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Autore: Baudelaire    06/05/2020    5 recensioni
L'avventura di Ernest Shackleton e la sua nave Endurance ai confini del mondo.
Un viaggio che avrebbe dovuto segnare l'attraversamento a piedi del Continente Antartico e si rivelò, invece, una grandissima lotta per la sopravvivenza.
Sopravvissero tutti, per merito di un indomito uomo al comando.
A quest'uomo voglio rendere omaggio con queste poche, umili righe.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Endurance-cani
 

Endurance
 
 
 
Grazie a Lucciola67 per il magnifico disegno dell’Endurance.
Nell’immagine in alto, la nave stritolata dal ghiaccio.
 
 
 
«Dopo la conquista del Polo Sud da parte di Amundsen che, per pochi giorni, aveva preceduto la spedizione britannica di Scott, restava una sola grande impresa dell'esplorazione antartica -- l'attraversamento del continente bianco da mare a mare.»
(Ernest Shackleton, “Sud”)
 
 
Ghiaccio.
Nient’altro che ghiaccio.
Attorno a te, il pack senza fine che si estende all’orizzonte, fin che misero occhio umano può vedere.
Sopra di te, cristalli freddissimi impazziti, temperature disumane, inadatte all’uomo, piccolo, miserabile, fugace come la vita.
Dentro di te, paura, irrazionalità.
Follia, forse.
Eppure, dovevi farlo, dovevi andare. Dovevi osare, sfidare la sorte attraversando la Terra sconosciuta immersa nei ghiacci, l’Antartide affascinante e misteriosa, che attirò anche Amundsen e Scott, spingendoli al limite, fino al Polo Sud, donando onore e gloria al primo, privazione, miseria e morte al secondo.
Terrore.
L’avrai provato.
Possiamo solo immaginarlo, noi uomini moderni.
Ma forse no.
Eri coraggio, tu. Impavido hai resistito alle forze avverse di Madre Natura, mai perdendoti d’animo, nemmeno quando tutto cospirava a favore della disfatta.
Tremendo sarebbe stato perdere anche uno solo dei tuoi uomini.
Tragedia non contemplata dal tuo vocabolario.
Eri vittoria.
Eri rivincita.
Eri splendore.
Sognavi di percorrere a piedi il Continente di ghiaccio, ma terribile fu la delusione quando quel ghiaccio che tanto bramavi stritolò tra le sue ardenti fauci l’Endurance, la nave che fin lì ti aveva condotto.
Errore inatteso.
Sventura.
Infamia.
Mesi bloccati nel bianco accecante, mentre i viveri venivano tragicamente consumati e l’ombra della sconfitta, insieme alla morte, si affacciava all’orizzonte.
Ma non potevi perderti d’animo.
Oh no!
Non tu.
I tuoi uomini meritavano un capitano coraggioso, e tu eri questo, nient’altro che questo.
Non ti sei lasciato abbattere nemmeno quando hai dovuto arrenderti all’evidenza. Il Mostro bianco avrebbe vinto su di te, sulle tue speranze, sui tuoi sogni di gloria.
Il Mostro bianco, affamato ed ingordo, stava per nutrirsi della tua nave, di quel legno odoroso, calore avvolgente.
Il Mostro avrebbe distrutto ciò che l’Endurance era: casa.
Destino tremendo ed ineluttabile.
Che fare?
Arrendersi, impossibile.
Morire?
Giammai!
Nessun soccorso era possibile, laggiù. Potevi contare solo su te stesso, sul tuo coraggio, sulla tua forza d’animo.
Se penso all’arrendevolezza dell’uomo moderno, vittima inerme delle sue stesse paure! Qual differenza con un uomo d’altri tempi quale tu eri! Incredibile mostro di coraggio e audacia, avventuriero che non si è mai arreso.
Hai lottato, obbligando l’equipaggio all’abbandono di una nave in punto di morte. Come una figlia, per te. La vostra salvezza, la vostra speranza, soffocata dal ghiaccio incombente, durissimo, spietato, implacabile e impietoso.
Nulla potevi contro le forze di sua Maestà la Natura, che ha avvolto tra le sue spire diaboliche l’amata Endurance, stritolandola nella sua morsa fatale e ghiacciata, conducendola negli abissi oscuri e misteriosi di quel mare sconosciuto e letale.
Che fare, dunque, se non armarsi di coraggio e affrontare quella sfida inaspettata, nuova, terribile e al contempo affascinante?
Hai giurato, non avresti perso nemmeno un uomo. Il fallimento non era contemplato, perché il tuo nome era Ernest, l’eroe del ghiaccio. Ciascuno di quegli uomini impavidi avrebbe fatto ritorno in Inghilterra, riabbracciando moglie e figli.
