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Autore: steffirah    03/05/2020    2 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il sangue del ciliegio



 
Non ero certa di sapere come mi sentissi. Da un lato ero sollevata, perché se Syaoran-kun era lì, in carne ed ossa, e non era un mero miraggio mostratomi da Kaito-san o un frutto maturato dalla mia mente, poteva solo significare che stava bene. Che era sopravvissuto, che era uscito indenne dalla battaglia, che era salvo. Che aveva combattuto e aveva vinto, proprio come credevo.
Ma dall’altro mi spaventava l’idea che fosse realmente lì con noi. Fino a qualche secondo prima era ciò che io stessa avevo desiderato, ciò in cui avevo sperato, ma a mente lucida capivo che fosse una situazione terribile. Soprattutto se si fosse accorto di me e delle mie condizioni.
Chiusi gli occhi per un secondo, lottando contro il bruciore che sentivo sulla ferita aperta, percependo solo allora il freddo degli spiriti come qualcosa di lenente. Riaprii le palpebre, sopprimendo un lamento, anche a causa della limitatezza dei miei movimenti.
Mi sforzai di analizzare la situazione, per quanto fosse possibile, e tornai a guardare le due persone a qualche metro da me. Syaoran-kun doveva aver scagliato lontano da noi quell’uomo, senza che neppure me ne accorgessi. E supponevo stesse fermo lì per assicurarsi che non tornasse qui.
Lo vidi voltarsi per un attimo a guardarmi. Trattenni il fiato, sebbene così non facessi che intensificare le mie sofferenze. Ma non erano nulla se comparate a ciò che attraversò il suo viso, non appena notò lo stato in cui giacevo, inerme. I suoi occhi mi scandagliarono dalla testa ai piedi, adombrandosi sempre più, riempiendosi di timore quando si arrestarono sul mio braccio. Inconsciamente feci la prima cosa che mi venne in mente, ossia premere la ferita contro il mio fianco, sperando che non sentisse il mio sangue fino a lì. Che non lo travolgesse, non lo turbasse, non lo uccidesse. Sapevo che fosse una speranza vana, considerato che ne erano imbrattate anche le mie vesti, ma era quantomeno prudenza.
Disperata, scoppiai a piangere di nuovo.
«Mi dispiace» sussurrai flebilmente, sentendomi morire, certa che riuscisse ad udirmi. Come potevo infliggergli tutto quel dolore? Perché io? Perché proprio io dovevo nascere con quel sangue?
A tali parole vidi i suoi occhi lampeggiare, per poi posarli con rabbia su Kaito-san. Non mi ero minimamente accorta che, intanto, si fosse rimesso in piedi e si rassettava, come se nulla fosse. Syaoran-kun ringhiò furioso, preparandosi ad attaccarlo, al che vidi Kaito-san scuotere la testa.
«Le avevo anche promesso di non ucciderti.» Si finse desolato, ma stavolta mi fu chiaro lo scintillio assassino che attraversò le sue iridi di pietra. Sul suo volto calò una maschera, facendovi apparire un crudo divertimento.
«Syaoran-kun, lascia stare! Vai via!» lo implorai, con quanto fiato mi era rimasto in corpo.
Ignorando quanto bruciasse la ferita, provai a strappare i rami con la mano libera. Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa per uscire da quel torpore. Non potevo restare soltanto a guardare mentre lui rischiava la sua vita per me. E se fosse andata come nel mio sogno… No, non potevo permetterlo! Non potevo accettarlo!
Syaoran-kun e Kaito-san cominciarono a lottare senza che neppure me ne rendessi conto: semplicemente, quando tornai con lo sguardo da loro vidi Syaoran-kun avventarsi violentemente su di lui e Kaito-san nel mentre ghignare dilettato, sia quando scansava un colpo che quando lo riceveva. Pazzo, doveva essere pazzo. E dal piacere che sorgeva dal suo sguardo compresi che non stava aspettando altro che quel momento. Forse stava prendendo tempo apposta, affinché Syaoran-kun potesse raggiungerci. L’aveva definito il mio “ragazzo”, quindi era certo che prima o poi sarebbe accorso a salvarmi. Forse, al di là del nostro accordo, ucciderlo era la sua intenzione fin dall’inizio.
L’ansia mi si avviluppò attorno a tutti gli organi. Smisi di guardarli, provando nuovamente a strappare le catene di legno che mi costringevano, invano. Dannazione, dovevo assolutamente andare da loro, avvisare Syaoran-kun, fermarli in qualche modo… anche a costo di sacrificarmi!
