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Autore: NyxTNeko    10/05/2020    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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La Valette, 25 giugno

La città di Tolone da maggio era in subbuglio, a causa della Rivoluzione. La maggior parte dei suoi abitanti non aveva accettato alcune misure rivoluzionarie, in particolare la Costituzione Civile del Clero, e si era sollevata contro di essa. A giugno vi erano state anche delle brevi rivolte e l'arresto dei girondini, voluto dai giacobini. La presenza di un esercito permanente non rendeva di certo più leggera l'atmosfera.

Napoleone ricordava ancora nitidamente le guerriglie in Corsica e il tragico esito, non poteva di certo dimenticare quella delusione, quel dolore lacerante che si ripresentava spesso. Per questo motivo, dopo aver parlato apertamente con Giuseppe, decise che sarebbe stato meglio sistemarsi in città più sicure. Quindi avevano spostato il 'domicilio' in un paesino poco distante da Tolone, La Vallette.

Il giovane capitano Buonaparte, nei giorni precedenti, proprio mentre stavano traslocando, aveva ricevuto una lettera da Saliceti, che risiedeva in Marsiglia. Il commissario straordinario gli riferì l'evoluzione dei fatti sull'isola, soprattutto delle epurazioni delle famiglie o degli individui ostili al nuovo regno di Corsica, che il Paoli voleva creare.

Napoleone la lesse piuttosto velocemente, come volesse levarsela di torno, nascondendo quel senso di fastidio che gli procurava leggere di certi avvenimenti. Aveva ribadito più volte ai suoi, che del futuro della Corsica non gli importava più nulla, che non si sentiva più corso, ma che era un francese a tutti gli effetti. In cuor suo, però, piangeva per quello che avevano subito, specialmente la sua famiglia, trattata come la peggior feccia esistente.

Inoltre sapeva che, per quanto potesse illudersi, nessuna terra sarebbe stata la sua patria, non avrebbe amato mai un altro paese al pari della sua Corsica. Questo gli procurava una sofferenza all'anima inaudita, specie quando gli capitava di guardare silenzioso, la costa. Quel mare era così diverso, non gli parlava allo stesso modo di quello di Ajaccio, ciò confermò la sua paura di restare un eterno straniero in terra. Eppure, nei momenti di minor scoramento, si faceva forza e andava avanti. "Non serve a nulla rimpiangere una vita che non esiste più" si diceva, ogni volta. Doveva sopravvivere per la sua ambizione e per la sua famiglia.

Con sua sorpresa, in allegato alla lettera, vi era un certificato accuratamente compilato e firmato da Saliceti in persona. Napoleone non si aspettò che l'iniziativa partisse da lui, infatti si era scervellato per cercare il momento giusto in cui avrebbe voluto mandare un dispaccio al compatriota per ottenere il certificato che giustificasse la sua assenza. Saliceti lo aveva anticipato e colpito - A quanto pare, crede davvero nelle mie capacità - si disse stupito, rifletté e comprese che il significato del certificato era un altro - Ma cosa mi illudo a fare, è solo per tornaconto, essendo io uno dei pochi ufficiali disponibili a compiere qualsiasi lavoro militare, pur di mettermi all'opera, ha scommesso su di me... - sospirò.

Posò la lettera sul letto, guardò la finestra, il cielo azzurrino coperto in parte dalle sagome irregolari dei palazzi e delle case. Sospirò nuovamente e pensò che con Saliceti, a Marsiglia, il resto della famiglia sarebbe stata al sicuro, mentre lui si sarebbe diretto a Nizza - È la cosa migliore da fare, nessuno oserebbe fare loro del male e inoltre Giuseppe otterrebbe qualche incarico - balzò di scatto, andò dagli altri, per riferire loro il tutto.

- Dobbiamo metterci in viaggio? - domandò sua madre incredula, sbatteva le palpebre. Erano arrivati in quella cittadina da pochi giorni e già voleva ripartire? Cosa voleva fare? Che aveva in mente? Nemmeno lei riusciva ad inquadrare i suoi piani.

