Capitolo primo. Un momento da soli con l'ignoto, azzera il mondo, immagina casa.
«Ti hanno dato tutto ciò di cui disponevano, hanno votato la loro vita per la tua causa, ora ti chiedo, anzi, pretendo, che li ripaghi del loro sacrificio! Permettigli di essere artefici del loro destino e di ritrovarsi ancora» – Da che ha memoria, sente una voce familiare ripetere questa frase all'infinito nella sua mente, facendogli intuire che c'è una soluzione a quella sensazione di vuoto che lo logora da dentro.
Le
giornate sono tutte uguali, buie,
umide, la routine si ripete all'infinito: svegliarsi, lottare,
sfamarsi, dormire e ripetere.
Ha come la sensazione di essere sempre
stato un combattente, oggi come ieri – uno Ieri
a cui non
riesce a dare una forma, ma sa esserci
stato – continua a lottare per scacciare il peso della
solitudine:
sa
che se non continua
a reagire finirebbe col rinunciare alla ricerca di quel qualcosa
che potrebbe liberarlo dal buio della sua esistenza.
Sente di essere allo stremo, la corazza
dura inizia a cedere, i troppi scontri l'hanno segnato in maniera
indelebile, innumerevoli cicatrici serpeggiano sul suo corpo che
sente indebolirsi giorno dopo giorno, la vista è parziale e
gli
permette di distinguere solo alcune ombre nel buio che lo circonda.
Però, nonostante tutte queste
aggravanti, sa che
quando si
troverà di fronte quel qualcosa
riuscirà a distinguerlo.
Nei
rari momenti in
cui il buio non lo circonda si ritrova a volare con la mente in
luoghi sconosciuti, alberi che si stagliano infiniti nel cielo,
praterie senza fine, al fianco una presenza costante che lo stimola
ad andare più avanti, ad osare di più del giorno
precedente.
In altri momenti
quella presenza lo conforta alla luce della candela che rischiara un
ambiente dalle pareti di pietra, umido e un po' angusto, ma che
comunque ha il sapore di casa: in quei momenti c'è aroma di
tè
nell'aria, parole sussurrate e altre non dette, tocchi fugaci, quasi
rubati a qualcosa di più grande.
È quella presenza
che sa di dover cercare, oggi come allora gli da la forza di tirare
avanti.
Purtroppo questi
fugaci attimi di libertà sono sempre troppo brevi ed
è sempre più
doloroso tornare all'ombra che lo circonda e lo inghiotte ogni volta
sempre un po' di più.
Tutto
sembra
proseguire in un ciclo infinito fino a quando, inaspettatamente, un
giorno come un altro, tutto cambia.
Il mondo attorno a
lui inizia a tremare, rumori assordanti gli annebbiano i sensi, cerca
di rintanarsi in quella oscurità che l'ha accolto fino a
quel
momento e che non era poi tanto inospitale se confrontata con quel
baccano infernale.
Quel trambusto dura
per ore, forse giorni, non ha il coraggio di abbandonare il suo
rifugio, poi così come è iniziato, tutto tace:
rimane solo con un
leggero calpestio ovattato di passi e un leggero fascio luce che
filtra da una fessura di fronte a lui.
Raggiunge quello spiraglio e con una
curiosità che non gli appartiene guarda oltre:
è così che il buio della sua
esistenza viene rischiarato per
sempre e la realtà acquisisce una nuova dimensione,
tutto è
grande,
molto più grande di
quello che aveva sempre creduto.
L'ambiente è familiare e sconosciuto
al tempo stesso.
Lui conosce quel posto, le pareti
stuccate non dovrebbero essere così chiare, c'era della
pietra– la
finestra non avrebbe dovuto avere un vetro– c'è
troppa luce–
scuote il capo cercando di ridare ordine a quelle strane immagini che
iniziano a sovrapporsi e torna a focalizzarsi sul presente.
