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Autore: Sabriel Schermann    03/05/2020    10 recensioni
Era quasi sera e una bambina dai vestiti stracciati camminava sola, alla ricerca di un po’ di cibo.
Qualsiasi evento fosse accaduto, si era ripromessa di non dimenticare il proprio nome e da dove provenisse; il vento l’ascoltava con folate sommesse, unico testimone di quella supplica silenziosa.
Ma un fragore improvviso l'interruppe.
Tutto suggeriva che l'animale più pericoloso avesse trovato la sua preda.
[Storia classificata al primo posto parimerito al contest "Seasons Die One After Another" indetto da Laila_Dahl sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Horror, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'La Casa di Cristallo'
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Creature del bosco

 

 

 

 

 

 

 

 

Era quasi sera e una bambina dai vestiti stracciati camminava sola, alla ricerca di un po’ di cibo.
Le scarpette, le più belle che possedesse, erano ormai quasi completamente consumate, nonostante non si fosse mai allontanata troppo dal proprio rifugio. L’autunno aveva lentamente spazzato via lo splendore dell’estate, gli alberi erano ormai secchi e un tappeto di fogliame strepitante era andato creandosi negli ultimi mesi. Sindy aveva intuito la necessità di addentrarsi nel bosco per nutrirsi: la stagione in cui aveva scelto di fuggire non le aveva lasciato che qualche fiore appassito.
Raramente il sole splendeva sulla foresta di Bloemendaal: la bambina ebbe occasione di vederlo soltanto qualche volta; filtrava tra i rami secchi bagnandole il viso come la rugiada sulle fronde, le stesse su cui strisciava la lingua per dissetarsi in assenza di acqua piovana.
Un acquazzone, di quelli in tutta probabilità carichi d'acqua e senza fulmini, era sul punto di abbattersi sulla boscaglia; la piccola tornò in fretta sui suoi passi, raggiungendo il proprio rifugio, dove i rami degli alberi spogli si erano naturalmente congiunti in una forma simile a quella di una ciotola.
Era quella la sua unica fonte di salvezza: sentiva di poter resistere alla fame, ci aveva fatto l’abitudine all’orfanotrofio, quando la signora Matilde la mandava a letto senza cena per risparmiare un pasto offerto da qualche buonuomo. La sete, tuttavia, l’aveva spinta a coprire quei rami con qualche foglia ancora morbida, in modo che l’acqua non fuoriuscisse dalle fenditure.
La bambina incrociò le gambe a terra, in trepidante attesa della pioggia: «Mi chiamo Sindy e sono nata il tredici giugno del millenovecentonovanta» disse a voce alta, ripetendo la frase come un mantra.
Qualsiasi evento fosse accaduto, si era ripromessa di non dimenticare il proprio nome e da dove provenisse, anche se faticava a ricordare come avesse avuto accesso a quei dati: all’orfanotrofio non festeggiavano mai alcun compleanno, se non quello del maestro e della signora Matilde.
Nessuno aveva mai voglia di celebrare quelle ricorrenze, ma la quantità di cibo superiore al normale aveva un gran potere sui bambini. Solamente in tali occasioni Sindy aveva potuto assaggiare dei dolci: in particolare, rammentava il gusto nauseabondo di una strana crema dalla consistenza di una nuvola.
La tempesta non accennava a cominciare e la stanchezza si faceva sentire. Le bastava sedersi sul terreno per appisolarsi, pur consapevole di quanto fosse pericoloso.
Ma, in fondo, che cos’aveva da perdere? Se anche fosse morta, che cosa le sarebbe importato? Non conosceva nemmeno il significato di quella parola.
Tuttavia, Sindy non avrebbe potuto appisolarsi con la vescica piena. Normalmente le bastava allontanarsi dal rifugio, ma c’era ancora parecchia luce e temeva che qualcuno – o qualcosa – potesse trovarla e riportarla indietro.
Cominciò quindi a incamminarsi nuovamente, nonostante i piedini le facessero un gran male; l’inverno stava arrivando, lo sentiva nell’aria: gli uccelli avevano smesso di cantare e il bosco si stava lentamente trasformando nel luogo più silenzioso della città. La stagione le aveva permesso di non soffrire ancora il freddo, nemmeno di notte: il cappottino scarlatto – ormai divenuto vermiglio – era abbastanza pesante da mantenere la temperatura stabile anche durante le tormente di vento, poco rare in una zona costiera come quella in cui si era ritrovata a vivere.
Ad ogni passo, continuava a ripetere: «Mi chiamo Sindy e sono nata il tredici giugno del millenovecentonovanta...»
Il vento l’ascoltava con folate sommesse, unico testimone di quella supplica silenziosa.
«...vengo da Bloemendaal, nella provincia dell’Olanda Settentrionale, nei Paesi Bassi».
Ma non riuscì a terminare la frase, interrotta da un fragore improvviso.
Subito, i piedini si arrestarono sulle foglie secche e tutti i sensi si risvegliarono: il cuore cominciò a battere più veloce, tanto che temeva le fuoriuscisse dal petto.
Rimase immobile per qualche minuto, consapevole che, se si fosse mossa, le foglie avrebbero cominciato a gracchiare sotto le suole. Qualsiasi cosa fosse, chiunque fosse stato, non doveva trovarla per alcuna ragione.
