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Autore: Freya_Melyor    09/05/2020    8 recensioni
Chi semina vento raccoglie tempesta.
C'è chi ne è consapevole, chi invece crede di essere talmente scaltro e sicuro di sé da poter ingannare il mondo.
Ma, miei cari, non si può sfuggire al karma! La ruota, prima o poi, gira per tutti. Sarà bene tenerlo a mente!
Dal testo:
"[...] Nell'idillio che stavo vivendo, però, commisi l'errore più grande, quello di cui mi sarei pentita a morte specialmente nell'anno a seguire: mollai la presa e mi abbandonai completamente, fidandomi di quelli che ormai consideravo come un fratello e una sorella. Già... peccato non vivessimo nel giardino dell'Eden come credevo ma, ahimè!, eravamo già stati catapultati sulla Terra ostile e io, a differenza di Abele, mi ritrovai ad aver a che fare con due caini. [...]"
- Questa storia ha partecipato al contest "Generi a catena" indetto da Dark Sider sul forum di EFP.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non stuzzicare il karma che dorme



Quando mi trasferii in quella città per studiare, tutto mi sarei aspettata tranne che presto avrei trovato la casa dei miei sogni con tanto di coinquilina ideale.
Accadde tutto così rapidamente che, all'inizio, stentai a credere fosse vero: avevo deciso di frequentare proprio quell'università neanche un mese prima, iscrivendomi per il rotto della cuffia; altre quarantotto ore soltanto e non avrei fatto in tempo a compilare la domanda. Ma ce la feci, sfidando le lancette dell'orologio che da tutta la vita mi remavano contro.
Arrivai qualche giorno prima dell'inizio delle lezioni, mi serviva un po' di tempo per mettere in moto il mio scarso senso dell'orientamento e cercare di capire quale fosse la strada da percorrere per giungere in facoltà; inoltre, speravo di trovare una casa nella quale trasferirmi (non potevo rimanere per sempre nel B&B che avevo prenotato per i primi periodi) e confidavo ancora una volta nella strana bontà che il fato, di solito aspro nei miei confronti, mi stava invece mostrando: con un briciolo di fortuna avrei trovato una casa ancora libera, o meglio, una stanza sfitta all'interno di una casa che potesse divenire la mia nonostante l'anno accademico fosse praticamente alle porte. E, contro ogni aspettativa, la trovai in meno di due settimane.
Quando la vidi, non potei credere ai miei occhi: non solo ero riuscita a trovare una sistemazione in pochissimo tempo, ma si trattava anche di una Signora Casa con tanto di coinquilina che, tra le candidate presenti all'appuntamento, aveva riversato la sua completa attenzione esclusivamente su di me, parlandomi come se le altre non esistessero e dando per scontato che per me fosse lo stesso. Quella ragazza necessitava di un'inquilina tanto quanto io necessitavo di un posto in cui vivere: la studentessa con la quale avrebbe dovuto dividere abitazione e spese le aveva dato buca all'ultimo minuto benché il contratto fosse già firmato, così si era ritrovata da sola e, se non avesse rimpiazzato al più presto colei che le aveva tirato un pacco colossale, avrebbe dovuto pagare per intero la cifra mensile dell'affitto. «Il fatto è che il proprietario non fitta le singole stanze, ma l'intero appartamento» aveva spiegato dopo avermi fatto fare il tour della casa, continuando a ignorare le altre ragazze. Effettivamente non aveva tutti i torti, anzi!, era un problema bello grosso, anche se – nonostante il poco tempo a disposizione – avrebbe sicuramente trovato un'altra inquilina: la casa non era molto grande, composta da due camere da letto matrimoniali, un bagno e cucina/salotto open space, ma era talmente bella e ben tenuta che le richieste erano state tante; il proprietario però le aveva dato facoltà di scelta e lei, tanto minuta quanto scaltra, si era messa alla ricerca della coinquilina perfetta. Devo ammettere che, lì per lì, non mi fece una buona impressione: nonostante non fossi io quella ignorata, mi dispiacque per il modo in cui trattò... o meglio, non trattò affatto le altre ragazze; però, dannazione!, necessitavo di sistemarmi al più presto e quella casa – rispetto alle bettole che avevo visto – era il paradiso sceso in Terra. «Qui ci abitava la figlia del proprietario insieme alla famiglia, ma con l'arrivo del secondo bambino hanno deciso di trasferirsi in un appartamento più spazioso. Ecco perché mi sono messa alla disperata ricerca di una coinquilina, perché desidero a tutti i costi rimanere: hai visto le case che cercano di propinare agli studenti? Chiamarle “catapecchie” è riduttivo». Come contraddirla! E poi, non potevo negarlo, quelle attenzioni mi avevano in parte lusingata: era chiaro le avessi suscitato sensazioni positive se, fra tutte le ragazze incontrate, la sua scelta era ricaduta proprio su di me.
