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Autore: fool_dynosaur    10/05/2020    0 recensioni
Felix è un ragazzo affetto da una rara sindrome che lo obbliga ad auto-isolarsi dalla società dopo la tragedia della sua famiglia. Tutta la bella vita che il ragazzo si era creato la stava calpestato da solo.
Molly è una ragazza universitaria dalla stanza incasinata e il cuore puro. Ciò che aveva cambiato la sua vita era uno strambo tipo taciturno.
Un giorno per puro caso, la solita curiosità della ragazza la spinge ad avventurarsi nel mondo offuscato del ragazzo, cercando di tirarlo fuori dall'annegare nei suoi stessi rimpianti.
-
( Questa è un’opera di fantasia, qualsiasi referenza al mondo reale è puramente causale. )
Genere: Romantico, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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P r o l o g u e




Kontrol

 

 

 

Sindrome [sìn-dro-me] s.f.

med. Insieme dei segni e dei sintomi che compongono una situazione clinica particolare in un individuo; è anche usato come sinonimo di malattia le cui caratteristiche sono poco chiare.

Con l’espressione sindrome del pesce rosso si intende un particolare atteggiamento di colpa e compassione in seguito ad un evento che traumatizza il soggetto. I segni e i sintomi variano di fronte al tipo di trauma e di psiche della persona; i più comuni sono la commiserazione di se stessi e l’attaccamento alla specie dei pesci rossi, in quanto vengono visti dai soggetti affetti come un talismano di fronte alla situazione. In genere, dai sviluppi scientifici e medici, questa sindrome si ha dalla nascita, sviluppandosi soltanto dopo il trauma sùbito. La maggior parte delle persone affette da questa sindrome sono di genere femminile, anche se i casi più gravi sono avvenuti da parte di uomini. Attacchi di panico e isolamento sono spesso frequenti. Al momento non è stata riscontrata nessuna cura medica per la sindrome del pesce rosso a parte il superamento del trauma. Inoltre, la condizione è associabile anche ad alti livelli di alessitimia, che consiste nella difficoltà a identificare e descrivere le proprie emozioni e quelle altrui. Un corretto trattamento può aiutare il soggetto ad alleviare i sintomi. L’assistenza psicologica è spesso necessaria ai problemi della sindrome.

Essa prende il nome, come già citato, dal noto pesce rosso in quanto la sindrome sia stata collegata all’antica favola del pesciolino d’oro considerando che i sintomi e le motivazioni del soggetto sembrino rispecchiarla. Scoperta da Eugen Bleuler, a metà del novecento, fu classificata come sindrome solo a fine secolo, a causa del fatto che si credesse fosse un disturbo post-traumatico da stress.

Sintomi e caratteristiche:

1. Difficoltà nelle relazioni con persone post-trauma;

2. Persistente senso di colpa in qualsiasi azione il soggetto compi;

3. Frequenti attacchi di panico;

4. Commiserazione nei propri confronti;

5. Eccessivo interesse per i pesci rossi;

6. Mancanza di ricerca spontanea di divertimenti, interessi, o obiettivi;

7. Difficoltà nell’affrontare o parlare del trauma;

8. Difficoltà del soggetto nell’ammettere la sindrome.
 

Dati gli accertamenti medici e psicologici possiamo affermare che suo figlio, Felix Allen, nato il 28 aprile 1995 a Savannah, Georgia, abbia subito un trauma in seguito alla mancanza della madre e della sorella nell’incidente di Arcadia.

Pertanto, è richiesta la partecipazione forzata del malato ai gruppi di sostegno e incontri individuali con i psicologi.

01/05/2015

Dott. Christian Blake.

Il signor Allen richiuse la cartella, sospirando. Forse era la quarta volta che rileggeva quei fogli, non riuscendo a crederci ancora, pur essendo passati due anni. Fissò il vuoto davanti a sé, pensando a quanto avesse sbagliato nella sua vita. In quel momento il figlio aprì la porta di casa. Il padre alzò lo sguardo, nascondendo la cartella sotto le sue gambe sedute al tavolo del soggiorno. Felix guardò il padre senza mostrare nessuna espressione, poi salì in camera sua.

