Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: Cara93    09/05/2020    4 recensioni
{Partecipa al contest "Generi a catena" indetto da Dark Sider sul forum di EFP}
Cos'hanno in comune un circo, una cittadina suburbana, una terribile vendetta e quattro teppistelli? Leggete e scopritelo, siate impavidi, signore e signori
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I ragazzi si avviarono ridacchiando verso il tendone della cartomante. La serata si stava rivelando più divertente del previsto: nessuno di loro, quattro baldi diciottenni che si ritenevano fin troppo cresciuti per il circo, ci avrebbe mai scommesso.
 
Il circo itinerante era arrivato nella cittadina la settimana precedente. Il sonnecchioso, lento, polveroso e afoso lunedì di giugno era stato travolto da quella novità. Il jingle ossessivo e giocoso che preannunciava l'arrivo di un ospite gradito quant'anche inaspettato è rimbombato nelle orecchie di grandi e piccini prima ancora che si scorgessero ad occhio nudo delle carovane e dei carrozzoni.
 
"Papà, papà ci andiamo?"
"Ti prego ti prego ti prego"
"Mamma, dai. Ti prometto che farò il bravo"
"Voglio vedere i pagliacci e il mangiafuoco e i serpenti e giocare tutte le giostre"
"Don mi ha promesso che mi porta"
"Andy mi regala i pupazzi. È fortissimo li prenderà tutti"
"Ma se il mago mi fa sparire? Io ho paura, Lalla"
"Sei una stupidotta Marie"
"Coniglio coniglio coniglio"
Le voci cristalline dei bambini si attorcigliavano e si accavallano eccitate. In un altro momento, in un altro contesto, gli adulti li avrebbero scacciati con irritazione e impazienza. Ma c'era il circo. Era un evento magico e speciale. 
 
Alan, Robert, David e Steve si erano lasciati trascinare anch'essi dall'evento. Un po' per mancanza di altri stimoli in grado di competere con quella novità, in parte perché sapevano che tutte le ragazze dalla zona ci sarebbero state, in parte perché, ad una certa ora, era stato pubblicizzato uno spettacolo "particolare", i quattro si erano finalmente decisi. Sicuramente non per la gioia dei presenti. 
 
La ragazza gironzolava tranquilla, le trecce bionde che le penzolavano mollemente sulla schiena, gli occhi blu scintillanti ed entusiasti. Non le capitava spesso l'occasione di poter uscire da sola. 
"Ehi, dolcezza, tutta sola stasera?" 
"Vuoi compagnia?" 
Il primo ragazzo, piuttosto alto e grosso, le si accostò con fare simpatico. La ragazza sorrise, imbarazzata. Allungò il passo, sperando di scrollarselo di dosso. Non aveva fatto i conti con il secondo ragazzo: più basso del primo, ma molto più tarchiato. 
"Sono sicuro che lo vuole. Stare in compagnia" aggiunse una voce sgraziata alle sue spalle. 
"E certo, non si sarebbe mica vestita così sennò" 
La ragazza si guardò intorno in cerca d'aiuto, implorante. Il secondo ragazzo le mise una mano su un braccio, la stretta una morsa pesante. Il primo cominciò a giocare con le sue trecce. Spintonandola, smorzando le sue proteste, la trascinarono in un angolo buio. 
 
La trovarono riversa a terra, le trecce scarmigliate. Sua madre, una trapezista, imprecò in una lingua che suonava antica ed esotica. Suo padre, il domatore di leoni, la abbracciò, asciugandole le lacrime. Una volta portata nella loro roulotte, entrembi i genitori, furenti, si diressero verso il tendone di Madame Velas, la cartomante. 
 
