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Autore: RumoreDiFavoleSpente    06/05/2020    0 recensioni
Il mondo è governato dai colori. Ognuno nasce con un colore e rispecchia le qualità e i difetti che ne derivano.
Quattro ragazzi si troveranno a dover fare i conti con il proprio e quello degli altri.
*dal testo
"Francesco era il verde. Il suo bisogno di contatto con la natura lo spingeva a togliersi le scarpe ogni volta che si avvicinava a un prato e a stare a piedi nudi con i fili d’erba che gli solleticavano le dita, respirando l’odore dei fiori e ascoltando il rumore del vento tra le foglie. Il suo sorriso faceva intuire chiaramente quanto grande fosse il suo animo, le sue braccia sempre aperte erano una costante dichiarazione di intenti: vieni qui e abbracciami. "
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Note: è l'elaborazione di un sogno che ho fatto ieri. Mi sono svegliata e ho passato la giornata a scriverla. Siamo in pandemia...ho del tempo. Ho cercato di rendere i colori nel modo migliore possibile senza risultare noiosa. Forse è un po' lunga ma non me la sentivo di dividerla, capitemi. Spero vi piaccia. 

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Anna era seduta al tavolo del parco con i suoi libri di statistica aperti, a leggere interminabili righe sulla significatività di un evento in base alla sua ripetizione nel tempo. Indossava una maglia bianca leggera e dei jeans chiari ma ai piedi aveva le sue immancabili scarpe viola. Così come i suoi orecchini pendenti e le mollette che fermavano i ciuffi biondi dei suoi bei capelli. Perché Anna era il viola. Senza possibilità di replica. L’intelligenza innata che non mancava di dimostrare, la naturalezza con cui riusciva a empatizzare con ogni essere vivente e da questo, il bisogno costante di piacere alle persone risultando spesso apprensiva e impacciata.

Alzava gli occhi, di tanto in tanto, per guardare Francesco che si allenava sul prato. Il suo ragazzo era una gioia per gli occhi e un balsamo per lo spirito. La testa piena di folti ricci marroni, un fisico statuario e un sorriso da togliere il fiato. Francesco era il verde. Il suo bisogno di contatto con la natura lo spingeva a togliersi le scarpe ogni volta che si avvicinava a un prato e a stare a piedi nudi con i fili d’erba che gli solleticavano le dita, respirando l’odore dei fiori e ascoltando il rumore del vento tra le foglie. Il suo sorriso faceva intuire chiaramente quanto grande fosse il suo animo, le sue braccia sempre aperte erano una costante dichiarazione di intenti: vieni qui e abbracciami. E tu non potevi fare altro, perché la fiducia che trasmetteva ti entrava nella pelle e si piantava nelle ossa. Non saresti mai potuta cadere se lo avevi vicino. E lui non se ne sarebbe mai andato, perché era come un albero: una volta messe le radici, non si spostava più. Il cambiamento non era il suo forte.
 
Il mondo era così da quelle parti: ognuno era un colore. Ogni persona era così perché era nata con un colore addosso. E dovevi prenderti il bene e il male di quella situazione. Farci l’abitudine perché non erano concessi cambiamenti.
 
A Caterina questa cosa piaceva, le sembrava molto giusta. D’altronde lei era il giallo e nessun colore le sarebbe mai andato meglio. Certo, il bisogno di essere approvata e ammirata dagli altri rendeva altalenante il suo umore, ma la sua vitalità ed energia la facevano ripartire ogni volta più carica di prima.
E poi aveva suo cugino Nico con sé. Che era il rosso, il sangue, l’energia vitale e la passione in ogni cosa. La responsabilità delle situazioni che a volte lo rendeva troppo serio, quella che lei sapeva smorzare con un sorriso quando era esagerata ma dalla quale si lasciava docilmente ammansire quando la sua mente volava per le tortuose strade dell’immaginazione.
Si compensavano e questo li rendeva perfetti insieme.
Pensava spesso a questa cosa, soprattutto nei lunghi silenzi che caratterizzavano le loro giornate al parco. Lei stesa a pancia in giù sotto il sole, con i lunghi capelli rossi sciolti spostati sul lato e il suo top giallo preferito e lui appoggiato a un albero, gli occhi chiusi e i ricci neri pieni di fiori che lei aveva incastrato come fossero una coroncina. Era una cosa troppo bambinesca per i suoi gusti, ma vedere la cugina sorridere ammorbidiva il suo senso di responsabilità nel dover sembrare sempre perfetto e gli regalava un po’ di pace.
 

L’annusare tipico di un cane e l’umido di un naso sulla guancia risvegliarono bruscamente Cate dal torpore del caldo sole di metà primavera. Sgranò gli occhi e urlò debolmente colta alla sprovvista. Quando si accorse che un giovane border collie la stava fissando si mise a ridere e si lasciò annusare iniziando a coccolarlo.
“NINA! Vieni via da lì! Lascia in pace quella povera ragazza!”
Da poco distante, una morbida voce li raggiunse. Aveva toni profondi che ricordavano le crepe della corteccia di quercia, ammorbiditi dal verde del muschio che spesso ne cresceva sopra.
Francesco stava chiamando la sua cucciola che alzò per un attimo il muso, lo guardò, ma poi tornò a farsi coccolare dalle mani della ragazza che continuava a sorridere.
“Scusala, è ancora piccola. Non risponde sempre quando la chiamo...”
“Non ti preoccupare! È così bella e dolce che si fa perdonare anche l’avermi spaventato.” Ammise Cate ridendo. “Come hai detto che si chiama?”
“Nina” disse lui. “vuol dire graziosa ed è come se lo sapesse. Quando fa qualche marachella ti guarda con quegli occhioni azzurri e sembra dirti ‘scusa, non volevo farti arrabbiare, non sgridarmi, sono troppo carina per essere sgridata’ e devi per forza lasciar perdere” rise rassegnato.
“Hai ragione!” confermò Cate “Sei proprio una ruffiana, Nina!”
“Quanti anni ha?” chiese Nico, svegliato dal chiacchiericcio dei due.
“Uno e mezzo!” rispose l’altro ragazzo. “Comunque io sono Francesco, piacere”
“Caterina, e lui è mio cugino Nico”
“Piacere!” disse Nico allungandosi per stringergli la mano.
Francesco tornò a guardare Nina che giocava con Cate e non poté evitare di guardare la giovane stesa davanti a sé. I capelli rossi potevano ingannare ma il suo spirito di osservazione trovò subito in lei il giallo. Nel chiarore della risata, nella luce che emanava il suo sorriso e nella profondità dei suoi occhi. La sua voce ricordava i petali dei girasoli: brillanti, morbidi ma appuntiti alla fine. Tutto di lei urlava felicità, gioia di vivere e sogni ad occhi aperti. Ma così come la punta del petalo del girasole, anche il suo sorriso aveva un bordo tagliente, una fossetta sul lato destro. Parlava di profonde ferite che il tempo aveva attenuato ma non rimosso, lasciandole a futura memoria e monito per salvaguardarla.
Era una calamita per lui. Come il sole per le foglie degli alberi, che smaniose si lasciavano trasportare dal vento per catturare ogni raggio e crescere un millimetro in più ogni volta. Ma per quanto si sforzassero, non riuscivano mai a toccarlo perché trattenute a terra dai rami attaccati al tronco.
Nina abbaiò e riscosse Francesco dal flusso di pensieri avvinghiato ai suoi capelli mossi dal vento. Sorrise a Cate e prese Nina per il collare “Dai su, andiamo! Torniamo a giocare laggiù!”
Batté le mani e indicò il tavolino da cui una ragazza bionda li stava osservando. Questa sorrise alla cucciola, mosse le mani e allargò le braccia con forza. Nina abbaiò di nuovo e si mise a correre verso la giovane.
“Scusate ancora il disturbo! È stato un piacere, buona giornata!” sorrise e si voltò per andarsene.
“Nessun disturbo, altrettanto!” rispose Cate ricambiando il sorriso.
Continuò a fissare il ragazzo mentre si allontanava. Odorava di sottobosco, di fresco riparo dal sole di mezzogiorno. Gli occhi scuri parlavano di certezze solide, di fiducia, di stupore per ogni nuova vita che popolava il prato o il sentiero in una foresta. Ma raccontavano anche di lunghi silenzi sotto la neve a riflettere e pensare che forse non era proprio quello il posto giusto in cui stare. Però le radici a cui era tanto legato erano lì e se quello era il luogo dove aveva deciso di stare, non poteva essere così sbagliato e lasciava scivolare le incertezze insieme alla prima rugiada del mattino che evaporava, nel migliore dei casi. Altrimenti percorreva la foglia, accumulava altre incertezze e cadeva a terra, andando a bagnare lo spazio tra le radici che poi lentamente le assorbiva, le faceva scorrere lungo il tronco e le ripresentava puntuale dopo qualche tempo al calar della notte.
 