Fortunatamente, proprio mentre meditavo sul come suicidarmi nonostante gli impedimenti, un altro paio di mani si posò sulle mie. Guardai il proprietario di esse, piagnucolando rincuorata.
«Tomoyo-chan!»
«Sakura-chan, stai tranquilla. Ci siamo noi adesso» mi rassicurò, strappando via le fronde senza alcuna difficoltà.
Per un attimo dimentica dei miei propositi mi voltai automaticamente verso Akiho-chan, sperando di poter trovare un modo per frenare il suo sangue, immaginando che la sua ferita sul collo potesse essere più grave della mia; con mio grande sollievo, scoprii che al suo fianco c’era già Meiling-chan a tamponarla con della stoffa. Mi sorrise tirata e capii che si stesse sforzando di non respirare. La realizzazione di quanto potesse essere atroce per loro mi colpì appieno.
Mi guardai freneticamente attorno, alla ricerca d’acqua con cui ripulirmi. Ma c’erano soltanto ciliegi fioriti. Ciliegi, ciliegi, ciliegi sopra di me, sotto di me, tutt’attorno a me, fuori e dentro di me. Il loro odore asfissiante misto a quello del sangue. Se era insopportabile per me, quanto poteva esserlo per loro?
Stringendo i denti mi strappai una parte della gonna, per avvolgermela attorno al polso, ma Tomoyo-chan me lo impedì, mostrandomi un piccolo sorriso.
«Non preoccuparti per noi. Il tuo sangue può tornarci utile.»
Ad un suo cenno Meiling-chan si alzò e portò Akiho-chan via; entrambe sparirono nel nulla, venendo sostituite da una breve folata di vento.
Mi voltai allora verso Syaoran-kun, notando che sia lui che Kaito-san sembravano affaticati. Mi alzai in piedi, lasciandomi sorreggere da Tomoyo-chan, e pregai per l’incolumità di Syaoran-kun.
Esattamente in quel momento Kaito-san fece oscillare una sorta di orologio da taschino dorato, dal quale si irradiò una lieve luce bianca; quando essa si affievolì apparve al suo posto una spada lunga e sottile, simile ad un fioretto, con un’elsa complessa che ne avvolgeva la mano come una sorta di rete ondosa. Aprii la bocca basita, impaurita, guardando immediatamente Syaoran-kun; con mia grande sorpresa lo vidi ripetere i suoi stessi movimenti, usando un bracciale che non avevo mai notato. Il ciondolo col Tao si illuminò, e da esso apparve a sua volta una spada a doppio filo, con la lama larga, la punta affilata e l’elsa piatta, alla cui impugnatura erano appese due frange rosse. Sbalordita, li vidi scontrarsi nuovamente, ogni loro colpo faceva scintille. Nonostante la paura, li trovavo affascinanti nella loro rabbia omicida.
Tomoyo-chan mi ridestò dal mio incanto, riportandomi alla realtà.
«Approfittiamone» mi disse sottovoce.
Lasciai che mi scortasse fino alle radici del maestoso albero, al lato opposto rispetto a quello in cui stava avvenendo il combattimento. Mi prese il polso con fretta ma cautela e premette sulla pelle squarciata, facendone fuoriuscire più sangue. Strizzai gli occhi, mordendomi con forza le labbra per non gridare.
«Perdonami Sakura-chan, ma è l’unico modo che abbiamo per salvare tutti.»
Mi fidavo di mia cugina, per cui sebbene non mi fossero molto chiare le sue intenzioni la lasciai fare, sopportando il dolore. Guardai fiacca il sangue scivolare giù in sottili rivoli, bagnare le radici, seguendone le insenature per poi essere assorbito dal terreno.
In un tono talmente basso che a malapena la udivo Tomoyo-chan cominciò ad intonare una canzone dolcissima, confortante, simile ad una ninnananna pacificante. Mi lasciai cullare e cingere dalla sua voce cristallina, finché tutta la pesantezza non svanì, sostituita da una leggerezza disarmante, rincuorante nel corpo e nello spirito.
Tutte quelle presenze fluttuarono via da me, verso l’albero, e questa volta ciò che percepii da esse fu un’immensa gratitudine. Così compresi quel che stava facendo mia cugina: le stava salvando. In tal modo, guidate dalla voce di un angelo, seguendo un sentiero di fiori vermiglio, avrebbero potuto raggiungere il mondo che li aspettava, un mondo in cui avrebbero potuto riposare in pace e rinascere senza più dover provare nulla di quel tormento che c’era stato.
