo cuore mancò un battito.

… voleva dire che non era umana?


***


-...Cosa?-

Sgranò gli occhi, Lucy, senza avere il coraggio di staccarli dalla figura di Edmund a pochi metri di distanza. Si lasciò cadere stancamente sul primo sasso che trovò ed improvvisamente capì perché Susan avesse avuto la stessa idea. Le tremavano le gambe.

-Sono innamorato... di Evelyn...-

Lucy chiuse gli occhi passando una mano tra i capelli. Ricordò come Peter si fosse irrigidito a quella frase e il silenzio sembrava essersi agglomerato in una condensa ghiacciata che era calata tra loro. Nessuno aveva detto nulla dopo quelle parole e lei pensò tanto di essersele sognate.

Ma poi Edmund aveva stretto i pugni, facendosi sbiancare le nocche, e lo aveva ripetuto.

-Sono innamorato di Evelyn. E credo mi ricambi.-

Fece scorrere lo sguardo sulla pietra spezzata, pensierosa e angosciata. Quello non se lo aspettava proprio... o forse un pochino si?

Strinse la labbra, corrugando le sopracciglia e passandosi nuovamente una mano tra i capelli. Aveva sempre avuto sotto gli occhi il rapporto quasi simbiotico che avevano Evelyn ed Edmund. Senza contare che lui aveva sempre saputo non fosse davvero loro sorella

Avrebbe mentito a se stessa dicendo che quel pensiero, quel sospetto, non le aveva mai sfiorato la mente. Lo aveva fatto. Molte volte. Specialmente, le era rimasta in testa la storia di Simon, il gelo improvviso che aveva diviso per qualche tempo i due Pevensie. Ricordava lo sguardo di Edmund, quando lo aveva raggiunto nel giardino di casa per dirgli che l'aveva invitata ad uscire.

Ricordava molti dettagli e molti puntini le si stavano unendo come tasselli nella sua testa. Era come se un raggio di luce avesse fatto breccia in una coltre di nubi.

E intuì perché Peter fosse così arrabbiato. Così offeso. Così indignato. Lo capiva, ma non sapeva dirsi se riuscisse anche a comprenderlo.

Lucy sospirò, sfiorando la pietra fredda, osservandola con sguardo sconsolato. Una parte di lei si domandò cosa avrebbe pensato Aslan di quella situazione, cosa gli avrebbe detto, cosa avrebbe fatto.

-Non è importante quello, ora. Non così tanto... almeno.-

Come se fosse stato colpito da un fulmine Peter si voltò, di scatto, serrando la mascella.

-Come sarebbe a dire non è importante?- sbottò rabbioso, in direzione della lupa che si era intromessa nel silenzio. Come poteva dire che non era importante? Come poteva non rendersi conto di ciò che avevano appena scoperto?

Susan trasalì senza il coraggio di dire nulla, portandosi la testa tra le mani e fissando ostinatamente a terra per nascondere gli occhi lucidi.

Lia mosse qualche passo in direzione del Pevensie, soppesandolo con sguardo piatto. Sospirò, sentendo un tuono squarciare la quiete che aleggiava per l'accampamento e fu costretta a reprimere l'impellente istinto di uscire da lì. Si stavano mischiando troppe cose insieme e immaginò che i Pevensie non sapessero da che parte girarsi.

-Pensa a ciò che ha invece appena scoperto Evelyn.- ribatté la lupa, gelida, incatenandolo con lo sguardo sul posto. Peter la fulminò, tuttavia lo vide scuotere la testa in un gesto di esasperazione e rinchiudersi nuovamente in se stesso, a fare i conti con i propri pensieri e sentimenti. Non era un idiota, lui. Lia lo sapeva bene. Intuì che probabilmente si stava mangiando i gomiti perché tutto si stava sgretolando e non sapeva come fare per sistemare le cose, anche se non lo avrebbe mai ammesso.

Lasciandosi dietro quelle supposizioni dietro cui immaginava si fosse trincerato il Pevensie, soppesò Edmund velocemente, riservandogli un'occhiata di comprensione, vedendolo irrigidito e bianco come un lenzuolo ancora attaccato al muro in cerca di sostegno.