La morte, lontana.
La vita, un filo sottile al quale aggrapparsi con le unghie e con i denti.
Non era il momento di mollare.
Così hai radunato tre scialuppe ed è iniziato il viaggio. Uomini e cani, alla deriva sul pack bianchissimo e mortale. Sotto quella sottile lama di ghiaccio, il mare, l’abisso, la morte.
Ora non restava che raggiungere la terraferma.
Un viaggio lunghissimo, su quel mare insidioso, sul ghiaccio tremante e perfido. Bastava un niente, un passo falso e la morte vi avrebbe catturato, trascinandovi con sé.
Ma la stanchezza cominciava a farsi sentire, giorni di cammino, le provviste sempre più scarse.
La decisione più difficile, sacrificare i cani.
Decisione orribile, tremenda e coraggiosa.
Hai obbligato i tuoi uomini a compiere l’atto crudele, indispensabile per la sopravvivenza.
Animali tanto amati, amici, compagni di viaggio, sacrificati in nome della salvezza.
O loro, o la morte.
Hai scelto loro, com’era naturale.
Naturale, ma terribile.
Ma non hai battuto ciglio, perché questo eri, l’eroe di un mondo che non esiste più.
Vi salvarono la vita, quei compagni di viaggio.
Finalmente, mare aperto. Vi siete imbarcati su quelle acque sciagurate, piene di insidie forse perfino più del pack. Il temibile mare di Weddel, tra i più tempestosi della Terra.
Soli, assiepati su tre misere imbarcazioni in mezzo a quell’inferno liquido che, lo sapevi, non avrebbe avuto alcuna pietà di voi.
Carne di foca il vostro cibo, ghiaccio da sciogliere la vostra bevanda.
Nel cuore, coraggio e speranza.
Quale rotta?
Decisione indiscutibile, la terraferma più vicina, l’Isola dell’Elefante.
Meta agognata e disperata, saresti riuscito a raggiungerla?
Giorni in balia delle onde, nel mare in tempesta, lottando contro i conati di vomito, lottando per non soccombere.
Onde alte, altissime. Muri d’acqua mai visti prima.
Hai continuato a lottare, disperato, rifiutandoti di arrenderti. Sapevi che i tuoi uomini avrebbero seguito te, solo e soltanto te. Eri il leader, il maestro incontrastato.
Non potevi vacillare come quella misera barca sotto di te.
No.
Dovevi mostrare la tua forza dinanzi a loro, dinanzi a quell’oceano terribile che urlava, la voce di Dio che ti invocava, come una Sirena dalle fauci spalancate in un canto sublime e letale, che mai più ti avrebbe permesso di fare ritorno.
Dovevi essere forte, o sarebbe stata la fine.
Per tutti.
Ed ecco, dopo sette incredibili giorni di strenua lotta, finalmente… Terra!
Sei approdato sull’isola, gioia indicibile, lacrime di dolore, speranza, vittoria.
La salvezza era a portata di mano. Ma un nuovo ostacolo è apparso ai tuoi occhi stanchi e luccicanti. Nessuno di voi sarebbe sopravvissuto a lungo. Occorreva cercare aiuto.
Dove?
La Georgia del Sud, dove sostavano i balenieri. Là sarebbe stata la salvezza e la fine dell’incubo.
Ma come?
Un’altra attraversata di quel mare infernale.
L’alito della morte di nuovo sulla pelle umida e salata.
Eppure, che altro ti restava da fare, se non affidare a Dio quegli uomini fedeli e coraggiosi, abbandonandoli sull’isola, e prepararti a partire, sulla James Caird, insieme ad altri tre uomini, che ti avrebbero seguito nel tuo ultimo viaggio della speranza?
Sei partito, quindi, salutando un’ultima volta i superstiti rimasti a terra.
Li avresti rivisti?
Dovevi, o sarebbero morti di stenti. La carne di foca non sarebbe durata per sempre, le condizioni erano terribili, quasi quanto le tue, su quelle misere assi di legno che ti avrebbero condotto, con un po’ di fortuna, alla terra della salvezza, all’isola dei balenieri, dove avresti finalmente lanciato l’allarme.
Saresti tornato a prenderli con una nave, hai promesso.
E avresti mantenuto.
Ernest era uomo di parola!
Viaggio terribile, faticoso, arduo e indimenticabile. Popolerà i tuoi incubi per sempre. Ma non era quello il momento di arrenderti, non ora che la salvezza era così vicina. Potevi allungare la mano e sfiorarla, sentirne quasi l’odore tra il salmastro che affondava nelle tue narici da giorni, settimane, mesi. L’odore del mare, l’odore dell’avventura.
L’odore della morte.
 