“Sono una bella coppia.” La voce di Nico la riportò alla realtà. Il torno delicato e incurvato come i petali di una rosa, pieno come un bocciolo in completa fioritura riempiva le sue labbra in modo regale. Lasciando però lo spazio anche alle spine. Coppia. L’aveva detto. Ed era stato inaspettato come quando avvicini la mano a un roseto e ti pungi con spina nascosta. Ma prevedibile, perché in verità lo sai che anche il più tenero dei boccioli ha già pronte le sue difese, anche se hai deciso di non pensarci.
Lo guardò e vide nei suoi occhi quella sfumatura nera che ti obbligava al confronto con la realtà. Francesco non era affar suo. E non lo sarebbe diventato. Perché si sarebbe fatta male e questo lo sapevano entrambi.
“Hai ragione. Una bella coppia.” Si voltò di nuovo, appoggiando la testa sulle braccia incrociate come cuscino, puntò gli occhi sui ragazzi nascondendo metà del volto nell’incavo del gomito. Guardò Francesco per l’ultima volta e chiuse gli occhi tornando a godersi il calore del sole sulla schiena.
 
 
 
 
 
 
Qualche tempo dopo la situazione si ripresentò allo stesso modo. Nina tornò ad annusare Cate, chiedendo coccole a non finire e Francesco si ripresentò con una mano tra i capelli e la faccia sconsolata accompagnata da un debole sorriso di scuse.
“Le piaci più di quanto le piaccia io” constatò osservando la cagnolina che si rotolava a pancia in su con una chiara espressione di gioia sul muso
“Ma no! I cani sono accumulatori compulsivi di coccole, più possono averne, più ne chiedono e da più parti possono averne, più ne vanno a cercare. Vedi?” fece notare che adesso la cucciola era tuffata tra le braccia di Nico, riempendolo di leccate, muovendo la coda come fosse impazzita.
“Si...beh. Hai ragione!” ammise.
Guardò la scena e si chiese il perché del tutto. Perché la sua cagnolina lo riportava ogni volta da quei due? Cosa c’era in quelle persone che la attirava così tanto? Cosa attirava tanto anche lui?
Prima di riuscire a darsi una risposta e soprattutto di fermare la sua bocca, disse “Fa caldo oggi, io e la mia ragazza stavamo andando al bar a prendere qualcosa di fresco. Vi unite?”
I due cugini si guardarono. Lo stupore di entrambi passò all’eccitazione nella ragazza che però trovò il duro rifiuto nel ragazzo. Allora comparve la supplica negli occhi di lei e la rassegnazione da lui. Poteva provarci mille volte ma il fallimento davanti allo sguardo sconfitto della cugina era praticamente inevitabile.
Così si ammorbidì e acconsentì, soffocando nell'abbraccio della ragazza che gli aveva appena stampato un sonoro bacio sulla guancia.
Raccolsero le loro cose e si avviarono al bar.
Anna aveva osservato la scena e un moto di rabbia era partito dallo stomaco arrivando dritto al petto. Cosa c’entravano quei due? Chi erano e soprattutto cosa voleva quella ragazza dal suo fidanzato? Avrebbe decisamente mantenuto le distanze, rimarcando i confini e le proprietà.
“Sei sempre la solita impicciona, vero?” rimproverò dolcemente la cagnolina. “Bisogna che la addestri meglio, non possiamo passare la vita a rincorrerla, lo sai!” disse allacciando le braccia al collo del ragazzo. Abbozzò un sorriso inclinando la testa e posò un lungo bacio sulle sue labbra. Il bacio fu lungo, molto lungo. Troppo lungo. Tutti fuori che lei si sentirono a disagio dalla situazione e ringraziarono Nina che prontamente abbaiò riportando l’atmosfera a un livello meno pesante.
“Ehm...si. Ci sto lavorando ma non è così semplice, lo sai!” sorrise imbarazzato Francesco portandosi nuovamente la mano tra i capelli. “Comunque loro sono Caterina e Nico. Nina li ha assaliti di nuovo e mi sembrava carino offrirgli qualcosa per il disturbo”
“Ma quale disturbo! Ti abbiamo già detto che non lo è stata assolutamente! Veniamo volentieri a bere qualcosa con voi ma non ci dovete niente, davvero!” Caterina allungò la mano sorridendo mentre diceva queste cose e strinse quella di Anna che aveva un sorriso quasi tirato sul volto.
“Io sono Anna, la sua ragazza. Ma ve l’ha sicuramente già detto.” L’enfasi con cui sottolineò la parola ‘ragazza’ fece calare di nuovo il gelo tra i presenti e fu Nico questa volta parlare
“Si, è stata la prima cosa che ci ha detto prima di invitarci. Ma hai fatto bene a ribadirlo, chissà quanta gente avrai intorno che pende dalle tue labbra.” disse il ragazzo con tono sarcastico.
Anna arrossì imbarazzata. La frase la lasciò spiazzata. Forse aveva esagerato, ma quello cosa diavolo voleva significare? Caterina si stupì della mossa del cugino. C’era una evidente nota di verità nello scherno della sua frase, e questo le smosse un fremito di curiosità che da tanto non sentiva.
“La prossima volta che mi chiedi perché non hai molti amici ti do un pungo sul naso! Vecchio brontolone!” disse Cate sorridendo e spingendo il cugino che le lanciò uno sguardo truce.
“Io voglio una gassosa con ghiaccio e limone. Se resto ancora un po’ al sole mi sciolgo. Andiamo?” e senza attendere risposta si diresse verso un tavolino al riparo di un ombrellone.
Il pomeriggio passò veloce e parlarono tutti tranquillamente. Niente più scene imbarazzanti a parte Anna che un paio di volte si spinse verso il ragazzo chiedendo esplicitamente un bacio. Nina se ne stava tranquilla sotto il tavolino richiedendo attenzioni a ognuno dei presenti a turno, poggiando il muso sulle ginocchia, per poi tornare a sonnecchiare poco dopo aver ricevuto la sua dose di coccole.
Anna e Francesco stavano insieme da un anno e mezzo, erano passati praticamente subito alla convivenza e a loro dire, questo aveva rafforzato la loro unione. Lei studiava statistica e lui invece scienze motorie. Lei era tutti numeri e comparazioni, lui uno che stava male per più di un giorno dentro casa. Per questo erano così spesso al parco. Lei cedeva alle suppliche del ragazzo di stare in mezzo al verde, rinunciando ai suoi spigoli e lui le concedeva un po’ di riposo dai suoi bisogni di libertà lasciandole spazio per studiare senza rinunciare alla natura e allo stare insieme.
Cate si ritrovò a pensare che il cugino aveva ragione, erano una bella coppia.
Dopo più di tre ore, fiumi di parole e risate cristalline si salutarono. Consapevoli che si sarebbero rivisti a breve. Nina non li avrebbe fatti separare così facilmente.
 
Nico camminava in silenzio accanto una cugina tutta sorrisetti. Quando fu lei a parlare, il sangue quasi gli si gelò nelle vene.
“Chissà quanta gente avrai che pende dalle tue labbra…eh?” chiese ammiccante.
Cercando di mantenere un tono neutro rispose “Ci hai parlato anche tu, è senza dubbio una ragazza intelligente…” abbozzò
“Senza dubbio, ma non è proprio stata quella la prima impressione che ho avuto”
“E da quando tu ti fidi delle prime impressioni?” chiese pungente
“Da mai, ma questo non vuol dire che non ne abbia anche io.” Ribatté piccata. “E comunque era solo una domanda. Non c’è bisogno di mettersi così sulla difensiva.”
“Scusami, hai ragione.” Rispose Nico “…è che sono stanco. È stata una lunga giornata oggi”
“Sono d’accordo. Lunga ma piacevole!” sorrise lei. Prese il cugino sottobraccio e continuarono verso casa.
 
