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Autore: shilyss    09/05/2020    46 recensioni
Fable! AU Barbablù
Dal cap. 5: La notte, quando lui e Thor erano bambini, lei si sedeva tra i loro letti raccontando le storie degli dèi del Nord, condannati da una profezia oscura a morire dopo un inverno fatto di sette lunghi inverni che si erano avvicendati l’uno all’altro, facendo sprofondare il mondo nel caos e nel terrore.
Londra, 1857.
L'oscurità ha una sfumatura color smeraldo. L'inganno ha il sapore di una pozione. La morte è un urlo raccolto dal buio. Loki sa che il suo piano è perfetto, come l'abito che Sigyn non dovrebbe sfoggiare.
Lo pagherò anche io, il prezzo. Avrebbe desiderato dirglielo svelando quanto costasse quell’inganno e ricordarle come l’unica certezza stesse nella formula che gli era servita per tingere la stoffa di un colore vivo e vibrante. Tutto il resto, erano vaghe pratiche apprese nel corso dei viaggi troppo lunghi che aveva passato alle estremità del mondo, mentre suo fratello ereditava la tenuta e il titolo, com’era nell’ordine delle cose che fosse.
Genere: Angst, Dark, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heimdall, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Ombre strette nel raso verde

 

 

I'm falling

In all the good times I find myself

Longing for change

And in the bad times I fear myself

(Shallow, A star is born OST)

 

 

 

I

L’abito color smeraldo

 

Londra, primavera 1857

 

Il pendolo batté le sei di pomeriggio e fu quello il preciso istante in cui Loki alzò lo sguardo dal tavolo ingombro di fiale e boccette, posò la penna nel calamaio e si ritrovò a stirare le labbra in un sorriso sbieco e laterale, compiaciuto. Controllò l’orologio da taschino per sincerarsi che quello alla parete non gli avesse mentito e poi, semplicemente, fece quanto doveva: chiuse gli appunti che teneva sempre con sé, s’infilò il soprabito, prese il cappello e uscì senza voltarsi indietro. Lei, probabilmente, a quell’ora stava ammirando la sua immagine riflessa nello specchio in cerca del dettaglio stonato, dell’imperfezione. Loki Odinson si concesse un ghigno breve a quel pensiero.

La delicata e bionda Sigyn non avrebbe trovato niente che non andasse, scrutando il suo doppio imprigionato oltre la superficie riflettente. La sua pelle chiara avrebbe spiccato irrimediabilmente sul magnifico abito color verde smeraldo che le fasciava il busto con assoluta precisione, accarezzando le sue forme femminili, soffermandosi sulla curva dolce dei seni, sulla vita stretta dove una volta aveva osato posare le dita – lei aveva sussultato sorpresa, ma non si era ritratta – per poi dipanarsi nelle volute dell’ampia e fluttuante gonna.

Avrebbe raccolto la sua chioma bionda in un’acconciatura sofisticata in grado di lasciarle scoperti ed esposti il collo elegante e la nuca? Oppure alcune ciocche si sarebbero arrotolate fin sulla scollatura ampia e generosa?

Che incantevole capolavoro aveva creato.

Salì in carrozza con un movimento fluido e scandì l’indirizzo con voce ferma, per farsi udire dal cocchiere infradiciato e, mentre le ruote correvano veloci sull’acciottolato di una Londra lucida e buia già ghermita dalla notte, si concesse di stringere tra le mani il pomello intarsiato del bastone, di poggiare le spalle larghe, ma tese, sullo schienale. Era pazzo.

C’è un prezzo da pagare per ogni cosa, anche per la vendetta e l’amore e la morte.

