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Autore: Demy77    07/05/2020    4 recensioni
Per la mia prima fanfiction sono stata ispirata, come molte di voi, dagli inizi della storia di amore tra Ross e Demelza. Il mio racconto si svolge infatti il giorno successivo alla loro prima volta insieme e rappresenta la mia personale rielaborazione delle scene viste in tv, con aggiunta del missing moment della proposta di matrimonio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Ross Poldark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il sole aveva appena fatto capolino dalle imposte quando Demelza aprì gli occhi. Era abituata ad alzarsi molto presto e quella mattina non fu diversa dal solito sotto questo aspetto. Ma per il resto… la fanciulla si guardò intorno: Ross dormiva ancora, a torso nudo, alla sua sinistra; gli indumenti di lui erano ammucchiati disordinatamente sulla poltrona; il vestito azzurro, indiscusso protagonista della notte precedente, giaceva sul pavimento, abbandonato nello stesso punto in cui le era stato fatto mollemente scivolare da dosso. Se, per assurdo, per un attimo Demelza fosse stata sfiorata dal dubbio che quanto accaduto fra lei e Ross fosse solo frutto della sua immaginazione, una chiazza rossa al centro delle lenzuola la riportò alla realtà, segno eloquente del fatto che non si era trattato di un sogno. Raccolse il vestito, se lo infilò addosso alla meglio e sgattaiolò al piano inferiore. Passando davanti alla camera di Prudie e Jud si rincuorò sentendo che entrambi russavano sonoramente: non c’era pericolo che l’avessero sentita passare, né che avessero fatto caso a dove aveva dormito quella notte. Una volta in camera sua, Demelza indossò l’abito color senape di tutti i giorni, si riavviò i capelli, poi passò in cucina per sbocconcellare un po’ di pane e marmellata; infine ripose nel baule il vestito della signora Grace, carezzandone la stoffa un’ultima volta.
L’aria fresca del mattino le sferzò il viso, ma non si perse d’animo, e con l’acqua gelida della pompa lavò le mani e il viso. Garrick, che l’attendeva in cortile, la seguì fino alle stalle , dove la fanciulla doveva svolgere i suoi compiti abituali: dare la biada ai cavalli, mungere le mucche, distribuire il mangime a polli e conigli.
Sistemati gli animali con insolita celerità, Demelza decise che quella non era una giornata come tutte le altre e che le sue incombenze finivano lì. Dubitava che qualcuno della casa l’avrebbe cercata a quell’ora; se poi, come aveva minacciato suo padre, quello doveva essere l’ultimo suo giorno a Nampara, tanto valeva trascorrerlo facendo ciò che più le aggradava, libera e spensierata.
Con il cuore che le balzava fuori dal petto per l’emozione, si accoccolò insieme a Garrick nell’erba alta, tra i fiori che tanto amava, felice come non era mai stata prima.
Per un po’ si limitò ad osservare il vorticare delle nuvole nel cielo, divertendosi a ritrovare nella loro forma animali, oggetti o visi di persone che conosceva; poi seguì il volo delle api e dei calabroni tra gli steli della digitale; adocchiò poco più in là dei fiordalisi blu, pensando che sarebbero stati perfetti per ornare la sala.
Osservava con aria trasognata ogni elemento della natura che la circondava, sentendosi parte di essa: di volta in volta si sentiva leggera come una nuvola, fragile come un fiore, libera come gli uccelli. Forse mai , prima di quella mattina, aveva riflettuto su quanto fosse bello quell’angolo sperduto di Cornovaglia, selvaggio ma al tempo stesso accogliente.
Fu soltanto dopo aver girovagato con la mente per un bel po’, trastullandosi in un dolce far nulla che non si addiceva affatto alla sua personalità attiva e determinata, che si riscosse dalle sue fantasticherie.
Fino a quel momento aveva evitato di ragionare troppo su quanto accaduto tra lei e Ross la sera precedente, ma prima o poi sarebbe stato necessario affrontare la cosa. Non si sentiva affatto in colpa:  non vi era stato nulla di premeditato, anzi era stato lui a baciarla per primo. Certo, Ross inizialmente l’aveva rifiutata e le aveva intimato di andare a letto; era stata lei a forzare la situazione, entrando nella sua stanza con il pretesto del vestito da slacciare. Malgrado tutto, Demelza non sentiva di averlo ingannato o di aver agito scorrettamente. Un uomo intelligente come Ross non poteva non essersi reso conto che si trattava di una scusa: aveva intrecciato il corpetto dell’abito da dietro senza alcun aiuto, a maggior ragione sarebbe stata capace di slacciarlo da sola. Il fatto che lui non l’avesse mandata via in malo modo, anzi avesse ceduto a quell’ingenuo tentativo di seduzione, significava che anche Ross desiderava che quel bacio avesse un seguito : la sua condotta sfacciata non aveva fatto altro che anticipare i tempi.