Anna stava preparando la cena mentre Francesco usciva dalla doccia. Restare sotto l’acqua lo rigenerava ogni volta. Si sentiva purificato e nutrito nel profondo. Indossava solo dei pantaloncini sportivi e i ricci bagnati gli gocciavano sulle spalle mentre si avviava verso la cucina.
Alla vista di tanto splendore a Anna mancò un battito ma si riprese subito, fissando furibonda le perle d’acqua che i capelli del fidanzato spargevano per tutta la casa.
“Smettila di gocciolare per la stanza. Non sei certo tu che pulisci né che rischia di cadere sul bagnato!” sputò velenosa.
Francesco le si avvicinò con un sorriso malizioso in volto, la abbracciò saldamente in vita e la costrinse a guardarlo.
“Mi stai bagnando tutta! Lasciam-”
“No. Prima mi devi un bacio, un sorriso e un altro bacio ancora...” disse morbido, bloccandola contro il proprio petto, ponendo fine a ogni protesta.
“Come mai tutta questa...premura?” chiese con una punta di sarcasmo che Francesco ignorò volutamente
“Perché è sempre mia premura avere un po’ di attenzioni dalla mia ragazza, per potergliene dare altrettante” disse avvicinandosi al suo viso, socchiudendo gli occhi.
“Questo è vero” rispose lei interrompendo l’avanzata del ragazzo “Ma come mai proprio oggi?”
“Cosa vuol dire?” chiese confuso senza allentare la presa. Lei lo fissò dritto negli occhi.
“Perché l’ultima volta che l’hai fatto è stato quando Nina è andata per la prima volta da quella ragazza?” chiese seria.
Francesco si stupì. “Di cosa stai parlando? Lo facevo anche prima di incontrare Caterina e continuerò a farlo anche se non la incontrerò più...” ed eccola lì.
L’insicurezza della donna con cui stava condividendo la vita. Quella con cui doveva spesso trovarsi a fare i conti. Quella che gli faceva pensare di non essere abbastanza, che faceva vacillare la sua fiducia in sé stesso. Ecco la somma di tutte quelle piccole gocce di rugiada che ogni notte facevano capolino tra i suoi pensieri e che sperava sparissero con il primo sole del mattino.
Il suo tono era fermo, ma venne tradito da quei puntini di sospensione e dagli occhi che chiedevano fiducia.
Anna sospirò. L’aveva fatto di nuovo. Aveva nuovamente dubitato dell’unica persona che non aveva mai dato segnale di volersi muovere dal suo fianco, aveva permesso ancora una volta alla sua paura di mettere in dubbio la loro relazione. Si era lasciata influenzare dalle statistiche che dicevano che due coincidenze erano una prova.
“Scusami...” disse alla fine. “La giornata è stata lunga e probabilmente sono solo stanca! Vieni qui...” e abbracciando il fidanzato lo baciò dolcemente.
Cenarono senza toccare più l’argomento ma non senza pensarci entrambi.
Andarono a dormire e Anna si accoccolò sul petto di Francesco che la strinse a sé. Si portò una mano sotto la testa e dopo averle dato un bacio si mise a guardare fuori dalla finestra. Non c’erano nuvole e le stelle si vedevano bene. Le giornate si stavano allungando, c’erano più ore di luce che di buio ma questo non avrebbe reso quella notte meno lunga. Almeno per lui.
 
 
La primavera lasciò placidamente il posto all’estate, le giornate divennero più lunghe e calde e il parco si popolava di persone che passavano lì i pomeriggi. Per difendersi dall’afa sotto qualche albero o prendere il sole senza rinunciare agli amici.
I quattro ragazzi iniziarono a frequentarsi abitualmente. Senza programmarlo, si trovavano al parco e basta. Passavano il pomeriggio insieme. Anna studiava al solito tavolino in compagnia di Nico che leggeva qualche libro o disegnava luoghi fantastici e personaggi stravaganti. Era un fumettista. Aveva finito la scuola d’arte anni prima e ora aveva fatto della sua passione un lavoro.
Caterina e Francesco invece giocavano sul prato, alle volte con Nina, a volte lui le mostrava qualche esercizio mentre lei gli parlava dei fiori e degli alberi. Stava studiando per diventare guardia forestale e conoscere ogni pianta o insetto della zona era un requisito fondamentale.
Ma come spesso succede, nessuna situazione è perfetta e priva di rischi. Caterina e Francesco avevano legato molto e questo a Anna non piaceva. Nico l’aveva notato e privatamente l’aveva detto alla cugina che però aveva liquidato la cosa come banale gelosia, dicendo che non c’era niente tra lei e Francesco e che poteva tranquillamente dimostrarlo. Nico le fece promettere di non farlo mai e così fece.
Un giorno però, Caterina stava provando a fare un salto all’indietro aiutata da Francesco. Perse l’equilibrio e cadde rovinosamente a terra portandosi dietro il ragazzo che si ritrovò sopra di lei. Mentre entrambi ridevano per la scena, lui le chiese se stesse bene e lei rispose di sì.
I loro sguardi si incatenarono per lunghi secondi. Caterina si accorse che gli occhi di Francesco erano più chiari quando stava sotto il sole. Diventavano di un verde profondo. E Francesco realizzò che avrebbe potuto contare tutte le screziature gialle nel verde acceso degli occhi di Caterina. Se fosse dipeso da loro, sarebbero rimasti così per ore ma uno schiocco sordo li costrinse a sciogliere la magia.
Anna aveva chiuso violentemente il libro e stava raccogliendo in fretta le sue cose. Nico capì immediatamente la situazione e rivolse uno sguardo truce alla cugina che sembrava ignara di tutto. Ci volle solo un secondo prima che Francesco schizzasse via come una molla correndo dietro alla fidanzata che si stava allontanando. Nico aveva tentato inutilmente di trattenerla ma lei si era scostata rabbiosa e con l’odio negli occhi aveva sibilato un “lasciami stare” che non ammetteva repliche.
Cate nel frattempo si era alzata e stava correndo verso quella che lei considerava un’amica, pronta a spiegarle che non era successo niente, era stata maldestra a cadere così ma non c’era da preoccuparsi. Era tutto a posto. Ma Nico la fermò appena in tempo, lo sguardo accusatorio del “te l’avevo detto” segnarono ancora più profondamente il solco nel cuore della ragazza.
Francesco e Anna si stavano allontanando e lui si fermò solo a chiamare Nina e a rivolgere uno sguardo di scuse ai cugini, prima di voltarsi nuovamente cercando di farsi ascoltare dalla compagna.
Lei lo ignorò per tutto il tragitto, ricacciando indietro le lacrime a ogni passo e ogni parola che Francesco pronunciava.
“OOOH! Mi vuoi rispondere per piacere? Mi dici cosa diavolo è successo per farti scappare via come una furia?” chiese lui per l’ennesima volta.
Erano ormai arrivati a casa e lei infilò la chiave nella serratura. Aprì la porta e finalmente parlò
“È successo che mi fai passare da stupida se pensi che non abbia visto la scintilla tra te e Cate. Sono giorni che vi guardo e che cerco di convincermi che sia tutto nella mia testa. Che quello che c’è tra di voi non è che un briciolo in confronto a quello che abbiamo io e te. Ma oggi ho avuto la riprova che invece avevo ragione.” Urlò sbattendo i libri sul tavolo della cucina.
“Ma di cosa stai parlando? Ancora con questa storia?” Francesco alzò gli occhi e le braccia al cielo e cercò di fermare la ragazza che stava di nuovo scappando da lui.
“Si! Ancora! E a questo punto non credo neanche che abbia davvero senso smetterla. Anzi, non credo che abbia senso continuarla. Io non ne ho più la forza. Lei è troppo per me. Non c’è confronto. La sua luce è talmente forte che io in confronto sono spenta. E tu hai bisogno di una stella vera, non di un pianeta che tenta inutilmente di brillare ma può solo riflettere la luce che lo colpisce.”
Stava piangendo. Di nuovo. Accusando lui di un’inadeguatezza che riguardava soltanto lei. Ma non poteva fare altrimenti. Quella storia andava avanti da troppo tempo e lei non riusciva più a tollerarlo. Ogni suo sforzo di mantenere la lucidità e la razionalità tipica del viola, sparivano di fronte all’ineluttabilità del giallo. Il giallo era un colore primario e il viola solo un secondario.
Così scappò di nuovo. Si chiuse in camera e urlò a Francesco di andarsene.
Ma lui non lo fece. Non ne era capace. Non poteva.
Anna era la sua certezza. Aveva piantato le radici intorno a lei e non era neanche lontanamente contemplata l’idea di andarsene. Aveva scelto e non cambiava. Doveva solo farle capire quanto si sbagliasse. Quanto stupida fosse la sua idea di non essere abbastanza per lui.
“Anna!” chiamò. Non rispose nessuno. “Anna aprimi. Parliamo come le persone civili, ti prego. Stai esagerando e lo sai bene. Non so come tu possa pensare di non essere all’altezza. Anna per l’amor del cielo apri questa porta!” disse battendo più volte sulla barriera che lei aveva messo tra di loro. “ANNA!”
“VAI VIAA!” urlò lei di risposta. “Vattene da qui. Lasciami da sola.” Disse con la voce rotta dal pianto
“sai che non lo farò...” rispose lui.
“...per favore. Lasciami stare.” Sussurrò soffocata dai singhiozzi. E si arrese al peso di quello che aveva appena detto. Lasciò cedere le gambe cadendo sul letto, iniziando a piangere piano ma senza fine.
Francesco appoggiò la fronte alla porta e si accasciò sulle ginocchia. La mano ancora chiusa a pugno sulla porta. “Ti amo, Ann.” Disse prima di iniziare a piangere.
 