Le sentii oscillare fluidamente verso l’albero ed entrare da quella piccola pozza di sangue ai nostri piedi; sorprendentemente, essa continuò ad estendersi, tingendo di scarlatto il legno, salendo su fino alla chioma. Sollevai il viso meravigliata, vedendo i petali farsi cremisi e risplendere, come fossero circondati da un sottile velo divino. Uno alla volta si tinsero, le gocce saltavano da un fiore all’altro, come se ballassero una danza seguendo il canto di mia cugina. E così, per quando terminò la canzone, l’albero fu completamente dipinto dal mio sangue e le presenze baluginanti si spensero in esso.
Non appena tacque mi sentii attraversare da quella fioca luce. Trattenni il fiato, guardando lei, vedendola ansante ma soddisfatta.
«Dovremmo essere riuscite ad indebolirlo.»
Indebolirlo…?
Mi alzai di scatto, ricordando solo allora quel che la mia mente aveva deciso di riporre in un angolino, abbagliata da quell’incanto. Come avevo potuto dimenticare così Syaoran-kun?!
Quasi mi precipitai nella direzione opposta, inciampando per poco in una radice sporgente, e mi pietrificai dinanzi alla scena che mi attendeva. Entrambi erano pieni di graffi e ferite, imbrattati del loro stesso sangue, ma continuavano ad attaccarsi ed attaccarsi senza sosta.
Stavo scioccamente per farmi avanti quando un ventaglio si posò davanti al mio viso; lo spostai di lato e vidi Yelan-san, anch’ella con l’aria stanca. Mi sorrise, ricordandomi ciò in cui dovevo credere: «Sicuramente andrà tutto bene.»
Ripetei quelle parole mettendoci tutti i miei sentimenti positivi e ritornai a guardare la scena, a malapena accorgendomi di essere stata affiancata anche da Tomoyo-chan, troppo rapita da quel che mi stava comparendo davanti.
Syaoran-kun riuscì a disarmare Kaito-san dopo averne tagliato i tendini del polso e quasi nello stesso tempo lingue di fuoco, vortici d’acqua, spirali di vento e polveri di terra s’erano tutti raccolti attorno a questi, ingabbiandolo per impedirgli la fuga. Allora vidi che le sorelle di Syaoran-kun erano a poca distanza dal nemico, alle sue spalle, e stavano controllando gli elementi. Guardai poi lui, vedendolo posare due dita sulla lama della sua spada e chiudere per qualche secondo gli occhi, come se si stesse concentrando. Per quel che si intravedeva tra le fitte chiome, notai che le nuvole grigie andavano addensandosi sopra di noi in fitti cumulonembi sempre più minacciosi, neri e violacei; improvvisamente da questi apparvero dei fulmini, i quali colpirono in pieno il centro di quella gabbia.
Sobbalzai al rombo così violento e assordante, coprendomi gli occhi con le braccia dinanzi a tutta quella luminosità, accecata da troppi colori.
Si trattò di una frazione di secondo e quando abbassai le mani tutto era tornato alla normalità. Kaito-san era privo di sensi, attorniato dalle sorelle Li e la loro madre. Tomoyo-chan emise un sonoro sospiro di sollievo al mio fianco. Rivolsi un rapido sguardo attorno, scoprendo che eccetto una zolla di terreno bruciacchiato laddove giaceva inerte Kaito-san non v’erano danni all’ambiente.
Posai infine gli occhi su Syaoran-kun, notando che aveva abbassato la spada, mollemente, con aria stanca. Teneva lo sguardo basso, fisso sul suolo, totalmente apatico. Mi sentii stringere il cuore, riempiendomi di conforto. L’incubo non si era avverato.
Rincuorata, smisi di riflettere e corsi verso di lui, proprio quando vidi le sue gambe cedere. Affrettai il passo, raggiungendolo quanto prima, sostenendolo prima che cadesse del tutto.
«Syaoran-kun…» gemetti, notando tutte le sue ferite. Sembravano terribili. C’erano tagli dappertutto, sulle sue braccia, sulle sue gambe, sul suo busto, sul suo viso. Sfiorai il graffio sulla sua guancia col polpastrello, temendo di peggiorare le cose. «Perdonami, perdonami, ti prego…» sussurrai afflitta, sentendomi tremendamente in colpa.
«Guarirò in fretta» mi assicurò debolmente, spostando il suo sguardo spento sul mio polso. Sfiorò la ferita a sua volta, con dita tremanti, serrandole poi in pugno, allontanandole da me. Si incupì, sibilando: «Non sono riuscito a proteggerti.»
«Ti sbagli!» ribattei energicamente, mostrandomi sana come un pesce. «Mi hai salvata. Voi tutti mi avete salvata!»