Ben lo guardò finché non scomparve dalla sua vistapoi riprese il dossier, osservando il nome del figlio scritto sull’etichetta bianca. Sentì una stretta al cuore nel ricordare il suo sorriso il giorno prima che le due donne di casa partissero, senza più tornare. Forse Felix era troppo legato a loro, ma come biasimarlo?

Anche a lui mancavano; ogni mattina svegliarsi e notare che l’altro lato del letto era vuoto e freddo, che non doveva più accompagnare nessuno fino alla scuola, che non avrebbe mai saputo com’era provare gelosia nei confronti del fidanzato o accompagnarla all’altare. Gli sfuggì una lacrima, che con un sorriso asciugò. Di certo a Lisa e Adele non sarebbe piaciuto vederlo debole in quella situazione, nonostante fossero passati due anni.

Due lunghi anni in cui ci aveva provato ad aiutare il figlio, ma sembrava rifiutare tutto. Si era ritirato dall’università, rifiutava di andare a pesca con il padre o parlare con chiunque. Ben inizialmente pensava di aver dimenticato il suo vero figlio sul porto di Road Sixty-six, poi si dava dello stupido. Felix c’era ancora e lo sapeva, solo che si era nascosto. Sì, come faceva da piccolo quando rubava i trucchi della madre usandoli per disegnare e sentendo le sue sfuriate, si infilava in qualsiasi angolo cupo della casa. Non aveva mai avuto paura del buio o delle storie dell’orrore, era impassibile a quelle cose; provava più terrore nel sentire le sgridate di sua madre quando qualcosa non andava. Succedeva di raro, ma quei momenti facevano ridere fino alle lacrime il padre, perché il viso spaventato del figlio era una delle cose più dolci che avesse mai visto. Ringraziò il cielo quando ebbe Felix, e lo fece anche con Lisa.

Ma in quel momento cosa aveva fatto? Aveva pregato come quelle volte, null’altro era rimasto per un vecchio padre di una famiglia sgretolata. Poteva solo pregare affinché accadesse un miracolo e qualcuno lassù gli restituisse suo figlio, e il suo sorriso di cui tutti rimanevano colpiti.

La porta che sbatté lo aveva risvegliato dai suoi ricordi, rendendosi conto che il figlio aveva appena lasciato la casa di nuovo, quella volta per andare al canale di Savannah.

 

Odiava il caldo, dal momento che la distraeva dai suoi studi. Odiava anche il fatto che la sua porta finestra fosse bloccata dai suoi libri scolastici. Aveva sempre saputo che la sua camera fosse piccola ma piena di roba inutile, come per esempio la collezione di carte Yu-Gi-Oh che occupava tutta la mensola da quando era piccola. Sbuffò, fissando con odio il paesaggio che c’era fuori, poi decise di alzarsi e provarci. Si sgranchì le dita prima di impugnare la maniglia e girarla.

“A noi due.”

Tirò poggiando il piede sull’altra porta, aprendola di qualche centimetro. Sudò ma riuscì ad uscire grazie a quel spiraglio, sentendo il vento fresco di fine marzo.

Le strade del quartiere erano calme e poco affollate al mattino, soprattutto durante la settimana. Per quello Molly amava la sua città, nel suo quartiere c’era tranquillità quasi tutta l’estate nonostante la folla di turisti che visitavano Savannah. Le solite vicine chiacchieravano dal balcone, spettegolando sulle solite persone che sembrava poco raccomandabili. Qualcosa però attirò la sua attenzione. Un ragazzo snello dai capelli castani chiari arruffati, con un giubbotto senza maniche verde prato sopra ad una camicia a quadri viola e blu e una maglietta nera con un jeans scuro. Stringeva tra le mani una boccia piena d’acqua ed un pesce rosso che nuotava in cerchi lentamente; Molly lo fissò incuriosita da quel particolare. In quel momento l’osservato alzò lo sguardo e guardò la ragazza. Lei sgranò gli occhi e per un attimo sentì il cuore in gola, poi si riprese e sorrise alzando la mano per salutare lo sconosciuto. Il ragazzo tenne il suo sguardo neutrale, poi lo riabbassò come se nulla fosse successo.

