Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ylpeis    04/05/2020    2 recensioni
[Riren] [Modern Au] [Menzione di Ragni]
Sente di essere allo stremo, la corazza dura inizia a cedere, i troppi scontri l'hanno segnato in maniera indelebile, innumerevoli cicatrici serpeggiano sul suo corpo che sente indebolirsi giorno dopo giorno, la vista è parziale e gli permette di distinguere solo alcune ombre nel buio che lo circonda.
Una vita spesa a cercare e poi quando si ritrova l'oggetto della sua ricerca di fronte, si rende conto che non potrebbe essere più irraggiungibile.
Però non si è mai dato per vinto e non succederà nemmeno questa volta.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo primo. Un momento da soli con l'ignoto, azzera il mondo, immagina casa.

«Ti hanno dato tutto ciò di cui disponevano, hanno votato la loro vita per la tua causa, ora ti chiedo, anzi, pretendo, che li ripaghi del loro sacrificio! Permettigli di essere artefici del loro destino e di ritrovarsi ancora» – Da che ha memoria, sente una voce familiare ripetere questa frase all'infinito nella sua mente, facendogli intuire che c'è una soluzione a quella sensazione di vuoto che lo logora da dentro.

Le giornate sono tutte uguali, buie, umide, la routine si ripete all'infinito: svegliarsi, lottare, sfamarsi, dormire e ripetere.
Ha come la sensazione di essere sempre stato un combattente, oggi come ieri – uno Ieri a cui non riesce a dare una forma, ma sa esserci stato – continua a lottare per scacciare il peso della solitudine: sa che se non continua a reagire finirebbe col rinunciare alla ricerca di quel qualcosa che potrebbe liberarlo dal buio della sua esistenza.
Sente di essere allo stremo, la corazza dura inizia a cedere, i troppi scontri l'hanno segnato in maniera indelebile, innumerevoli cicatrici serpeggiano sul suo corpo che sente indebolirsi giorno dopo giorno, la vista è parziale e gli permette di distinguere solo alcune ombre nel buio che lo circonda.
Però, nonostante tutte queste aggravanti, sa che quando si troverà di fronte quel qualcosa riuscirà a distinguerlo.

Nei rari momenti in cui il buio non lo circonda si ritrova a volare con la mente in luoghi sconosciuti, alberi che si stagliano infiniti nel cielo, praterie senza fine, al fianco una presenza costante che lo stimola ad andare più avanti, ad osare di più del giorno precedente.
In altri momenti quella presenza lo conforta alla luce della candela che rischiara un ambiente dalle pareti di pietra, umido e un po' angusto, ma che comunque ha il sapore di casa: in quei momenti c'è aroma di tè nell'aria, parole sussurrate e altre non dette, tocchi fugaci, quasi rubati a qualcosa di più grande.
È quella presenza che sa di dover cercare, oggi come allora gli da la forza di tirare avanti.
Purtroppo questi fugaci attimi di libertà sono sempre troppo brevi ed è sempre più doloroso tornare all'ombra che lo circonda e lo inghiotte ogni volta sempre un po' di più.

Tutto sembra proseguire in un ciclo infinito fino a quando, inaspettatamente, un giorno come un altro, tutto cambia.
Il mondo attorno a lui inizia a tremare, rumori assordanti gli annebbiano i sensi, cerca di rintanarsi in quella oscurità che l'ha accolto fino a quel momento e che non era poi tanto inospitale se confrontata con quel baccano infernale.
Quel trambusto dura per ore, forse giorni, non ha il coraggio di abbandonare il suo rifugio, poi così come è iniziato, tutto tace: rimane solo con un leggero calpestio ovattato di passi e un leggero fascio luce che filtra da una fessura di fronte a lui.
Raggiunge quello spiraglio e con una curiosità che non gli appartiene guarda oltre: è così che il buio della sua esistenza viene rischiarato per sempre e la realtà acquisisce una nuova dimensione, tutto è grande, molto più grande di quello che aveva sempre creduto.
L'ambiente è familiare e sconosciuto al tempo stesso.
Lui conosce quel posto, le pareti stuccate non dovrebbero essere così chiare, c'era della pietra– la finestra non avrebbe dovuto avere un vetro– c'è troppa luce– scuote il capo cercando di ridare ordine a quelle strane immagini che iniziano a sovrapporsi e torna a focalizzarsi sul presente.