Gli tornò in mente la vecchia nenia che una strega di New Orleans gli recitava nel quartiere francese, mentre invocava i fantasmi di una terra perduta e lontana – come la sua – indecisa, fino all’ultimo, se svelargli gli intrugli creoli, le formule magiche e i misteri che rendevano più oscuro il Nuovo Mondo. Stregonerie che Loki avrebbe sommato a quelle, altrettanto antiche e insidiose, apprese in India e in Oriente, in mezzo ai fumi dell’oppio. Chiuse gli occhi mormorando a mezza voce una formula perduta in una lingua dimenticata e morta, ma l’invocazione, anziché calmarlo, gli regalò una consapevolezza nuova e terribile. Per quanto il corrispettivo che aveva deciso di pagare fosse ignobilmente alto, lui era disposto a versarlo con l’acuta freddezza con cui aveva fatto ogni cosa, svolto qualsiasi compito, ingannato anche il destino avverso. Il suo spirito affamato era incapace di farsi bastare quello che aveva e mirava sempre in alto, all’irraggiungibile conoscenza perduta negata agli uomini da un cielo impietoso. Non era capace di accontentarsi del destino che taluni definivano benigno che, pure, gli era toccato in sorte, non lo era affatto. Piegò le labbra sottili in una smorfia, quando finalmente la carrozza si fermò di fronte al sontuoso portone d’ingresso della bella dimora londinese di Lady Vanheim.

 

Loki attraversò l’atrio con l’elegante sicurezza che gli era propria, sostenendo fieramente gli sguardi incuriositi e sospettosi degli altri invitati. La sua comparsa incrinò il sorriso divertito di Lady Freya, congelò per un momento le battute e le risate dei gentiluomini e delle gentildonne presenti. Fu Thor il primo e il solo ad avvicinarsi.   

“Non dovresti essere qui. La tua presenza suona come sgradita, inopportuna e persino offensiva.”

Gli puntò addosso i suoi occhi quasi trasparenti. “È un piacere vederti anche per me, fratello.” Lo disse ghignando, senza mascherare affatto la punta di scherno racchiusa nella sua bella voce vibrante, crudele. Spostò lo sguardo sulla sala affollata in cerca della ragione che giustificava la sua presenza. Si leccò le labbra, trovandola.

Se solo le sue intenzioni fossero state meno spietate.

Lei era bella da far male ed era esattamente come l’aveva immaginata. L’abito, di un verde acceso, accarezzava davvero ognuna delle sue forme sinuose, tanto da far quasi risplendere la sua carnagione sana e rosata; le ciocche bionde, diligentemente arricciate, scendevano con delicata grazia sulle spalle appena scoperte, lasciando nudo il collo. L’unico dettaglio non considerato era il nastro di raso nero da cui pendeva un ciondolo d’agata verde – un gioiello perfetto, antichissimo: un regalo che aveva osato farle pensando che sarebbe rimasto dentro uno scrigno smaltato di bianco, nella sua stanza di ragazza. Invece, era stata tanto sfrontata da indossarlo, quasi sapesse che non avrebbe avuto nessun’altra occasione per posarlo sulla propria pelle. Proveniva dal corredo funebre di una strega veggente, una profetessa danese morta mille anni prima, protagonista di una storia oscura di cui era rimasta una sola traccia in un’antica saga giunta incompleta.

Lei era bella da mozzare il respiro e trattenne il suo, quando incrociò i suoi occhi verdi e lupeschi. Non gli sorrise, non poté, sarebbe stato oltremodo sconveniente, ma schiuse le labbra piene e perse per un momento il filo del discorso che stava intrattenendo. Loki riuscì a indovinare il fremito che l’aveva scossa nel bagliore rapido capace di illuminarle, per un istante, lo sguardo grigio. Ricordò il profumo dolce della sua pelle, intuì la morbidezza della sua bocca – no, bugia, quella già l’aveva assaggiata nel silenzio della notte, mentre lei affondava le dita nella massa nera e scomposta dei suoi capelli e gli sussurrava sulle labbra che aveva paura di loro, di quello che c’era ed era nato senza che lo volessero. Tremava e aveva le mani gelate e Loki si era tolto il soprabito per posarglielo sulle spalle sottili. Anche quella notte le sue dita sarebbero state fredde, ma lui non avrebbe potuto fare nulla per scaldarle.

Nel Regno dei Morti c’è un girone fatto apposta per chi inganna e mente come te, Lingua d’Argento. Uno dove la tua anima brucerà fino alla fine dei tempi e anche oltre, in eterno.

