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Autore: Argent_Kim    07/05/2020    0 recensioni
Finalmente, dopo un lungo viaggio attraverso l'Inferno, uscimmo a rivedere le stelle.
Cosa succederebbe se, 700 anni dopo il viaggio affrontato da Virgilio e Dante, un'altro abitante del mondo terrestre si ripresentasse nella Selva Oscura e il Mantovano dovesse accompagnarla.... di nuovo?
Qui ci troviamo nel Purgatorio, dove una nuova serie di personaggi si presenta al Maestro e a te, protagonista di questa storia.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dante Alighieri, Nuovo personaggio, Virgilio
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Per correr miglior acque alza le vele ormai la navicella del mio ingegno...

Ebbene sì, ero appena uscita dall'Inferno (letteralmente). Era stato quasi divertente, non fosse per le urla dei dannati e il tanfo nauseabondo che non permetteva di respirare. Assieme a me vi era Virgilio, mio maestro e guida fintanto che non fosse finito questo tour soprannaturale, che aveva reso piacevole la visita dei gironi, indicandomi a destra e manca i dannati e le loro storie, un po' come in quegli zoo all'aperto. La cosa più interessante furono però tutti gli spunti che quell'esperienza ci aveva dato per discutere animatamente di politica e filosofia, ma anche teologia e astronomia. Finalmente, dopo aver scalato Lucifero ed esserci trovati a testa in giù nell'emisfero australe, avevamo attraversato una grotta e ci eravamo ritrovati sulla spiaggia del Purgatorio. Qui mi fermai, estasiata, inspirando a pieni polmoni l'aria fresca del mattino, che mi suscitò un pizzicorio al naso. Fu solo allora che mi guardai intorno: eravamo circondati da una distesa di sabbia fine, che riluceva alle prime luci del mattino, mentre l'acqua sciabordava sulla riva creando ua dolce melodia, che sembrava lavare via la tensione e l'amarezza di spirito che fino a quel momento aveva appesantito me e la mia guida.

Dopo queste minuti di pace, in cui ci preparavamo al nuovo mondo, incontrammo due figure ammantantate che si rivolsero a noi con i toni più amari, volendo sapere cosa ci facessero un'anima del limbo ed una viva su quelle spiagge sacre, probabilmente credendo che fossimo scappati dall'Inferno. Il mio maestro spiegò che quel viaggio era stato voluto dalle personalità più importanti del Paradiso e che avevo una missione, ma che essa ancora non poteva essere rivelata. Le due figure ammantate si guardarono tra loro e, dopo un cenno d'assenso, si rivelarono. Quale sorpresa! Davanti a me vidi l'inconfondibile Catone l'Uticense, un repubblicano che, piuttosto che vivere sotto la tirannia di Cesare, si era ucciso in uno dei modi più crudi esistenti, diventando un simbolo universalmente riconosciuto di libertà. Persino il Signore deve aver approvato la sua scelta, se lo lasciava a guardia di questa spiaggia, invece che a marcire all'Inferno (vi era però anche da dire che passarci l'eternità dovrebbe rivelarsi piuttosto noioso).