La castana mise il broncio.

“Maleducato.” - sussurrò continuando a guardare la figura del ragazzo allontanarsi lungo la salita.

Un vento più forte fece socchiudere gli occhi alla ragazza, poi sentì un tonfo. Girandosi notò la portafinestra chiusa. Spalancò la bocca spaventata dall’idea di essere rimasta chiusa fuori e iniziò a spingere, rendendosi conto di essere rimasta bloccata. Batté sulla finestra con forza, iniziando a chiamare la madre a gran voce.

Giovedì Molly pulì finalmente la camera, mentre la madre filmava il tutto.

“La vuoi smettere?” - chiese indicandola con una gamba di bambola nella mano.

La madre rise.

“Ma è un miracolo! Dio ha ascoltato le mie preghiere; era da quattro anni che lo aspettavo.”

La figlia alzò gli occhi al cielo, buttando anche la gamba nel sacco della spazzatura. Crystal bloccò il cellulare e batté le mani felice.

“Vado al mercato del porto, oggi si mangia pesce. Tu finisci qui?”

Annuì, spostando con un braccio tutte le penne finite e i fogli accartocciati verso il margine della scrivania per poi cadere nel sacco. Guardò verso la portafinestra, e spinta dalla curiosità, uscì nel balcone iniziando a cercare tra le persone qualcosa di colorato. Dopo diversi minuti storse la bocca rientrando in camera. Non riusciva a capire perché fosse uscita a cercare proprio un qualcosa che non conosceva. Scosse la testa per non pensarci.

Venerdì portò il pc sul balcone, dando qualche occhiata ogni tanto sulla strada, senza notare particolari. Sospirò, e verso l’ora di pranzo rientrò in casa.

Sedendosi a tavola si morse il labbro, guardando poi la madre.

“Mamma, hai mai avuto la sensazione di… essere attratta da qualcosa che non consoci? E’ normale?”

La signora Davis sorrise, posando il piatto davanti alla figlia.

“Certo che è normale, è l’ignoto che attira di più.”

La ragazza annuì, lasciando perdere l’argomento.

Sabato uscì, andando al solito caffè bar, il Bubble Bar, assieme a Loreen. Domenica segnò il solstizio di primavera, sospirando per la noia. Molly già sapeva che quella sarebbe stata l’ennesima primavera noiosa e monotona. Anche se a lei piaceva l’avventura e la incuriosiva un po’ tutto, non poteva far nulla in un paese poco attrezzato per i suoi gusti. Non c’erano montagne da scalare, posti da esplorare, film che le interessassero per andare al cinema ( se l’avessero mai avuto ). Lei era fatta per la scoperta e l’avventura, non amava fare le stesse cose due volte di seguito o stare in casa. Ma purtroppo il caldo strano di quell’anno e la noia la sconfissero. Non poteva far altro che aspettare che la sua mente partorisse un’idea geniale, anche se per il momento era bloccata sulla misteriosa figura dello sconosciuto. Deglutì, posando la penna sulla scrivania ormai libera. Camera sua sembrava un’altra cosa da pulita, più luminosa e spaziosa; le tre mensole sopra il letto semi vuote, la scrivania di fronte libera, la porta finestra tra il letto e il tavolo che poteva finalmente aprirsi. L’armadio ad angolo posto tra il letto e la porta d’entrata rimaneva l’unico tabù. L’ultima volta che l’aveva aperto per tirare fuori una maglietta era crollato tutto. Solitamente i vestiti che preferiva e usava più spesso erano tutti posati sulla sedia della scrivania o sul letto, dandole fastidio quando dormiva.