Alan si lasciò cadere pesantemente sul lettuccio malandato, che cigolò rumorosamente. Dall'altra parte del misero divisorio della parete, suo padre, perennemente insonne e stanco, vi batté il pugno, sperando nella clemenza della notte. Nei sogni tortuosi del ragazzo comparve un basso ritmo, un "bum bum" incessante e costante. 
Steve rientrò a casa in punta di piedi, forzando la finestra al primo piano, per evitare di svegliare i suoi genitori e i fratelli minori. Si sentiva sporco e in colpa, anche se non capiva esattamente per cosa. Il suo respiro si fece rantoloso e ragliante, spaventandolo ed impedendogli di dormire. 
Quando David rincasò, trovò i genitori ad attenderlo. Capirono solo guardandolo che era ubriaco. Lo rimproverarono e lo punirono. David si buttò sul letto colmo di rabbia, i neri occhi furiosi del padre e la ruga di delusione sulla bocca della madre lo tormentarono, rinfocolandone la furia. 
Robert arrivò a casa all'alba, dopo essersi fatto passare la sbronza. Anche se, a casa sua, a nessuno importava. Entrò, si diresse alla camera che divideva con il fratello e, dopo averlo spostato, adagiandolo dolcemente sulla parte di sopra del letto a castello, si spogliò e si vi si sdraiò, aspettando il suono della sveglia. 
 
Il circo se n'era andato, lasciando dietro di sé le impronte delle gomme delle roulotte e una processione sgangherata di cartacce e piccoli rifiuti. Il tempo trascorreva lento e pastoso, ma, nonostante ciò, la cittadina dimenticò molto presto quella piccola deviazione dalla normalità. Persino i bambini dimenticarono, in loro rimase solo la nostalgica sensazione di una magia che non si era mai avverata, ma che, con prepotenza, li spingeva a sperare che, prima o poi, diventasse reale. 
 
Da settimane, Steve aveva la sensazione che qualcuno lo seguisse. Nonostante niente nel suo campo visivo glielo facesse sospettare: nessuna ombra sospetta, nessun lembo di tessuto dietro un albero a rappresentare una manica o un pantalone traditori. Nessun rumore sospetto: niente eco di passi diversi dai suoi, nessun colpo di tosse involontario o lo sfrigolio di scarpe e abiti. Sentiva di non essere mai da solo. Divenne inquieto. Girava la bella testa ricciuta di scatto, muoveva nervosamente i piedi quando si trovava fermo per troppo tempo. Prese persino a grattarsi la faccia con regolarità, una sorta di tic nervoso. Spesso guardava fisso in un punto o borbottava tra sé. Shelley, la ragazza più bella e intelligente della scuola e fidanzata ufficiale di Steve, ragazzo prodigio della scuola, colui che avrebbe sfondato di sicuro e alla grande, l'altra metà perfetta della coppia perfetta; aveva raccontato alle amiche, bisbigliando preoccupata, che in due occasioni, mentre si trovavano assieme, Steve si era comportato in modo strano. Nella prima, mentre si stavano baciando dietro un pino nel misero parchetto della cittadina, Steve l'aveva spinta lontano ed era scappato via con gli occhi fuori dalle orbite. Nella seconda, approfittando dell'assenza dei genitori di lei, si trovavano nella stanza di Shelley, pronti per fare l'amore. Steve si era mostrato strano per tutto il pomeriggio, irritabile e taciturno. All'improvviso, aveva cominciato a baciarla quasi con forza, disperatamente; e, sempre disperatamente, l'aveva spogliata e accompagnata sul letto. Shelley non l'aveva mai visto così, aveva ricacciato indietro le proteste come per istinto, quasi sapesse che se lei avesse detto di no, le cose si sarebbero messe molto male. Ma non ce ne fu bisogno. Steve si allontanò da lei di scatto, poco dopo esserlesi sdraiato sopra, si era messo le mani tra i capelli, scuotendo la testa. Si era persino messo a piangere, ripetendo ossessivo: "mi dispiace, mi dispiace". 
 
David li aveva radunati tutti. Da qualche tempo i suoi compari (definirli amici sarebbe stato troppo), si stavano comportando in modo strano. Preoccupante, osò definire tra sé e sé. Anche lui aveva i suoi problemi, ma aveva sempre fatto in modo che non trapelassero, anzi, li aveva sfogati nel bosco al confine della vecchia casa dei Warren. Letteralmente, sfogati. Da qualche tempo, il ragazzo d'oro, Steve, sembra più di ottone, da quanto sembrava nervoso e sciupato. Il bad boy per eccellenza, Robert, aveva cominciato a seguire il fratello più piccolo e ad osservarlo in modo forse un po' inquietante. Mentre Alan... beh, Alan sembrava semplicemente pazzo e non quel pazzo divertente. Doveva prendere in mano la situazione, se voleva che il loro accordo di reciproca convenienza e basato sulle più turpi fantasie rimanesse, beh, conveniente. 
 