 

Bevve, cacciando via la voce del fantasma di suo padre – Lord Odinson, immobilizzato dalla gotta e mezzo cieco, che lo malediceva prima che partisse per le Indie, che gli scriveva mentre si ubriacava d’assenzio a Baltimora, che gli mandava oscuri messaggi mai aperti abbandonati presso una casella di posta di New Orleans. Al suo ritorno in Gran Bretagna, Thor lo aveva condotto nella cripta di famiglia per fargli vedere la lapide. Si era messo a fissarlo cercando sul suo volto i segni della commozione, anzi, di un pentimento tardivo o, meglio ancora, di una rappacificazione con lo spirito volitivo e crudele del defunto. Si era fermato di fronte al suo sguardo liquido, alla mascella che tremava, all’ira che aveva scosso il suo corpo asciutto, arrendendosi momentaneamente all’idea di averlo smarrito in qualche tempio indiano, in una sala d’oppio a White Chapel, nelle paludi della Louisiana o dietro qualsiasi altro segreto oscuro; Loki glielo aveva lasciato credere. La realtà, in fondo, non è che un mero punto di vista.

 

Si avvicinò a Sigyn, nonostante tutto. Si liberò della presa del fratello che ancora gli stringeva la spalla e, ignorando gli sguardi degli ospiti che si posavano su di lui, straniero in patria, le si accostò. La vide arrossire lievemente, scorse il seno stretto sotto il corsetto color smeraldo alzarsi e abbassarsi ansioso. Desiderò posare le labbra sulla pelle morbida e invitante della scollatura, spogliarla di quell’incanto d’un verde brillante fatto apposta per lei, tinto di quella particolare sfumatura solo per la serata che stavano vivendo. L’avrebbe ricordata così per sempre, pensò. Con quella maschera di determinata disperazione addosso che solo lo sguardo liquido e grigio tradiva.

Oh Sigyn, era l’unico modo.

 

Thor avrebbe detto che non era vero. Non si sarebbe fatto scrupolo alcuno nell’accusarlo di essere un pazzo egoista, che l’Asia e i Tropici avevano irrimediabilmente corrotto, come sempre succedeva ai cadetti inglesi, costretti dalle Compagnie a vivere presso oceani troppo caldi e in terre assolate eppure misteriose. Il vecchio Odino diceva, senza mezzi termini o filtri, che la sua follia non era da imputarsi ai lunghi viaggi che lo avevano tenuto lontano dalla Gran Bretagna per quasi dieci anni, ma aveva il suo seme altrove, nel sangue. Sì, Lord Odinson soleva spesso sedersi accanto al camino acceso, con i suoi due segugi accucciati ai piedi e un bicchiere di porto in mano, a raccontare di come il sangue magiaro per parte di madre che scorreva nelle vene di Loki lo avesse[1], alla fine, infettato, regalandogli uno spirito inquieto e ribelle, incapace di accontentarsi dei privilegi legati al suo nome. Era stato per evitare i continui contrasti e punirlo per le sue sregolatezze che lo aveva mandato in India e poi in America, a cercare le stoffe più pregiate, il cotone migliore, a scoprire le ricette antiche che permettevano di ottenere tinte brillanti e vivaci.

 

“Il vostro ultimo cavalier servente già vi lascia sola?” Loki si permise di squadrarla in maniera sfacciata e lei alzò leggermente il mento, sostenendo quello sguardo intenso, lupesco.

Sigyn piegò la testa di lato. “È nella biblioteca, con mio padre e mio fratello. Potete raggiungerlo, se lo desiderate,” lo stuzzicò.

Una risata breve. “Temo non sarebbe un incontro piacevole per nessuno. È di tuo gradimento?” aggiunse, riferendosi all’abito.

La ragazza fu colta da una lieve esitazione e la sua sicurezza venne meno. “Il raso più bello, il colore più acceso.”

Loki dondolò distrattamente il bicchiere. “Ha un prezzo.”

Le labbra di lei fremettero. “Come ogni cosa, suppongo.”

“No,” scosse la testa l’uomo, “tu non sai.”

