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Autore: hirondelle_    03/05/2020    1 recensioni
[Mai/Zuko] [accenno alla Katara/Aang] [TEMATICHE DELICATE] [gravidanza, parto, tematica dell'aborto]
Sapeva di averla innervosita, perché nella sua espressione contrita si fece largo una smorfia di rabbia. “Già, il bambino…” mormorò Mai, “Che senso ha tutto questo, se poi sono costantemente costretta a scegliere tra lui e Zuko?”
Katara scosse la testa. “Non ti viene chiesto di scegliere.”
“Hai ragione. Non avrebbe senso, in ogni caso.” Il braccio di Mai scattò e il frusciare delle sue vesti sembrò nascondere per un momento il tremore nella sua voce. I suoi occhi gelidi si piantarono su quelli di Katara, quasi a sfidarla. “Sacrificherei qualunque cosa per Zuko, fosse anche questa vita.”
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aang, Katara, Mai, Zuko | Coppie: Mai/Zuko
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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DISCLAIMER: Questa storia è ambientata 4/5 anni dopo la fine della guerra ed è collegata (ma non è realmente necessaria la lettura) a un'altra mia fanfiction (a questo link: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3896856&i=1). In questa fanfiction Katara, Aang, Mai e Zuko vivono insieme al Palazzo Reale della Nazione del Fuoco. Non ho letto i fumetti.
Buona lettura!

 
A TALE OF LOVE, BIRTH AND DEATH
Love 1/2
 

Il carro in cui si erano rifugiati per sfuggire all’esplosione odorava terribilmente di fuliggine, sangue e carne bruciata. Katara teneva tra le braccia il corpo esamine di Aang, svenuto dopo essere entrato nello stato dell’Avatar; ma i suoi occhi erano rivolti verso Zuko, colmi di orrore, ed era uno sguardo che Mai avrebbe visto anche nei suoi, se si fosse specchiata. “Fa’ vedere,” disse brusca, la voce di un’ottava più alta del normale. “Zuko, fa’ vedere,” ripeté più forte, mentre la voce le tremava.
Lui emise un grugnito sordo, appiattito contro la parete del mezzo, lontano abbastanza dal suo sguardo allarmato e inquisitore. Quando si voltò appena verso Katara fu lei la prima delle due a muoversi: lasciò Aang e si precipitò verso di lui, aprendo la fiaschetta che portava al fianco e constatando l’ovvio: “Quest’acqua non mi basterà di certo!”
“Faremo meglio a sbrigarci allora,” disse Mai con un nodo alla gola, “rientriamo e facciamoci aiutare dalle guaritrici”
“Se pensate che ricrescerà, ho una brutta notizia per voi”, ringhiò Zuko, mostrando solo in quel momento il moncherino.
Il silenzio che proseguì a quelle parole fu quasi agghiacciante.
Katara si avvicinò a Zuko prendendogli delicatamente la spalla, l’unica parte integra del lato destro del Signore del Fuoco. “Non…” balbettò, pallida, “Non è possibile…”
Zuko si limitò soltanto a tossire e ad accasciarsi contro la parete del carro, perdendo finalmente i sensi. Una chiazza di sangue prese lentamente a formarsi attorno a lui.
La guaritrice non perse un secondo. Il carro venne a quel punto permeato dei rumori delle ruote sull’acciottolato e gli strappi delle sue vesti, divisi meticolosamente a strisce; quando ne fu soddisfatta di ciò che aveva addosso rimase solo la sottoveste. “Mai, devi aiutarmi,” chiamò, “Devo fermare il sangue.”
Non ottenendo risposta Katara si voltò verso la regina e la visione quasi la costrinse a distogliere lo sguardo. La donna si stava limitando a guardarla, pietrificata, una mano sul ventre tondo e un pallore quasi alieno a illuminarle il viso scarno. Non credeva di aver mai visto una persona più sconvolta e afflitta, nemmeno nei momenti peggiori di quella guerra; ma forse a inquietarla era il fatto che fino a pochi momenti prima non avrebbe mai pensato di vedere in quello stato proprio la signora del fuoco che aveva imparato a conoscere e amare.