«Dovevo arrivare prima che…»
La sua voce si spense e da quel momento rifiutò di guardarmi.
Per quelli che mi parvero minuti interi fui incapace di replicare in alcun modo, sentendomi nuovamente col cuore in una morsa di ferro, finché non ci raggiunse Shiefa-san, che gli chiese: «Xiaolang, ce la fai ad alzarti?»
Lui assentì col capo, rimettendosi in piedi, e io feci lo stesso, facendo caso solo allora che si avvicinò a Yelan-san che lei aveva posato la mano sul ciliegio, chiudendo gli occhi tristemente. Syaoran-kun attese che finisse di pronunciare parole inudibili da qui, sino a che il ciliegio non perse il suo bagliore, tornando come prima; si voltò successivamente verso il figlio, cingendolo e lasciandosi abbracciare.
Li guardai con un groppo in gola e Shiefa-san sussurrò: «Gli stanno dicendo addio.»
Allora capii: anche per il padre di Syaoran-kun, come mia madre, era giunto il momento di raggiungere il posto che gli spettava… rinunciando alla donna che amava. Ma forse, c’era possibilità anche per lui di tornare, proprio come riusciva a fare mamma.
Qualche lacrima sfuggì dal mio controllo, solcandomi le guance, e me ne accorsi solo quando Yelan-san mi si avvicinò, asciugandomele con un sorriso grato.
«Grazie per avergli dato la pace.»
Mi avvolse tra le sue braccia, nelle quali piansi, liberando tutto. Paure, timori, dolori, conforto. Tutto era lì, s’era raccolto in me, e in quel momento stava uscendo, sollevandosi fino al cielo, il quale partecipe cominciò a piangere con me.
«Meglio che andiamo anche noi» mi ricordò, facendomi tornare al presente. Mi staccai da lei, e dando una rapida occhiata attorno trovai soltanto lei e il figlio, oltre me. «Dobbiamo occuparci delle vostre ferite.»
Annuii, tirando su col naso, asciugandomi con una manica. Stava per prendermi in braccio quando Syaoran-kun la sostituì, facendole un cenno, come a dirle di mostrargli la strada. Lei tese leggermente le labbra, prima di aprirci il percorso di ritorno. Mi tenni a lui solo col braccio buono, cercando di non premergli troppo contro le ferite. Notai tuttavia che, come aveva detto in precedenza, qualcuna più superficiale aveva già cominciato a richiudersi.
Sollevai allora il viso verso il cielo, permettendo alla pioggia di risciacquarlo da tutto quello che avevo vissuto. Erano troppe emozioni, troppe scoperte, in così poco tempo. Non solo il mio cuore, ma anche la mia mente non ce la faceva a sostenerne il peso. Per cui le lasciai involarsi verso la volta celeste, almeno per il momento, e chiusi gli occhi, rilassandomi tra quelle braccia sicure.






Quando ritornai cosciente mi accorsi non solo che eravamo già tornati dentro la villa di Tomoyo-chan, ma mi trovavo anche adagiata su uno dei morbidi divani del salone, sotto delle coperte. Mi misi seduta, poggiando subito la testa contro un cuscino, sentendomela pesante. E tutto il corpo mi doleva. Che fosse per la precedente costrizione? Grugnii con disappunto, passandomi una mano sulla gola, sospirando. Speravo che qualunque segno mi fosse rimasto svanisse quanto prima. Percepii fresche dita sull’altro mio braccio e abbassando lo sguardo mi ritrovai mia cugina inginocchiata a terra con una cassetta del pronto soccorso dinanzi, intenta ad occuparsi di me.
Le sorrisi grata prima di dare una rapida occhiata alla sala, vedendo Syaoran-kun seduto su un altro divano a poca distanza, ancora grondante sangue e acqua. Incrociai il suo sguardo per una frazione di secondo e lui immediatamente lo distolse, abbassando gli occhi. Ma tanto m’era bastato per leggervi il rimorso.
Sospirai affranta, spostando l’attenzione sulle sue ferite, notando che molte sembravano ancora aperte. Immaginavo che fosse trascorsa almeno una mezz’ora se non di più da quando avevano sconfitto Kaito-san ed era pur vero che non sapevo come funzionavano i tempi di guarigione vampireschi, ma ci voleva davvero così tanto a risanarsi?
Lo scrutai scrupolosamente, cercando qualche segno che mi facesse capire come si sentiva, al di là di quell’espressione inscalfibile che aveva deciso nuovamente di indossare. Era più pallido del solito, aveva occhiaie profonde, il suo respiro sembrava irregolare. Qualcosa non quadrava. Che giorno era? Quando c’era stata l’ultima luna piena?