- Voi e gli altri - precisò Napoleone, avanzò verso di lei deciso, poggiò entrambe le mani sulle spalle e la contemplò determinato - Io devo andare a Nizza, il reggimento mi attende, ora non ho più nessuna scusa, e comunque Giuseppe potrebbe aiutare l'economia sostenendo Saliceti, ha le qualità per farlo

Letizia spalancò leggermente gli occhi e lo osservò, ebbe paura per lui, nonostante sapesse che suo figlio se la sarebbe cavata, non era di certo uno sprovveduto, era comunque spaventata dall'idea di doversi separare da lui dopo tutto quel tempo trascorso insieme. Anche Carlo se n'era andato in quel modo, con la certezza che un giorno si sarebbero rivisti. E invece era spirato, senza darle l'occasione di stargli vicino e salutarlo per l'ultima volta. Era certa che nulla avrebbe fermato il suo Napoleone, adesso che gli si era prospettata l'opportunità di mettere alla prova le sue doti - Sii prudente, Nabulio, figlio mio, ti dico solo questo, non compiere azioni scellerate

Napoleone la abbracciò forte, lungamente - Lo farò madre - fu la sua semplice, intensa risposta. Aveva letto la paura,  giustificabile, di sua madre e fu letteralmente invaso dal desiderio di rassicurarla alla sua maniera. Aveva ammesso di non temere la morte, in quanto destino comune a tutti gli uomini d'armi, specialmente nella branca dell'artiglieria. Sua madre era rimasta turbata da tale dichiarazione, era così palese. Tuttavia non poteva mentirle, perché era ciò che lui provava: indifferenza nei confronti della propria morte, sul campo se questo era stato previsto, per lui, dal Fato. 

Letizia inspirò il profumo del figlio, non era cambiato da allora, era sempre pulito e fresco, giovanile e turbolento. Lo strinse a sua volta, non pianse, in fondo era un arrivederci che profumava di addio, anche se usava quella parola persino per indicare il ritorno. Era davvero particolare quel figlio. Forse avrebbe dovuto dedicarsi alle discipline che adorava davvero: le scienze e la letteratura. Tutto di lui, a partire dall'aspetto, mostrava l'attitudine allo studio, alla cultura. Fin da piccolo, accanto alla spada, aveva sempre un grosso libro, il suo vero amico.

Evitò di incrociare il suo sguardo per impedirgli di leggere la sua mente, non poteva sapere che Napoleone lo avrebbe fatto lo stesso. Il ragazzo aveva letto così tanto sull'umanità da conoscerla abbastanza. Seppur gli restasse molto da apprendere sulla sua pelle, attraverso il libro della vita. Non era così superbo da non ammettere di essere ancora un giovane uomo, che solo in quegli anni si stava aprendo alla vita di un Paese così grande come la Francia.

"Avrei dovuto dare retta a mio fratello" si disse pensierosa Letizia "Giuseppe mi aveva detto che la carriera militare sarebbe stata troppo dura per lui" Lo aveva riferito anche a Carlo, che, invece, vedeva in essa la possibilità di renderlo un uomo migliore.  L'addestramento militare, secondo il marito, lo avrebbe forgiato come un'arma, appunto, oltre ad doverlo aiutare per riscattare la Corsica dalla sottomissione della Francia. Non aveva minimamente calcolato che a quel punto Napoleone sarebbe vissuto con una dualità che lo avrebbe caratterizzato, cosa che successe. "Dovevo fermare Carlo quando ne avevo l'occasione, ora è troppo tardi per tornare indietro e Nabulio questo lo sa, perciò ha accettato il suo destino e ha non ha abbandonato l'uniforme".

A quel punto, si sciolse dal suo abbraccio, elevò leggermente la testa e affrontò i suoi occhi - Devo farlo, madre, per tutti noi - disse il capitano quando finalmente aveva visto la verità nelle sue iridi - Ma non mi lascerò uccidere, sopravviverò, anche a costo di restare infermo per tutta la vita - mentì spudoratamente.

- Smettila di dire menzogne a tua madre, Nabulio! - lo rimproverò bonariamente la donna. Dopodiché gli aggiustò dei bottoni fuori posto e sistemò alcune pieghe - E poi pensi di presentarti così ai tuoi superiori? Ti caccerebbero immediatamente - Napoleone ridacchiò divertito, sua madre non sarebbe cambiata mai, era sempre pronta a metterlo in riga, come faceva quando era una piccola peste, ingestibile.