Quando una porta viene chiusa sente il pavimento vibrare per dei passi che gli permettono di rivalutare la sua prospettiva: non è il mondo attorno ad essere grande ma lui ad essere basso ed insignificante, la superficie lucida accanto a lui riflette impietosa un essere grottesco dalle molte zampe, scuro e informe.
D'istinto corre a nascondersi, non ha mai visto una cosa così ripugnante– o forse sì.
Quando si accorge che quell'essere sembra sparito nel nulla esce dal nascondiglio ed è allora che lo rivede e capisce: quell'essere distorto e raccapricciante è lui.
Alza un arto sottile e allungato davanti al suo raggio visivo, ne alza un altro e il suo equilibrio viene meno – “Non è possibile” – Eppure è la verità.
Lancia un'occhiata fugace all'altra persona nella stanza, che ignara del suo tormento pulisce un tavolo canticchiando, prima di rintanarsi in un buco buio e cercare di capire qualcosa di più.
Ha capito di essere un ragno, eppure non ha mai avuto la sensazione di esserlo, ma come avrebbe potuto capirlo quando viveva nell'oscurità? E poi quelle immagini, quei sogni così vividi da sembrare reali…
La risata del coinquilino lo distoglie dai suoi pensieri e lo attira, lo ammalia. È una risata sincera, squillante, familiare.
«No mamma, tranquilla, sì lo so– no, non c'è nessuno– no… MAMMA! NO! Non c'è bisogno che tu venga! Mamma! Se vuoi venire in visita, e sottolineo visita, sei la benvenuta, ma non pensare di trasferirti qui! È casa mia! –Beh non proprio ma hai capito» La voce è profonda e calorosa.
Come una falena verso la fiamma viene attirato verso l'estraneo, si arrampica fino a raggiungere un piano più elevato e studia la figura del giovane che è ancora impegnato a parlare al telefono, appoggiato al tavolo con un fianco e una mano tra i capelli castani.

È lui.

Sta ridendo per qualcosa che ha detto l'altra persona, quella risata che lo attira e lo chiama fuori dall'oblio, si gratta il capo– forse in imbarazzo, le ciocche castane gli cadono scomposte e ribelli attorno al viso dall'incarnato ambrato. Una leggera peluria gli adombra la parte inferiore del viso, come a leggergli nel pensiero accarezza il leggero accenno di barba contropelo per poi grattarsi in maniera distratta, annuisce col capo affrettandosi a replicare verbalmente quando si ricorda che l'interlocutore non può vederlo.
Lo sguardo è assorto, sa che la mente è lontana da quella conversazione, quante volte l'ha visto perdersi nei suoi pensieri– Eren. Non riesce a chiamarlo, quello che crede un bofonchio è solo uno sfregare di zannette e niente più.
L'oggetto della sua ricerca è di fronte a lui e non potrebbe essere più lontano di così.