-Cosa ne puoi sapere tu? Non sono comunque affari tuoi.-

Lia tornò a fissare lo sguardo su Peter, accigliata per quel mormorio senza tono che le era stato dedicato. Se avesse avuto le sopracciglia le avrebbe alzate elegantemente mostrandogli una smorfia di compassione davanti alla sua ignoranza degli eventi. Cercò tuttavia di non farci caso e non prendersela, data la situazione stressante.

-Invece credo siano anche affari miei.- Lucy le dedicò un'occhiata stralunata e Susan alzò la testa quel tanto che bastava per occhieggiarla di sbieco, improvvisamente risvegliata dal suo stato catatonico.

-Che intendi?- le domandò Edmund, dedicandole la propria attenzione. Peter aveva assottigliato lo sguardo, sospettoso.

Lei sospirò, facendo dardeggiare lo sguardo per la stanza. Sentì che stava iniziando a piovere.

-Credo sia giunto il momento di darvi delle spiegazioni. Ricordate ciò che vi ha detto Aslan?-


***


Lia uscì dalla Casa di Aslan e si sentì subito investita dall'acqua che stava cadendo dal cielo. Annusò l'odore di terra ed erba bagnata, percependo le gocce di pioggia picchiettarle sul capo e sulla schiena infradiciandole il pelo.

Fece dardeggiare lo sguardo per la radura ed individuò la figura di Antares sotto la chioma di un albero. Non appena la scorse, il Narniano avanzò verso di lei, raggiungendola.

-Glielo hai detto?- le domandò, quando le fu abbastanza vicino per farsi sentire. Quella gli dedicò un'occhiata, limitandosi ad annuire.

-Sarà dura, da ora in poi.- lo sentì commentare. Lia affilò lo sguardo in un vano tentativo di proteggere gli occhi dalla pioggia, mentre iniziava ad avanzare nella radura guidata dall'istinto.

-Doveva succedere, ma non me l'aspettavo in questo modo. Non pensavo si sarebbero accavallate le due situazioni, sono già difficili se prese singolarmente.- Sentì Antares sbuffare al suo fianco mentre la seguiva pazientemente verso la foresta. La pioggia cadeva e saltuariamente si alzavano delle folate di vento. L'erba ed il terreno erano ormai zuppi e Lia percepì le zampe affondarle nel fango.

-Come l'hanno presa? Male, eh?- La lupa si voltò verso il compagno, schioccando la lingua contro il palato e abbassando le orecchie. Non ebbe bisogno di dire nulla.


***


-Mi aveva parlato dopo l'incoronazione.- Peter si era fatto avanti, incrociando le braccia al petto e mettendo momentaneamente da parte l'immagine di Edmund ed Evelyn che si baciavano.

I fratelli si scambiarono delle occhiate incerte, puntando poi lo sguardo su Lia che era rimasta ferma, in attesa di avere la loro attenzione.

-Ti aveva detto che era stata adottata.- Lucy sentì la gola secca, riportando a galla i ricordi di quella conversazione. Lo vide mordersi un labbro e annuire.

-E che non era nata sulla terra, ma a Narnia.- Lu ebbe l'istinto di alzarsi per sfogare la tensione, ma si trattenne e si limitò a ripuntare lo sguardo sgranato su Lia esattamente come stavano facendo i suoi fratelli. La lupa annuì.

-Non vi ha spiegato tutto nei dettagli, però.- I Pevensie sentirono come una doccia ghiacciata riempirli da capo a piedi. Peter corrugò le sopracciglia, sospettoso, ed affilò lo sguardo. Aveva la sensazione che non gli sarebbe piaciuto ciò che avrebbe sentito uscire dalla bocca della Narniana di lì a poco. Aveva la sensazione che non gli sarebbe piaciuto niente, di quella serata, ne fu immediatamente certo non appena vide la sua espressione.