Sigyn lo guardò intensamente, ma non rispose nulla. Sfiorò con le dita il ciondolo, come se il gioiello potesse darle la forza di pronunciare un’altra battuta ammiccante e faceta. Il brusio di sottofondo apparentemente innocuo che li circondava – avvolgeva – era creato da uomini e donne in cerca di un nuovo pettegolezzo che li riguardasse. Lei era l’eterea erede d’un conte, lui lo scapestrato figlio d’un duca morto maledicendolo – o implorando che tornasse. Se solo il sorriso laterale di Loki non fosse stato così carico d’una oscura bellezza, forse Lord Vanir gli avrebbe concesso la mano della sua unica figlia femmina, nata quando la giovinezza era ormai un ricordo lontano; si sarebbe sforzato di considerarlo meno pericoloso di quanto gli era sembrato, arrivando a permettergli di corteggiare la molto amata e spesso insofferente Sigyn. Ma questo non era successo e lei, curiosa di sapere com’era il mondo, impaziente di vivere, si era avvicinata a quell’inglese quasi straniero sventolando graziosamente un ventaglio, domandandogli come fossero le Indie e le Americhe. Loki l’aveva soppesata con quei suoi occhi verdi e penetranti, per poi affascinarla con un discorso divertente e brillante, che nascondeva, al suo interno, qualcosa di cupo, il riflesso di chissà che considerazione affilata. Sigyn, scorgendo una simile ombra, aveva agitato con più vigore il ventaglio per nascondere l’agitazione oscura e annichilente che le saliva dalle gambe fino ad arrivare al petto e al cuore. Era rimasta affascinata dal fratello di Lord Odinson anche se sapeva che non doveva farlo.

La conoscenza s’era infittita nel corso di tutte le occasioni mondane che aveva offerto la fredda Londra quell’inverno. A teatro, durante i canonici intervalli tra un atto e l’altro, nell’anticamera ben arredata di qualche salotto alla moda, nei giardini rarefatti delle case di campagna che circondavano la città. Luoghi in cui si erano create, involontariamente e non, tutta una serie di circostanze che avevano portato i loro sguardi a incrociarsi, a cercarsi. Loki Odinson aveva sempre la battuta pronta e le sue risposte erano ogni volta tremendamente argute, pungenti, e Sigyn non riusciva a fare a meno di ascoltarle, per poi rispondere e domandare ancora.

 

La ragazza non sorrideva più. Si sentiva oppressa da un peso che le stringeva il cuore, annodandolo con mille lacci neri. “Non mi chiedete di ballare, stavolta?” mormorò a bassa voce.

Loki scosse la testa. “Abbiamo troppi occhi su di noi.”

“Potrebbe essere la vostra ultima occasione. Mia cugina mi attende nel Lincolnshire per l’inizio del prossimo mese,” aggiunse lei vaga, come se l’informazione non avesse poi tutta questa importanza. Non era mai stata brava a mentire e quello era uno dei motivi per cui le cose erano precipitate in modo così drammatico e rapido. Aveva rifiutato due pretendenti in nome di cosa, per chi?

Lui finse di non sapere del viaggio imminente. “Credevo fosse una festa di compleanno, non una d’addio.”

“Appropriato, non credete?” La ragazza inclinò il capo di lato.

“Più di quanto immaginiate,” commentò Loki. Si accorse della figura frettolosa di Theoric che si avvicinava rapidamente alla sorella con la chiara e manifesta intenzione di allontanarla da lui. Gli rivolse un sorriso sghembo e insolente e poi alzò il calice di cristallo nella sua direzione, come a voler brindare idealmente con lui. Il giovane s’accigliò e, raggiunta Sigyn, la prese per un braccio.

“Dovresti circondarti di compagnie migliori, Sig cara,” le bisbigliò severo all’orecchio.

La giovane donna s’irrigidì. “Come i tuoi amici, per esempio?”

“Sono gentiluomini, loro,” fu la secca risposta, data fissando Loki negli occhi e calcando sull’ultima parola. Cercava di mettere idealmente un segno tra sé e ciò che l’altro non avrebbe mai potuto essere veramente, ma l’avventuriero poteva avvertire come, dietro la pesante coltre di disprezzo sfoggiata dal figlio di Lord Vanir, ci fosse un pozzo senza fondo di terrore. Con amarezza pensò che se Theoric fosse stato più determinato, coraggioso e consapevole, Sigyn non sarebbe morta.

La ragazza si morse le labbra, per trattenersi e non ribattere ancora in maniera piccata, ma, mentre il fratello l’allontanava, non resistette all’impulso di osservare un’ultima volta la figura alta e slanciata di Loki. Lui si era già voltato in direzione di qualche vacuo conoscente in comune.

“Abbi almeno la decenza di non far vedere a tutti che lo fissi,” la rimbrottò l’altro, guidandola verso le altre stanze affollate.

Sigyn si bloccò sotto l’arco di una porta, incapace di rimanere in silenzio. “La reputazione di una ragazza adesso si compromette con uno sguardo?”