*

Stanno condividendo il loro rituale serale, la debole luce della candela riscalda l'ambiente, nell'aria il distintivo aroma di agrumi e tè. La giornata è passata tranquilla, gli allenamenti non troppo pressanti e non c'è nessuna spedizione in programma, possono godersi un po' di meritato riposo fisico e mentale.
Si perde ogni tanto a guardare la figura vicino a lui, i gomiti si accarezzano in maniera casuale, sotto al tavolo le gambe fanno altrettanto in quella conversazione fatta di gesti e occhiate fugaci.
Distratto com'è non si accorge di niente e l'urlo decisamente poco virile del ragazzo– «Capitano attento! La sua mano–».
I riflessi allenati gli permettono di fermare l'altro prima che commetta l'irreparabile «È solo un ragnetto Eren». Lo ammonisce rilasciandone la mano calda.
«Ma Capitano, è pericoloso!» L'occhiata traversa che gli riserva riesce a farlo tacere.
«I ragni sono esseri superiori Eren, mia madre mi raccontava sempre che anche le più grandi divinità fanno affidamento ai ragni per tessere il destino degli umani, pensaci, così piccoli eppure così efficienti e letali»
Il ragnetto incriminato è lontano dalla loro conversazione, ma lo sguardo di entrambi è sul punto in cui stava per essere ucciso. «E le ragnatele? Lei odia lo sporco»
«È un compromesso accettabile, le mosche sono molto più ripugnanti, mangia-merda a tradimento …
zzzh– bzz– bzz– un fastidioso rumore lo ridesta dal torpore dei suoi sogni.
Proprio un esemplare di quella sudicia razza è arrivata nella sua ragnatela, è così che capisce che il suo odio per le mosche non solo viene rinnovato, ma anche fomentato.
Un ricordo così piacevole interrotto da quella bestia immonda è più per frustrazione che per fame che se ne ciba.

Nonostante abbia provato ad isolarsi da tutto, il suo udito finissimo è sempre stato sintonizzato sulla voce del coinquilino, in quei giorni ha imparato alcune cose sul suo conto: è all'ultimo anno di università e quella è la prima esperienza di vita in solitaria; è riuscito a raggiungere un compromesso con la madre iperprotettiva – o morbosamente curiosa, parole sue – e a ritagliarsi un suo primo spazio nel mondo.
Il ragazzo odia gli spazi rumorosi, gli innescano spiacevoli attacchi d'ansia, e preferisce non stare a contatto con troppe persone per lo stesso motivo, è per questo che ha optato per una sistemazione non convenzionale.
La proprietà in cui risiedono è un vecchio castello, proprietà estiva di un amico di famiglia, in cui gli è stato proposto vitto e alloggio insieme ad un modesto compenso mensile per dei piccoli lavori di ristrutturazione e manutenzione.
Tutto ciò l'ha estrapolato dalle chiacchierate che gli sente quotidianamente fare con i suoi conoscenti.

Rimuginando su questi pensieri torna in cima al mobilio per osservare il protagonista dei suoi pensieri.
Sta asciugando dei piatti, l'attenzione e la cura con cui controlla se sono rimaste macchie o aloni è ammirevole. Bofonchia tra sé e sé quando ne trova una e procede a lavarla di nuovo: acqua calda – che gli brucia le mani visto il movimento repentino con cui ritira la mancina dopo aver controllato la temperatura – insapona e risciacqua.
Solo se il risultato è soddisfacente e appoggia la stoviglia insieme alle altre nel mobile.
Il fischio del bollitore richiama la sua attenzione e subito lo spegne preparando la teiera, l'aroma di agrumi riempie l'aria quasi all'istante e si trova nuovamente trascinato in quel torpore di sensazioni che hanno il sapore di casa. La luce che filtra dalla finestra si sta affievolendo, la notte prossima e il ragazzo accende solo una lampada che scalda l'ambiente proprio come nelle sue memorie.

Senza rendersene conto si è spinto più avanti, abbandonando il suo porto sicuro e avvicinandosi all'oggetto dei suoi desideri, è seduto al tavolo e soffia sul tè per raffreddarlo mentre tiene le mani salde attorno alla tazza per scaldarsi. Alcune ciocche di capelli scivolano dal codino in cui sono raccolti e gli ciondolano attorno al viso, la zampa che alza a mezz'aria gli ricorda la reale distanza fra loro, la ritrae, pur desiderando di poter spostare anche solo una ciocca dietro l'orecchio e lasciare libere le gemme preziose che sono i suoi occhi.
Sospirando si sistema i capelli da solo, si alza e torna con un libro colmo di segnalibri, lo appoggia sul tavolo con un tonfo aprendolo e affondandoci il naso estraniandosi dal mondo.