Quando
una porta
viene chiusa sente il pavimento vibrare per dei passi che gli
permettono di rivalutare la sua prospettiva: non è il mondo
attorno
ad essere grande ma lui ad essere basso ed insignificante, la
superficie lucida accanto a lui riflette impietosa un essere
grottesco dalle molte zampe, scuro e informe.
D'istinto
corre a nascondersi, non ha mai visto una cosa così
ripugnante– o
forse sì.
Quando si accorge
che quell'essere sembra sparito nel nulla esce dal nascondiglio ed
è
allora che lo rivede e capisce: quell'essere distorto e
raccapricciante è lui.
Alza
un arto sottile e allungato davanti al suo raggio visivo, ne alza un
altro e il suo equilibrio viene meno – “Non
è
possibile”
– Eppure è la
verità.
Lancia un'occhiata
fugace all'altra persona nella stanza, che ignara del suo tormento
pulisce un tavolo canticchiando, prima di rintanarsi in un buco buio
e cercare di capire qualcosa di più.
Ha capito di essere
un ragno, eppure non ha mai avuto la sensazione di esserlo, ma come
avrebbe potuto capirlo quando viveva nell'oscurità? E poi
quelle
immagini, quei sogni così vividi da sembrare
reali…
La risata del
coinquilino lo distoglie dai suoi pensieri e lo attira, lo ammalia.
È
una risata sincera, squillante, familiare.
«No mamma, tranquilla, sì lo
so–
no, non c'è nessuno– no… MAMMA! NO! Non
c'è bisogno che tu
venga! Mamma! Se vuoi venire in visita, e sottolineo visita, sei la
benvenuta, ma non pensare di trasferirti qui! È casa mia!
–Beh non
proprio ma hai capito» La voce
è profonda e calorosa.
Come una falena
verso la fiamma viene attirato verso l'estraneo, si arrampica fino a
raggiungere un piano più elevato e studia la figura del
giovane che
è ancora impegnato a parlare al telefono, appoggiato al
tavolo con
un fianco e una mano tra i capelli castani.
È lui.
Sta
ridendo per
qualcosa che ha detto l'altra persona, quella risata che lo attira e
lo chiama fuori dall'oblio, si gratta il capo– forse in
imbarazzo,
le ciocche castane gli cadono scomposte e ribelli attorno al viso
dall'incarnato ambrato. Una leggera peluria gli adombra la parte
inferiore del viso, come a leggergli nel pensiero accarezza il
leggero accenno di barba contropelo per poi grattarsi in maniera
distratta, annuisce col capo affrettandosi a replicare verbalmente
quando si ricorda che l'interlocutore non può vederlo.
Lo
sguardo è assorto, sa che la mente è lontana da
quella
conversazione, quante volte l'ha visto perdersi nei suoi
pensieri–
Eren. Non riesce a
chiamarlo, quello che crede un bofonchio è solo uno sfregare
di
zannette e niente più.
L'oggetto della sua
ricerca è di fronte a lui e non potrebbe essere
più lontano di
così.
*
Stanno condividendo il
loro rituale serale, la debole luce della candela riscalda
l'ambiente, nell'aria il distintivo aroma di agrumi e tè. La
giornata è passata tranquilla, gli allenamenti non troppo
pressanti
e non c'è nessuna spedizione in programma, possono godersi
un po' di
meritato riposo fisico e mentale.
Si perde ogni tanto a
guardare la figura vicino a lui, i gomiti si accarezzano in maniera
casuale, sotto al tavolo le gambe fanno altrettanto in quella
conversazione fatta di gesti e occhiate fugaci.
Distratto com'è non si
accorge di niente e l'urlo decisamente poco virile del
ragazzo– «Capitano attento! La sua
mano–».
I riflessi allenati gli
permettono di fermare l'altro prima che commetta l'irreparabile
«È
solo un ragnetto Eren». Lo ammonisce rilasciandone la mano
calda.
«Ma Capitano, è pericoloso!» L'occhiata
traversa che gli
riserva riesce a farlo tacere.