Mi trasferii dopo pochi giorni, non appena sistemate le questioni burocratiche col proprietario.
Patrizia – così si chiamava – mi rivelò che le impressioni che avevo avuto erano corrette, che mi aveva effettivamente scelta (neanche fossi stata un Pokémon) e che aveva sperato fino alla fine che mi trasferissi lì insieme a lei. Si rivelò essere molto simpatica, disponibile e alla mano: per l'ennesima volta pensai che la fortuna mi avesse baciata e non potei fare a meno di ringraziare il cielo; contemporaneamente mi rimproverai per aver condannato Patrizia in maniera così frettolosa, ricordando a me stessa che a volte l'istinto può anche toppare.
I primi mesi di convivenza passarono in fretta, senza che ce ne rendessimo conto.
Quando non eravamo impegnate a seguire i corsi o a studiare, io e Patrizia passavamo il tempo a chiacchierare e a ridere, raccontandoci di noi stesse sempre un po' di più; presto divenimmo confidenti e iniziammo a reputarci amiche piuttosto che semplici coinquiline.
Oltre Patrizia, in quel periodo conobbi anche Mattia, il suo novello fidanzato. Lui, proprio come lei, era uno spirito allegro e socievole; diventammo amici, complice anche il fatto che spesso si fermava a casa nostra. Fu strano, ma per la prima volta non mi sentii a disagio in mezzo a una coppia: si creò così un esilarante trio, all'interno del quale – io, che avrei dovuto tenere la candela – non mi sentivo affatto di troppo. Anzi, a dire la verità erano più le volte in cui venivo coinvolta da loro che quelle in cui ero io a proporre di fare qualcosa assieme. Non volevo superare il limite risultando insistente e mai, nella maniera più assoluta, avrei voluto invadere la loro privacy. Nonostante tutto, benché stessero insieme da poco e si trovassero nei primi periodi dell'innamoramento, mi considerarono quasi come una figlia da tenere sotto l'ala protettiva. Ovviamente non mi dispiacque, anche se spesso rifiutavo le loro proposte per lasciargli un po' di spazio; e quando Patrizia capì il motivo dei miei rifiuti, mi strigliò davvero come avrebbe fatto una mamma, dicendomi che non dovevo preoccuparmi, che se avessero voluto passare del tempo da soli non mi avrebbero di certo implicata. Ancora una volta non potei darle torto, promettendole che non avrei più rifiutato per un motivo del genere.
E così, in pochi mesi, non solo cambiai la mia vita trasferendomi in una nuova città e iniziando a studiare quella che si rivelò essere la facoltà giusta per me, ma trovai anche nuovi amici e una nuova, piccola, strana e affettuosa famiglia.
Nell'idillio che stavo vivendo, però, commisi l'errore più grande, quello di cui mi sarei pentita a morte specialmente nell'anno a seguire: mollai la presa e mi abbandonai completamente, fidandomi di quelli che ormai consideravo come un fratello e una sorella. Già... peccato non vivessimo nel giardino dell'Eden come credevo ma, ahimè!, eravamo già stati catapultati sulla Terra ostile e io, a differenza di Abele, mi ritrovai ad aver a che fare con due caini.

Il primo anno di convivenza passò tranquillamente, almeno per la maggior parte.