Lunedì Loreen la invitò a dormire a casa sua, restando fino a martedì sera. Per la castana i giorni stavano passando lenti e monotoni; mercoledì mattina uscì in balcone sbadigliando dopo la lunga dormita fatta. Si strofinò gli occhi e posò le mani sulla sbarra della ringhiera arrugginita del balcone per non fare qualche brutta figura dato che a malapena si reggeva in piedi, guardando le vicine. Le salutò, pensando a che aspetto penoso dovessero avere i suoi capelli, buttando dopo un occhio anche per strada, dove lo vide. Smise di respirare, e assottigliò lo sguardo sul ragazzo. Stesso giubbotto, camicia rossa fuoco a quadri, jeans chiari, la solita boccia con un pesce rosso al suo interno. Ne fu convinta che fosse lui quando alzò lo sguardo sul suo balcone. Molly si risvegliò all’improvviso come se fosse stata scossa e colse l’occasione, sporgendosi un po’ troppo. Felix rimase indifferente di fronte all’azione quasi suicida della ragazza, che lo indicò.

“Hey tu! Fermati lì.”

Parve non ascoltarla, tanto che tornò a guardare la strada. Strinse le labbra, poi tornò in casa, infilandosi velocemente le scarpe, incurante del fatto che indossasse il pigiama. Saltò alcuni gradini, correndo fino all’uscita di casa dove aprì la porta e guardò in strada. Il ragazzo era scomparso nel nulla. La castana sbatté un piede per terra, uscendo comunque di casa. Camminò sulla stessa strada che fece il ragazzo, guardando in ogni vincolo e incrocio, senza notare nessuno dal giubbotto verde. Aggrottò la fronte, confusa su ciò che fosse appena successo.

Il giorno successivo ne parlò con l’amica.

“Te lo giuro. Appena sono uscita fuori non c’era più. Sparito, evaporato, poof.”

L’amica rise dall’altra parte del telefono.

“Sicura di non esserti inventata nulla?”

Molly rimase per un attimo spiazzata. E se fosse davvero stato cosi? Se si fosse immaginata tutto? Strinse gli occhi per un attimo. Non poteva essere, non ricordava di assumere droghe. Scosse la testa scombinandosi i capelli.

“Senti! Non farmi passare per pazza; l’ho visto e mi ha guardata… ha anche dei bei occhi. ” - borbottò all’ultimo, nascondendo il viso dentro il cuscino.

La mora si mise a testa ingiù sul letto, guardandosi i piedi.

“Non saprei che dirti Molly, parlaci.”

L’interpellata rotolò per terra con una smorfia.

“Non so nemmeno come si chiama.”

“Ma tu non sei così? Parli con tutti senza problemi, che te ne fai ora?”

La ragazza guardò la portafinestra di fronte a sé, poi sorrise.

“Hai ragione, ma… sento che è diverso, ho una sensazione strana. Quando mi ha guardata mi sono sentita quasi male.”

L’amica rimase confusa, alzandosi dal letto. Conosceva     Molly da quando erano alle elementari e le era servito forse troppo tempo per imparare il carattere della ragazza. Loreen Quinn era una normale ragazza, ascoltava Beyoncé mentre cucinava, faceva yoga nel tempo in cui l’università non la stressava e non si arrabbiava mai. Aveva un carattere mite e tranquillo, socializzava con tutti. Lei era tutta nella norma rispetto alla compagna.

Molly per i sconosciuti poteva risultare quasi pazza. Parlava e salutava tutti; in città era molto conosciuta per la sua vivacità. Rimaneva ore davanti alle gioiellerie, lamentandosi per il fatto che non potesse indossare anelli se non per bambini a causa delle sue mani piccole. Non la terrorizzava nulla, amava l’avventura e giocare nonostante avesse vent’anni, tingersi i capelli o spaventare gli amici, oltre l’ossessione per la pizza - e se non fosse per la madre, l’avrebbe mangiata ogni giorno. Si affezionava subito alle persone e donava molto amore e coccole a tutti. Guardava sempre i soliti film classici e amava parlare della sua famiglia. Loreen era sicura che i suoi occhi si illuminassero quando ne parlava; Molly era proprio uno spirito libero e affettuoso, nessuno avrebbe resistito di fronte a quella ragazza espansiva e un po’ strana dal solito.