“Mai!” la chiamò ancora, quasi disperata, e forse questo bastò a riportarla in sé, o forse fu il sussulto di quella carrozza improvvisata quando nella corsa colpì un ciottolo dissestato. Mai scosse la testa e si avvicinò gattoni, sussultando un “sì”.
Prontamente si mise alle spalle del marito e accolse il suo capo tra le ginocchia. “Tienilo fermo,” le ordinò Katara, mentre procedeva a stringere un lungo nastro nero attorno a ciò che rimaneva del braccio di Zuko, con tutta la forza che aveva. “Assicurati che il viso non arrossisca troppo, se succede, fa’ in modo di tenergli la testa alzata”.
“Sì,” ripeté debolmente Mai, mentre Katara iniziava a fasciare la ferita. Non sarebbe bastato, lo sapeva. In cuor suo sperava solamente di raggiungere al più presto il palazzo reale, e affidarsi agli antichi metodi di cauterizzazione delle guaritrici del fuoco; un campo con cui le sue tecniche non avrebbero potuto di certo competere. Dentro di sé, sapeva di non essersi mai sentita così inutile, e prima ancora che il pensiero le si presentasse alla mente le prime lacrime iniziarono a sgorgare impietose. Ma le mani erano troppo immerse in quell’orrore di sangue, carne e ossa per poterle fermare, e presto si fecero strada anche i primi singhiozzi.
La pressione che la mano di Mai le fece sul braccio arrivò improvvisa e risoluta; “Non ti fermare,” le disse la regina, puntando gli occhi su di lei. Aveva riacquisito la sua consueta determinazione, e nel cuore di Katara si fece strada un sentimento di forte ammirazione per la giovane donna. Annuì e tornò a occuparsi della ferita, sapendo che solo il tempo avrebbe saputo dire che ne sarebbe stato di Zuko; e lei aveva intenzione di risparmiarne il più possibile.

La vecchiaccia rugosa che stava visitando Zuko in quel momento non le era mai andata a genio. Sempre accigliata, testarda come un mulo, e a suo parere troppo attaccata alle tradizioni della sua gente per ascoltare davvero cosa aveva da dire; ma per la salute di Zuko, era inevitabile che sarebbero venute a patti. La donna stava cospargendo la ferita di Zuko con un unguento grigio e maleodorante che aveva finito per prevalere sui delicati incensi dell’infermeria; lei stessa avrebbe fatto volentieri a meno di contemplarne l’esistenza. Ma per Zuko poteva sopportarlo.
L’anziana guaritrice sembrò soddisfatta solo dopo diversi minuti e si rivolse all’assistente al suo fianco pronunciando qualcosa di incomprensibile, in quel linguaggio che lei personalmente non aveva mai imparato a decifrare. Katara aveva una teoria a riguardo, e cioè che la ragione per quei suoni apparentemente insensati fossero per il fatto che le era stata tagliata la lingua da Ozai; forse per il suo ruolo scomodo all’interno della corte o forse, più malignamente, per il suo fare insopportabile. Katara si limitava ad apprezzare che avesse al suo fianco una fidata interprete, e a osservarne il talento nel filtrare il palese astio della vecchia nei suoi confronti.
“Per fortuna la ferita di Sua Altezza non ha dato segni di infezione. Sua Altezza avrà bisogno di molto riposo,” tradusse meccanicamente la giovane infermiera, con un sorrisetto freddo. “Si rende noto che per la guarigione della ferita di Sua Altezza sarà determinante la fase di cicatrizzazione, la cui cura sarà a lei affidata, maestra Katara”.
Katara roteò gli occhi a quell’ultimo appunto: sapeva bene che la traduzione non poteva essere stata letterale, e quello che l’anziana intendeva era qualcosa di ben diverso… probabilmente un insulto nei suoi confronti. In un certo senso, le parole che seguirono sembrarono confermarlo.
“Si rende altresì noto,” proseguì infatti l’interprete, “che in questa fase saranno di vitale importanza tutte le bevande e gli unguenti che l’Illustrissima prescriverà, senza eccezioni”.
“Ho capito,” rispose Katara con un sospiro. Non voleva certamente imbracciare di nuovo una questione così spinosa: entrambe le parti ormai conoscevano fin troppo bene le sue opinioni riguardo certi metodi guaritivi. Era tuttavia abbastanza sicura che sopravvalutassero il suo rispetto per l’autorità: non dovevano di certo sapere cosa ne avrebbe fatto della maggior parte di quelle poltiglie.