-Disse che avremmo saputo a tempo debito.- intervenne Susan, sollevando lo sguardo incavato e prendendosi a torturare le dita. Edmund, lanciandole uno sguardo, sentì una fitta di senso di colpa attanagliargli lo stomaco per le condizioni in cui versava.

-Si, credo sia ora.- Lia si sedette, circondandosi le zampe con la coda. Cercò nella propria mente le parole adatte, ma si rese presto conto che non ce n'erano.

-Evelyn è nata sulla terra, in realtà. Nel vostro mondo.- capì di aver confuso i Pevensie dalle espressioni dubbiose con cui la iniziarono a guardare. Vide Peter aprire bocca per parlare ma gli scoccò un'occhiata che lo fece stranamente stare in silenzio.

-È la sua anima che è nata a Narnia.- precisò.

-Che significa?-

Lia si domandò se Aslan fosse stato vago apposta nelle spiegazioni, seppellendo un passato che sapeva prima o poi sarebbe tornato a galla per quanto gli fosse stato possibile. Decise di non pensarci e cercò la soluzione più rapida per spiegarsi. Non era facile e c'erano tante, davvero tante cose da raccontare, ma qualcosa dentro di lei le suggerì che non era il momento adatto. Forse sarebbe stato proprio Aslan, con il suo ritorno, a spazzare definitivamente le nubi di quella storia.

E poi, doveva raggiungere Evelyn il prima possibile. Il temporale che si stava riversando su Narnia non le piaceva per niente e delle sgradevoli sensaizoni le si stavano aggrovigliando nel petto, iniziando a diventare insistenti e difficili da ignorare.

-Vostra sorella è... no, sarebbe più corretto dire che nella sua anima si sono reincarnati gli spiriti delle Guardiane di Narnia. In particolare dell'ultima, che a sua volta conteneva già quelli delle Guardiane che l'avevano preceduta. Come sapete, la magia è qualcosa su cui Narnia si è sempre fondata. È complicato da spiegare, e mi dispiace se risulto confusionaria.- Lia si prese un momento per ordinare nuovamente i pensieri.

-Millenni fa la Grande Magia permise all'essenza degli elementi di incarnarsi in creature che avrebbero avuto il compito di guidare Narnia. Nacquero così le Guardiane, legate fin nel profondo a questo mondo perché ne incarnavano gli spiriti degli elementi che l'hanno sempre mantenuto in equilibrio.-

-Stai scherzando.- la interruppe Peter, aggrappandosi all'assurdità di quella cosa che aveva appena sentito. Si rifiutava di credere ad una sola parola di ciò che gli stava tartassando le orecchie.

-Lasciala finire.- intervenne Edmund, che stava ascoltando come si trovasse davanti ad un oracolo. Quella storia non la sapevano, non l'avevano mai saputa, non era scritta nemmeno nei libri più antichi.

Susan e Lucy si portarono una mano alla bocca e sgranarono gli occhi, spaesate.

-Le Guardiane avevano il compito di vegliare su Narnia, ne erano figlie e madri al tempo stesso. Tuttavia, le cose non andarono come previsto. La Grande Magia non tenne conto che Narnia era viva, e di conseguenza le creature a cui aveva dato origine provavano sentimenti ed emozioni. E fu la loro rovina.-

Magia? Guardiane? Reincarnazioni? Evelyn era Evelyn e basta, sorella di sangue o meno. Ai Pevensie sembrò tanto di stare sprofondando in un incubo e Peter sentì vacillare quel poco di sanità mentale e calma che ancora riusciva a mantenere in apparenza.

-Sei seria?-

La lupa gli concesse un'occhiata sbieca.

-Mai stata più seria, Peter Pevensie.-

-Come sai queste cose?-

Ci fu qualche attimo di silenzio, poi Lia distolse lo sguardo da Lucy, colpita dai ricordi.

-Perché sono lo spirito madre che avrebbe dovuto guidare l'ultima Guardiana nel suo compito.-

-E... e chi era?-

-Si chiamava Ahislyn.-


***

 
Dhemetrya scoccò la lingua contro il palato, calcandosi il mantello sulla testa per cerca di sfuggire alle gocce di pioggia che avevano iniziato, inclementi, a inzupparla qualche minuto prima. Dandosi una piccola spinta balzò giù dal ramo su cui si era fermata, atterrando con i calzari sul sentiero in cui la terra era ormai diventata un miscuglio di fango e foglie secche.