"Dobbiamo andare alla polizia, Dave". L'esordio di Steve non poteva essere più fastidioso. 
"E per dire cosa?" 
"Confessare" 
"Confessare cosa?" Non aveva alcuna intenzione di rendergli le cose più facili. Steve era stato l'unico a proferire parola. Alan, basso e massiccio come un toro e dall'aspetto esoticamente minaccioso di un punk di città penosamente fuori posto, canterellava per conto suo una nenia stonata e fuori posto. Robert, che già normalmente aveva l'aria di uno straccione poco propenso alla doccia, in quel momento sembrava un tossico nel bel mezzo di un trip andato male. Solo Steve, nonostante l'aspetto trasandato e spossato di un universitario in piena crisi, appariva lucido. 
"Quello che abbiamo fatto alla... sì, alla ragazza" 
David scoppiò a ridere, prima di rispondere: "cosa cazzo me ne fotte della ragazza. Qui, se non stiamo attenti finisce male. Vuoi davvero che si sappia della tua manina lunga, Steve?" lo fissò con i suoi occhi di ghiaccio solo il tempo necessario a fargli abbassare lo sguardo "e tu" disse, rivolgendosi ad Alan "vuoi davvero che si sappia che ti sbatti la moglie del sindaco? Il vecchio Budd ci mette dieci minuti a scannarti, forse lo farà dopo la tua bella, quando avrà scoperto che è solo colpa tua se la sua adorata Britt non diventerà una star, dopotutto. Ma che ne sai, magari, la nipotina sfonderà, invece. E tu" concluse, passando a Robert "vuoi davvero che si sappia dello spaccio? Non credo proprio" 
"E tu?" domandò Steve, rosso fino alla punta dei capelli biondi per l'indignazione. "Cosa direbbero se sapessero delle risse? Che non è stato quell'ubriacone di Ridge a investire il ragazzino, ma tu? Cosa direbbero dei ricatti?" 
David sorrise ancora, lupesco. Decise in quel momento che si sarebbe accertato che Steve tenesse il becco chiuso e l'avrebbe fatto personalmente. 
 
Skinny Lenny non riusciva a dormire, di solito. La sua baracca improvvisata, alla periferia della città, non era esattamente comoda, ma ci aveva fatto il callo. Si sentiva sicuro, di solito. Quella non era una metropoli e pochi barboni come lui avevano subito quelle brutte cose che sentiva nei notiziari alla TV o alla radio, le rare volte che si recava nei rifugi e girellava fuori dai negozi. Al massimo, si moriva di freddo o di caldo. Ma Skinny Lenny aveva paura. Per la prima volta nella sua vita per strada, da quando era finito in quel buco dimenticato da dio, certe notti sentiva suoni provenire dai boschi. Sentiva stridii e fruscii sinistri, gli uggiuolii di animali (sperò che si trattasse di animali) sofferenti e spaventati; ma, più di tutto, sentiva il silenzio della preda che si nasconde e quello spaventoso del desiderio del cacciatore. 
 
Alan non aveva sentito una parola del discorso di David. Non aveva neppure percepito la tensione tra il golden boy, che lui riusciva a tollerare a stento, e lo stronzo che aveva idee contorte sul divertimento, a tratti disgustose, ma geniali. Non lo sentiva perché non riusciva a sentire più nulla. O meglio, sentiva solo le voci. Incessanti, stridule, basse, roche, vicine e distanti. Solo voci, spesso dalle parole indistinguibili e martellanti, a volte una nenia antica e remota come il mondo che lo terrorizzava più, molto di più, dell'idea di essere diventato pazzo. 
 
Robert sapeva che quello stronzetto di Caleb lo avrebbe fottuto. Lo aveva sempre dietro il culo, non poteva fare un passo senza che gli venisse dietro. Per questo Caleb sapeva. Sapeva tutto. E sarebbe corso a raccontare tutto, prima ad Alex, quella skinhead al contrario, la sua puttanella, e poi a Big John, lo sceriffo. Ma gliel'avrebbe fatta vedere, a quell'ingrato. 
 