«A mezzanotte ero al timone ed improvvisamente ho notato una linea nel cielo tra il sud ed il sud-ovest. Ho chiamato gli altri uomini ed ho detto loro che il cielo si stava schiarendo ma un momento dopo ho capito che avevo visto non un varco tra le nubi, ma la cresta di un'enorme onda. In tutti i miei 26 anni di esperienza negli oceani non avevo mai incontrato un'onda così gigantesca. Era un poderoso sollevamento dell'oceano, superiore al solito mare schiumoso, nostro nemico instancabile da giorni. Ho gridato, “In nome di Dio, tenetevi! È sopra di noi!” Poi venne il momento dell'attesa, che è sembrato durare ore. La bianca schiuma del mare era tutta intorno a noi. Abbiamo sentito la nostra barca sollevarsi e vacillare come un sughero sulla cresta dell'onda. Eravamo in balia del mare, ma in qualche modo la barca è riuscita a resistere mezza piena d'acqua incurvandosi sotto il peso e fremendo al colpo. Abbiamo utilizzato l'energia degli uomini che combattono per la vita, lanciando l'acqua fuoribordo con ogni mezzo e dopo dieci minuti di incertezza abbiamo sentito la barca ritornare alla vita.» (Ernest Shackleton)
 
Quindici lunghi giorni in balia della furia degli elementi.
Quindici giorni di angoscia.
Poi, terra.
Ma sei giunto in piena notte, non ti sei fidato ad avvicinarti.
E, di nuovo, sventura.
Tempesta, uragano, venti acuti e sferzanti hanno minacciato di capovolgere la barca, proprio ora che la terra era lì, di fronte a te.
Di nuovo, non hai potuto fare altro che resistere, lottando come una tigre.
Finalmente, placata la tempesta, il 10 maggio sei sbarcato.
 
«Tuttavia, assicurai la fune che teneva la barca, ed in pochi minuti eravamo tutti in salvo sulla spiaggia, con la barca che galleggiava nell'acqua agitata a pochi metri da riva. Abbiamo sentito uno scroscio che era musica per le nostre orecchie e, guardato intorno abbiamo scorto un piccolo ruscello d'acqua dolce quasi ai nostri piedi. Un istante dopo eravamo in ginocchio che bevevamo acqua pura, acqua gelata a grandi sorsi che infondeva nuova vita dentro di noi. Fu un momento splendido.» (Ernest Shackleton)
 