Decide di osare di più – ormai il nascondiglio è lontano –, non sopporta di vivere un'esistenza nel buio e soprattutto, un'esistenza lontana da Eren. Forse sono essere gli ultimi giorni che passano insieme e vuole raggiungere tutto ciò che gli è concesso.
Il calore della teiera lo pietrifica, si accorge solo in quel momento di essere arrivato più vicino di quello che si era prefissato, davanti a sé si trova lo schienale della sedia su cui è seduto Eren.
La schiena è larga, il ragazzo è sempre stato dannatamente alto, nota che ha mantenuto il vizio di sfregarsi la nuca per poi affondare la mano fra i capelli massaggiandosi il capo– ricorda come gli piacesse quando si prendeva la libertà di farlo… «Ahia scotta–» La sedia stride e si trova faccia a faccia col ragazzo.
Deglutisce, o crede di farlo– si porta le zampette davanti per paura, il sogno ancora vivido nella sua mente, forse non aveva messo in conto tutti i rischi, ma la botta non arriva e riapre gli occhi: il ragazzo lo sta studiando incuriosito.
Il viso è molto vicino e ne sente il fiato caldo contro il muso. «Hey, credevo di aver pulito tutto per bene, devo averti distrutto la ragnatela– eppure…». È rilassato mentre parla, non resiste e alza una zampetta, vorrebbe tanto accarezzarlo, il ragazzo sorride maggiormente e “batte il cinque” con una penna. “Comprensibile”
«Piacere sono Eren, e tu dovresti essere un Eremita– anche se un po' malconcio»
È basito, non ha cercato di ucciderlo, ritrae la zampa e rimane fermo a guardarlo armeggiare con qualcosa e troppo distratto dal contatto insperato si trova imprigionato da un bicchiere e un pezzo di carta.
«Ora scusami ma è meglio se tu stai in un posto che ti si addice di più»
No! Non allontanarmi” Può solo sbattere le zampette contro la superficie fredda, il calore della mano si irradia attraverso carta, non fa in tempo ad apprezzarlo che si ritrova al freddo e al buio fuori dalla finestra.
La luce della lampada rimane accesa per poco dopo il suo sfratto, Eren lancia un'occhiata nella sua direzione prima di spegnere tutto e dirigersi verso la camera da letto.

Dopo un primo smarrimento iniziale decide di non arrendersi, non si lascerà lasciare indietro così, ha superato ostacoli più grandi di una finestra chiusa. Il calore della memoria si fonde col calore che ha sentito irradiarsi dal palmo e capisce che non vuole rinunciarci. La vita è troppo breve e ignora quanto possa restargli in quella forma, di certo non sprecherà quei momenti al freddo e lontano da Eren.

*

Viene ri-sbattuto fuori casa altre tre volte e riesce a rientrare quattro prima di ottenere il riconoscimento reciproco di coinquilino. «Hai vinto, dopotutto eri qui prima di me»– è tutto ciò che gli dice quando – sempre col sorriso – gli permette di restare, il suo rifugio è stato pulito, ma il ragazzo non gli impedisce di tornare nei suoi anfratti preferiti.

La convivenza prosegue senza problemi, si instaura un rapporto strano tra loro due, lui sa che c'è qualcosa di più che li unisce, Eren al contrario ignora questo dettaglio, ma lo tratta comunque con tutto il rispetto che si darebbe ad un coinquilino.