Eppure era la prima volta che la sentiva agitata. Sospirò, uscendo dalla sua camera per andare al frigo.

“Non lo so, finché non ci provi non so che dire. Non sono il tipo da consigli.”

La castana annuì, facendo sfuggire dalla sua coda la ciocca bionda che si era tinta quasi un mese fa.

“Sapessi com’è Lò. Aveva un aspetto misterioso e portava una boccia con un pesce rosso al suo interno.”

L’amica affogò, posando il cellulare e il bicchiere sul tavolo.

“Aveva un giubbotto verde senza maniche?”

Molly aggrottò la fronte, sorpresa dall’intuito dell’amica.

“Sì Hudini, come fai a saperlo?”

La mora strinse le labbra.

“Come fai tu a non conoscerlo!? Tutta la città lo sa.”

“Oh, è un attore? Un cantante? E’ una città piccola questa, l’avrei saputo.”

“E’ affetto dalla sindrome del pesce rosso. Si chiama Felix Allen.”

La castana ascoltò con attenzione, ripetendosi più volte in mente il nome del ragazzo per memorizzarlo.

“La sindrome del pesce rosso? Quella che abbiamo studiato per il tema del primo anno?”

“Sì, quella del trauma.”

Crystal entrò dopo aver bussato, vedendo la figlia sdraiata per terra.

“La cena è pronta, oggi pizza.”

Molly risse per la felicità, salutando l’amica prima di lanciare il cellulare e scendere a tavola.

Ben guardò nuovamente le scale, aspettando il figlio che scendesse per cenare. Poco dopo sentì la porta aprirsi e Felix scese in pigiama nella sala, sedendosi a tavola. Guardò il piatto fumante davanti a sé.

“Come stai oggi, figliolo?”

L’interpellato alzò le spalle, impugnando la forchetta. I suoi capelli umidi da poco lavati caddero sulla fronte pallida, dandogli un po’ di fastidio.

“Ho visto una ragazza stramba.”

Il padre alzò lo sguardo speranzoso, chiedendo perché l’avesse nominata in quella maniera. Era la prima volta dopo due anni che Felix parlava di una persona che non fosse la madre o la sorella.

“Mi ha urlato contro, ma non è che mi sia importato granché. Penso che non passerò più di là per andare alla Sixty-six.”

Ben scrollò le spalle sconsolato, mentre il figlio guardava la tv appena accesa.

“E perché ti avrebbe urlato contro?”

Il castano guardò il padre con la bocca piena, poi inclinò.

“Non so, ma mi ha incuriosito. Ti ricordi? Mi urlava dietro anche la mamma.” - parlò, continuando ad osservare la tv.

Il signor Allen batté la forchetta sulla mano del ragazzo.

“Non parlare con la bocca piena Felix. Comunque sono felice, magari potresti fare amicizia e-”

Storse la bocca a quella affermazione, sbattendo le posate sul tavolo.

“No.”

La mano del ragazzo tremò, e si alzò dal posto correndo in camera sua. Perché ogni volta che tentava di farlo socializzare andava in panico? Perché doveva essere tutto così difficile? Ben sapeva cosa avrebbe fatto e sentì diversi rumori di sopra. Lentamente si alzò e andò nella camera del figlio.

Felix trovava difficoltà nel comunicare con le persone, anche con suo padre diventava davvero difficile ogni giorno che passava. Non voleva semplicemente averci nulla a che fare, nonostante dentro di sé qualcosa lo stesse spingendo a farlo. Una parte di lui forse tentava di guarire, magari era a conoscenza del suo stato e la sua sindrome; ma la parte che soffriva era più grande di se stesso. Non poteva, non riusciva a pensare a qualsiasi cosa che non fosse Lisa o Adele. Il suo cuore iniziò ad accelerare, sentendo il respiro mancargli. Ogni qualvolta pensava a sua sorella e ai vecchi ricordi lo assalivano gli attacchi di panico. Gliel’avevano portata via, senza che lui avesse fatto qualcosa di male. O sì?