Occhieggiò con sguardo dubbioso la vegetazione che le stava intorno: la foresta si era rabbuiata, le nubi avevano coperto la luna che sembrava essere stata inghiottita dal cielo. Il ticchettio incessante dell'acqua che s'infrangeva contro la terra e le foglie dei grandi alberi che la circondavano era l'unico suono che fosse rimasto a spezzare il silenzio della foresta altrimenti silente, conficcandosi con ritmo incessante nelle sue orecchie come tanti piccoli spilli.

In un'altra occasione, Dhem avrebbe trovato quel momento quasi confortevole, perché dopotutto l'acqua era sempre stata parte di lei.

C'era stato un tempo in cui la rinvigoriva donandole forza, in cui le accarezzava la pelle anche se scendeva con violenza dal cielo, tempi passati in cui le lambiva le membra in quella che le aveva sempre ricordato una dolce carezza in cui perdersi e confondersi. In cui lasciarsi andare per sempre senza mai perdersi davvero.

Dhem affilò lo sguardo, avvicinandosi ad una serie di rami spezzati e terriccio smosso e sospirò, osservando con cipiglio critico il percorso addentrarsi nella foresta in un miscuglio di cespugli, sassi e radici. I suoi piedi si mossero da soli, come attirati da una calamita, un richiamo a cui il suo corpo non poteva resistere mentre nella sua mente si formulavano accozzaglie di ragionamenti intrecciati e malmessi.

Ma non era più così.

Nel corso dell'ultimo millennio la pioggia di Narnia sembrava essere diventata il riflesso delle lacrime che non aveva più avuto la forza di versare. E mai come in quel momento, mentre seguiva le tracce di rami spezzati e impronte infangate che Evelyn si era lasciata dietro, il suo cuore le ricordò con una dolorosa fitta che le spezzò il fiato quei momenti che avrebbe tanto voluto seppellire.

Dhemetrya accelerò il passo, per non rischiare di perdere i segni che stava seguendo, percependo l'ansia che venissero cancellati dall'acqua salirle come un groppo in gola. Le fischiavano le orecchie e le mancava il fiato e per un attimo si sentì stordita, quando una nuova ondata di emozioni la travolse come un treno in corsa costringendola a fermarsi e tenersi il petto.

Era insopportabile. Sentiva tutto. Stava sentendo tutto. Tutto il dolore di Narnia, la terra che vibrava d'indignazione, le gocce come pugnali gelati che sembrava voler cancellare ogni cosa su cui si conficcavano.

Non poteva permetterlo. Doveva trovarla, non aveva tempo da perdere.

Quella pioggia di dolore le stava fracassando l'anima fin nel profondo, era come se si fosse rotto l'argine di un fiume che non sapeva come fermarsi e travolgeva tutto, e Dhemetrya sentiva di stare soffocando sotto quel peso ad ogni secondo che passava.

Batté le palpebre, percependo gli occhi umidi, guardandosi intorno e sentendosi mancare per qualche attimo. Un tuono le rombò nelle orecchie ronzanti e osservò il cielo, posando una mano sulla corteccia dell'albero vicino cui si era fermata per reggersi in piedi, respirando con il cuore che batteva nella gabbia toracica in modo così fremente da farle male.

Gli occhi blu pieni di preoccupazione e angoscia si scontrarono con l'inesorabile macchia di nero che era ormai diventata la distesa che fino a poco prima era brillante di stelle.

Nero.

Nero come l'oblio che sentiva annebbiarle la mente ad ogni minuto che passava.

Dhemetrya si morse un labbro, cercando di trovare un appiglio in quella marea di emozioni che le si stavano ammassando dentro e strizzò gli occhi più che poté, tornando a guardarsi intorno.

Calma. Doveva stare calma e concentrarsi.