 
 
 
Avevano discusso a lungo, alzando i toni più volte. Rispondendo alle reciproche accuse. Lei aveva giurato che non fosse successo niente dando del buonista al cugino che non voleva ammettere di essere tremendamente innamorato dell’altra e lui le aveva sputato addosso la verità che c’era dietro i loro sguardi e i sorrisi complici. Le aveva rinfacciato tutte le volte che l’aveva lasciato solo per andare insieme al ragazzo della loro amica a prendere ‘qualcosa di fresco al bar’, tornando dopo lunghe mezz’ore scambiandosi risate e occhiate equivoche.
Si erano accusati di essere bugiarde o pavidi e quasi erano arrivati alle mani. Quando all’ennesimo spintone lui aveva alzato la mano aperta caricando il braccio, lei si era pietrificata e lui bloccato all’istante. I lunghi secondi bloccati in quella posizione innaturale fecero ripercorrere a entrambi la situazione appena successa. Gli occhi di Cate si riempirono di lacrime a Nico venne il panico. Il braccio scese velocemente ma andò a posarsi sulla nuca della ragazza tirandola a sé in un abbraccio stretto respirando affannosamente. Lei si aggrappò forte al cugino e iniziò a piangere. Non avevano mai litigato così violentemente. La cosa le faceva enormemente paura.
Si scusarono a vicenda per un numero sconsiderato di volte senza mai lasciarsi.
“Mi dispiace Nic...sono stata cattiva. Non dovevo dire quelle cose...mi dispiace davvero...”
“No Pippi, scusami tu. Ho esagerato...” rispose il ragazzo sospirando. La chiamava Pippi in rarissime occasioni, quando lei era molto triste o quando decideva di farla arrabbiare sul serio e questa era decisamente la prima situazione.
Rimasero abbracciati a lungo e quando lei si staccò aveva ancora gli occhi gonfi di lacrime. “Ho incasinato tutto...di nuovo. Cheppalle!” disse sbuffando e alzando gli occhi al cielo.
“No Pippi, non hai sicuramente fatto tutto tu. Non tirava già una bella aria tra di loro. Probabilmente hai portato solo qualche nodo* di velocità in più” rispose lui accarezzandole la testa con fare amorevole.  *unità di misura della velocità
“Si ma stanno così bene insieme. Non voglio che si mollino per colpa mia. Ci tengo a loro porca miseria.” Piagnucolò sincera
“Lo so, ma questa non è una cosa che spetta a te decidere. Credo che sia meglio lasciarli soli e cambiare parco per un po’...” disse serio e trovò d’accordo la cugina che sconsolata guardò il tavolo, cornice silenziosa dei loro pomeriggi.
 