Caleb era preoccupato per suo fratello. Gli sembrava strano, nervoso. Probabilmente, il loro padre lo stava stressando con la scuola. Odiava quando faceva così, quando trattava Bob come un idiota. Oppure quando lanciava frecciatine al veleno sui suoi amici, insinuando che non fosse "normale", cioè gay. Anche per questo nessuno dei due aveva mai portato gente a casa: l'unica volta che ci aveva provato, era stata rivelatoria e gli aveva fatto capire, a Caleb, un ragazzino di quindici anni, che suo padre era uno stronzo; si era rivelata l'esperienza più imbarazzante della sua vita. Esattamente da allora si era ripromesso di espiare la colpa di quei "scimmia" e "negretta" rivolti ad Alex che a Caleb pesavano addosso. Anche Robert la pensava allo stesso modo. O almeno, era quello che aveva sempre creduto, finché non l'aveva colto mentre lo guardava in modo strano, inquietante. 
 
Steve entrò nel bosco, esitante. Ancora non credeva di aver accettato davvero di incontrare David nel bosco, ma la ragazza con le trecce bionde, quella che avevano violentato a turno la sera dell'arrivo del circo, lei era d'accordo. Aveva cominciato a vedersela davanti da allora, stravolta e sanguinante; a volte si limitava a guardarlo severamente, a volte apriva la bocca, come per urlare a tutti la sua colpa oppure lo indicava, l'indice della mano sinistra, con l'unghia mangiucchiata o rotta, gli appariva accusatorio e definitivo, una sentenza ineluttabile. Quella sera, gli aveva fatto cenno di accettare, quando David lo aveva chiamato, dicendogli che aveva deciso di costituirsi e che voleva incontrarlo in privato, per parlarne ancora una volta. 
 
C'era la luna piena. Non era ancora notte, ma l'astro era ben visibile nel cielo scuro. David lo osservava da dietro un albero, non aveva ancora captato la sua presenza. Sorrise, pregustando ciò che sarebbe successo. 
 
Per prima cosa, Steve udì un suono simile ad un latrato. Cercò di convincersi che si trattasse di un cane, ma ancor prima di vederlo, sapeva. Strillò quando il mostro uscì dal suo nascondiglio lentamente, lasciandogli il tempo di prendere coscienza di ciò che aveva di fronte: un essere antropomorfo, dai lunghi artigli affilati e i denti scintillanti, così lunghi da somigliare a quelli delle tigri dai denti a sciabola sui dépliant dei musei di scienze naturali; denti tanto grossi da impedire alla bocca, enorme e spostata in avanti, bestiale, di richiudersi bene. Non era un essere peloso, anzi, era praticamente glabro e per questo ancor più ributtante. Strillò di nuovo, un urlo acuto, lancinante. E scappò. Il licantropo non aspettava altro. 
 
Lo rincorse, anche se l'inseguimento durò meno di quanto il mostro avrebbe gradito. Gli saltò sopra, atterrandolo sulla pancia. "Non c'è carne più succulenta di quella di un traditore... O un codardo", pensò il licantropo. Snudò le zanne, rendendole ancora più mostruose e terribili. Un velo di saliva colò sul collo nudo di Steve, che aveva terra e muco in bocca e nel naso e continuava a dibattersi cercando di scrollarselo di dosso. 
 
 
Gli animali del circondario impazzirono. Per settimane, gli uomini si adoperarono per abbatterli, perché, si sa, quando un animale assaggia il sangue (soprattutto se umano), diventa inaffidabile. 
 
Il suono di una canzoncina echeggiò a lungo, nella cittadina deserta. Alcuni membri della compagnia itinerante decisero di entrare nel diner della cittadina, l'unico negozio che sembrava avere ancora uno sprazzo di vita. 
"Oh, ma che sorpresa!" bofonchiò l'unica persona presente nel diner, ovvero il suo proprietario, una delle poche persone che non si erano ancora arrese all'inevitabile diaspora. Mr Adam, il direttore del circo itinerante, si sporse verso l'ometto dietro il bancone, in cerca di notizie. 
"Ma non avete gli occhi voialtri? Qui non c'è nessuno!" sputò l'omino. 
Madame Velas, che faceva parte del piccolo gruppo mandato in avanscoperta, si risitemò i drappi che le ricoprivano il corpo, guardandosi attorno, apparentemente annoiata. Una bacheca attirò il suo sguardo e, con un cenno impercettibile, comunicò all'apprendista del mago di approfondire la questione. 
"E quella a cosa serve, allora?" fece sentire la sua voce incerta il ragazzino, indicando la bacheca. 
"Giusto!" si intromise il direttore dei circo "a cosa serve una bacheca di servizio, se non c'è nessuno?" 
"Come promemoria", l'omino uscì dal bancone e si avvicinò alla bacheca "di quando tutto ha cominciato ad andare male?" 
"Quanto melodramma!" esclamò il direttore del circo, con la sua voce sfentorea. 
"Quindi non volete sentire la storia?" 
L'omino sembrava chiaramente offeso. 
"Affatto. Racconti pure" 
Sorpreso dal sentire la voce della donna velata, dopo un attimo di silenzio, l'ometto cominciò a raccontare, come se non facesse altro da tutta la vita. 
 