Io e Patrizia, che a uscire col gelo e la pioggia non ci pensavamo proprio, trovammo i passatempi più disparati per trascorrere le infinite serate invernali; unimmo gli interessi che avevamo in comune e ne creammo di nuovi, sbellicandoci dalle risate oppure ammazzandoci dai pianti quando quel periodo del mese si presentava in concomitanza per entrambe (perché è vera la storia del ciclo mestruale che si sincronizza tra ragazze che stanno a stretto contatto) e anche la sola pubblicità dei croccantini per cani ci intristiva.
Mattia, che nel frattempo aveva trovato un lavoro che non intralciasse i suoi studi, aveva dimezzato le visite a casa nostra. Durante la settimana lo vedevamo di rado e questo, se da un lato contribuì a far rafforzare il legame tra me e Patrizia, dall'altro si rivelò essere un'arma a doppio taglio... anche se l'avrei capito col senno di poi: nei weekend – di tutte le settimane, di tutti i mesi – la mia coinquilina prese l'abitudine di far dormire il suo fidanzato a casa nostra. A me non dava fastidio, anzi, capivo benissimo la voglia che avevano di passare del tempo insieme, e non mi opposi. A dire il vero, non mi ero mai opposta alla presenza di Mattia e Patrizia non si era mai opposta alla presenza dei pochi ragazzi che nell'arco di quell'anno avevo frequentato, anche se le mie relazioni non erano mai andate a buon fine – d'altronde non potevo pretendere fortuna anche in quelle!, tutta la fortuna che mi spettava l'avevo impiegata nella ricerca della casa. Tra l'altro consideravo Mattia come un vero amico, tanta era la confidenza che si era instaurata tra noi; spesso facevamo comunella contro Patrizia per prenderla bonariamente in giro o per farle qualche scherzetto innocente, per cui la sua presenza in casa non mi creava alcun tipo di disagio. Anzi, benché non avessimo talun legame intimo e nonostante ci conoscessimo da poco, in più di un'occasione Mattia rivolse la sua attenzione anche nei mie confronti, come quando il giorno di San Valentino mi portò un lecca-lecca a forma di cuore, come quando l'8 marzo regalò un piccolo mazzetto di mimose anche a me, oppure ancora come la volta in cui trovò le babbusce pelusciose che tanto desideravo e me lo regalò, scegliendo fra i colori a disposizione il mio preferito. Erano attenzioni del tutto innocenti, senza alcuna malizia; lo sapevo io, lo sapeva lui e, cosa più importante, lo sapeva Patrizia.
Eppure, a distanza di pochi mesi dovetti ricredermi e, ancora, mi ritrovai a maledirmi mentalmente per l'errore che commettevo ogni volta che qualcuno riusciva a entrare nelle mie grazie: dimenticavo di porre dei paletti, credendo che avrei ricevuto il medesimo rispetto che ero solita usare io stessa, quando invece dalla mano che davo inevitabilmente veniva preso tutto il braccio.
Passato il periodo invernale, Mattia cambiò mansione e di conseguenza orari. Il nuovo lavoro gli comportò tempi ristretti e questo portò Patrizia a preparare per lui sia il pranzo che la cena, insistendo affinché rimanesse a casa nostra per i pasti e per la notte. Non mi interpellò affatto in merito a queste decisioni, le prese dando per scontato che a me stesse bene in quella maniera... e mi sarebbe andata anche bene (non sono un mostro, capivo la situazione di entrambi anche se mi urtava terribilmente il non essere stata presa in considerazione) se non fosse stato per il fatto che, pian piano, cominciò a mancarmi la libertà. Non so come fecero, ma – tanto silenziosamente quanto subdolamente – riuscirono a impossessarsi delle piene decisioni di quel dannato appartamento, facendomi sentire ospite in casa mia.