Passarono le settimane, Anna e Francesco si chiarirono. Lui ci mise tutto il suo impegno per convincerla che era lei con cui voleva stare. Smisero di andare al parco per un po’ ma quando Anna, passeggiando con Nina, si accorse che non c’era più l’ombra dei cugini nel verde del prato, acconsentì a passarci nuovamente del tempo. A ogni chioma rossa che vedeva si irrigidiva ma le passava quando capiva che non apparteneva a Caterina. Le giornate passavano a fatica, tra il caldo e lo studio e ferragosto si avvicinava imperterrito. Segnava la fine delle vacanze, l’inesorabile fine dell’estate accompagnando l’inizio dell’autunno. Non che le dispiacesse il freddo, ma sapeva quanto l’inverno pesasse al compagno. L’impossibilità di stare all’aperto senza congelare lo rendeva irrequieto e triste. Alla prima pioggia autunnale si incupiva e fremeva per l’arrivo del nuovo primo sole primaverile.
Sulla scia di quei pensieri si trovò a chiedersi dove fossero finiti quei due ragazzi che in così poco tempo avevano portato quel maremoto tra di loro. Si domandò se Nico avesse finalmente finito quel fumetto, se Cate avesse già sostenuto l’esame per diventare guardia forestale e si rese conto che in molti modi, quei due le mancavano.
Poi si accorse che c’era un’altra cosa che le mancava. Una che però non aveva mai avuto. Le mancava la sensazione della sua mano tra i capelli di Nico. Guardò in basso, la testa appoggiata sul suo ventre non era quella a cui stava pensando. I ricci erano più chiari e lunghi, quella consistenza la conosceva bene. Il profumo intrappolato all’interno di quelle spire sapeva di muschio bianco e freschezza. Nico invece sapeva di campi a strapiombo sul mare, baciati dal sole e umidi di salsedine. Sapeva di caldo.
Allungò le dita affusolate per intrecciarle in mezzo a quei ricci e ci trovò qualcosa di conosciuto ma che forse non le apparteneva più.
Francesco aprì gli occhi e sorrise quando capì che la sua ragazza lo stava coccolando. Li richiuse quasi subito “a cosa stai pensando?” chiese stiracchiandosi. Si voltò leggermente per abbracciare la schiena della compagna e poggiare un lieve bacio sulla sua pancia. Poi la guardò.
Lei lo stava fissando, soppesando le parole prima di tirarle fuori “A quello che sei e significhi per me...” disse infine. Poi distolse lo sguardo.
Non stava mentendo, questo Francesco l’aveva capito. Ma non aveva capito se quei pensieri fossero positivi o no. Iniziò mentalmente la conversazione un paio di volte, poi decise di desistere. Anche lui aveva pensato molte volte a quella stessa cosa ma non era sicuro di voler davvero iniziare quella conversazione, perché non aveva davvero chiara quale fosse la risposta alla domanda.
Fu in quel momento che Anna si mosse e urlò “NINA! TORNA QUI!”
La cagnolina era partita a razzo per l’ennesima volta, ma la direzione non era né un bambino né un piccione. Era lei. Il centro dei suoi pensieri di quella giornata. Il detto diceva ‘parli del diavolo e spuntano le corna’...i pensieri non erano contemplati.
Si tolse di dosso il fidanzato e inseguì la bestiolina che le sembrò non aver mai corso così velocemente. Francesco intanto era stato bruscamente spostato e stava cercando di capire cosa stesse succedendo quando vide la scena e la sensazione più orribile che potesse provare si impadronì di lui. Un nauseante mix di felicità estrema nel vedere Cate, mista al terrore di Anna che le andava incontro come una furia gli stava rivoltando le budella. Così scattò, come quella volta mesi prima quando rincorreva la ragazza cercando di placarne la furia e evitare una rottura che sembrava scontata.
Cate dal canto suo, era seduta al bar, dando le spalle al parco mentre aspettava Nico che tornasse con la sua gassosa. Fu tutto velocissimo: alzò gli occhi quando si sentì chiamare da Nico che aveva il terrore disegnato in volto ma che guardava un punto imprecisato sopra la sua spalla. Così si voltò in fretta e vide prima Nina che le correva incontro felice e il cuore le si sciolse per tornare a fermarsi un secondo dopo.
Se c’era Nina c’era anche Franci e se c’era lui allora anche Anna e in quel momento la vide. Lei, i suoi capelli biondi e gli orecchini viola, gli occhi color del cielo ma scuriti dalla tempesta emotiva che le vorticava dentro. Si alzò di scatto, prese la borsa e quasi inciampò sui suoi stessi piedi quando Nina le saltò addosso.
“NO! No Nina! Giù!” disse severa all’animale cercando di toglierselo dalla faccia
“È inutile, le piaci troppo...” sentì pronunciare una voce poco distante. Il tono pieno ricordava l’infiorescenza del glicine, ogni nota era un fiore singolo che insieme agli altri creava una melodia perfetta in una cascata infinita e stupenda.
Si costrinse a guardarla negli occhi dopo essere finalmente riuscita a togliersi Nina dai piedi. “Scusa, speravamo non ci foste e ci siamo fermati a prendere da bere. Ma stavamo per andare, vero?” disse svelta voltandosi verso il cugino che le si era avvicinato e la guardava in modo apprensivo. “Certo” rispose lui “abbiamo da bere, possiamo tranquillamente and-“
“E perché mai? È un parco pubblico. Avete il nostro stesso diritto di restare” lo interruppe Anna. La sua voce era squillante ma lasciava passare una nota di incertezza. Nel frattempo anche Francesco era arrivato, trafelato e con un po’ di fiatone, pronto a fermare qualunque tipo di rissa.
Anna si girò verso di lui e disse “Avevi ragione, le piace Cate più di quanto le piacciamo noi!” scoppiò a ridere e si abbassò ad accarezzare la cucciola. I ragazzi si guardarono sconvolti e sospetti e tutti volsero gli occhi sulla creatrice di quella situazione che non sapevano spiegarsi. Anna si sentì osservata così inspirò profondamente, raccolse la sua dignità e si alzò. Piantò gli occhi su Cate e dopo un secondo che sembrò durare un mese chiuse gli occhi e disse “Scusami Cate. Ho esagerato. Non dovevo andarmene via così senza darti possibilità di replica e scusami Nico.” Spostò lo sguardo sul ragazzo e riprese “non ti meritavi quel trattamento da parte mia. Sono stata maleducata e mi dispiace veramente.”
Tornò a guardare Cate e prima di poter ricominciare a parlare si ritrovò a soffocare in un abbraccio umido di baci e lacrime. La rossa la stava letteralmente stritolando chiedendole scusa a ripetizione, blaterando su quanto si sentisse in colpa per aver rovinato tutto e mille altre cose che non riusciva a capire. La situazione stava degenerando per i suoi gusti e quindi la abbracciò di rimando ma le disse “fermati.” E il fiume di parole si interruppe immediatamente. Si staccò dall’abbraccio, la guardò e sorrise “Abbiamo sbagliato entrambe. Io perdono te se tu perdoni me e ricominciamo da capo. Che ne dici?” e la risposta non si fece attendere. “Si. Assolutamente!” disse Cate affogando nell’abbraccio che le aveva di nuovo stretto al collo.
Francesco e Nico si guardarono sorpresi e increduli. Ma poi scoppiarono a ridere e si abbracciarono anche loro dandosi calorose pacche sulla schiena.
La situazione migliorò notevolmente. Ricominciarono a vedersi al parco, prima per poco e poi come se nulla fosse successo. Però qualcosa era cambiato. E di molto.
Nico se ne accorse subito e si chiese se anche Anna l’avesse notato. Cate e Franci erano bravissimi. Niente frecciatine, guardi o risate complici. Anzi, Cate si appassionò davvero alla statistica perché dall’inizio del suo lavoro come guardia forestale, aveva dovuto averci a che fare e adesso si ritrovava a farci i conti quasi giornalmente. Quindi chiedeva aiuto a Anna che volentieri le regalava consigli e trucchi per destreggiarsi al meglio.
Francesco aveva rivelato la sua passione per i fumetti e spesso passava ore con Nico a parlare di questo o quel supereroe o discutendo di come il grafico potesse sviluppare l’idea della propria storia o personaggio. Francesco riuscì perfino a convincere Nico a fare qualche esercizio, con la scusa che non poteva parlare di azione e combattimento se passava le sue giornate chino su un quaderno a disegnare. Così Caterina riuscì a distogliere Anna dai libri e si stesero al sole a guardare i ragazzi che giocavano.
“Certo che è un bel tipo, tuo cugino...” disse Anna distrattamente. Caterina la guardò sorridente
“Guarda che il tuo ragazzo è quello con i ricci più chiari e lunghi...non vorrei ti stessi confondendo!” rispose quindi canzonatoria
“Quanto sarai scema!” le disse la bionda ridendo, dandole una piccola spinta sul braccio. “Lo so bene, e lo sai anche tu. Ma te lo lascio guardare lo stesso. Non ho più motivi per fare scenate.” La frase uscì in modo non troppo rassicurante ma neanche accusatorio. Cate rimase interdetta ma capì il senso. Arrossì e abbassò gli occhi sull’erba: “No, non ne hai. Non avrei neanche mai voluto dartene. Lo sai –“
“Non ricominciamo, ne abbiamo già parlato. È tutto a posto” la interruppe Anna. Le sorrise e Cate ricambiò annuendo.
“Era molto triste quando abbiamo litigato. Non siamo venuti al parco per un po’ e lui è come appassito. Ha bisogno del verde anche fisicamente. L’inverno lo uccide ogni anno ma la sua incredibile volontà lo fa ripartire tutte le volte, ogni primavera lui torna a vivere come se non fosse mai finita. È una meraviglia, dovresti vederlo” si accorse solo una volta smesso di parlare, di aver dato voce a un pensiero che forse sarebbe dovuto restare tale, ma poi lo guardò e capì che non aveva detto altro che la verità. E sorrise.
Cate si stupì delle parole della ragazza, Anna non era tipa da questo genere di sentimentalismi ma si accorse che c’era molta sincerità in quel che aveva detto e che erano cose che potevi sapere solo se avevi passato molto tempo con una persona. La guardò a lungo e pensò che avrebbe voluto sapere anche lei tante cose di quei due. In cuor suo sperava proprio che fosse possibile.
Erano immerse ognuna nei propri pensieri non si accorsero chi stavano realmente guardando. E neanche da chi fossero guardate.
Nico e Francesco si erano fermati, ansanti e sudati dopo una finta lotta che il caldo aveva fermato per preservare la loro salute.
Ognuno guardava una ragazza di fronte a sé ma non era nella posizione che avrebbe dovuto.
“Sei davvero fortunato ad avere Anna nella tua vita...” disse Nico ancora con il fiato corto.
Francesco lo guardò un momento. Si aspettava mille reazioni diverse ma non quella. Si sorprese semplicemente sereno di quella constatazione. Nessuna gelosia, nessun rancore o moto di orgoglio per essere proprio lui ad averla con sé. Semplicemente arreso alla verità di quella situazione.
“È una delle persone più intelligenti che io conosca. E ha sempre un pensiero per gli altri prima che per sé stessa. A volte pecca di superbia ma raramente sbaglia quando dice qualcosa. E fino a quando non ha ottenuto quello che vuole, non cede di un centimetro.” Rispose poi.
“Deve essere bello sentirsi voluti bene e tenuti in considerazione.” Replicò distrattamente il moro
“Beh, mi sembra che tua cugina ti dimostri ampiamente quanto tiene a te. È tutta un ‘Nico qui-Nico lì’...se non foste parenti direi che ha una cotta per te” lo punzecchiò l’altro. Risero insieme.
“Ma è proprio questo il problema. È mia cugina ed è come se le moine te le facesse tua mamma. Grazie mille, ma magari smettila che mi rovini la piazza se ci scambiano per fidanzati” disse con tono fintamente arrabbiato prima di ricominciare a ridere.
Si ritrovarono a fissare nuovamente le due ragazze. Francesco pensò che la luce di Cate fosse meravigliosa, quasi innaturale, che faceva sparire tutto il resto, compresa la sua ragazza e si maledisse pensando al discorso di qualche tempo prima in cui lei stessa aveva detto quelle cose. Nico dal canto suo, si accorse della sfumatura della pelle di Anna dove il sole non la colpiva e realizzò che era davvero quanto di più bello avesse mai visto, si sentì a disagio quando si ritrovò a pensare di accarezzarla.