Non solo non si vergognava di quanto era successo, ma neppure era pentita. Non sarebbe certo finita all’inferno, come sosteneva suo padre: aveva solo assecondato il suo cuore. L’unico tarlo che rovinava quel ricordo perfetto era il timore che fosse Ross a mutare atteggiamento nei suoi confronti. Non avrebbe sopportato di essere trattata con distacco, o, peggio ancora,  di essere cacciata via. A quel pensiero provò quasi il desiderio di non rivederlo mai più, di andarsene via di sua volontà, senza nemmeno un saluto, così da portarsi dietro, come ultimo ricordo, la frase che  lui le aveva rivolto prima di mettersi a dormire, mentre erano ancora stretti l’uno all’altra: “Se vuoi, puoi restare a dormire qui stanotte”.
Si riscosse dai suoi pensieri nell’udire dei rumori provenienti dal campo alle sue spalle.  Erano Ross e Jud, armati di falci. Demelza ricordò che da giorni si parlava del taglio del fieno ormai alto, avrebbe dovuto occuparsene il giovane Jim Carter, ma il suo arresto doveva aver comportato un cambio di programma. Evidentemente il padrone si era reso conto che il pigro e vecchio Jud non avrebbe potuto eseguire quel  compito tutto da solo ed aveva deciso di aiutarlo. A differenza del servo, Ross non si tirava indietro quando c’era da faticare.
Nascosta tra la vegetazione, Demelza cercò di non farsi  notare, e con un gesto intimò a Garrick di non fare rumore. Si sedette in ginocchio sui talloni e, sporgendosi con circospezione tra gli steli, si mise a spiare i due uomini. Innanzitutto cercò di captare quale potesse essere l’umore di Ross quella mattina, ma non riuscì a cogliere alcun segno premonitore. Dopo, si limitò a godersi la scena… Benchè il sole non fosse ancora alto nel cielo, Ross si era sfilato la camicia e, a torso nudo, faceva roteare la falce in ampie volute laterali. Demelza sollevò maliziosa un sopracciglio, e non poté evitare di ripensare che solo poche ore prima quella schiena madida di sudore e quel torace scolpito erano stati tra le sua braccia… il ricordo delle mani di Ross sul suo corpo, delle sue labbra morbide, del sapore dei suoi baci la invase come un fiume in piena. Chiuse gli occhi per rivivere ogni sensazione, e le parve quasi che la sua pelle andasse a  fuoco, nel rievocare il mix di tenerezza e passione con cui Ross l’aveva resa donna.
Fu in quel momento che Demelza ebbe la consapevolezza dell’enormità di ciò che era accaduto tra quelle lenzuola. Ross era stato il suo primo uomo, e lei era stata sua. Nulla poteva cambiare tutto questo, e nessuno poteva rubarle quel meraviglioso ricordo. Lei, una misera sguattera, era riuscita lì dove avevano fallito le tante fanciulle di buona società che avevano fatto una corte spudorata al bel Poldark, prima fra tutte quella smorfiosa di Ruth Teague; neppure la padrona di Trenwith, che Demelza sapeva essere il primo amore di Ross, aveva mai ottenuto tanto come lei quella notte. Sentì di poter essere invidiata da qualsiasi donna dei dintorni, nobile o povera che fosse; del resto, le occhiate lascive che moglie o figlie di minatori lanciavano di tanto in tanto di sottecchi a Ross non erano passate inosservate agli sguardi attenti della sua domestica.
