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Autore: Fre Angel    04/05/2020    0 recensioni
Cristina ha perso la nonna da poco. Si sente smarrita, persa, ma continua la sua vita come se nulla fosse. Un giorno incontra Ginevra, una ragazza misteriosa che sembra leggerle nel pensiero. Come se si trovasse davanti a uno specchio, grazie all'amicizia con Ginevra, Cristina riuscirà a capire meglio se stessa e conoscerà un mondo fantastico, dove tutto è collegato con tutto, e nulla accade per caso.
Genere: Fantasy, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sua nonna amava le ottobrate romane: quando il tempo tornato sereno dalle piogge di settembre invitava la gente a uscire nuovamente. Il sole si manteneva gentile scaldando la pelle rimasta ancora scoperta e donando la solita sensazione che tutto sarebbe andato bene, nonostante l’inverno fosse alle porte. Solo quando il caldo astro spariva dietro l’orizzonte e l’aria diventava fredda, le persone tornavano alla realtà, iniziando a proteggersi con una giacca leggera o una sciarpa di cotone, da un autunno ormai iniziato. Sua nonna non tollerava la sera, o almeno non quella da ottobre in poi. Il freddo, il rimanere a casa, non facevano per lei: anima calda che viveva bene solamente d’estate. Cristina ora la capiva, perché provava la stessa sensazione di nostalgia verso una stagione calda, affollata e rumorosa come l’estate, dal giorno in cui perse sua nonna, e la sua vita decise di catapultarla improvvisamente in una routine fredda, buia e fin troppa solitaria.  
  Guardava Piazza del Popolo con le braccia appoggiate sul muretto del Pincio. I turisti erano tornati a camminare per le vie della Capitale d’Italia e a due anni dalla Pandemia, sembrava che tutto fosse tornato alla normalità. Gli adesivi strappati e rovinati dal tempo sui sedili delle metro erano l’unico ricordo tangibile di quel lungo periodo di pausa dalla vita. Pausa. Sorrideva sempre quando ripensava ai quei mesi definendoli: “pausa”. Aveva letto da qualche parte che la mente tende a ricordare in modo più positivo, come una sorta di protezione. Ma lei aveva appuntato quotidianamente i suoi stati d’animo sul diario, e non erano stati certamente in pausa. Aveva finito il suo percorso di studio da poco, non poteva cercare un lavoro, era costretta a lunghe giornate in casa, ma la sua mente non stava di certo in pausa.        
   Non era più tempo di pensare al passato, di rimpiangere un periodo in realtà così oscuro dove l’incertezza era l’unica certezza che cresceva settimana dopo settimana. Sua nonna, però, in quel periodo era ancora viva. Sospirò scuotendo la testa. Odiava i rimpianti, non guardava di buon occhio rammarichi e ricordi. Il sole, poi, stava sparendo dietro il Cupolone, era tempo di tornare a casa. Percorse viale Gabriele d’Annunzio con lo stesso riguardo di sempre, come se il grande intellettuale che aveva cambiato la letteratura novecentesca cui era dedicata la strada, la seguisse passo dopo passo. In pochi minuti si ritrovò tra i turisti che guardavano estasiati le Chiese gemelle e l’obelisco della piazza. “A volte vorrei non essere nata a Roma solo per venirla a visitare per la prima volta e rimanerne affascinata.” lo pensava sempre, soprattutto quando doveva fermarsi per non passare davanti uno straniero intento a scattare fotografie a una statua, un monumento o un angolo di strada. Le sorridevano sempre, il gesto internazionale del “grazie”, probabilmente, e lei ricambiava con un cenno del capo.
I giocolieri si mischiavano agli artisti di strada. Rimaneva affascinata dagli spettacoli di street dance mentre a una decina di metri un ragazzo cantava Something dei Beatles, una ragazza un brano di una boyband che non conosceva, forse coreana, e un uomo rimaneva immobile a impersonare la Statua della Libertà. Quella era Roma: arte e spettacoli gratuiti a ogni metro, bambini che correvano consumando i sampietrini secolari per inseguire le bolle di sapone. Tutto ciò le riempiva il cuore di gioia, si arricchiva ogni minuto che passava in compagnia della città.
La sera si avvicinava, l’aria si faceva più fresca e con sé non aveva il trench, indumento non necessario quando decise di incamminarsi per Villa Borghese subito dopo pranzo. A via del Babuino si chiedeva come fosse possibile che avesse passato tre ore come se fossero dieci minuti, e all’inizio di via Margutta s’imbatté in una ragazza.    
«Scusami.» disse coprendosi le labbra con le mani, in preda alla vergogna di essere stata così maleducata.       
La ragazza si voltò, scrutandola. Accennò un sorriso, non riprese a camminare. Cristina sentì il suo cuore accelerare senza motivo. «Ti sei persa.»
Era una domanda? Un’affermazione? Non era facile capirlo. «Come? No, abito a pochi metri da qui.»
La ragazza portava un lungo abito bianco, e le sue braccia erano coperte da una giacca jeans chiaro. «Qual è il tuo sogno?»          
Glielo chiese decisa, così decisa che Cristina rimase in silenzio ma non pensò “ecco un’altra matta”, come spesso le capitava girando per Roma. La ragazza si avvicinò, dandole un biglietto. «Mi chiamo Ginevra. Chiamami.»          
Successe tutto in pochi minuti, forse solo secondi: si erano scontrate, si erano parlate e si erano lasciate. La sconosciuta riprese il suo cammino verso Piazza del Popolo, mentre Cristina rimase sola, con il biglietto in mano.
   
 
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