I quattro ragazzi si resero conto contemporaneamente di quello che stava succedendo e tutti distolsero lo sguardo. Quindi Cate parlò e propose di andare a casa. Il giorno dopo sarebbe stato ferragosto. Avevano tutto il giorno da stare in giro, bere e divertirsi ed era il caso di andare a riposarsi.
Quasi sollevati da quella proposta, si alzarono e dopo aver raccolto le proprie cose, si salutarono dandosi appuntamento per l’indomani pomeriggio.
La città organizzava un concerto nel parco, con mille generi diversi di musica, il luna park e tanto cibo.
La notte non sarebbe passata indenne per nessuno dei quattro ma la promessa di divertimento del giorno seguente li alleggerì di un peso. Sarebbe andato tutto bene.
Il momento dell’incontro si avvicinava e Nico e Anna erano stranamente agitati. Ai poli opposti della città ognuno sperava che quella non diventasse l’ultima giornata in compagnia dell’altro anche se non erano certi di voler sapere il perché di quella considerazione.
Cate interruppe il flusso di pensieri del cugino “Guarda che non devi venire per forza, ma se vieni non devi neanche spogliarti per forza. Ti farò un gavettone anche da vestito, lo sai!” disse prendendolo molto seriamente in giro. Nico lo sapeva e questa cosa lo rassicurava ma lo metteva ancora più in agitazione. Non voleva fare la figura dell’inetto davanti a Anna ma neanche del guastafeste perché Francesco gli avrebbe sicuramente chiesto una mano per qualche scherzo, ne avevano parlato anche il giorno precedente. Così cercò di ingoiare la frustrazione e rispose qualcosa di poca importanza alla cugina che come previsto, non ci fece caso. Arrivarono al parco prima della coppia e si misero al loro solito tavolo ad aspettarli.
Anna camminava nervosamente e Francesco a un certo punto la fermò “Senti, se non ne hai voglia non andiamo. Non voglio forzarti, forse abbiamo ricominciato a frequentarli troppo velocemente e non voglio che ti senti costretta...”
“Ma no...quale costretta! È che non amo i posti con troppa gente, lo sai.” tentò “È statisticamente più probabile un attentato nei luoghi affollati...che ti ridi?” guardò il fidanzato con aria truce “Un attentato...a ferragosto...nella cittadina in cui il massimo che succede è un piccione che viene investito da una macchina...sul serio?” a ogni frase il ragazzo doveva riprendere fiato dalla risata scaturita prima dal discorso della fidanzata, poi dal suo sguardo che passava da truce a colpevole a ogni sua affermazione.
L’aveva beccata. C’era dell’altro. Lo sapeva anche lui.
“Ti prometto” disse tornando serio “che alla prima borsa lasciata incustodita ti porto via di corsa” addolcì lo sguardo e il tono della voce, la abbracciò e strinse forte.
“Sarò sempre pronto a salvarti da qualunque situazione. Sarò sempre al tuo fianco e dalla tua parte.” Scandì tuffando il naso tra i suoi capelli, inspirandone forte l’odore insieme a quello della sua pelle come se fosse l’ultima cosa da fare prima di morire. Sapeva di lavanda e pagine dei libri.
Anna si bloccò dopo quel gesto. Lui aveva capito. Forse anche da prima di lei. Ma non l’aveva detto. Perché voleva che lo realizzasse da sola e si sentì una stupida. Chissà quanto tempo era che non dormiva la notte pensando a come e quando sarebbe finita. Chissà quanto aveva sofferto dopo la consapevolezza che non c’era niente più per loro, sotto quel velo d’erba che nascondeva radici asfittiche e colori sempre più spenti. Ancora una volta aveva dimostrato la grandezza del suo cuore e lei ne rimase devastata. Quel ragazzo meritava molto di più di quel che lei poteva dargli. Ricacciò indietro le lacrime e incastrò le dita tra quei capelli marroni. Inspirò a sua volta e si impresse a fuoco l’odore di sottobosco e muschio bianco. In modo da non scordarselo mai più.
Poi si allontanò dall’abbraccio. Lo fissò dritto negli occhi e vide tutto. La sofferenza degli ultimi mesi, la realtà della loro storia ormai appassita ma anche la tenacia con cui aveva resistito fino a quel momento. Ci trovò questo e mille altre cose e gli chiese scusa, senza una parola. Sperando che lui capisse che non era sua intenzione, che ci credeva davvero e sperava potesse funzionare. Che ogni frase, ogni scenata, ogni coccola era vera come lo era lei in quel momento, lì davanti a lui. E lui capì. Davvero.
Poi lo baciò e lui rispose. Per raccogliere l’ultima goccia di quell’amore che era stato come il sole di Febbraio. Quello che ti fa sperare nell’estate della tua vita ma che ti riporta bruscamente all’inverno il giorno dopo. Perché non scalda come quello di Aprile e dura meno di uno di Marzo.
Si erano voluti molto bene. Forse si erano anche amati per un po’. Ma la consapevolezza di non essere fatti per durare in eterno li aveva colti all’improvviso come un temporale estivo che non ti dà il tempo di ripararti, ma non dura neanche abbastanza per permetterti realmente di capire cosa fare nel frattempo.
Una lacrima rigò il volto di entrambi.
Si erano appena lasciati ma il sentimento che li legava fino a quel momento non era sparito. Aveva iniziato a mutare e ora sarebbero stati ancora più uniti.
Decisero di non dire niente ai cugini ma lei non perse l’occasione di ribadire che quella volta, mesi prima, aveva dannatamente ragione ad essere gelosa. Francesco incassò il colpo ma ribadì che con il senno di poi, anche lui si era accorto di quanto la sua amicizia con il moro non fosse solamente di cortesia.
Ci furono lunghi attimi di silenzio in cui si guardarono e scoppiarono a ridere insieme.
“Siamo due cretini” disse lui asciugandosi il viso.
“Parla per te! Scienziato dei saltelli!” lo rimbeccò lei, prima di mettersi a correre per scappare dalla furia del ragazzo.
Arrivarono al parco ancora correndo e Francesco la afferrò un momento prima che fossero a tiro di orecchio dei cugini. La abbracciò forte e disse sottovoce “Sei sicura che non ti serva una spalla per oggi?” alludendo al giovane ragazzo davanti a loro “Ma smettila, impiccione! So cavarmela da sola! Ti ricordo che se non era per me, tu ancora raccoglievi le margherite per farci le collanine” rispose secca divincolandosi dalla stretta. “Piuttosto, tu pensi di riuscirci senza doverle cadere nuovamente addosso o vuoi che ti faccia lo sgambetto?” chiese sarcastica e provocatoria.
“Ma guarda tu questa! Vedrai di cosa sono capace!” rispose piccato, gonfiando il petto sotto le risate della bionda.
Rise di gusto anche lui e si avvicinarono ai cugini che si erano accorti di loro ma non avevano sentito chiaramente i discorsi.
“Che sorrisoni! Cos’è successo di tanto divertente?” chiese Cate curiosa
I due si guardarono seri ma poi scoppiarono nuovamente a ridere e glissarono la domanda con un “Niente di importante”. Cate scrollò le spalle e iniziò a elencare le cose da fare nel pomeriggio ma Nico non era convinto, passava lo sguardo da Anna a Francesco e viceversa cercando di capire. Quando Cate lo chiamò a gran voce chiedendogli se si fosse incantato, decise che avrebbe indagato più avanti o che non l’avrebbe fatto addirittura. Si. Era meglio starne fuori.
Passarono il pomeriggio spensierati, tra i giochi del luna park, chili di ghiaccioli e qualche drink di troppo che costrinse tutti a una pausa per arrivare alla fine della serata. Cate e Anna si addormentarono al sole come sempre mentre Nico e Franci si appoggiarono a un albero.
“Pss...Nic...sei sveglio?” un sussurro gli arrivò all’orecchio. Aprì gli occhi e vide Francesco con un sorriso malefico sul volto.  “Facciamole un gavettone!” disse accennando con la testa alle ragazze.
“Ma sei fuori?” “Shhhhhhh! Abbassa la voce! Anna ha l’udito di un gatto, ti sente anche se respiri un po’ più forte del normale!” la voce di Franci era un sussurro. “Allora...ci stai?”
Nico guardò le due ragazze e annuì, si alzarono e si allontanarono a prendere due secchi. Quando furono a una distanza di sicurezza disse “Cate mi ammazza se le faccio un gavettone prima che me lo faccia lei. Non me lo perdonerà mai...” tremò al pensiero della vendetta della cugina e guardò Franci in un moto di disperazione. Lui sorrise e rispose “allora sarà meglio che glielo faccia io!”
“Si così chi la sente la tua ragazza!” abbozzo un sorriso.
L’altro non rispose. Così il moro ci riprovò
“Hai deciso di chiuderla proprio a ferragosto?”
“Beh, quale momento migliore per provarci, se non dopo aver chiuso una storia ed essere bagnata fino ai calzini?” rispose guardando dritto davanti a sé.
“Nonono! Fermo un secondo. Cosa stai cercando di dire?” chiese Nico, visibilmente alterato
“Niente. Dico solo, anche se non dovrei, che io e Anna abbiamo chiuso e che ora hai campo libero!”
“E cosa ti fa pensare che io voglia campo libero con lei?” sbottò “E cosa vuol dire che avete chiuso e non dovresti dirmelo? A che gioco stai giocando?” ormai stava davvero per esplodere. Che insinuazioni stava facendo quel tipo, di cosa stava parlando, cosa sapeva? Anzi...cosa credeva di sapere?
“Hey senti, calmati adesso. Ok?” Franci lo prese per le spalle e lo fermò fissandolo negli occhi.
“Io e Anna abbiamo chiuso. È successo prima di arrivare da voi. Per questo eravamo strani. Avevamo deciso di non dirvelo per non rendere strana la situazione – “ “Ohoh! Perché invece adesso è tutto normale. Tu che mi spingi a provarci con quella che fino a due ore fa era la tua ragazza e io che sclero per un motivo che non so neanche quale sia. Ha perfettamente senso e non è per niente strano!”
Nico aveva il fiatone per l’agitazione, e anche perché non credeva di essere in grado di dire così tante parole in un così breve lasso di tempo.
Francesco lo lasciò parlare e aspettò che il fiato dell’amico tornasse regolare. Poi riprese
“Ti concedo che la situazione è già strana di partenza...” sorrise vedendo Nico che simulava un ‘grazie’ con un inchino e un braccio alzato “...ma l’abbiamo deciso insieme, di chiuderla. Davvero. E te l’ho detto perché nonostante quel che sembra, Anna non è così paziente e se non ti sbrighi tu lo farà lei e sarà in grado di rinfacciartelo fino alla fine dei tuoi giorni” concluse.
Nico continuava a guardarlo perplesso. C’era una piccola postilla del discorso che non gli era chiara.
“Ad Anna piaci. E lei piace a te. Lo sanno tutti che state per mettervi insieme tranne voi due.” Chiarì Francesco. E Nico non parlò. Divenne più rosso dei capelli della cugina e abbassò lo sguardo imbarazzato.
Francesco gli mise una mano sulla spalla “Andiamo amico, non c’era nemmeno bisogno che tu me lo dicessi. Era talmente palese che delle volte avrei voluto urlarti io di darle un bacio. Ho seriamente avuto paura che potessi scoppiare qualche volta” rise di gusto al ricordo di una volta in cui erano seduti vicini, Anna stava guardando i suoi disegni e Nico si era ammutolito quando lei gli aveva fatto i complimenti per come colorava e gli si era appoggiata a una spalla.
Il moro si mise le mani sul viso come a nascondersi da quella situazione surreale. Respirò profondamente e poi guardò l’amico negli occhi. Gli chiese scusa e lo abbracciò.
“Non devi scusarti, non avrebbe funzionato lo stesso tra di noi.”
“...ma quindi...credi davvero che io abbia una possibilità?”
“Cristo santo, Nico! Quale parte del ‘se non ci provi tu lo farà lei e te lo rinfaccerà a vita’ non ti è chiara?” chiese stupefatto “Dai, muoviti prima che si sveglino e si accorgano che non ci siamo” concluse, trascinando l’amico verso la fontanella d’acqua.
 