"Come potrete immaginare, una piccola comunità rischia il tracollo, quando succede qualcosa di tragico, figurarsi se ne succedono quattro" tacque, lasciando il tempo agli interlocutori (che non sembravano particolarmente impressionati) di assimilare il senso della frase. "Guardate le fotografie di questi quattro ragazzi e avrete l'immagine della tragedia alla quarta potenza." 
Il ragazzino aprì la bocca, per correggere l'immagine evocata dall'omino, ma rinunciò sentendo la mano di Madame Velas sulla spalla. 
"Ecco a voi Steve Drummer" indicò un ragazzo estremamente bello, con una chiostra di denti perfetti e bianchissimi, l'immagine del bravo ragazzo dell'America bene "famiglia accettabile, ottimo atleta e studente brillante. La speranza della città, il ragazzo che sarebbe diventato qualcuno. Scomparve una giornata d'autunno, in ottobre, per la precisione. Ciò che è rimasto del suo corpo, un ammasso di ossa e cartilagine corredata da una pozza di sangue, venne ritrovato sparso nel bosco: un braccio tra le fronde di un albero basso, gli occhi su un tronco, gli intestini ad unire un albero ad un altro"
Tacque ancora, aspettandosi di vedere l'orrore negli occhi del suo pubblico, invano. Riprese il racconto, spazientito: "David Cohan" indicò l'immagine di un ragazzo biondo, anche lui in forma, anche se non quanto Steve, quasi anonimo "il figlio del giudice Cohan. Un altro bravo ragazzo, si direbbe. L'hanno trovato appeso alla finestra dell'edificio più alto, prima della condanna. Pare che avesse assassinato lui il povero Drummer" 
L'ometto aveva perso tutta la sua vena teatrale, probabilmente il suo entusiasmo era stato smontato dalla mancanza d'interesse dei forestieri. 
"Alan Reed" indicò sbrigativamente il ragazzo dall'aspetto più riconoscibile, con il suo stile punk rock "si era trasferito da poco con il padre, un intellettuale di qualche tipo. Ragazzo ribelle, un po' spaccone. Ha perso la brocca e ha cercato di ammazzarsi. Lo hanno ricoverato in chissà quale manicomio, il padre ha messo sotto silenzio la cosa."
"Robert Barberr" indicò l'ultima fotografia "forse la vicenda più triste, anche se non molto sorprendente, data la famiglia disastrosa da cui proviene. Il padre gli ha sparato tre colpi in pieno petto, dopo aver trovato il figlio minore, Caleb, con la testa maciullata e Robert ciondolare per casa coperto di sangue", terminò. 
"Tutto qui?" domandò il direttore del circo. L'omino, offeso, non rispose. Sembrava non avesse più alcuna intenzione di rivolgere la parola agli stranieri.
"Avete una coppia delle fotografie?" chiese la donna velata, con somma sorpresa dei presenti. L'ometto annuì, sparì da qualche parte nel retro del locale e ne riemerse con quattro stampe sgranate. 
 
"Spero sarai soddisfatta, Emilia. Sapevo che non avrei dovuto ascoltarti, quando hai chiesto di fare una deviazione..." borbottò il direttore del circo. Una volta arrivati alle roulotte, l'uomo ordinò subito che si ripartisse, non c'era nulla per loro, in quella città fantasma. Madame Velas si avvicinò ad una esile biondina e le mise in mano le quattro fotografie. La ragazza sorrise.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: Cara93