Le cose procedono tranquille, tranne quando dei piccoli cambiamenti vengono apportati alla loro routine. Come il giorno del quasi–incidente– come l'ha definito il ragazzo.
Eren aveva passato una nottataccia a rigirarsi nel letto in preda ad incubi, e lui ad inseguire una dannata zanzara che osava disturbare il sonno già abbastanza agitato dell'umano.
La mattina seguente non si era mosso dalla tana per la preda un po' indigesta ed Eren aveva iniziato il suo solito giro settimanale di pulizie.
Intontito dal sonno e un po' spossato dall'ansia che continuava ad attanagliarlo da dentro non si era accorto, se non troppo tardi, di una ragnatela che aveva risucchiato con l'aspirapolvere e della mancanza del ragno.
L'attacco d'ansia era peggiorato irrimediabilmente e aveva iniziato a ribaltare i mobili alla ricerca del compagno, che spuntò dopo un po' sentendosi chiamare a gran voce.
Da quel giorno ogni volta si assicura di averlo sottocchio quando fa le pulizie e lui di rimando gli va incontro ogni volta che rientra a casa e alla sera quando è ora di coricarsi si dirigono in camera insieme, dove ha provveduto a costruire una tana dietro al comodino.

A lui sta bene questa nuova routine che si è instaurata, non si sente né animale di compagnia, né una presenza scomoda, si sente a casa; questo è quello che continua a raccontarsi per cercare di ignorare la sensazione scomoda che gli attanaglia le viscere.
Se c'è una cosa che ha imparato, è che quando qualcosa sembra andare bene, è destinata a cambiare per evolvere in qualcos'altro di inaspettato. Non sempre in negativo, però lui non è pronto per cambiare nulla.
Si attarda sul comodino quando Eren è già addormentato, ne osserva il profilo illuminato dalla luna, i capelli sciolti gli circondano il viso rilassato, la fronte alta, il naso dritto e leggermente a punta che poi scende verso le labbra piene.
Quanto vorrebbe poterlo sfiorare– e allora decide di farlo.
Cammina fin sul cuscino e con delicatezza si avvicina al viso e finalmente con una zampetta riesce a sfiorare l'incarnato caldo, purtroppo non riesce a saggiarne la morbidezza – maledette zampe di ragno.
Eren”
In un attimo la quiete e la calma vengono turbate e il viso del ragazzo si contorce in un'espressione di dolore, la bocca si apre e si chiude, i denti digrignano e poi inizia a rigirarsi nel letto in preda al tormento.
Cos'ha combinato?! È di sicuro colpa sua! Si sente impotente come mai in vita sua, vorrebbe poterlo chiamare, dirgli che va tutto bene, che è al sicuro, ma non può.
Si maledice all'infinito per non essersi saputo accontentare, per non essersi fatto bastare la vicinanza del giovane.
Maledice la sua curiosità e la sua disperazione. Eren ora sta male per colpa sua!
Si arrovella nella ricerca di una soluzione, ignora quell'impulso viscerale che gli dice di tessere, di fare ciò che ogni ragno fa per vivere – tessi la tela e sciogli i nodi.
Tessi la tela e sciogli i nodi, tessi la tela– Scuote la testa, è la cosa più stupida che potesse venirgli in mente, gli basta uno sguardo al tormento del giovane per convincersi di tentare – non è che possa fare nient'altro.
Rapido raggiunge la testata del letto e qui inizia a tessere, si lancia da destra a sinistra, avanti e indietro, cerca di tessere una delle più belle e intricare ragnatele della sua breve vita aracnoide, è impegnato nel lavoro quando sente la bava sotto le zampe iniziare a vibrare, come quando rimangono impigliati degli insetti.
La vibrazione si fa sempre più intensa obbligandolo a fermarsi per cercare l'insolente che ha il coraggio di distrarlo in un momento così importante, sotto di lui Eren sembra in un tormento anche maggiore.
Osserva attento la ragnatela e poi li vede, dei piccoli grumi di tela, eppure è stato attentissimo!
Torna sui suoi passi a sciogliere l'errore, con movimenti rapidi e precisi scioglie il filo ingarbugliato, ogni volta che gli sembra di esserci riuscito il maledetto si aggroviglia maggiormente come per magia.
Frustrato prova a morderlo per romperlo, gli occhi di Eren si spalancano e si richiudono, il respiro si fa sempre più rapido. Morde e tira ed è allora che qualcosa si spezza.