Si sentì profondamente inorgoglita a quel pensiero, ma soprattutto felice: non perché aveva ottenuto un trionfo precluso alle altre, ma perché si rese conto di quanto profondamente amasse Ross. Era da tempo che provava qualcosa per lui, ma quella mattina finalmente riusciva dare un nome a quella strana euforia che sentiva quando gli stava accanto , si occupava della sua casa e provvedeva alle sue necessità. Lo amava con ogni fibra del suo essere. Lo amava non solo perchè era un giovane di bell’aspetto o perchè l’aveva sottratta ad una vita di stenti, offrendole una casa e un lavoro. Amava ogni cosa di lui: la naturalezza con cui compiva atti di generosità verso i più deboli senza pretendere nulla in cambio; la passione che metteva in tutto ciò che faceva; il fare scanzonato con cui la prendeva talvolta in giro; la delicatezza con cui la faceva montare a cavallo, quando andavano insieme al mercato; amava i suoi silenzi, i suoi malumori, amava persino quel velo di malinconia che a volte offuscava i suoi profondi occhi scuri, e che lei avrebbe desiderato poter squarciare…
Ad un tratto le venne in mente una discussione avuta pochi mesi prima con Prudie e Jud, in occasione del matrimonio di Jim Carter con Jinny Martin.
“Secondo voi, come mai il padrone non si è ancora sposato?” – aveva chiesto Demelza. Prudie aveva risposto che secondo lei Ross non aveva ancora superato la delusione per l’abbandono di Elisabeth. Fu in quella circostanza quindi che Demelza aveva appreso che la moglie di Francis aveva promesso a Ross di aspettare il suo ritorno dalla guerra e che non aveva tenuto fede al giuramento , fidanzandosi con suo cugino. Prudie e Jud non erano stati in grado di ricordare chi avesse messo in giro la diceria che Ross fosse morto in battaglia; fatto sta che tutta la famiglia ed anche la giovane Chynoweth avevano creduto a quella notizia, e così Francis ed Elisabeth avevano preso a frequentarsi, con l’avallo delle rispettive famiglie. Demelza ricordava di aver domandato, a quel punto: “Ma quando il signor Ross è ritornato , Elisabeth e Francis erano solo fidanzati. Se l’amava tanto, perché non ha fatto di tutto per impedire il matrimonio e riprendersela?” “Tu non conosci bene il signor Ross –aveva replicato Prudie - non sarebbe mai stato capace di un gesto così sleale nei confronti del cugino! Senza contare che quando è tornato era povero in canna, non aveva quasi da mantenere se stesso, figuriamoci una moglie! E poi sai che ti dico? Per me lui non si sarebbe mai umiliato a mendicare l’amore di quella donna, chiedendole di mettersi insieme. Anche se fosse stata lei a cercarlo, il non averlo aspettato come aveva giurato, per un uomo di principio come lui era un fatto gravissimo! Non so se dopo una delusione così grande le avrebbe dato ancora fiducia. ”
“Farà la fine di suo padre” – aveva quindi sentenziato Jud.
“Quale fine?” - aveva chiesto Demelza , al che il vecchio servitore aveva risposto: “I Poldark sono capaci di amare una sola volta nella vita. Quando è morta la moglie, padron Joshua non fece altro che passare da una donna all’altra ed affogare il dispiacere nell’alcol, cosa che gli ha rovinato il fegato e l’ha portato alla morte”. “Cosa dici – aveva ribattuto Prudie – il signor Ross è diverso da suo padre. È ancora giovane, deve solo trovare la donna giusta.”
“Deve trovare la donna che lo faccia innamorare” – aveva precisato Demelza.
“Non dire sciocchezze, ragazzina! – la aveva stoppata Jud - Nella classe sociale del padrone non ci si sposa per amore, ma solo per convenienza! E lui non ha tanto da offrire, a parte la testa dura, una paio di miniere in rovina ed un cognome illustre! Può darsi che si sposerà quando sarà così disperato da non avere neppure un penny per pagare le donnine allegre con cui sfoga i suoi istinti a Truro! O pensi forse che viva come un monaco?”
Fu strano ripensare a quella conversazione proprio quel giorno. Demelza provava rabbia al pensiero che Elisabeth avesse distrutto la vita di Ross. Aveva notato che dopo ogni incontro con la sua vecchia fiamma Ross era sempre di umore cupo. Possibile che dopo tanti anni non l’avesse ancora dimenticata? Bella era bella, aveva lineamenti fini, un bel portamento elegante, una pelle di porcellana… probabilmente non aveva mai cucinato in vita sua e la sua unica preoccupazione erano i vestiti, i profumi ed i belletti.
A Demelza sembrava finta, una bambola perfetta, un soprammobile da esibire, non un essere dotato di ragione e di sentimenti. Aveva l’impressione che quella dama non avesse nulla in comune con Ross e le risultava difficile comprendere cosa di lei lo attraesse così tanto, al di là dell’aspetto esteriore e dei modi cortesi.