- Non sono più un bambino, madre - rise il ragazzo, era incredibile come riuscisse, in un momento simile, ad alleggerire il suo cuore, con la sua proverbiale severità. Non percepì la solita opprimenza nella sua voce e fu di grande sollievo. Non voleva proprio andarsene con un macigno di tale portata sul petto. Gli bastava il suo - Quello che conta realmente sul campo sono le capacità, non di certo l'uniforme, quanti vanitosi ho conosciuto che pur di non sporcare i loro abiti, evitavano di battersi, patetici - aggiunse velenoso.

- Tuo padre in pratica - iniziò a ridere Letizia, coprendo la bocca con il dorso della mano, si sedette sulla poltrona, aiutata dal figlio, premuroso - Le ore che mi faceva perdere solamente per aggiustarsi la parrucca, però mi divertiva quando lo vedevo tutto agghindato come un aristocratico, per fare bella figura, non hai preso proprio niente da lui - rimembrava il tutto, nonostante fossero passati anni. Era un altro mondo, ormai, sembravano essere passati secoli da allora, tanto era mutata radicalmente la società.

Il figlio sorrise malinconico, suo padre gli mancava tanto, doveva ammetterlo. La sua allegria, e perché no, la sua superficialità, così boriosa, così stupida, che all'epoca mal digeriva e rimproverava nel profondo, rallegravano le loro giornate. Quei giorni erano finiti per sempre e sarebbero rimasti dei ricordi congelati, fino a quando non si sarebbero sciolti nei meandri della mente - Avete ragione, non ho preso nulla da lui, se non il cognome - In realtà aveva il sospetto che avesse ereditato il terribile male che lo aveva stroncato in giovane età, aveva questa inquietante sensazione. Non ne fece mai parola con alcuno, era meglio così.

Poco dopo vide sopraggiungere il fratello Giuseppe e si allontanarono dalla madre. Napoleone gli spiegò ogni cosa, il maggiore aveva prestato particolare attenzione, comprendendo che non glielo avrebbe ripetuto, quindi, si stampò in testa ogni suo  suggerimento e opzione - Quanto al tuo compito di capofamiglia - sussurrò poi guardingo - Per il momento è garantito, perciò non concentrarti su simili pensieri - lo fissò intensamente - Questo non significa che non mi terrai informato, intesi?

- Non preoccuparti fratello, lo sai che non potrei farlo, altrimenti mi riempiresti di lettere - replicò scherzoso Giuseppe, ammiccò, infine gli diede una pacca e lo rimirò fiducioso - Mi raccomando mostra chi sei a quei francesi arroganti, stupiscili come solo tu sai fare...

- Sei francese anche tu Giuseppe, come lo sono io, le origini corse e genovesi non contano più - gli ricordò sarcastico, allungò la mano verso la sua e gliela strinse energico - Fatti valere fratello mio, so che hai delle doti diplomatiche non indifferenti, Saliceti rimarrà soddisfatto, sei un avvocato non dimenticarlo - Era sincero nel proferire questo e si augurava che il maggiore si svegliasse e si mostrasse degno del nome che portava.

Giuseppe vide il fuoco ardere nei suoi occhi e capì che Napoleone credeva in lui, non doveva deluderlo. Avevano fatto una sorta di patto, assieme a Luciano, pochi giorni prima, avrebbero collaborato e avrebbero raggiunto i loro obiettivi ciascuno con le proprie abilità - Non l'ho dimenticato, fratello, mi sono impegnato per rendere orgoglioso me stesso e nostro padre

Il secondogenito a quel punto annuì e corse nella sua stanza a sistemare la roba che avrebbe portato con sé: delle cartine geografiche raffiguranti il mezzogiorno francese, il cannocchiale, alcuni libri, tra i quali il Werther, le biografie dei condottieri del passato, Ossian e la Gerusalemme Liberata. Non riusciva a viaggiare senza avere appresso la sua piccola e modesta, per ragioni di spazio, biblioteca. Senza contare che il tragitto sarebbe stato piuttosto lungo e il fare niente, tra una sosta e l'altra, l'avrebbe condotto alla follia.

Parigi, 3 luglio

L'ex regina Maria Antonietta, chiamata all'unanimità vedova Capeto, dopo la morte del consorte, aveva vissuto per un paio di mesi in isolamento al Tempio con la cognata e i figli Maria Teresa e Louis Charles. Quest'ultimo era divenuto, per i legittimisti e i monarchici, Luigi XVII, l'unico vero detentore del potere.