 
“Anna...”
“mmmhh”
“Nico e Franci sono spariti...”
“...cosa?”
“Mio cugino e il tuo ragazzo non sono più a sedere dove erano prima!” scandì meglio “Credo che vogliano farci il bagno! Dobbiamo fregarli!”
-Non è più il mio ragazzo...- pensò Anna “...come? Ah sì! Va bene!” disse invece.
Decisero di prendere le loro bottigliette d’acqua e tenerle pronte per quando sarebbero arrivati i ragazzi. Certo, loro forse sarebbero sempre state più bagnate ma non si sarebbero mai aspettati una risposta così pronta dalle due.
“Giuro che questa me la paga. L’anno prossimo lo aspetto davanti alla porta di casa. Lo bagno fino ai piedi appena mette il naso fuori. A costo di asciugare tutta casa della zia!” ripeteva Cate a mezza voce. “Aaah me la paga. Prima gli faccio venire il raffreddore quest’anno, poi l’anno prossimo mi sente. Crede di fregarmi, vero? Vedremo chi tornerà a casa asciutto questa volta!” e mentre scenari da guerra all’ultimo sangue venivano prospettati in aria, Anna rideva, ma era anche preoccupata che Nico si ammalasse davvero.
“Ma dai, povero!” disse ridendo a mezza voce
“Povero? POVERO?” Urlò Cate sussurrando. “Sai da quanto va a avanti questa storia? Avevamo cinque anni. Ancora non gli ho perdonato quella volta in cui mi bagnò da testa a piedi al parco a sedici anni. Io avevo una maglietta bianca senza reggiseno, perché di tette non ne ho mai avute, però ne avevo quel tanto che bastava per farle vedere a tutti i presenti in quel momento che risero di me per quasi una settimana.  Grrr…se ci ripenso gli strapperei le dita a morsi” sibilò furiosa portandosi il pugno chiuso in mezzo ai denti come a morderselo.
Anna stava per scoppiare irrimediabilmente a ridere, più per come la raccontava l’amica che per la situazione in sé. Quella la faceva quasi arrabbiare. Non si tratta così una ragazza, anche se è tua cugina. L’avrebbe fatto presente a Nico quando sarebbero stati soli. Però sentì un vociare conosciuto e si zittì immediatamente intimando di farlo anche alla sua compagna di doccia. Aspettarono pazientemente e d’improvviso rotolarono verso l’esterno mancando di un soffio la cascata d’acqua che finì sui loro teli.
I ragazzi già pronti a ridere si bloccarono giusto il tempo di realizzare che la loro missione era miseramente fallita. Si guardarono e un pensiero balenò in contemporanea nella mente di entrambi
-O la va o la spacca-
E dopo averle guardate per un secondo, si gettarono contro le ragazze per provare a fermarle dalla furia e dalle bottiglie piene d’acqua che avevano in mano.
E le ragazze appena tiratesi in piedi, tronfie di aver sventato l’attacco a sorpresa si guardarono complici e solo dopo si resero conto di chi aveva tirato loro la bomba. Anna guardò di fronte a sé trovando Nico per poi passare velocemente lo sguardo su Francesco che ammiccò sornione. Lei lo maledisse ma aprì la bottiglietta e si avventò verso il moro.
Caterina invece si stupì quando non vide il cugino di fronte a sé ma davanti ad Anna. Per un secondo sorrise pensando che sarebbe stata lei la prima a bagnarlo anche quell’anno ma pure che Nico avesse avuto un po’ di coraggio a buttarsi finalmente con la bionda. Guardò il moro con soddisfazione e sfida ma quando realizzò chi aveva davanti si bloccò.
Francesco.
Rischiava di rovinare tutto. La loro amicizia, tutto quello che avevano lentamente ricostruito, la storia tra lui e Anna. Non poteva permetterlo. E rimase praticamente immobile. Si lasciò prendere in braccio chiudendo gli occhi, con la bottiglia stretta in una mano che per la scossa della presa bagnò entrambi ma solo sulla parte destra. Dopo un secondo di immobilità in cui non aveva reagito si sentì sollevare da terra e trasportare qualche passo più in là senza sapere bene dove stesse andando. Aveva chinato la testa, stretto forte gli occhi e sentiva il fresco dell’acqua che le bagnava la pelle appiccicandole addosso i vestiti.
Percepiva distintamente i muscoli tesi che la stringevano, il respiro affannato per lo sforzo e l’odore di fresco sottobosco che le riempiva i polmoni. Non voleva respirarne troppo. Non poteva. Così trattenne il fiato.
Quando sentì i piedi poggiarsi a terra e la presa farsi meno ferrea, capì che era tutto finito. Una parte di lei voleva tornare in quella morsa stretta a respirare per sempre quell’odore, ma la sua parte più leale cacciò via quel pensiero. Non era così che sarebbe dovuta andare.
“Non credevo che fossi una che si lascia battere così...” la voce profonda come il buio in una foresta le riempì le orecchie, andando ad ammorbidire ogni fibra del suo essere.
“Mi aspettavo un po’ di lotta da una come te...” il suo respiro le si infranse sul collo e un brivido le partì dal fondo della schiena per finire all’attaccatura dei capelli. Era pericolosamente vicino. Poteva distinguere l’odore della sua pelle e mancava poco che cedesse alla tentazione di lasciare un bacio proprio sotto il suo orecchio, dovei quei ricchi castani non coprivano abbastanza.
Ma non lo fece. Portò invece entrambe le mani sulla bottiglia e iniziò a versarsela addosso. Prima che una forte mano la fermasse e la stessa morbida voce di prima le domandasse “cosa fai?”
Aveva di nuovo chiuso forte gli occhi e rispose in un sussurro “salvo la tua storia con Anna”.
Percepì il calore del suo corpo allontanarsi di poco anche se le sembrò di essere passata dall’estate all’inverno in meno di un battito e si costrinse ad aprire gli occhi.
Trovò due meraviglie di un verde profondo che la stavano fissando e di nuovo perse un battito mentre tratteneva il fiato.
Due dita le presero il mento trattenendole il viso.
“Ammiro la tua tenacia e la tua lealtà, ma non c’è più niente da salvare.”
E il buio prese spazio in mezzo a tutti i suoi pensieri. Cosa voleva dire? Non poteva essere vero.
Ne avevano parlato poco prima e Anna non aveva detto niente. No no. La loro storia doveva essere ancora in piedi altrimenti lei sarebbe impazzita.
Cercò risposte a tutte quelle domande nelle sfaccettature smeraldine di quegli occhi che non riusciva a non fissare ma ci trovò solo il suo riflesso e una muta richiesta di comprensione.
Non poteva crederci, non poteva cedere. Così si scansò da quel calore e si affacciò oltre il tronco da cui erano riparati.
Vide Anna e Nico che si guardavano complici, fronte contro fronte, le mani intrecciate e strette tra loro.
Una mano le prese il braccio e la riportò a quel verde che aveva abbandonato poco prima.
Cercò ancora delle risposte che questa volta arrivarono come il primo sole di maggio a riscaldare le giornate.
“Io e Anna non stiamo più insieme ormai. È successo prima di arrivare qui ma pensavo che te l’avesse detto. Anche se ci eravamo detti di non farlo...”
Quella frase portò ancora più confusione dentro di lei. Lui lo capì e quindi proseguì
“Abbiamo entrambi ammesso i nostri sbagli. Non aveva più senso continuare. Non dal momento in cui tu sei entrata nella mia vita e Nico in quella di Anna.”
Sperava fosse sufficiente come spiegazione, ma lei era ancora immobile con gli occhi piantati nei suoi.
“...Cate” sussurrò. Poi si mosse, inclinò leggermente il volto e si avvicinò lentamente a lei. Poteva sentire i loro respiri scontrarsi e i cuori che battevano a un ritmo forsennato. Stava chiudendo gli occhi quando una mano gli si posò sul viso. “Giuramelo. Su quel che hai di più caro.”
Si ritrasse leggermente, portando una mano su quella della ragazza, la fissò intensamente.
“Lo giuro sull’odore del vento tra le foglie, sul rumore delle piante che crescono e sul suono di un fiore che sboccia.” Disse “Lo giuro sul calore del sole e sulla prima luce dell’alba che risveglia ogni giorno. Lo giuro sulla certezza che dal primo giorno in cui ti ho vista hai cambiato la mia vita.”
Non c’era altro che verità nelle sue parole. Non una singola bugia. Era tutto vero. E lo sapevano entrambi.
Lei strinse la mano sul viso del ragazzo e lo tirò a sé. Prese fiato prima di farlo, se doveva perdere tutto, almeno che ne ricordasse ogni secondo. Lo guardò nuovamente negli occhi e poi lo baciò.
L’intero arcobaleno si dispiegò davanti a loro. Ogni colore li riempiva e li completava.
Lui si sentì per la prima volta intero. Aveva trovato il colore che lo faceva brillare e lei altrettanto. Aveva un colore da far risplendere e che sarebbe stato per sempre legato a lei.
Sembrò che ogni cosa nel mondo avesse trovato il giusto posto, nell’impeto di un bacio.
 