“Parli del diavolo, spuntano le corna…” – mormorò ad un tratto Demelza, vedendo apparire, sul sentiero che conduceva a Nampara, proprio la signora di Trenwith sul suo bianco destriero. Nampara era in una zona isolata rispetto alle altre proprietà, cosicchè non vi erano dubbi che Elisabeth fosse venuta a fare visita a Ross. L’uomo infatti la notò, si ricompose indossando la camicia e si diresse rapidamente verso la sua abitazione, impartendo a Jud disposizioni per portare a termine il lavoro da solo.
Fu come se quella visita inattesa avesse rovinato la giornata perfetta di Demelza. Elisabeth era piombata come un uccello del malaugurio nel bel mezzo di una situazione complicata, e la fanciulla ebbe la sensazione che il comportamento di Ross nei suoi confronti sarebbe stato influenzato da quella visita.
Pensò che non aveva alcuna voglia di incontrare la moglie di Francis: non voleva essere oggetto dei suoi sguardi di commiserazione, come se si trattasse di un animale strano, come era accaduto la prima volta che era venuta a Nampara; non voleva essere costretta a farle l’inchino e a prepararle il rinfresco. Che ci pensasse Prudie. Soprattutto, non voleva essere costretta ad assistere alle sue moine, né guardare gli sguardi persi di Ross mentre la ascoltava. Non quel giorno. Decise di concentrarsi sui fiori: doveva raccogliere un bel mazzo di fiordalisi, come aveva stabilito. Gironzolò tra i prati per un bel pezzo ed oltre ai fiordalisi blu raccolse un bel mazzo di margherite. Poi corse a perdifiato verso la spiaggia, e vi trascorse tutta la mattina.
Quando rientrò in casa, la visita della cugina di Trenwith, per fortuna, era terminata. Prudie stava lavando in un catino le tazze nelle quali aveva servito il tè.
“Cosa è venuta a fare, quella? – chiese Demelza alla più anziana collega.
“Suppongo a lamentarsi del marito, come al solito – neppure Prudie sopportava Elisabeth, ed aveva il pregio di parlare sempre apertamente – mi chiedo quando darà pace al povero padrone. Che poi, cos’ha da lagnarsi? Chi è causa del suo mal, pianga se stesso!”
“Già”- chiosò Demelza.
“Dimenticavo, vuole parlarti. È da stamattina che non ti si vede in giro, che fine hai fatto?”
“Avevo da fare -rispose distrattamente Demelza -Chi vuole parlarmi?”-
“Come chi? Il padrone! Oggi sei molto strana , signorina… è in biblioteca ora. Vai, prima che si infuri con te!”
Demelza fece un bel respiro e si recò in biblioteca, dove però non trovò nessuno. Ne approfittò per sistemare nel vaso i fiori che aveva raccolto. Cercò Ross nella sala adiacente, senza successo. Dalla finestra vide che l’uomo era fuori, in maniche di camicia, con le mani sulla staccionata. Si fece coraggio e lo raggiunse all’esterno dell’abitazione, con il cuore in gola.
“Ah, eccoti qui - la salutò Ross appena la vide - Prudie mi ha riferito della visita di tuo padre di ieri. Avrei preferito però che me ne parlassi tu”.
Demelza abbassò il capo. “Non ve ne è stata occasione” – replicò, in tono asciutto.
“Cosa pensi di fare allora? – le chiese Ross - Vuoi lasciare questa casa? ”
“Io non vorrei mai doverlo fare – rispose seria - ma forse, dopo quello che è successo, è la cosa migliore… forse è quello che preferite anche voi”.
Avrebbe voluto mordersi la lingua! Gli aveva offerto sul piatto d’argento il motivo per mandarla via! Cosa sperava, che lui la implorasse di restare?
Ross non rispose subito. Si limitò a guardare un punto indistinto all’orizzonte. Disse poi, risoluto: “Comprendo il tuo imbarazzo, dopo ieri sera… Forse hai ragione. Tra di noi non può continuare come prima. Non puoi più essere la mia serva. Devi diventare mia moglie” – e pronunciò l’ultima frase guardandola dritta negli occhi.
Demelza sgranò gli occhi, come se avesse capito male. Riavutasi dalla sorpresa, balbettò : “Cosa dite….Questo non è possibile… io non… voi siete… E poi, cosa diranno gli altri?”
“Non mi sembra che ieri sera ti importasse molto l’opinione degli altri! – rispose lui, facendola arrossire fino all’attaccatura dei capelli – francamente, pensavo che avresti trovato argomenti migliori per rifiutare la mia proposta.”