Qualche testa si voltò nella loro direzione, spinta dalla pigra curiosità di osservare perché i figli di Lord Vanir battibeccassero. Theoric se ne accorse e le sue guance divennero rosse.

“Quante altre volte dovremo farti questo discorso?”

“Possiede rendite ingenti, più delle nostre,” gli ricordò lei severa. “È colto, la sua famiglia antica. È tornato,” aggiunse, aggrappandosi a parole che, lo sapeva, non avrebbero mutato l’idea del fratello sull’uomo che amava.

“Sai quello che si dice su di lui.”

“Come su tutti quelli che trascorrono qualche anno di troppo dall’altra parte del mondo. Che diventano selvaggi, che hanno per amanti le donne del posto, che fumavano oppio. Cose che hai fatto anche tu e i tuoi amici, mi pare.”

Theoric fu scosso da un brivido. “Non capisci. Lui è diverso.”

Sigyn si voltò di scatto, liberandosi dalla presa dell’altro. “Se mi chiedesse di sposarlo la mia risposta sarebbe sì. È sì.”

 

 

 

In un angolo della sala affollata, una pianista dall’aspetto magro e nervoso suonava con incerto talento un brano di Mozart; Thor Odinson le rivolse un’occhiata veloce, per poi tornare a concentrarsi sul volto affilato e severo del fratello, ritto davanti a lui. Lo vide inumidirsi le labbra col ricercato champagne rimasto nella coppa[2], mentre insultava tra i denti e senza troppi scrupoli Lord Njord Vanir. La disapprovazione per la senz’altro inopportuna incursione fatta da Loki era stata velocemente soppiantata dal viscerale senso di protezione che provava nei suoi confronti in qualità di attuale capofamiglia. Thor reputava la presenza dell’altro lì come una sfida, ma non riusciva a tollerare che suo fratello venisse considerato alla stregua di un ospite sgradito. Il richiamo del sangue e il fiero orgoglio glielo imponevano, perché gli Odinson avevano combattuto con Riccardo Cuor Di Leone durante la Terza Crociata e seguito Enrico V sul campo di battaglia di Azincourt[3], distinguendosi in ogni conflitto per il valore e la ferocia.

Appartenevano a un casato potente e antico d’origine normanna[4], che spesso s’era legato alla dinastia regnante. Un rifiuto secco come quello che era stato inflitto a Loki colpiva non solo lui, ma generazioni e generazioni di Odinson. Eppure, la notizia che Lord Vanir disapprovava il corteggiamento dell’altro tanto da voler spedire la figlia lontano lo aveva lasciato, allo stesso tempo, irritato e sgomento, ma sorpreso no, affatto. La spiacevole decisione in fin dei conti era comprensibile, viste le voci che giravano sul conto di Loki.

“Che stai tramando? Qualunque cosa tu abbia in mente, ripensaci,” l’avvertì.

Non fu in grado di usare lo stesso tono severo del loro defunto padre, ma si chiese cosa avrebbe pensato di loro vedendoli, e come avrebbe preso l’infelice, ma saggia, presa di posizione di Lord Vanir. Forse si sarebbe deciso a fargli recapitare un invito per partecipare a una battuta di caccia nella loro tenuta di campagna; lì, davanti a un sorso di buon liquore, gli avrebbe parlato, con tono solo all’apparenza svagato, delle rendite e degli investimenti della loro famiglia, allettandolo poi con la promessa di condividere con lui opportunità e guadagni. Sì, il buon vecchio Odino sarebbe riuscito a manipolare e convincere Njord tanto da fargli vedere l’unione tra Loki e Sigyn come il punto di partenza per un futuro sfavillante. In questo, nella bieca capacità di piegare il destino al proprio volere con crudele precisione, suo fratello assomigliava fin troppo al loro padre, pensò Thor.

 

Loki increspò le labbra in una smorfia carica di dispetto. Nonostante la sconfitta palese e visibile, scrutava la sala altero come il principe che quasi era, puntando lo sguardo verde e sprezzante sugli astanti curiosi.

“È troppo tardi,” sibilò incrociando i suoi occhi.

“Per cosa?”