È caldo, un caldo insopportabile, vorrebbe togliersi la pelle se possibile, tutto attorno sangue e fetore di carne arrostita.
La testa pulsa, fa male, chiude gli occhi ma il dolore è sempre presente e aumenta inesorabile, prova ad afferrare la testa tra le mani, vorrebbe poterla sbattere contro qualcosa, spaccarla, pur di avere un po' di tregua.
Urla, chiama, nessuno risponde.
Si sente tremendamente solo, abbandonato, più sprofonda nell'oblio e più l'agonia si fa insopportabile, prova di nuovo a chiamare quel nome, lo urla con tutto se stesso ed è allora che vede un raggio di luce.
«Va tutto bene moccioso» Il tono scherzoso con cui lo chiama non riesce a mascherarne la preoccupazione, non riesce a vederlo, ma sente il proprio corpo venire prelevato da quella trappola infernale e finalmente riesce a respirare.
Quando riapre gli occhi si trova nella solita cella, si alza di scatto facendo cadere la pezza umida che aveva appoggiata sulla fronte, sente un po' di movimento accanto a lui e una mano fresca gli sfiora la fronte per poi accarezzargli una guancia. «Come stai?» Non riesce a identificare il volto dello sconosciuto, ma la sua preoccupazione è balsamo per il suo animo tormentato.
La bocca impastata gli impedisce di rispondere e la testa gli gira un po'.
Accetta il bicchiere d'acqua che gli viene offerto, la mano dell'altro lo aiuta nel sorreggerlo, le dita si intrecciano e non si mollano nemmeno quando il bicchiere viene rimosso.
«Meglio» Riesce a rispondere a nemmeno lui sa chi.
«Mi fa piacere» – lo sente sussurrare, vede un sorriso distendere le labbra severe di quel viso nell'ombra e poi le sente appoggiarsi morbide sulla sua fronte. «Dormi tranquillo» Gli sussurrano ad un soffio dalla sua pelle e fin dentro l'anima al tempo stesso.


Il sonno di Eren finalmente si rilassa, il nodo che teneva tra le zanne è sparito e gli è rimasta solo una sensazione dolciastra in bocca, pulisce le zanne e cerca di memorizzarla nella mente.
Non ha capito cos'è successo, però il viso non più solo rilassato ma anche sorridente di Eren è la ricompensa più grande che potesse ricevere.
La ragnatela si scioglie e cade bagnando il viso, una lacrima leggera scivola tra le ciglia lunghe fino a bagnare il cuscino, un nome scappa inconsapevolmente dalle labbra del ragazzo ma le sue orecchie sempre attente lo sentono. “Sono qui” prova comunque a rispondere.
Con la testa pesante e il cuore più leggero si ritira nella sua tana, se questo è il cambiamento può farci l'abitudine.





Note di un'autrice pigra e incocludente.

Diciamo che la situazione che stiamo vivendo mi ha portato a viaggiare altrove con la testa e così ho deciso di rimettermi davanti ad una tastiera e di alleggerire un po' il carico mentale.

Ho il computer pieno di storie già scritte a cui manca solo un finale, però questa ha preso il sopravvento, è conclusa e in fase di revisione., la fic si comporrà di tre capitoli in totale.
La considero una fiaba anomala, si può considerare conseguente ad un eventuale finale del manga. Ci tengo a precisare che non ci sono spoiler sul finale canonico, ciò a cui si farà riferimento sono episodi fittizi ambientati nel canon.

Ringrazio infinitamente tutte quelle buonanime che continuano a sopportarmi nonostante gli altri e bassi. (DropOfJupyter parlo di te!)

   
 
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