I suoi adorati bambini erano l'unica cosa che la tenevano ancora in piedi. Era sicura che prima o poi la sua fine sarebbe arrivata, si era rassegnata a vivere passivamente gli ultimi giorni o mesi della sua esistenza. Vestiva di nero e i suoi lunghi capelli, un tempo biondi e morbidi, erano diventati completamente bianchi, a causa dei traumi avuti negli ultimi tempi.

Il cavaliere de Jarjayes, un monarchico convinto e fedele all'ex sovrana, nel marzo dello stesso anno, aveva pianificato un tentativo di evasione che era fallito sia a causa di un suo collaboratore, sia a causa dell'irrigidimento dei controlli e delle perquisizioni. Era riuscito a farle recapitare una lettera dal cognato, il conte di Provenza, Luigi Stanislao, fratello del defunto Luigi XVI, in cui garantiva la nomina del caro nipotino, autonominandosi suo reggente.

La speranza di ottenere il trono, dopo il fallimento della Rivoluzione, che tutti, in Europa invocavano, era ancora viva nel conte autoesiliato. Il cavaliere non si era perso d'animo e aveva progettato nuovamente un piano, per far evadere almeno l'erede al trono e metterlo sotto la custodia dello zio. Insospettiti dall'agitazione dei filo-monarchici e dai movimenti dei sostenitori di Maria Antonietta, la Convenzione deliberò che il bambino dovesse essere separato dalla madre e affidato a dei giacobini fidati, in modo da educarlo come repubblicano.

Questa, almeno, era la giustificazione fatta passare per buona, in realtà il motivo era altro e ben più crudele di quanto si potesse immaginare. Alcuni municipali, quel giorno, irruppero nella prigione - Abbiamo l'ordine di allontanare vostro figlio da voi, austriaca! - Videro Maria Antonietta, seduta su una misera sedia, stringeva il suo bambino di 8 anni. Li guardava furente.

- Andatevene via! Io non ve lo consegnerò mai, perché lo uccidereste, non mi interessano le scuse che userete per togliermelo, io non ve lo darò! - gridò la donna, protettiva come una leonessa con i suoi piccoli. Louis Charles si teneva aggrappato a lei, non voleva lasciarla, aveva promesso al padre che sarebbe rimasto insieme alla mamma fino alla fine.

- Non costringeteci ad usare la forza - esordì uno degli uomini con profondo disprezzo per quell'austriaca. Ricambiò il suo sguardo bieco.

- È la Convenzione ad averci mandato da voi per eseguire il compito, noi non volevamo assolutamente venire! - sputò l'altro che avanzò minaccioso verso i due rannicchiati - Perciò consegnateci il bambino o lo faremo con la violenza!

Maria Antonietta spaventata da una possibile reazione degli uomini e con gli occhi gonfi di lacrime, allentò la presa sul piccolo, che la guardò terrorizzato. L'ex regina urlò - Prendetevi... prendetevi l'ultimo bene prezioso che mi è rimasto... mi avete tolto tutto, presto anche la vita... come... come potete essere così crudeli con una madre - singhiozzò, cadde in ginocchio, teneva le mani sul volto - Non...non siete anche...voi...anche voi... padri?

Gli uomini si fecero scuri in viso e ringhiaromo sottovoce, rabbiosi e rancorosi - Lo eravamo, ma i vostri inutili balletti hanno ucciso i nostri bambini!

-  Li abbiamo visti morire sotto i nostri occhi senza poterli salvare! - sbottarono quelli, evitarono di afferrarla e prenderla a pugni perché sapevano che la Convenzione le avrebbe dato quello che meritava. L'austriaca, più di Luigi Capeto, sicuramente plagiato da quella donna, meritava il peggio, prima di morire.

-  Non avevamo i soldi per permetterci un dottore o delle cure adeguate!

Uno di essi afferrò il bambino e lo trascinò a forza fuori, opponeva resistenza, gridando continuamente, tra le lacrime - Madre! Madre!

Mentre Maria Antonietta si rese per la prima volta conto del perché avessero covato tutto questo odio, soprattutto nei suoi confronti - Vogliono punirmi prima di uccidermi - sussurrò. Immaginò tanti poveri bambini denutriti e affamati che morivano e si ammutolì. La vista di ciò non impietosì affatto i popolani, anzi, rimasero indifferenti di fronte alla sua espressione affranta e se ne andarono, lasciandola sola con il suo rammarico. 




 

   
 
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