Inutile dire che Mattia divenne un terzo inquilino fisso, stabilendosi giorno e notte da noi. Nella sua abitazione tornava solamente per lavarsi e fare la lavatrice; ma non ero scema, sapevo benissimo che, quando non c'ero, anche fare la doccia e lavare i panni erano cose che svolgeva in casa mia. Al di là dell'intuizione, ne ebbi la conferma quando Patrizia – decisamente poco attenta sotto questo aspetto – iniziò a lasciare indizi sparsi in giro, nonostante a parole continuasse a negare l'evidenza. La cosa che mi mandava letteralmente in bestia, era il fatto che le spiegazioni e le bugie che mi forniva non gliele aveva richieste nessuno, tanto meno io. Non m'importava neanche delle spese che aumentarono leggermente, non sono mai stata una persona dal braccino corto, ma la presa in giro... no, quella mi seccava più di tutto. Non sapevo ancora, però, che col tempo la lista dei fastidi si sarebbe allungata di parecchio.
Stringemmo amicizia con i dirimpettai e gli inquilini del piano di sopra; e, in entrambi i casi, si trattò di coppie che divennero pappa e ciccia con Patrizia e Mattia. La cosa non mi interessava affatto, anzi!, da un lato mi faceva comodo: le loro uscite a quattro o a sei mi regalavano attimi di pace, giornate o serate in cui potevo godere del silenzio di casa mia, in cui potevo cenare con calma, detenendo il controllo della tv della sala. Per l'appunto, questa era un'altra delle cose che mi faceva salire il sangue al cervello: di solito, la coppietta felice passava la maggior parte del tempo comodamente spaparanzata sul divano, con il televisore sintonizzato di continuo su programmi di loro gradimento benché tenessero gli occhi incollati sullo smartphone. Ciò che mi faceva salire l'omicidio era il fatto che, nonostante non prestassero attenzione a quello che veniva trasmesso, non era comunque consentito cambiare canale perché «stiamo guardando». Sì, come no! La concentrazione impiegata era talmente tanta che, di proposito, più di una volta chiesi loro di cosa trattasse il film che “stavano guardando”; e la risposta che ricevetti fu sempre la stessa: nessuna.
Inizia a detestarli intensamente; si erano del tutto impadroniti di quella che doveva essere in parte casa mia, non di Mattia; ma lui, forte del fatto che Patrizia lo lasciasse fare, iniziò a prendersi delle libertà che non gli spettavano minimamente, surclassandomi come se nulla fosse. Ma un anno era già trascorso e l'inizio del secondo mi lasciò sperare in una svolta positiva per la mia psiche e la mia ulcera al limite della sopportazione.
Mattia si trasferì in un altro appartamento del quale era assolutamente entusiasta, e il suo entusiasmo fece scaturire in me una riflessione: “Se l'euforia per la casa nuova è così alta, sicuramente vorrà viverci in quelle dannate quattro mura, dando un senso ai soldi che nell'anno appena trascorso ha speso per una stanza rimasta praticamente vuota. Tra l'altro, dato che la casa in questione è quella di fronte alla nostra, forse questa volta sarà più facile che Patrizia vada a trovarlo più spesso”. Già!, perché la cara e insopportabile Patty altri non era che un'altezzosa principessina, una di quelle che «preferisco venga lui qui perché io a casa sua non mi sento a mio agio, meglio casa nostra dove sto più comoda, e poi i suoi coinquilini non sono molto affabili».
E lì capii tutto. Capii che mi aveva scelta perché, furba com'era, sicuramente aveva visto in me la stupida della situazione, quella facile da manipolare. Beh, ingenua lo ero stata per davvero. O meglio, ero stata buona – come la mia indole m'imponeva di essere; ma, come spesso accade, la bontà diventa sinonimo di stupidità di fronte a persone la cui vera natura è puramente infida e calcolatrice.
Decisi di mantenere il silenzio ancora per un po', lasciandole credere che non mi fossi accorta del suo... del loro gioco. E all'inizio del nuovo anno accademico tutto filò liscio: la felicità per la nuova sistemazione di Mattia li tenne entrambi indaffarati col trasloco e le pulizie, lasciando a me una relativa calma. Come avevo sperato, Patrizia passò davvero del tempo a casa del fidanzato e per un po' mi godetti la mia cucina e il mio salotto come mai prima di quel momento.