“Contiamo su di lei per la pronta e completa guarigione di Sua Altezza,” continuò la donna, senza perdere il suo sorriso sghembo, “L’Illustrissima sarà a sua disposizione per qualsiasi evenienza”.
Le parole che si fecero strada nella mente di Katara sembrarono non riflettersi nel suo rispettoso inchino: ‘Grazie, a mai più arrivederci’.
L’anziana e l’assistente, dopo averle dettato una lunga e fitta lista di medicinali di assai discutibile effetto alleviante, se ne andarono senza aggiungere molto altro. Quando le porte si chiusero dietro di loro, l’istinto più infantile della ragazza l’avrebbe invitata a direzionare una sonora linguaccia, se non fosse che nella stanza, assieme a lei, c’era anche la signora del fuoco.
“Non dovresti essere così prevenuta, la medicina tradizionale della nazione del fuoco ha molti benefici,” le ricordò Mai, seduta composta accanto al letto del marito, “Potrà sembrarti molto diversa dall’arte del tuo dominio, ma penso che prima di tutto dovresti darle una possibilità.”
“Lo so,” borbottò affranta la guaritrice, sistemandosi al suo fianco. “ma permettimi di dire che difficilmente della bava di rospo aiuterebbe Zuko in queste condizioni”.
Mai sorrise, “Forse hai ragione. Ma sono contenta nel sapere che sta bene.”
Katara annuì e il suo sguardo si spostò sul ragazzo addormentato placidamente tra le voluminose coperte di raso. Il color vinaccia delle lenzuola faceva da contrasto al pallore quasi etereo del signore del fuoco, al punto che Katara dovette resistere all’impulso di voltare i capo dall’altra parte. Il suo sguardo si fissò sul leggero alzarsi e abbassarsi del petto di Zuko, quasi ipnotico nella sua regolarità.  Se avesse avvicinato l’orecchio, forse avrebbe potuto sentirlo respirare lievemente: un contrasto crudele con l’ansimare sconnesso di Mai, ancora ben impresso nella sua mente, come se fosse stata ancora su quel carro. “Eri molto preoccupata…” mormorò soltanto, non sapeva se a sé stessa o alla regina.
Mai sembrò non dare peso a quelle parole; come se del resto lei stessa non volesse ripensare a quei momenti. “Chi non lo sarebbe stato in quella situazione? È mio marito,” rispose solo.
“Lo so,” disse Katara, e tacque per qualche attimo. Zuko sembrò agitarsi nel sonno, come se volesse una posizione più comoda; sovrappensiero, la guaritrice si limitò a sistemare i cuscini che sostenevano il braccio mutilato, facendo attenzione a non sfiorarlo nemmeno. Lo sentì pesante contro la stoffa, come se fosse appartenuto a qualcun altro. Un altro pensiero le pizzicò la nuca. “Sai, Mai, non posso fare a meno di sentirmi in colpa per quanto è successo,” confessò, rimettendosi seduta.
“Non potevamo prevedere che il sotterraneo contenesse degli esplosivi, e soprattutto così potenti,” rispose Mai. Per un momento parve ribellarsi a quella pena e si alzò in piedi, distogliendo lo sguardo, fino ad avvicinarsi alle enormi aperture affacciate verso est. La notte giungeva al termine, e così i suoi orrori. Lo sguardo della regina si fece più distante. “Capisco cosa vuoi dire,” disse dopo un po’, “il mio compito è quello di proteggerlo, e non ne sono stata all’altezza.”
Tra tutte le risposte che si aspettava di ricevere, Katara trovò che quella fosse una delle più dolorose. Quando si girò verso di lei, Zuko parve per un attimo scomparire; come se quella rivelazione fosse bastata a cancellarlo, momentaneamente, dall’elenco delle sue preoccupazioni. “Mai!” esclamò, “Non puoi pensare una cosa simile! Nelle tue condizioni, hai fatto più di quanto avresti dovuto!”