Si umettò le labbra secche, riprendendo la sua ricerca e cercando di scacciare la vocina che nella sua testa le gridava che ci stava mettendo troppo. Non doveva farsi distrarre dalla pressione. Non doveva lasciarsi distrarre dalle emozioni.

Percorse con passo incerto quella strada nella foresta, addentrandosi in quello che si rese conto non era un vero e proprio sentiero, cercando di analizzare ogni più piccolo particolare che riusciva a catturare facendo dardeggiare lo sguardo attorno a sé. I rami bassi le graffiarono le guance e il mantello varie volte s'impigliò negli arbusti, tanto che con uno strattone ne ruppe un pezzo, i calzari si erano infradiciati d'acqua e fango.

La pioggia e il buio non la stavano aiutando, rendendo un'azione che aveva ritenuto sempre semplice da fare come seguire le tracce una lotta contro la propria pazienza ed esperienza. Dhemetrya dovette richiamare a sé tutti i ricordi e gli insegnamenti che aveva imparato negli anni a suon di sbagli e sgridate per districarsi in quella situazione senza rischiare di confondersi o perdere l'orientamento.

L'aria ogni tanto si condensava in forti raffiche di vento che le facevano sbattere contro la pelle del viso terriccio e rami vaganti. Si calò maggiormente il cappuccio in testa, Dhem, sentendo gli occhi bruciare e lacrimare, osservando le tracce confondersi davanti al suo sguardo smarrito.

Ma dove si era cacciata? Non doveva essere lontana, ormai...

-Evelyn!-

Percepì la propria voce uscire come un grido roco, perdendosi tra il rumore della pioggia e delle chiome vibranti. Si morse la lingua, frustrata, prendendo un respiro profondo e cacciando via a forza il nodo che sentiva comprimerle la gola.

-Evelyn!-

A quel secondo tentativo la voce le uscì più squillante e si guardò intorno, quasi sperando che la ragazza rispondesse subito al suo richiamo. Irrigidì il corpo, pronta a scattare, e tese le orecchie per poter cogliere ogni più piccola traccia di rumore che potesse darle qualche indizio su dove fosse.

Silenzio.


Rimase in attesa per un tempo che le sembrò infinito, ansiosa che se si fosse distratta avrebbe perso l'occasione di sentire ciò che cercava, prima di infossarsi nelle spalle e battere un pugno contro l'albero a cui si stava reggendo, amareggiata. Sentì l'insoddisfazione accumularsi nel petto insieme a un calore che le ricordò molto la rabbia.

Dannazione. Non ci voleva.


Dhemetrya abbassò lo sguardo, socchiudendo le palpebre. Sentì la stanchezza mischiarsi alla delusione e lasciò che della sue labbra scappasse un ennesimo sospiro spezzato, percependo un tremito salirle dalle gambe.

Crack.


La Narniana sentì il corpo congelarsi immediatamente sul posto. Quasi smise di respirare, mentre assumeva una posizione di difesa e tutto ciò che la circondava diventava sempre più sfuocato. Socchiuse gli occhi, concentrandosi su quell'unico rumore che era sicura, era sicura di aver sentito provenire da qualche parte attorno a lei.

Telmarini?


Dhem scosse leggermente la testa, portando tuttavia con un gesto automatico la mano al pugnale che teneva legato in vita, sentendo la pioggia continuare a picchiettarle sulla testa e scivolarle lungo la pelle. Saggiò la consistenza dell'elsa umida sfiorarle il palmo della mano, riflettendo. Solo degli idioti si sarebbero addentrati nella foresta con quel tempo.

Tirò le labbra in una smorfia, irrigidendo i muscoli e appiattendosi contro la corteccia dell'albero come se avesse potuto diventarci un tutt'uno.

Fu mentre si osservava intorno per essere sicura di non essere in compagnia che lo sentì. Riconobbe il suono che le arrivò alle orecchie come se improvvisamente il resto del mondo si fosse fermato, sospeso nel tempo.

Un singhiozzo.

Dhem si osservò intorno, sgranando gli occhi, lasciandosi guidare da quei suoni che le si stavano inchiodando nella testa e che avevano cancellato tutto il resto.