Ma, si sa, le cose troppo belle non hanno vita lunga: per sua sfortuna (e ancor più mia), a Mattia capitò un coinquilino veramente fuori dal comune; non si trattava di incomprensioni caratteriali, si andava ben oltre. Le diatribe fra loro divennero così aspre e accese che, passati neanche tre mesi e dopo essere arrivati alle mani, Mattia lasciò casa sua per trasferirsi nuovamente nella nostra, spendendo per l'ennesima volta soldi a vuoto che mai – neanche per mezzo secondo – gli venne in mente di impiegare per contribuire alle spese di quella che, infine, era divenuta anche casa sua.
Quella, sommata al fatto che ormai anche i vicini reputavano me come ospite piuttosto che lui, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Odiavo trovarmi in quella situazione; dover affrontare discorsi poco piacevoli è una cosa che ho sempre detestato, ma non potevo aspettare oltre. Sapevo bene che altri, al posto mio, sarebbero stati meno tolleranti e avrebbero espresso molto prima le proprie opinioni, ma mi trovavo in una posizione scomoda: ero in netta minoranza in quella casa e in quel condominio; già passavo la maggior parte del tempo da sola, preferendo la compagnia dei miei pensieri piuttosto che le mille e più maledizioni che si susseguivano spontanee nella mia testa quando avevo loro dinanzi il campo visivo, non volevo ritrovarmi anche a litigare con le uniche persone con cui abitavo e che – inevitabilmente – avrebbero fatto fronte comune contro di me, rendendo il mio vivere lì ancor più estenuante di quanto già non fosse. Per questo aspettai fin quando non ce la feci veramente più.
Quando però giunse il momento, presi Patrizia da parte e le spiegai con calma tutto ciò che non andava, sforzandomi di non prendere fuoco com'è tuttora mio solito fare e tentando di aggrapparmi ai termini più consoni e meno offensivi che riuscii a utilizzare. Ma, come dice un vecchio detto del mio paese, a lavare le orecchie all'asino si perde tempo, acqua e sapone. Immaginavo, anche se speravo vivamente non accadesse, che Patrizia avrebbe fatto finta di comprendere per poi continuare a comportarsi come se nulla fosse. Dio solo sa quanto questo mi fece definitivamente uscire di testa, rendendomi scontrosa con tutti e particolarmente suscettibile. Che sia beata la mia migliore amica che, in quel periodo, sopportò le mie lamentele giornaliere che ogni dì ero costretta a esternare pur di non implodere malamente.
Ma avevo smesso di comportarmi da brava ragazza. Così, dopo essermi maledetta per l'ennesima volta ed essermi ripromessa di dare sempre e comunque retta all'istinto, smisi di fare la buona (e stupida) della situazione. Se era la guerra che volevano, la guerra avrebbero avuto.
Non ebbi bisogno di attuare chissà quale vendetta, mi bastò semplicemente vedermi i fatti miei proprio come loro avevano sempre fatto da ancor prima che mi mettessero nel sacco. Perciò, lottando contro quello che è sicuramente un mio disturbo ossessivo-compulsivo, smisi di lavare i piatti che non ero stata io a sporcare o di rimettere in ordine il casino che non ero stata io a creare – e questa, fra tutte le cose, fu quella che più turbò la nullafacenza di Patrizia, la quale si era comodamente adagiata sulle mie spalle sapendo quanto il disordine mi desse alla testa; cessò la mia tolleranza per le cene organizzate a mia insaputa in qualsiasi periodo dell'anno, specialmente quello prossimo agli esami; non esistette più che fossi disposta a soddisfare ogni loro capriccio, cosa che prima facevo volentieri non essendo mai stato un problema – per me – aiutare il prossimo. Smisi anche di pranzare e cenare con loro, facendo in modo che i nostri orari non coincidessero mai. Appena il tempo iniziò a essere clemente, poi, cominciai a passare intere giornate fuori casa; tra università e amici non fu difficile, ma, per quanto fosse piacevole godere della bella stagione, rimaneva comunque pesante auto-imporsi di uscire pur di non perdere completamente il controllo e la bussola. Iniziai, inoltre, a dileguarmi per interi weekend quando i parenti di Patrizia presero l'abitudine di venire a trovarla in massa, trasformando l'appartamento in un albergo: se non si fosse capito, l'invadenza, la completa mancanza di rispetto nei confronti del prossimo e il dare per scontato che agli altri andasse bene, era una questione di geni in quella sacra famiglia. Così me ne andavo ogni volta, lasciando l'amata coinquilina a ripulire da sola un casino che non mi apparteneva e che, ero stata chiara, non avrei in alcun modo tollerato al mio ritorno.