L'altra figura, invece, aveva un volto familiare, come se l'avessi vista già da qualche parte. A furia di fissarla, una profonda tristezza mi pervase e presto le mie gunce furono solcate da lacrime che io non riuscivo a trattenere. Davanti a me si trovava una donna alta e flessuosa, con lunghi capelli rame e profondi occhi verdi, i cui tratti dolci non potevano rassemblare nemmeno le pitture più belle della storia umana. Ella, vedendo la mia reazione, mi sorrise dolcemente e, avvicinandosi, mi abbracciò. Il mio maestro, commosso anche lui, spiegò con voce fievole che la figura d'innanzi a noi non era una semplice anima, bensì la reincarnazione di tutte le donne che, ritrovatesi oppresse dalla propria "dolce metà", avevano preferito la morte alla sofferenza. Dio, avendo pietà di loro, decise di premiare la perseveranza che avevano dimostrato nel sopportare il dolore in vita, ma essendo un numero troppo elevato, decise di creare la magnifica donna che adesso ci osservava rapita, ascoltando la sua stessa storia uscire dalla bocca della personificazione della ragione. Quale dolore all'udire le sue parole! Era vero che negli ultimi anni i casi di femminicidio erano aumentati, ma non pensavo fossero così tanti! Quando il mio maestro finì di parlare, Catone in tono burbero ci disse che ci saremmo dovuti purificare e ci condusse ad una fonte d'acqua e lì i due illustri personaggi ci concessero l'onore di bagnarci le fronti con l'acqua pura che da essa sgorgava. Con questo gesto, esse sparirono. Io e Virgilio ci guardammo attorno spaesati: nessuno dei due sapeva più cosa fare o dove andare. Improvvisamente, il suono cristallino di un canto ruppe il magico silenzio che ci aveva avvolti come una coltre, mentre la sottile foschia del mattino si alzava e faceva posto ad una visione magnifica: una barca dorata, guidata da un angelo nocchiere e gremita di anime, si avvicinava alle rive. Giunte a destinazione, queste ultime scesero e, confuse quanto noi, ci videro. Probabilmente scambiandoci per alcuni di loro, si avvicinarono, ma quale fu lo sbigottimento quando appurarono le nostre identità! Si creò del fermento tra loro, mentre si bisbigliavano la notizia l'uno con l'altro. Fu così che scoprii che in mezzo a quella calca di anime si trovava uno dei cantanti lirici più famosi del mio tempo: Piero Barone! Egli era venuto a mancare tempo addietro e tutti i suoi fan ne sentivano la mancanza. Forse per nostalgia dei tempi passati o per curiosità mi avvicinai e gli chiesi il perchè avesse ritardato così tanto ad arrivare in questo luogo meraviglioso, vista la distanza di anni che ci separavano dalla sua dipartita. Egli mi spiegò che dopo la morte non era data subito la possibilità di espiare i propri peccati, ma bisognava aspettare alcuni anni presso le foci del Tevere, dove si potevano trovare non solo le fondamenta dell'Impero, ma anche quelle della Chiesa. Mi ritrovai a pensare alla storia e mi girai a discutere le mie idee con il maestro. Spiegai com'era interessante il fatto che, nonostante le guerre tra i due poteri di cui la storia era stata testimone, esse ancora coesistevano. Virgilio mi spiegò che la chiesa aveva il compito di fare da tramite tra i penitenti e il Purgatorio, attraverso i sacramenti e l'estrema unzione. Finito il nostro discorso, mi rigirai verso Piero e gli chiesi se, in onore dei vecchi tempi, fosse disposto a cantarci qualcosa. Dopo un momento di riflessione, egli assentì e lasciò che le dolci note sfiorassero le sue labbra. Chiusi istintivamente gli occhi, permettendo che la musica lavasse via i residui del turbamento che i due guardiani del Purgatorio mi avevano procurato, sostituendolo però con un'antica malinconia, che andava a toccare corde del mio animo che non pensavo esistessero ancora. E non era forse questo il potere della buona musica? Suscitare emozioni e vivide immagini, che aiutavano ad affrontare qualsiasi periodo buio della vita. Allietare le persone, ricordare loro che esiste un mondo di piacere, oltre le vite frenetiche in cui hanno scelto di intrappolarsi. Che a volte una melodia cantata o un passo di danza accennato erano più forti della gabbia di vetro che ci intrappola tutti. Perchè musica è libertà, musica è vita. Immersa nelle mie riflessioni, non mi accursi che una figura ci stava raggiungendo velocemente: era Catone. Aprii gli occhi di scatto e mi accorsi che tutte le anime, come me, si erano fermate a godere della melodia e così il mio maestro. Ma quando il tono seccato e quasi adirato di Catone ci intimò di correre all'entrata del Purgatorio, l'incanto venne spezzato. Ci eravamo dimenticati che davanti a noi ci aspettava un lungo cammino, che ci avrebbe tenuto impegnati ancora a lungo. Il mio maestro, violentemente arrossito, cominciò a camminare velocemente, quasi correre, come se Cerbero lo avesse puntato con tutte e tre le sue teste. Ridacchiai piano, per non farmi sentire, e mi affrettai a seguirlo. Decisi di non parlare, aspettando che si calmasse e fosse lui ad iniziare la conversazione. Fu così che, avvolti dal silenzio, raggiungemmo l'Alta Ripa. Qui le anime ci osservarono incuriosite ed ancora, all'appurare di come il mio corpo di carne proiettasse un'ombra, si agitarono, ma questa volta vennero prontamente calmate da Virgilio, che rivelò loro l'origine divina della mia missione. Chiedemmo poi indicazioni per raggiungere la salita che portava al Purgatorio e lungo la strada incontrammo Manfredi, figlio di Federico II di Svevia (che al momento si trovava tra gli eretici all'Inferno), ed egli ci raccontò la sua