“Non vi sto rifiutando – rispose lei, imbarazzata – è solo che… non appartengo al vostro ambiente, sono troppo inferiore, e riguardo a ieri sera… io non pretendevo nulla in cambio”.
“Lo so, infatti non è per quello che ti ho chiesto… ascolta Demelza, non cercare di voler capire ciò che non è del tutto chiaro nemmeno a me… Accetta la mia volontà, e basta.  Fidati di me, come ti fidasti anni fa, quando accettasti di venire a servizio a casa mia senza sapere né chi fossi né dove vivessi”.
“Non è la stessa cosa – replicò la fanciulla – non sono più una ragazzina, e credo di avere il diritto di esprimere la mia opinione su una cosa che mi riguarda”.
Ross sembrò seccato da quella rivendicazione e sbottò, spazientito: “Insomma, sono ancora il tuo padrone, fino a prova contraria! Ti sposerai con me! Consideralo l’ultimo ordine che ti do!”
“E se non volessi obbedire”? – rispose lei fiera.
“Credi che potrei accettare un atto di insubordinazione di una dipendente? Dovrei licenziarti – ribattè Ross – Però potrei sempre chiedere la tua mano a tuo padre, quando ti riporto a casa a Illugan”.
Demelza scoppiò a ridere. “Per carità! Come vi viene in mente? Quella è una soluzione da scartare senz’altro! – e continuò, cambiando tono: “Ma come posso sposarvi? Sono una ragazza povera ed ignorante, la figlia di un minatore, mentre voi siete una persona importante, padrone di una miniera, proprietario terriero, rispettato da tutti…. Non è giusto, non è corretto, non è appropriato!”
Ross sorrise. Gli sembrava di sentire Jud!
“Mi conosci da parecchio, Demelza, sai che quando prendo una decisione è quella. Non è mia intenzione importi qualcosa che non vuoi, se hai obiezioni serie. Ma se le tue riserve sono legate solo alla tua estrazione sociale ed all’opinione degli altri,  sappi che non mi importa né l’una, né l’altra cosa. Chi mi rispetta e tiene a me, continuerà a rispettarmi, e dovrà fare lo stesso anche con te. E se per colpa di questa unione perderò la stima di qualcuno, vorrà dire che avrò qualche ipocrita in meno di cui preoccuparmi”.
Demelza tacque. L’uomo che amava, l’uomo che era la sua stessa ragione di vita, le aveva chiesto di sposarlo. Non avrebbe potuto desiderare altro, allora perchè aveva paura di accettare? La meravigliosa prospettiva di averlo al suo fianco per sempre non era sufficiente a superare il timore delle umiliazioni, del disprezzo, delle frecciatine che senz’altro le sarebbero state riservate?
Ross capì che bisognava dare un ultimo assalto per fare breccia nelle difese della ragazza.
“Non pensi che dopo quanto c’è stato stanotte potresti portare in grembo un figlio mio?” – le sussurrò.
Demelza riflettè. Non aveva avuto una madre che le spiegasse come funzionavano certe cose, ma ovviamente sapeva come nascevano i bambini. Nel villaggio in cui era nata aveva sentito un mucchio di storie su domestiche ingravidate dai padroni, che poi le avevano costrette ad abortire, oppure le avevano abbandonate al loro destino insieme ai bastardi. Sapeva che Ross non avrebbe mai consentito qualcosa di simile.
Eppure, ragionò rapidamente la fanciulla, il rischio che fosse rimasta incinta dopo una sola notte era remoto. Possibile che Ross Poldark volesse sposarla solo per quel motivo, senza neppure avere la certezza di una gravidanza? Forse era una questione di onore da parte sua, assumersi la responsabilità di aver approfittato della sua innocenza? Ma sarebbe bastato ricompensare con un bel mucchio di ghinee uno qualsiasi dei suoi minatori per trovarle facilmente un marito capace di passare sopra alla questione verginità, che tra la gente del popolo non era poi di così vitale importanza. Ross era un uomo impulsivo, ma cosa c’era dietro quella decisione improvvisa? Demelza non aveva la pretesa che il padrone provasse qualcosa per lei; certo, la apprezzava ed era sembrato piacevolmente coinvolto la sera prima, ma quel “qualcosa” non si poteva certo definire amore. Da parte di Demelza, però, ce n’era abbastanza per tutti e due. In fin dei conti, si disse la ragazza, basta pensarci: lui avrà le sue ragioni, ma anch’io ho le mie.