Non ne era certo, ma sapeva bene che per salvarle non aveva fatto nulla, e ora si sentiva debole, quasi soffocato da quella mancanza. Iniziò a provare un forte senso di vertigini mentre sudava, tanto che si lasciò cadere a terra e si strinse le ginocchia al petto. Da piccolo quando piangeva sua madre gli accarezzava i capelli, incoraggiandolo a trovare ciò che lo rasserenava. Non sarebbe più successo. Iniziò a compatire se stesso dato che piangeva come un bambino a ventuno anni. Suo padre entrò in camera, provando ad avvicinarsi al figlio.

“Vattene via!” - urlò in modo aggressivo, lanciando subito dopo la sveglia decorata con piccoli pesciolini rossi.

Il signor Allen evitò l’oggetto, lasciando che si rompesse contro la parete della camera. Avrebbe tanto rivoluto indietro il suo bambino, quello che mostrava affetto a tutti, quello emotivo che sorrideva per le cose più cretine. Sapeva che c’era una cura, che poteva alleviare il dolore di Felix; ma come se egli stesso si rifiutava di far qualsiasi seduta o prendere una qualsiasi pillola?

Non sono pazzo.” - aveva detto la prima, la seconda, la decima e la trentasettesima volta che il padre glielo chiese.

Ben non poteva fare nulla se il figlio non voleva, era maggiorenne e poteva solo guardare, continuando a nutrire speranza così come aveva fatto ai margini del porto, senza nessun successo. Si inginocchiò di fronte al ragazzo per cercare di abbracciarlo, ma rifiutò allontanandosi ulteriormente.

“Buonanotte Felix, cerca di dormire.” - sussurrò il padre, dopo aver preso i resti della lampada e spento la luce.

Quella notte il ragazzo fece un incubo diverso dal solito. La Arcadia non appariva, la madre non lo salutava, Lisa non gli prometteva di tornare con un regalo, e la nave non affondava. Nessuno chiedeva scusa per un errore così banale che ha tolto così tante vite; il porto era vuoto e silenzioso come dopo un funerale e l’acqua del mare era più calma del solito. Stranamente riusciva a sentire l’odore salmastro del mare e si sentiva più… libero, quasi normale, come non si sentiva da tempo. Si guardò in giro e sgranò gli occhi appena notò sul ponte del porto una persona. La ragazza che quella mattina gli aveva urlato contro guardava l’acqua come incantata, con i piedi sui bordi del ponte. Il ragazzo non sembrò preoccuparsene.

Felix, guarda! C’è un pesce gigantesco.”

Come faceva a conoscere il suo nome? Perché gli stava parlando?

La ragazza si mosse per allontanarsi, ma poggiò male il piede e perse l’equilibrio, cadendo in acqua. Il ragazzo si svegliò alzandosi a sedere; il cuore batteva come se stesse per avere un infarto ed era più sudato di quando faceva i soliti incubi. Ebbe un brivido appena ripensò alla scena, e si alzò dal letto.
 

Molly guardò fuori dalla finestra, aspettando il momento giusto. Portava le sue scarpe da tennis preferite nonostante fossero di una taglia più grande e ci inciampasse spesso. Crystal la guardò dalla cucina un po’ preoccupata non sapendo cosa la figlia stesse aspettando. Quando veniva Loreen, lei era sempre in camera sua. La castana sorrise, salutando poi la madre con un urlo. Aprì la porta e si precipitò fuori, dove a pochi metri il ragazzo dal giubbotto verde prato stava stringendo la boccia con il pesce rosso, camminando a testa bassa. La ragazza si spostò la ciocca bionda dietro l’orecchio.

“Hey ragazzo!”

Felix alzò lo sguardo e sussultò nel vederla, quasi ne fosse spaventato. Molly si avvicinò sorridendo mentre teneva le mani dietro la schiena. 


 

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