storia e di come, nonostante fosse stato scomunicato, prima di morire si era pentito e così era stato portato lì, dove avrebbe dovuto aspettare un tempo pari a trant'anni per ogni anno di scomunica che aveva vissuto. Continuando a camminare, sorpassammo coloro che, per pigrizia, in vita non coltivarono abbastanza le loro virtù e i morti di morte violenta, che però perdonarono i loro assassini. Tra di essi trovammo le illustri figure di Jacopo da Cassiero, assassinato nelle paludi tra Padova ed Este, e Buonconte da Montefeltro, che ci raccontò come, dopo la sua morte, la sua anima venne salvata da un angelo, mentre il demone venuto a riscattarla e vistosi sconfitto, si accanì sul suo corpo, facendolo svanire nell'acqua. Questa storia mi fece ragionare sul perdono che Dio elargiva a tutti coloro che, prima di morire, ammisero i loro peccati e vennero così graziati, ma anche sull'insensatezza dell'accanimento su un corpo morto da parte del diavolo, simbolo del peccato. Come già avevo pensato, il mondo degli Inferi è raramente legato alla ragione: d'altronde, questa è ciò che ci preserva dal lasciarci andare all'istinto e agli impulsi della carne. Facemmo anche la conoscenza di una signora distinta che rispondeva al nome di Pia de Tolomei. Ella, in tutta la sua modestia, parve ritrarsi alle nostre occhiate curiose e si limitò a pronunciare una frase enigmatica, che probabilmente riassumeva la sua storia. Mi colpì molto: d'altronde, le anime incontrate fino ad allora sembravano smaniose di rivelarci la loro storia, ma lei no. In tutta la sua grazia ci sorrise e poi sparì. Senza darci il tempo di intendere appieno quanto successo, spuntò dal nulla la figura di una giovane donna sorridente. Mi disse che le ricordavo la sorella Miriam e di chiamarsi Eva. Era una delle sopravvissute agli esperimenti sui gemelli della Germania nazista. Ci raccontò la sua stora e mentre ascoltavo, piangendo a dirotto, pensai al coraggio di questa donna che aveva vissuto con il peso di uno dei periodi più bui e violenti della storia umana. Finito il suo racconto, le domandai perchè si trovasse qui e lei, sorridendo dolcemente, mi rivelò la parte finale della sua storia: sopravvissuta agli esperimenti e alle cicatrici che essi lasciarono, aveva deciso, poco prima di morire, di perdonare pubblicamente con una lettera uno dei suoi aguzzini. Alla fine però, la vita le venne portata via a causa di alcuni effetti collaterali passivi causati dalle sostanze ignettatele durante quei maledetti test, motivo per cui si trovava qui. La guardai dritta negli occhi e le promisi solennemente che l'avrei ricordata per sempre. Sorridendo serafica, anche lei scomparve. Con ancora le lacrime agli occhi, il mio maestro cercava di consolarmi, facendomi notare che la violenza è insita nell'uomo e che, anche se io non ne ero quasi mai venuta a contatto, la nostra società ne è impregnata. Queste sue parole mi aprirono gli occhi all'insensibilità odierna, in cui rubare ed uccidere sono diventati comuni. L'amarezza e la rabbia, così tipici del mio carattere, cercarono di prendere il sopravvento, ma, memore delle espierienze passate, mi calmai, ricordandomi dove fossi e promettendomi che avrei commemorato per sempre il coraggio di quella donna. Fu così, con la testa tra le nuvole, che raggiungemmo un poeta piuttosto famoso della mia epoca, Mario Salazzari. Veronese di origine, appena sentito il mio accennto subito mi riconobbe come sua concittadina e volle sapere quanto stava succedendo nella terra natia. Gliraccontai con parole gentili i problemi affrontati dal nostro antico comune e provai anche a spiegargli le dinamiche che muovevano la politica. Egli, sentendo questo, parve infervorarsi e con parole coincise assicurò che niente era cambiato dal passato. Alla mia occhiata interrogativa, egli disse di aver discusso con un certo Sordello (al cui nome il viso del mio maestro parve rallegrarsi) e i due avevano confrontato le differenza della società moderna e medioevale, spiegando che l'uomo sempre si faceva guerra con i propri vicini e fratelli. L'unica differenza era la modalità: se prima si passava velocemente all'uso delle armi e alla morte, adesso si usavano le parole e gli inganni, per cercare di screditare gli avversari agli occhi altrui, invece di concentrarsi sul mantenere le promesse fatte e migliorare le città, diffondendo un benessere comune. Dopo un attimo di rifessione, non potei che dichiararmi d'accordo con lui ed entrambi esprimemmo così il desiderio utopistico di una società paritaria e pacifica. Salutato anche l'illustre poeta, io e la mia guida arrivammo finalmente alla fine della salita scoscesa e ci ritrovammo in una valletta gremita di principi negligenti, che in vita non svolsero appieno i loro doveri. Qui si trovavano degli angeli che davano la caccia a dei serpenti, perchè questi ultimi avevano il compito di tentare i visitatori, quasi in ricordo del Giardino dell'Eden e del peccato originale. Mi fermai un secondo a riflettere sulle Sacre Scritture e sulla allegoria di quell'evento, che sembrava aver dato inizio ad un mondo di violenza. Probabilmente, anche senza quel gesto, Adamo ed Eva avrebbero trovato un altro modo per tradire la fiducia divina, giacchè questa è la natura crudele dell'uomo. Vedendomi stanca, il mio maestro mi consigliò di riposare, dicendomi che presto avremmo dovuto riprendere il cammino. Mi assopii quasi subito, ma il mio sonno venne agitato da un'aquila che, raccogliendomi dalla valle, mi trasportava in volo.

   
 
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