Fu allora che Sindy percepì un movimento dinanzi a sé, come se qualcuno fosse appena balzato fuori dal proprio nascondiglio dopo averla spiata: non avrebbe saputo dire con esattezza di che cosa si trattasse, ma aveva visto qualche immagine simile sui libri all’orfanotrofio; uno in particolare, Il regno degli animali, ospitava varie fotografie di un esemplare analogo.
Le orecchie pelose si muovevano in scatti repentini, le fauci si aprivano in ringhi più o meno acuti.
Tremava visibilmente quella piccola creatura, pur consapevole che nessun animale sarebbe mai stato pericoloso quanto un uomo.
Gli occhi ambrati della bestia si piantarono nei suoi per qualche istante, le zampe si mossero un poco in avanti: non guardarlo, non guardarlo, gridava ogni cellula del suo corpicino, ma le pupille non ubbidivano, come ipnotizzate.
Tutto suggeriva che l'animale avesse trovato la sua preda; l’ennesimo ringhio, più acuto degli altri, le ancorò le suole al terreno, nella speranza che una voragine si aprisse sotto di lei, segregandola per sempre nelle viscere più profonde della Terra.
Poi, un boato improvviso rese tutto ciò che accadde dopo troppo confuso per essere ricordato con lucidità: lo aveva sentito vicino, troppo vicino, ma ciò le diede l'impulso che necessitava per infilarsi tra i nugoli di foglie che il vento aveva riunito sulla via della fuga: la paura, questa volta, le era stata complice e amica.
Quegli occhi color miele sarebbero comparsi nei suoi sogni per un po’ di tempo, diminuendo progressivamente fino a dileguarsi nel baratro della memoria.
La bambina si coricò sul letto ispido, respirando a bocca aperta per alcuni minuti, fino a quando le prime gocce di pioggia non la obbligarono a tirarsi in piedi; ciò che Sindy scorse in quel momento, invece, non sarebbe stato dimenticato altrettanto facilmente.
La bestia sconosciuta se ne stava ora distesa sul terreno in una posizione innaturale: uno strano liquido vermiglio sgorgava dal suo ventre, creando velocemente una piccola pozza acquosa intorno al corpo. Quel frastuono infernale, simile a un boato che squarcia il cielo notturno, doveva essere lo stesso che aveva inferto il colpo di grazia a quell'esemplare tanto pericoloso quanto innocente.
Sindy non aveva mai visto un animale morto e il puzzo che emanava, unito all'odore della pioggia che scrosciava, la costrinse ad indietreggiare. Il timore che la bestia potesse risvegliarsi da un momento all'altro, o che il cacciatore fosse ancora nei paraggi, le infondeva terrore e adrenalina insieme: una sensazione che aveva provato soltanto durante quelle notti all'orfanotrofio, quando percepiva dei passi leggeri intorno ai letti.
Solamente quando si accovacciò accanto alla bestia notò uno squarcio all'altezza dell'addome, dal cui costato pendevano alcuni lembi di carne.
Chi lo aveva ucciso si era anche premurato di squartarlo, forse in cerca di qualcosa, forse per assicurarsi che fosse morto per davvero. Nonostante la giovane età, Sindy sapeva che al mondo esistessero adulti che si divertivano con tali brutalità.
Gli occhi erano ancora aperti e le ciglia nivee erano imperlate di gocce trasparenti.
Assicurandosi che nessuno la vedesse – chi mai poteva giungere nella foresta in pieno acquazzone? – Sindy allungò la manina chiudendoli, per poi sfiorare quel pelo morbido come lo aveva sempre immaginato.
«Mi dispiace…» si lasciò sfuggire in un sussurro. Era la prima volta che parlava con qualcuno che non fosse se stessa, da quando era fuggita nella foresta.
Il suo cuore di bambina provava una gran pena per l'animale, e un immenso disprezzo per chi lo aveva condannato a morte; la carne, però, l’attirava come un piatto prelibato attira un mendicante. Il pensiero di ingerire della carne cruda e insanguinata la disgustava; tuttavia, era consapevole che un’occasione simile, in tutta probabilità, non le sarebbe più capitata.
Forse la carne infilata tra le costole poteva essere più morbida da masticare.
Forse...
Sindy infilò la mano nel costato, voltandosi per il disgusto. Le ossa erano sottili e appuntite e gli organi interni della bestia erano chiaramente visibili da quella prospettiva.
Le scarpette erano ormai immerse nel sangue e la parte inferiore del cappotto era tornata quasi del colore originale.
Scostando la mano in uno scatto, la bambina si graffiò con una costola, scivolando all'indietro nel liquido viscoso. Non se n'era accorta, ma il cadavere aveva cominciato ad attirare gli insetti, che ne avrebbero lentamente succhiato ogni fibra esistente.
Il cuoricino ricominciò a battere forte, sopraffatto dalla paura, dalla ripugnanza e dall’orrore.
Con i vestiti insanguinati, Sindy corse a perdifiato il più lontano possibile da quella bestia e dagli uomini.
Sindy aveva quasi dieci anni, e non avrebbe compreso la realtà fino a quando non sarebbe stata adottata e cresciuta nella civiltà della capitale, molto lontano da quei luoghi e dai lupi.

   
 
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