Timidamente azzardò: “Quando pensate che dovrebbe avvenire il matrimonio?”
“Il prima possibile. Domani stesso andrò a parlare con il reverendo Odgers per le pubblicazioni”.
“Quindi non dovrà essere un segreto.”
“Direi di no. Tuttavia preferirei che si trattasse di una cerimonia riservata. Non credo che né i miei né i tuoi parenti vorranno prendervi parte. Mi dispiace, perché so quanto ami le feste”.
“No, quello non è importante – rispose Demelza – mi occorrerà un vestito, però. Non ne ho uno abbastanza nuovo e… adatto alla situazione”.
“Lo andremo a scegliere domani a Truro, se vuoi. È un sì, allora?” – le chiese, tradendo una certa ansia.
Demelza annuì, pensando in cuor suo che Ross non le aveva lasciato altra scelta.
“Lo direte subito a Jud e Prudie? Giuda, come mi guarderanno d’ora in poi? Come farò? Non gli racconterete certo di ieri notte!” – disse allarmata.
“Pensi che sia uno sciocco? Certo che no! Anzi, ho nascosto il lenzuolo nel cassettone, prima che Prudie rassettasse la stanza: cerca di occupartene appena puoi – le disse strizzandole l’occhio – Non preoccuparti di loro, li conosci da tempo: abbaiano, ma non mordono. Li metterò davanti al fatto compiuto, senza troppe spiegazioni. Lo stesso farai tu: dirai che sei rimasta sorpresa dalla mia decisione e che non hai potuto far altro che accettare. Dimenticavo: dovrai dormire in camera tua fino al matrimonio. È la mia unica condizione”.
“D’accordo”- concluse Demelza. Sapeva che era la cosa giusta da fare; anzi, dopo quello che si erano appena detti, non aveva neppure il coraggio di tornare in quella stanza.
“E cerca di abituarti a darmi del tu” – concluse il gentiluomo.
“Sì sign… Ross” – rispose Demelza arrossendo – “Vado a vedere se Prudie ha bisogno di aiuto per il pranzo” e si allontanò, con il cuore in subbuglio.
Stava per sposarsi. Con lui. Tempo un mese, forse meno, sarebbe stata la padrona di Nampara. Rientrando in casa, le sembrò che tutto fosse cambiato: eppure ogni cosa era al suo posto, dove doveva essere.
Prudie era intenta a cucinare un cosciotto di agnello. Jud sembrava assopito su una panca della cucina.
“Allora resti qui, ragazza?”
“Pare di sì” – replicò Demelza, senza aggiungere altro.
“Sbrigati ad apparecchiare, è quasi pronto. Ah, ho visto i fiori che hai raccolto: i fiordalisi sono già appassiti” – commentò Prudie.
“Davvero?” – rispose la giovane, quasi dispiaciuta.
“Strani fiori -  intervenne nel discorso Jud  – così belli da guardare, così delicati, così inutili. Buttali via subito, altrimenti faranno imputridire l’acqua e si rovineranno anche gli altri”.
Demelza tornò in biblioteca. Era come aveva detto Prudie: i fiordalisi avevano tutti piegato il gambo, e qualche petalo blu era addirittura caduto sul tavolo. Le piccole, semplici margherite, con le loro corolle bianche dai riflessi rosati, erano invece ancora intatte. Sollevò uno ad uno i fiori azzurri ed osservò il vaso. Forse l’effetto non era quello che aveva immaginato inizialmente, ma Jud aveva ragione: non si potevano lasciare i fiordalisi a marcire nell’acqua, solo per un’idea sbagliata in partenza. Era un ripiego? Ormai non importava più. Quei fiorellini di campo, apparentemente insignificanti, avevano conquistato un posto in quel vaso.
Ross era appena rientrato in casa. Seguì incuriosito i gesti della ragazza, poi commentò: “Mi piacciono le margherite.” “Non credevo vi interessassero i fiori. Sono contenta che vi piacciano, anche se i fiordalisi sono più eleganti, più raffinati. Come vedete, però, sono già appassiti” – rispose la ragazza, che inavvertitamente era tornata al voi. “Tutto quello che ti riguarda mi interessa – le rispose – Quei fiordalisi hanno fatto il loro tempo. Gettali via”. Si guardarono per un istante: lui le sorrise, ricambiato; poi andò a sedersi a tavola. Demelza gli si avvicinò, gli porse piatto e bicchiere e gli servì del vino, come faceva di solito. Insieme, attesero che fosse servito il pranzo.
  
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