«I ragni sono esseri
superiori Eren, mia madre mi raccontava sempre che anche le
più
grandi divinità fanno affidamento ai ragni per tessere il
destino
degli umani, pensaci, così piccoli eppure così
efficienti e letali»
Il ragnetto incriminato è
lontano dalla loro conversazione, ma lo sguardo di entrambi
è sul
punto in cui stava per essere ucciso. «E le ragnatele? Lei
odia lo
sporco»
«È un compromesso
accettabile, le mosche sono molto più ripugnanti,
mangia-merda a
tradimento … zzzh–
bzz–
bzz– un fastidioso rumore lo ridesta dal torpore dei suoi
sogni.
Proprio un esemplare di quella sudicia
razza è arrivata nella sua ragnatela, è
così che capisce che il
suo odio per le mosche non solo viene rinnovato, ma anche fomentato.
Un ricordo così piacevole interrotto da quella bestia
immonda è
più per frustrazione che per fame che se ne ciba.
Nonostante abbia provato ad isolarsi
da
tutto, il suo udito finissimo è sempre stato sintonizzato
sulla voce
del coinquilino, in quei giorni ha imparato alcune cose sul suo
conto: è all'ultimo anno di università e quella
è la prima
esperienza di vita in solitaria; è riuscito a raggiungere un
compromesso con la madre iperprotettiva – o morbosamente
curiosa,
parole sue – e a ritagliarsi un suo primo spazio nel mondo.
Il ragazzo odia gli spazi rumorosi,
gli innescano spiacevoli attacchi d'ansia, e preferisce non stare a
contatto con troppe persone per lo stesso motivo, è per
questo che
ha optato per una sistemazione non convenzionale.
La
proprietà in cui risiedono è un vecchio castello,
proprietà estiva
di un amico di famiglia, in cui gli è stato proposto vitto e
alloggio insieme ad un modesto compenso mensile per dei piccoli
lavori di ristrutturazione e manutenzione.
Tutto
ciò l'ha estrapolato dalle chiacchierate che gli sente
quotidianamente fare con i suoi conoscenti.
Rimuginando
su questi pensieri torna in cima al mobilio per osservare il
protagonista dei suoi pensieri.
Sta
asciugando dei piatti, l'attenzione e la cura con cui controlla se
sono rimaste macchie o aloni è ammirevole. Bofonchia tra
sé e sé
quando ne trova una e procede a lavarla di nuovo: acqua calda
– che
gli brucia le mani visto il movimento repentino con cui ritira la
mancina dopo aver controllato la temperatura – insapona e
risciacqua.
Solo se
il risultato è soddisfacente e appoggia la stoviglia insieme
alle
altre nel mobile.
Il
fischio del bollitore richiama la sua attenzione e subito lo spegne
preparando la teiera, l'aroma di agrumi riempie l'aria quasi
all'istante e si trova nuovamente trascinato in quel torpore di
sensazioni che hanno il sapore di casa. La luce che filtra dalla
finestra si sta affievolendo, la notte prossima e il ragazzo accende
solo una lampada che scalda l'ambiente proprio come nelle sue
memorie.
Senza
rendersene conto si è spinto più avanti,
abbandonando il suo porto
sicuro e avvicinandosi all'oggetto dei suoi desideri, è
seduto al
tavolo e soffia sul tè per raffreddarlo mentre tiene le mani
salde
attorno alla tazza per scaldarsi. Alcune ciocche di capelli scivolano
dal codino in cui sono raccolti e gli ciondolano attorno al viso, la
zampa che alza a mezz'aria gli ricorda la reale distanza fra loro, la
ritrae, pur desiderando di poter spostare anche solo una ciocca
dietro l'orecchio e lasciare libere le gemme preziose che sono i suoi
occhi.
Sospirando
si sistema i capelli da solo, si alza e torna con un libro colmo di
segnalibri, lo appoggia sul tavolo con un tonfo aprendolo e
affondandoci il naso estraniandosi dal mondo.