Le parole di Katara portarono le mani di Mai nel gesto automatico e famigliare di cingersi il ventre gonfio. “Nelle mie condizioni, dici…” mormorò, continuando a guardare ostinatamente l’orizzonte. “Questa gravidanza non mi ha mai ostacolata. Ho sempre fatto tutto ciò che volevo, fino ad ora. Essere incinte non dovrebbe essere la scusa della propria debolezza.”
Katara sgranò gli occhi, non riuscendo a carpire il senso delle sue parole. “Ma che stai dicendo?”
“Dico solo che ho fallito, Katara.” rispose Mai, impassibile.
Fu il turno di Katara di alterarsi, la fronte aggrottata e i pugni stretti. “Non so a cosa ti riferisci, onestamente. È stata una missione molto pericolosa e sei stata proprio tu a tirarci tutti fuori da lì. Hai portato in salvo noi, Zuko e il bambino. Dio, Mai, hai pugnalato il capo dell’organizzazione di fronte ai nostri occhi!” si fermò, come se le parole le costassero fatica. “Non so come sarebbe andata a finire senza di te. E noi che invece… ti avevamo chiesto di rimanere a palazzo.”
Sapeva di averla innervosita, perché nella sua espressione contrita si fece largo una smorfia di rabbia. “Già, il bambino…” mormorò Mai, “Che senso ha tutto questo, se poi sono costantemente costretta a scegliere tra lui e Zuko?”
Katara scosse la testa. “Non ti viene chiesto di scegliere.”
“Hai ragione. Non avrebbe senso, in ogni caso.” Il braccio di Mai scattò e il frusciare delle sue vesti sembrò nascondere per un momento il tremore nella sua voce. I suoi occhi gelidi si piantarono su quelli di Katara, quasi a sfidarla. “Sacrificherei qualunque cosa per Zuko, fosse anche questa vita.”
Ora Katara poteva sentirlo, Zuko. I suoi sospiri ovattati, l’impercettibile battito del suo cuore che andava via via confondendosi con il proprio, in una morsa strettissima. Mai la stava ancora guardando e nel suo sguardo vi scorse l’implicazione di quelle parole: nella sua esplosione di ira irrazionale, nel contorcersi del suo pensiero labirintico, le stava impartendo un ordine a cui Katara non era sicura di poter obbedire.
“Non puoi fare sul serio.” disse, annichilita. “Tu non sei così, Mai.”
“Che ne sai di come sono?” mormorò la regina, voltandosi nuovamente a osservare l’esterno del palazzo, senza realmente vedere. “Nemmeno tu sacrificheresti Zuko per questo bambino. Non essere ipocrita”.
Katara si alzò, non riuscendo più a dissimulare la sua rabbia. Strinse i pugni e urlò. “Farei qualsiasi cosa per Zuko! E porterei in salvo entrambi! Non ci penserei un solo attimo!”
“Davvero?” la derise Mai, rivolgendole uno sguardo sprezzante. “Raccontami di quella volta in cui ti sei trovata nella mia posizione. La posizione di dover scegliere”.
Quelle parole colpirono Katara come una sberla.
La guaritrice rimase immobile per qualche tempo, poi si sedette di nuovo sulla sedia, gli occhi fissi sulla Signora del Fuoco. Ogni energia nel suo corpo sembrava essere scivolata via, come una chiazza di colore slavata dalle onde. L’immagine inquietò Mai, che ammutolì. Le due donne rimasero in silenzio a osservarsi, l’una di fronte all’altra. In Katara, la regina lesse la costernazione, e per la volta in vita sua ne rimase intimorita: istintivamente fece un passo indietro, colpita da quello sguardo disperato e angosciato.
Quando Katara rispose all’invettiva, le parole suonarono pesanti sulla sua lingua.
“Tu non hai conosciuto la mia guerra”.
La sua guerra. Mai inspirò, forse rendendosi conto solo in quel momento di quello che era appena successo. Sul suo viso era sbocciata una nota di vergogna mista ad apprensione, ma non disse niente, e si lasciò scivolare addosso le parole di Katara come un secchio di acqua gelida.
“Vai a dormire, Mai.”
La regina si mosse rapida verso l’uscita della stanza e imboccò il corridoio ad ampie falcate, senza voltarsi indietro nemmeno una volta.

   
 
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