«Xiaolang, dovresti nutrirti» lo redarguì sua madre apparendo al suo fianco dal nulla, non celando la preoccupazione.
Hoe? Non voleva?
«Non serve.» La voce gli uscì in un soffio.
«Ma quanto meno per cominciare…»
Scosse la testa lievemente e mi rivolse una breve occhiata devastata prima di sollevarsi, sbandando.
Mi sentii come colpita da un fulmine e scattai seduta, sconvolta.
«Hai combattuto sotto l’influenza della luna piena?!»
«Significa solo che ci vorrà un po’ più del solito a guarire, non preoccuparti» mi mise a tacere, avviandosi verso chissà dove.
Ignorando Tomoyo-chan mi alzai a mia volta, sentendomi tutto girare. Fortunatamente ritrovai l’equilibrio da sola, per cui mi affrettai a raggiungerlo nel corridoio. Lo tirai per un braccio, costringendolo a voltarsi verso di me.
«Non posso fare nulla per te?»
«No» rispose secco, con fin troppa prontezza e durezza.
Dovevo ragionare, e in fretta. Certamente non era in mio potere alleviare le sofferenze della trasformazione, ma almeno le ferite… La madre aveva parlato di nutrirsi, lui aveva detto che non sarebbe servito… Ma ciò sarebbe valso anche se avesse bevuto il mio sangue?
Deglutii a fatica, quasi certa che mi avrebbe rifiutata.
«N-non… non posso neppure aiutarti col mio sangue…?»
Sostenne per un po’ il mio sguardo senza battere ciglio, per poi rivolgermi un mezzo sorriso diagonale, con amarezza.
«Rischierei di ucciderti, e a te non importa?»
«La tua salvezza è più importante della mia vita» riuscii a rivelargli, con coraggio.
Scosse la testa, appoggiando la schiena alla parete, facendosi sostenere. Ormai lo conoscevo abbastanza da capire che fingeva di stare bene solo per non farmi preoccupare.
«Non sto rischiando la morte.»
«Ma stai soffrendo» puntualizzai.
Gli presi entrambe le braccia e mi inginocchiai, tirandolo giù lievemente. Lui non fece resistenza e si abbassò alla mia altezza, sedendosi a terra. Notai una leggera punta di sollievo farsi largo sul suo volto, apparentemente inespressivo.
«E io voglio aiutarti» aggiunsi risoluta.
«Perché?»
Tolsi la benda messa con cura da mia cugina, facendola cadere sul pavimento, mentre borbottavo: «Non sopporterei l’idea di non aver fatto nulla per te, pur avendo la consapevolezza che avrei potuto fare tantissimo… quantomeno per affievolire il tuo dolore.»
«Hai già perso troppo sangue» ribatté, cocciuto.
Stava trovando tutte le scuse. Mi imbronciai, rivolgendogli un’occhiata mogia.
«Non voglio andare via senza riuscire a darti neppure una parte di me…» Avvicinai la ferita al suo viso, guardandolo supplichevole. «Mi fai solo questo favore? Mi prometti di avere cura di te stesso?»
Spalancò gli occhi, stupito. In questi vidi raccogliersi delle minuscole lacrime, alcune scivolarono giù, rigandogli le guance, sbigottendomi. Abbassò le palpebre e schiuse le labbra, rinunciandoci.
Sorrisi tra me, posando il polso su di esse, facendo sì che il mio sangue le bagnasse.
Chiusi a mia volta gli occhi, sentendomi soddisfatta. Mi bastava questo. Mi bastava salvarlo, ricambiando quel che aveva fatto per me. Per quanto paresse dilaniarmi il cuore, non importava se non mi ricambiava. Non importava se non mi amava. Non importava se non mi avesse mai baciata. Solo con questo, speravo di fargli cambiare idea su se stesso. Lui non era un assassino.
«Sei un salvatore, Syaoran-kun» mormorai con un lieve sorriso, guardandolo.
Lo vidi riaprire flebilmente le palpebre, le sue iridi scure si fusero con l’oro e la ruggine, creando un nuovo colore sorridente. La sua bocca era ancora posata sulla mia pelle, mentre leccava e succhiava il mio sangue, senza mordermi sebbene avvertissi i suoi canini affilati pungere contro essa, sicuramente desiderosi di ottenere di più. Evidentemente non cedeva al suo istinto per non farmi ancora più male. E probabilmente, questo sarebbe stato il massimo dell’intimità che avremmo mai vissuto insieme.
Ma a me sarebbe bastato. Doveva bastare, dovevo necessariamente farmelo bastare, per sempre.
  
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