Decide
di osare di più – ormai il nascondiglio
è lontano –, non
sopporta di vivere un'esistenza nel buio e soprattutto, un'esistenza
lontana da Eren. Forse sono essere gli ultimi giorni che passano
insieme e vuole raggiungere tutto ciò che gli è
concesso.
Il
calore della teiera lo pietrifica, si accorge solo in quel momento di
essere arrivato più vicino di quello che si era prefissato,
davanti
a sé si trova lo schienale della sedia su cui è
seduto Eren.
La
schiena è larga, il ragazzo è sempre stato
dannatamente alto, nota
che ha mantenuto il
vizio di sfregarsi la nuca per poi affondare la mano fra i capelli
massaggiandosi il capo– ricorda
come gli piacesse quando si prendeva la
libertà di farlo…
«Ahia
scotta–» La sedia
stride e si trova faccia a faccia col ragazzo.
Deglutisce,
o crede di farlo– si porta le zampette davanti per paura, il
sogno
ancora vivido nella sua mente, forse non aveva messo in conto tutti i
rischi, ma la botta non arriva e riapre gli occhi: il ragazzo lo sta
studiando incuriosito.
Il viso
è molto vicino e ne sente il fiato caldo contro il muso.
«Hey,
credevo di aver pulito tutto per bene, devo averti distrutto la
ragnatela– eppure…». È
rilassato mentre parla, non resiste e
alza una zampetta, vorrebbe tanto accarezzarlo, il ragazzo sorride
maggiormente e “batte il cinque” con una penna.
“Comprensibile”
«Piacere
sono Eren, e tu dovresti essere un Eremita– anche se un po'
malconcio»
È
basito, non ha cercato di ucciderlo, ritrae la zampa e rimane fermo a
guardarlo armeggiare con qualcosa e troppo distratto dal contatto
insperato si trova imprigionato da un bicchiere e un pezzo di carta.
«Ora
scusami ma è meglio se tu stai in un posto che ti si addice
di più»
“No!
Non allontanarmi” Può solo sbattere le zampette
contro la
superficie fredda, il calore della mano si irradia attraverso carta,
non fa in tempo ad apprezzarlo che si ritrova al freddo e al buio
fuori dalla finestra.
La luce
della lampada rimane accesa per poco dopo il suo sfratto, Eren lancia
un'occhiata nella sua direzione prima di spegnere tutto e dirigersi
verso la camera da letto.
Dopo un primo smarrimento iniziale decide di non arrendersi, non si lascerà lasciare indietro così, ha superato ostacoli più grandi di una finestra chiusa. Il calore della memoria si fonde col calore che ha sentito irradiarsi dal palmo e capisce che non vuole rinunciarci. La vita è troppo breve e ignora quanto possa restargli in quella forma, di certo non sprecherà quei momenti al freddo e lontano da Eren.
*
Viene
ri-sbattuto fuori casa altre tre volte e riesce a rientrare quattro
prima di ottenere il riconoscimento reciproco di coinquilino.
«Hai
vinto, dopotutto eri qui prima di me»– è
tutto ciò che gli dice
quando – sempre col sorriso – gli permette di
restare, il suo
rifugio è stato pulito, ma il ragazzo non gli impedisce di
tornare
nei suoi anfratti preferiti.
La
convivenza prosegue senza problemi, si instaura un rapporto strano
tra loro due, lui sa che
c'è qualcosa di più che li unisce, Eren al
contrario ignora questo
dettaglio, ma lo tratta comunque con tutto il rispetto che si darebbe
ad un coinquilino.
Le
cose procedono tranquille, tranne quando dei piccoli cambiamenti
vengono apportati alla loro routine. Come il giorno del
quasi–incidente–
come l'ha definito il ragazzo.
Eren
aveva passato una nottataccia a rigirarsi nel letto in preda ad
incubi, e lui ad inseguire una dannata zanzara che osava disturbare
il sonno già abbastanza agitato dell'umano.
La
mattina seguente non si era mosso dalla tana per la preda un po'
indigesta ed Eren aveva iniziato il suo solito giro settimanale di
pulizie.