Ma la botta finale, quella che più colpì Patrizia nel profondo, arrivò in concomitanza all'estate.
Ero decisa ad abbandonare quell'inferno, e al diavolo se non fossi riuscita a trovare una casa altrettanto bella. La mia sanità mentale era più importante, così come la fedina penale che ero faticosamente riuscita a mantenere immacolata.
Un giorno, dopo essermi già messa alla ricerca di un altro appartamento, le dissi con sgravio che per l'anno successivo avrebbe dovuto trovarsi una nuova coinquilina. L'afflizione che lessi sul suo volto quasi mi commosse e per un attimo pensai che forse, nel profondo, le dispiacesse sul serio; immediatamente dopo, però: «E se la prossima coinquilina che verrà mi creerà problemi per la presenza di Mattia?». Era quello il suo vero dispiacere, ovvio! La guardai con sufficienza, assumendo un sorriso che esprimeva rassegnazione per la sua persona, pena per la sventurata che avrebbe abitato con lei e sollievo per me stessa, poi la lasciai da sola. Il giorno dopo la trovai in lacrime, arrabbiata con i suoi genitori perché il piano che lei e Mattia aveano messo a punto durante la notte non era andato a buon fine: l'idea era quella di far trasferire regolarmente il fidanzato in quella casa, in modo tale da avviare una convivenza ufficiale anche agli occhi dei suoi; era logicamente fuori discussione, per lei, abbandonare l'appartamento dei suoi sogni. Ma la vecchia volpe si era fatta i conti senza l'oste e si trovò smarrita quando, in special modo la madre, si oppose a quella decisione proclamandosi contraria.
Se solo sapesse la verità...” riflettei. Uscii di casa come al solito, continuando la mia ricerca per una nuova sistemazione; ma, per tutto il giorno, uno strano piacere non abbandonò la mia entità: essere contenta per la sua sventura mi rendeva felice e cattiva allo stesso tempo; ma, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a non sorridere compiaciuta. Ne avevo patite troppe. Assaggiare la sconfitta, una volta tanto, non faceva male neanche a lei; d'altronde, solo perché fino a quel momento era sempre caduta in piedi, non significava affatto che sarebbe stato così per l'eternità.
Ad appagare ancor di più il mio animo arrabbiato e il mio stomaco malandato per via del nervosismo, ci pensò una notizia – tanto funesta per lei quanto meravigliosa per me – che ci giunse qualche giorno più tardi. Devo innanzitutto premettere che Patrizia è stata una delle poche persone capaci di tirar fuori il peggio di me; i peccati più gravi della vita non li ho commessi in atti quanto in pensieri, quei maledetti pensieri omicidi che solo lei – con la sua faccia da culo, il suo ego smisurato e il suo egoismo senza limiti – è stata capace di suscitarmi. Non vado fiera di quel periodo nel quale mi comportai appositamente da persona individualista e disinteressata; ma, per quanto non mi sia piaciuto andare contro la mia stessa natura, fu necessario... così come mi fu necessario e assolutamente impossibile non gioire internamente nel vedere il mondo crollarle addosso quando il proprietario (al quale non avevo ancora comunicato la mia decisione) annunciò, da un momento all'altro, che avremmo dovuto lasciare la casa. A me non fregava un fico secco di quell'abitazione che, ormai, grazie alla peggiore delle coinquiline, era diventata soffocante per la mia persona; ma vederla rimanere senza nulla da dire di fronte alla realtà – proprio lei che doveva avere sempre l'ultima parola – non fece altro che deliziarmi e risanare sempre più le ferite metaforiche che mi erano state inflitte.
L'occhio per occhio, dente per dente non ha mai fatto parte di me, ma chi ero io per impedire al destino di compiersi? Non mi restava altro che lasciarlo fare!