Era fatta, dunque. Oppure no?
No.
La stazione dei balenieri si trovava esattamente dalla parte opposta dell’isola.
Due le scelte: circumnavigare l’isola, rischiando di sfracellarti contro gli scogli tra quelle acque pericolose, oppure attraversare le montagne innevate e i ghiacciai.
Morte quasi certa in entrambi i casi.
Che fare?
Hai scelto la montagna, mettendo in atto la prima esplorazione assoluta di quei giganti maestosi ancora inesplorati, perché questo eri, un uomo che si avventura laddove nessuno aveva ancora osato spingersi.
Un eroe.
Un mito che non sarà mai dimenticato.
Via, dunque, inerpicandosi per quelle impervie alture, con mezzi rudimentali, patetici per quelle altezze. Gli alpinisti odierni, dotati di ogni comfort per scalare le cime che conducono a Dio, affermano che l’hai fatto perché dovevi.
Semplicemente.
 
«Non so come lo fecero, se non perchè dovevano. Tre uomini dell'eroica era dell'esplorazione dell'Antartide, con 50 piedi di corda e un’ascia da carpentiere.»
(Duncan Carse, esploratore britannico)
 
 
Senza tenda, senza sacchi a pelo, come pelliccia nient’altro che il tuo coraggio, hai percorso 50 km di montagna, avanzando, tornando sui tuoi passi, privo di cartine per orientarti.
L’ennesimo inferno, l’ennesima sfida, superata brillantemente.
Il 20 maggio, fai il tuo ingresso nella stazione dei balenieri.
Un fantasma, forse, agli occhi increduli degli uomini presenti.
 
 
"Dopo 17 mesi di isolamento tra i ghiacci i tre uomini avevano i capelli alle spalle, le barbe sporche di salino e di fumo d'olio di foca; gli abiti sporchi, consumati e laceri. [...] Il direttore della fabbrica Theoralf Sørlle [...] Quando scorse i tre uomini indietreggiò di un passo e un'espressione incredula apparve sul suo viso. Rimase a lungo in silenzio prima di mormorare Ma voi chi diavolo siete?. L'uomo al centro fece un passo avanti Il mio nome è Shackleton, rispose con voce sommessa. Di nuovo ci fu un grande silenzio, qualcuno disse che in quel momento Sørlle si voltò e pianse>>
 
 
Non c’era tempo da perdere, ora. Ci sarebbe stato tutto il tempo per le lacrime, i pensieri, le note sui diari.
Ora, avevi 22 uomini da salvare.
Ostinato, caparbio, hai trovato la nave e affrontato di nuovo il ghiaccio per l’ultima, dannata parte di quell’avventura ai confini della realtà.
È il 30 agosto quando, finalmente, rimetti piede sull’Isola dell’Elefante.
È un miracolo.
Sono tutti vivi.
Non aspettavano che te.
Piangono, gioiscono, ti salutano come il loro eroe, assoluto e incontrastato.
 
«Curiosamente non riconobbero Worsley, che li aveva lasciati barbuto e sporco ed era ritornato pulito e rasato. Pensavano che fosse uno dei balenieri. [...] Successivamente capirono che stavano parlando con l'uomo che era stato loro compagno di avventura per un anno e mezzo.»
 
Così si è concluso questo viaggio incredibile, un viaggio che avrebbe dovuto donarti gloria eterna per l’attraversamento del Continente inesplorato.
Te ne portò ugualmente, forse molta di più.
Non ti sei arreso, hai lottato fino allo stremo.
Questo piccolo tributo va a te, eroe indimenticato e indimenticabile, esempio di perseveranza, rettitudine, sapienza e coraggio.
Uno su mille, questo eri.
Nessuno, oggi, è come te.
Assolutamente nessuno.
 
Il rammarico non sta tanto nel dover morire, ma nel fatto che nessuno saprà mai quanto vicini siamo stati a salvarci.
 
Non importa se le probabilità sono poche; quando un uomo affida la sua ultima speranza di salvezza a un’impresa, è difficile che perda poi facilmente la sua fiducia.
 
 
Ma sulla terra non c’è creatura di Dio che, se pervicacemente provocata, non reagisca cercando di combattere, per disperata che sia la situazione.
 
(Ernest Shackleton)
   
 
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