L’altro s’accigliò e scosse la testa, vuotando con un solo gesto la coppa. Non gli avrebbe risposto, lo sapeva. Si erano messi in moto troppi eventi e lui non poteva più tirarsi indietro. Era troppo tardi. La vendetta che l’aspettava in caso di un fallimento sarebbe stata atroce – immaginò di essere seppellito, vivo, di svegliarsi dentro una tomba, incapace di muoversi e di scappare, urlando nel buio finché non avrebbe perso il respiro.

Thor lo riscosse dai suoi pensieri. Lo teneva per una spalla e stringeva. “Per cosa?” gli ripeté a denti stretti. “Comportati in maniera degna!”

Loki gli puntò addosso quel suo sguardo chiarissimo e rapace. “Altrimenti?” lo sfidò.

“Il nostro nome non ti proteggerà per sempre,” l’avvertì il giovane lord. Avrebbe dovuto fermarlo. Lo sentiva nelle ossa e nella carne – suo fratello stava per commettere qualcosa di irreparabile: Ahmed Dall[5], il suo fidato maggiordomo, gli aveva raccontato di come Loki s’intrattenesse in compagnia di personaggi malfidati e oscuri, più corrotti di quanto non fosse lui stesso.

“Non parli come nostro padre,” notò il cadetto con uno scintillio divertito negli occhi, per poi spostare la sua attenzione sulla porta del salone principale. La figura di Sigyn, avvolta nello splendido abito di raso verde, lo catturò, di nuovo. Loki increspò le labbra in una smorfia feroce e lupesca. Avvicinarsi a lei era stato un compito dolce, un inganno piacevole da mettere in atto, ma il pensiero che quella notte la ragazza sarebbe morta, che, presto, quel magnifico vestito l’avrebbe soffocata strappandola alla vita, lo rendeva inquieto. Per un momento, un solo istante, si chiese se la verità non si fosse confusa con la menzogna, se la recita non avesse preso i colori della realtà. Alzò la coppa ormai vuota in direzione di lei, stupenda nel suo vestito color smeraldo, ignorando la fitta di rancore e di desiderio che gli infiammava il petto.

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Girls,

Questa storia ha una genesi strana e particolare, tanto che preferirei parlarvi di come e quando è nata alla fine. Per ora vi basti sapere che tempo fa la mia cara Ciop mi mandò un articolo di moda e costume che mi ispirò moltissimo. Iniziai a scriverla più di un anno fa, ma sopraggiunte problematiche e altre storie presero il sopravvento oscurando questa. La quarantena, molte chiacchierate e un momento problematico per me, mi hanno convinta che oggi fosse il momento giusto per postarla. Dovevo – devo – evadere.

Penso che sarà una minilong – voglio disperatamente che sia una minilong. L’ambientazione squisitamente vittoriana mi ronzava in mente da diverso tempo e quindi ecco qua. Tutto quello che trovate sul passato dello scapestrato Loki Odinson, su Sigyn e su Thor è plausibile con il contesto scelto, ovvero la metà del XIX secolo, l’Ottocento. Questo racconto, che spero sia di vostro gradimento, non sarebbe possibile senza l’appoggio della sopracitata E. e delle cosette mie, _Lightning_ e Miryel, che hanno aspettato e minacciato per questa storia che, ve lo anticipo già… no, meglio di no!

La dedico a chi mi ha sostenuto fin qua e chi continuerà a farlo o inizierà a farlo. Grazie di cuore, voi non sapete quanto un commento anche semplice possa fare per chi scrive. Se vi è piaciuta, fatemelo sapere listando (in alto a destra ♥) o recensendo.

Vostra,

Claudia Shilyss



[1] Magiaro: col termine magiaro si indicano alcuni gruppi specifici, di guerrieri nomadi, antenati degli odierni ungheresi. I miei ringraziamenti alla cosetta _Lightning_.

[2] Oggi lo champagne si serve nelle flûte, ma fino al 1970 (e ovviamente nell’Ottocento) era servito nelle coppe.

[3] È un omaggio a Tom Hiddleston, interprete dell’Enrico V.

[4] Quindi al seguito di Guglielmo il Conquistatore; il riferimento è alla storica battaglia di Hastings.

[5] Chiaramente è Heimdall. Per verosimiglianza storica il nome del dio guardiano del Bifrost e la sua posizione sono relegati a un ruolo di subalternità rispetto a Lord Odinson. Prendetelo come un dato storico necessario.

   
 
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