Dei singhiozzi.

Arrancò tra la vegetazione, evitando le radici ed i sassi che spuntavano dal terreno, sentendo i calzari infossarsi nel fango e notando i cespugli spezzati, fino a che sotto i propri occhi spaesati la terra piana non si modificò all'improvviso, trasformandosi in una ripida discesa che terminava in uno spiazzo su cui si chiudevano i rami degli alberi e dei cespugli.

Dhemetrya sgranò gli occhi, sconvolta, quando li fece dardeggiare con agitazione per quella piccola radura nascosta tra tronchi e arbusti, riconoscendo immediatamente, anche tra la confusione dell'ambiente che la circondava e tutto ciò che stava percependo, la figura distesa a terra.

Evelyn.

Sentì il fiato spezzarsi in gola, Dhem, e il cuore saltarle vari battiti. Si sentì sprofondare in un vortice di paura che le diede dei brividi lungo tutto il corpo.

Senza nemmeno rifletterci iniziò a correre, quasi tuffandosi giù per la collinetta, cercando di non cadere, inciampando e accompagnandosi con i rami degli alberi per fare più veloce, per riuscire nel minor tempo possibile ad azzerare quella distanza che improvvisamente le sembrava troppo grande.

-Eve!-

La vide sussultare, cercandola con lo sguardo. Le lacrime le impastavano il viso sporco di sangue e terriccio, la pioggia le aveva inzuppato l'abito e notò che in alcuni punti era anche strappato. Dhemetrya tirò le labbra in una smorfia e corrugò la fronte, sentendosi impotente davanti allo sguardo vacuo che le stava rivolgendo la Pevensie.

La stava guardando, ma non la vedeva davvero. I suoi occhi erano persi in chissà quali ragionamenti e pensieri.

-Perché?-

Per Dhemetrya fu come ricevere l'ennesima coltellata dritta nel cuore, un sussurro appena accennato ma che ebbe la forza di farle male come se l'avessero pugnalata. Tentò qualche passo, avvicinandosi, incerta, portando un braccio in avanti. Qualcosa nel suo stomaco vibrò e ricacciò indietro il conato di vomito che sentì risalirle la gola.

Cosa avrebbe dovuto dire?

-Perché?-

Evelyn tremava e singhiozzava e tutto in lei trasudava dolore e sofferenza, Dhemetrya lo sentiva posarsi sulla sua pelle e aleggiare nell'aria più di quella stessa pioggia che cadeva dal cielo.

Tutto era dolore, tutto era sofferenza.

La vide puntellarsi su un gomito, fare forza per alzarsi e mordersi un labbro tanto da farlo sanguinare. I capelli le si erano appiccicati al viso e notò che aveva i lineamenti contratti in un'espressione insofferente. Le ricordò una creatura sputata direttamente dagli inferi più profondi, mentre cercava di raccogliere la tenacia che ancora sentiva scorrerle nelle vene per provare a non arrendersi.

-Perché mi hanno mentito? Cosa c'è di diverso in me?-

Dhemetrya mosse qualche passo, arrivandole di fronte e lasciandosi cadere sulle ginocchia. Sentì il bagnato che spurgava dalla terra attraversare i pantaloni e l'aria fredda schiaffeggiarle il viso, facendole cadere il mantello scoprendole la faccia, ma in quel momento non le importò di rimetterlo a posto.

Tutta la sua attenzione era catalizzata sul viso di Evelyn, sullo sguardo che le stava rivolgendo e in cui vi scorgeva accavallarsi troppi sentimenti per poterli percepire tutti. Li sentiva provenire da Eve, provenire da Narnia.

Era insopportabile.

Strinse i denti, affrontando quello sguardo accusatorio e leggendovi all'interno l'incorreggibile amarezza e delusione di un'anima tremendamente offesa e ferita e alla ricerca di risposte.

Dhemetrya si sentì trapassare da quelle emozioni e quello stesso sguardo le si conficcò nel cervello e nell'anima con crudeltà, facendo riemergere ricordi che non aveva mai davvero dimenticato e trasportandola indietro nel tempo. In un'altra vita, un altro dolore, un'altra sofferenza.