“Ehi! Piccioncini!” disse una voce. “Se non vi dispiace, qui c’è qualcuno che vorrebbe andare a divertirsi! Ballare magari!” continuò un’altra. La prima sembrava un campo di lavanda in fiore mentre la seconda un prato pieno di papaveri appena sbocciati.
Francesco e Caterina si guardarono e scoppiarono a ridere, senza sapere come rispondere.
Si baciarono di nuovo, senza togliersi gli occhi di dosso e superarono l’albero che li aveva protetti fino a quel momento.
“Scusate se sono sempre l’ultima a sapere le cose!” disse Cate fintamente offesa. Stringeva forte la mano di Francesco ma allentò la presa mentre andava incontro all’amica.
“Scuse accettate...perché è stata anche colpa mia” ribatté Anna avvicinandosi a lei.
Si ritrovarono una di fronte all’altra, occhi negli occhi, con mille parole che non avevano bisogno di essere dette. Sorrisero, si chiesero di nuovo scusa, sempre in silenzio e si abbracciarono. Il giallo e il viola sono complementari. Uno fa risplendere l’altro e li rende in questo modo inscindibili. Così come il verde e il rosso che si esaltano a vicenda e rendono il mondo la meraviglia che noi vediamo tutti i giorni.
 
Le ragazze sciolsero l’abbraccio, senza smettere di sorridere. Tenendosi strette per mano si avvicinarono alle due teste ricce che le stavano aspettando.
“Tu questa me la paghi, sappilo!” dissero poi in coro, indicando una il cugino e l’altra l’ex fidanzato. I due ragazzi si guardarono, stringendosi le spalle con fare colpevole. Poi sfoderarono il loro sorriso migliore e andarono ad abbracciare le ragazze davanti a loro.
Si strinsero forte tutti e quattro e si avviarono verso il palco.
L’estate stava finendo, l’autunno era alle porte ma ognuno di loro sapeva che quello sarebbe stato il migliore degli ultimi tempi.
Anna e Nico si misero a correre verso la folla, ridendo come se fosse l’unica cosa che erano in grado di fare.
Caterina e Francesco si strinsero ancora. Lei si beò delle sue carezze e lui riempì i polmoni con il profumo dei suoi capelli.
Sarebbe stato un lungo inverno ma non vedevano l’ora che iniziasse.
 
 
 
 
 
 
  
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