Intontito
dal sonno e un po' spossato dall'ansia che continuava ad
attanagliarlo da dentro non si era accorto, se non troppo tardi, di
una ragnatela che aveva risucchiato con l'aspirapolvere e della
mancanza del ragno.
L'attacco
d'ansia era peggiorato irrimediabilmente e aveva iniziato a ribaltare
i mobili alla ricerca del compagno, che spuntò dopo un po'
sentendosi chiamare a gran voce.
Da quel
giorno ogni volta si assicura di averlo sottocchio quando fa le
pulizie e lui di rimando gli va incontro ogni volta che rientra a
casa e alla sera quando è ora di coricarsi si dirigono in
camera
insieme, dove ha provveduto a costruire una tana dietro al comodino.
A lui
sta bene questa nuova routine che si è instaurata, non si
sente né
animale di compagnia, né una presenza scomoda, si sente a
casa;
questo è quello che continua a raccontarsi per cercare di
ignorare
la sensazione scomoda che gli attanaglia le viscere.
Se c'è
una cosa che ha imparato, è che quando qualcosa sembra
andare bene,
è destinata a cambiare per evolvere in qualcos'altro di
inaspettato.
Non sempre in negativo, però lui non è pronto per
cambiare nulla.
Si
attarda sul comodino quando Eren è già
addormentato, ne osserva il
profilo illuminato dalla luna, i capelli sciolti gli circondano il
viso rilassato, la fronte alta, il naso dritto e leggermente a punta
che poi scende verso le labbra piene.
Quanto
vorrebbe poterlo sfiorare– e allora decide di farlo.
Cammina
fin sul cuscino e con delicatezza si avvicina al viso e finalmente
con una zampetta riesce a sfiorare l'incarnato caldo, purtroppo non
riesce a saggiarne la morbidezza – maledette zampe di ragno.
“Eren”
In un
attimo la quiete e la calma vengono turbate e il viso del ragazzo si
contorce in un'espressione di dolore, la bocca si apre e si chiude, i
denti digrignano e poi inizia a rigirarsi nel letto in preda al
tormento.
Cos'ha
combinato?! È di sicuro colpa sua! Si sente impotente come
mai in
vita sua, vorrebbe poterlo chiamare, dirgli che va tutto bene, che
è
al sicuro, ma non può.
Si
maledice all'infinito per non essersi saputo accontentare, per non
essersi fatto bastare la vicinanza del giovane.
Maledice
la sua curiosità e la sua disperazione. Eren ora sta male
per colpa
sua!
Si
arrovella nella ricerca di una soluzione, ignora quell'impulso
viscerale che gli dice di tessere, di fare ciò che ogni
ragno fa per
vivere – tessi la tela e sciogli i nodi.
Tessi la tela e sciogli i
nodi, tessi la tela– Scuote la
testa, è la cosa più stupida che potesse venirgli
in mente, gli
basta uno sguardo al tormento del giovane per convincersi di tentare
– non è che possa fare nient'altro.
Rapido
raggiunge la testata del letto e qui inizia a tessere, si lancia da
destra a sinistra, avanti e indietro, cerca di tessere una delle
più
belle e intricare ragnatele della sua breve vita aracnoide,
è
impegnato nel lavoro quando sente la bava sotto le zampe iniziare a
vibrare, come quando rimangono impigliati degli insetti.
La
vibrazione si fa sempre più intensa obbligandolo a fermarsi
per
cercare l'insolente che ha il coraggio di distrarlo in un momento
così importante, sotto di lui Eren sembra in un tormento
anche
maggiore.
Osserva
attento la ragnatela e poi li vede, dei piccoli grumi di tela, eppure
è stato attentissimo!
Torna
sui suoi passi a sciogliere l'errore, con movimenti rapidi e precisi
scioglie il filo ingarbugliato, ogni volta che gli sembra di esserci
riuscito il maledetto si aggroviglia maggiormente come per magia.