Ed era colpa sua, perché non era stata in grado di alleviare la frustrazione di quella creatura che invece avrebbe dovuto proteggere e guidare e che aveva sempre considerato una sorella.

Che stata era sua sorella.


-Scusami, scusami...-

L'abbracciò, incapace di trattenere le lacrime, immergendo le mani tra i suoi capelli e portandosela più vicino che poté per farle sentire la sua presenza. Evelyn s'irrigidì e mugugnò un lamento per staccarsi, ma non la lasciò andare. Non l'avrebbe lasciata andare ancora.

Sentì distintamente che si era spezzato qualcosa nella ragazza che stringeva tra le braccia, era una sensazione a cui non avrebbe saputo dare una spiegazione ma di cui non si sarebbe mai posta il dubbio, perché l'avrebbe riconosciuta ad occhi chiusi e la sentiva, la sentiva talmente bene che non avrebbe potuto sbagliarsi. L'argine rotto, l'anima spezzata, il cuore frantumato.

Narnia vibrò nuovamente di sofferenza e sentì riflettersi nella propria anima l'origine di quei lamenti.

Eve...

La sentì tremare e scoppiare in un pianto disperato che le squarciò le orecchie, conficcandosi nel suo cuore con la stessa prepotenza con cui la Pevensie le si stava aggrappando alle spalle, con la stessa disperazione implacabile con cui il cielo stava riversando secchiate di pioggia su di loro e tutt'attorno.

E non poteva fare niente, niente, per alleviare quella sofferenza.

Dhemetrya sentì l'angoscia aggrovigliarle lo stomaco e percepì gli occhi pizzicare. Immerse il viso nella spalla di Eve, lasciando che il mare di emozioni che le si agitavano addosso – addosso, dentro, intorno, che le mozzavano il respiro – e che aveva cercato di contenere si potessero, finalmente, liberare.

Fu come se un'esplosione la investisse da capo a piedi e iniziò a piangere in silenzio, sentendosi improvvisamente spossata, accompagnata dai singhiozzi della ragazza che le stringeva gli abiti come se fosse il suo unico appiglio. Sentì la terra tremare e un tuono più forte squarciare la quiete del cielo che le sovrastava, riflettendo sulla terra il loro stesso dolore.

Pioveva. A dirotto. A Narnia non pioveva mai in quel modo, la pioggia era sempre stata una dolce melodia che accompagnava soprattutto le giornate delle mezze stagioni, ma era sempre stata magica, nella sua malinconica tristezza.

Quella, invece, ogni singola goccia era il riflesso della sofferenza, del dolore, dell'amarezza, del senso di colpa che scuoteva le anime tormentate di Evelyn e Dhemetrya e che Narnia riusciva a sentire come se fossero proprie.

Un legame indissolubile, un legame scritto dal destino fin dalla notte dei tempi e che niente avrebbe potuto spezzare.

Eve e Dhem piangevano e Narnia piangeva con loro.




























































































*ZanZanZaaan!*
Ehilà a tutti e ben tornati! Come state? Spero tutto bene!
Che dire, capitolo piuttosto frizzantino, non trovate? Per questo vi avvertivo che le cose si complicheranno leggermente, è una situazione spinosa e Evelyn non ha ancora sentito tutta la verità, quindi vi lascio immaginare, senza contare la situazione con Edmund. A tal proposito, spero che per il momento sia tutto chiaro in ciò che ha detto Lia, poi approfondirò nel prossimo capitolo con qualche dettaglio in più, insomma sono stata vaga apposta per non scrivere troppe volte le stesse cose.
Non ho molto da dire stavolta, sono capitoli abbastanza importanti e credo di avere un po' di ansia da prestazione. ^^'' In ogni caso spero di rivedervi presto,
Ringrazio chi legge, commenta, preferisce, segue e ricorda.
See yaa
D <3


   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Le Cronache di Narnia / Vai alla pagina dell'autore: Dhialya