Così, terminata l'estate, mi trasferii nella nuova casa che avevo trovato, scelta – questa volta – per la buona impressione suscitatami dalle inquiline che già l'abitavano, affidandomi – esattamente come mi ero ripromessa – all'istinto, non temendo minimamente che potesse toppare, anzi!, avrei toppato io se non gli avessi dato retta. Di fatti, graziata da una buona stella dopo un effettivo anno e mezzo di torture, ritrovai la serenità, la voglia di rimanere a casa e non di evadere da essa, la complicità con due ragazze sulla mia stessa linea d'onda e la forza di affrontare nell'immediato situazioni spiacevoli piuttosto che procrastinarle.
Quanto a Patrizia, ci pensò il karma a vendicarmi una volta per tutte, restituendole pan per focaccia.
Trovò un appartamentino nella mia stessa zona (“È una persecuzione!” pensai là per là), condividendolo con una ragazza che, a differenza di me, non solo non possedeva il dono dell'accondiscendenza, ma si scoprì avere anche una mentalità piuttosto retrograda in merito ai rapporti sentimentali: Mattia fu quasi bandito dall'abitazione, nella quale le cose, al di là di lui, già non andavano per il meglio. Patrizia e la nuova coinquilina si scontrarono fin da subito, trovandosi in disaccordo praticamente su tutto: ostinate e testarde entrambe, seppur per motivi differenti, finirono per farsi continui dispetti reciproci. Arrivarono addirittura a scontrarsi pubblicamente davanti al proprietario dell'appartamento e ai genitori di tutte e due, intraprendendo una lotta che durò per parecchi mesi, fin quando Patrizia – esasperata – non si trasferì definitivamente a casa di Mattia.
Io, informata dei fatti dalla diretta interessata, non riuscivo a smettere di ringraziare il fato per quella rappresaglia che aveva compiuto al mio posto, vendicandomi come solo lui avrebbe potuto fare. Ogni volta che Patrizia mi telefonava, poco ci mancava che preparassi popcorn e patatine e mi mettessi comoda ad ascoltare le ultime notizie, quasi avessi avuto un appuntamento settimanale con il nuovo episodio della mia serie tv preferita. Ma la cosa che mi soddisfaceva più di tutte, era il fatto che Patrizia mi rimpiangesse apertamente.
E sì, lo so!, so che non è bello esultare per le sfortune altrui, specialmente se il disgraziato in questione sta vivendo una circostanza che abbiamo sperimentato su pelle. Eppure penso che sia stato proprio questo a mantenermi distaccata e malefica nei suoi confronti, appagandomi come poche cose nella vita: finalmente lo sapeva anche lei, sapeva cosa si provasse ad avere a che fare con una persona che non ti rispetta, che se ne infischia altamente del tuo parere e del tuo pensiero, che esercita la propria supremazia dando per scontato che a te stia bene sottostare al suo volere; sapeva cosa significasse voler fuggire di casa pur di non impazzire e cosa volesse dire preferire evadere piuttosto che farsi venire una crisi di nervi.
Personalmente, sorrido ancora in maniera diabolica quando ripenso a tutta questa storia, dalla quale ho constatato come chi semina vento alla fin fine raccoglie davvero tempesta, e dalla quale ho imparato a comportarmi un po' più egoisticamente; la cosa continua a non piacermi, ma un pizzico di amor proprio non guasta mai se saputo calibrare in modo da non farsi mettere i piedi in testa.
E Patrizia... beh, mi auguro abbia imparato la lezione; me lo auguro per lei ma anche e soprattutto per le povere malcapitate che si ritroveranno a vivere sotto il suo stesso tetto.
In fondo, è abbastanza semplice da tenere a mente, no? Basta non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, che poi sennò arriva il karma e sono cazzi!


 

NdA:
Ringrazio Dark Sider per aver indetto il meraviglioso contest "Generi a catena" cui partecipa questa storia, e ringrazio Laila_Dahl per aver proposto genere (commedia) e prompt ("Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, che poi arriva il karma e sono cazzi") dai quali la OneShot ha preso praticamente vita!

   
 
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