Frustrato
prova a morderlo per romperlo, gli occhi di Eren si spalancano e si
richiudono, il respiro si fa sempre più rapido. Morde e tira
ed è
allora che qualcosa si spezza.
È caldo, un
caldo
insopportabile, vorrebbe togliersi la pelle se possibile, tutto
attorno sangue e fetore di carne arrostita.
La testa pulsa, fa male,
chiude gli occhi ma il dolore è sempre presente e aumenta
inesorabile, prova ad afferrare la testa tra le mani, vorrebbe
poterla sbattere contro qualcosa, spaccarla, pur di avere un po' di
tregua.
Urla, chiama, nessuno
risponde.
Si sente tremendamente
solo, abbandonato, più sprofonda nell'oblio e più
l'agonia si fa
insopportabile, prova di nuovo a chiamare quel nome, lo urla con
tutto se stesso ed è allora che vede un raggio di luce.
«Va tutto bene moccioso»
Il tono scherzoso con cui lo chiama non riesce a mascherarne la
preoccupazione, non riesce a vederlo, ma sente il proprio corpo
venire prelevato da quella trappola infernale e finalmente riesce a
respirare.
Quando riapre gli occhi
si trova nella solita cella, si alza di scatto facendo cadere la
pezza umida che aveva appoggiata sulla fronte, sente un po' di
movimento accanto a lui e una mano fresca gli sfiora la fronte per
poi accarezzargli una guancia. «Come stai?» Non
riesce a
identificare il volto dello sconosciuto, ma la sua preoccupazione
è
balsamo per il suo animo tormentato.
La bocca impastata gli
impedisce di rispondere e la testa gli gira un po'.
Accetta il bicchiere
d'acqua che gli viene offerto, la mano dell'altro lo aiuta nel
sorreggerlo, le dita si intrecciano e non si mollano nemmeno quando
il bicchiere viene rimosso.
«Meglio» Riesce a
rispondere a nemmeno lui sa chi.
«Mi fa piacere» – lo
sente sussurrare, vede un sorriso distendere le labbra severe di quel
viso nell'ombra e poi le sente appoggiarsi morbide sulla sua fronte.
«Dormi tranquillo» Gli sussurrano ad un soffio
dalla sua pelle e
fin dentro l'anima al tempo stesso.
Il sonno
di Eren finalmente si rilassa, il nodo che teneva tra le zanne
è
sparito e gli è rimasta solo una sensazione dolciastra in
bocca,
pulisce le zanne e cerca di memorizzarla nella mente.
Non ha
capito cos'è successo, però il viso non
più solo rilassato ma
anche sorridente di Eren è la ricompensa più
grande che potesse
ricevere.
La
ragnatela si scioglie e cade bagnando il viso, una lacrima leggera
scivola tra le ciglia lunghe fino a bagnare il cuscino, un nome
scappa inconsapevolmente dalle labbra del ragazzo ma le sue orecchie
sempre attente lo sentono. “Sono qui” prova
comunque a
rispondere.
Con la
testa pesante e il cuore più leggero si ritira nella sua
tana, se
questo è il cambiamento può farci l'abitudine.
Note di un'autrice pigra e incocludente.
Diciamo che la situazione che stiamo vivendo mi ha portato a viaggiare altrove con la testa e così ho deciso di rimettermi davanti ad una tastiera e di alleggerire un po' il carico mentale.
Ho il computer pieno di storie
già scritte a cui manca solo un finale, però
questa ha preso il sopravvento, è conclusa e in fase di
revisione., la fic si comporrà di tre capitoli in totale.
La considero una fiaba anomala, si può considerare
conseguente ad un eventuale finale del manga. Ci tengo a precisare che
non ci sono spoiler sul finale canonico, ciò a cui si
farà riferimento sono episodi fittizi ambientati nel canon.
Ringrazio infinitamente tutte quelle buonanime che continuano a sopportarmi nonostante gli altri e bassi. (DropOfJupyter parlo di te!)