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Autore: rocchi68    10/05/2020    2 recensioni
Dawn era sempre stata una ragazza che, anche dinanzi alle difficoltà più disparate, affrontava il tutto con un sorriso e una dolcezza disarmante.
Una sera, però, si era ritrovata davanti a un’amara sorpresa.
Non aveva amiche, non aveva un posto in cui stare, era stata tradita dal proprio fidanzato nel momento di massimo splendore ed era frustrata da tutti quei fallimenti in rapida successione che potevano sancire la sua completa rovina.
Poteva spegnersi, cercare una scappatoia per la felicità oppure chiedere un ultimo disperato consiglio all’unica persona che mai l’aveva abbandonata.
Sempre che quest’ultimo fosse d’accordo…
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Duncan, Scott, Zoey | Coppie: Duncan/Gwen
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Erano passati tre giorni da quando Dawn aveva fatto irruzione nella sua vita con le tipiche conseguenze del caso e Scott faticava parecchio a tenere i suoi ritmi o ad adeguarsi alle nuove regole di convivenza. Anche quel pomeriggio, giunto al lavoro, trovò Duncan intento ad asciugare alcuni bicchieri e si chiese se lo cose erano destinate a mantenersi in quell’equilibrio.
Una semplice occhiata al registratore di cassa gli fu chiara per capire che in quelle ore non c’era stato poi molto movimento e che Chef era ancora sigillato nel suo ufficio a leggere documenti.
“Come va con Dawn?” Esordì subito il punk, dopo che il collega si era vestito di tutto punto.
“È così evidente che sta da me?”
“Fai tu.”
“L’ho accompagnata all’Università e poi sono passato a riprenderla.”
“Per quanto continuerai così?” Chiese il punk, poggiando lo straccio sul bancone, ora pulito, e fissando l’amico intento ad allineare le bottiglie con i liquori.
“Le ho dato un mese, ma non ne sono sicuro.”
“E Courtney?”
“L’ho avvertita giusto ieri e sembrava serena.”
“I suoi concerti procedono bene?” Domandò Duncan, servendosi un goccio di una bibita frizzante e rinfrescandosi la gola.
“Credo di sì.”
“La situazione non è semplice.” Sintetizzò il punk.
“Quel bastardo di Beverly ha scelto proprio il momento ideale per rovinarle la vita.”
“Anche volendo, io non posso fare nulla per voi.”
“Come se fosse facile, condividendo l’appartamento con Zanna.” Sbadigliò, risvegliando la figura del mitico coinquilino di Duncan.
Quel ragazzo, non proprio divertente e raccomandabile, era un tizio con i capelli grigi tinti e tirati su in una piccola cresta, dotato geneticamente di uno sguardo aggressivo e scazzato e dal sorriso perennemente forzato.
Tipico ritardatario cronico, aveva un pessimo senso dell’orientamento.
Atteggiamento indolente, annoiato e spesso violento era una leggenda vivente nell’Università, considerato come l’unico che avesse osato tirare una testata al capitano di basket, alto quanto una montagna e grosso più del doppio. Quest’azione, unita alla sua abitudine di giustiziere, lo faceva apparire come un qualche mito da evitare come la peste.
Il tutto era completato solo nel conteggiare anche il capellino nero calato sugli occhi grigi e a coprire una lieve cicatrice obliqua sulla fronte, una maglietta scura con un piccolo teschio a maniche corte che lasciava trasparire la presenza di un tatuaggio a forma di squalo, un paio di jeans grigi con cintura nera dotata di fibbia a forma di teschio fumante e in ultima un paio di scarpe da tennis anch’esse molto scure.
Al polso un orologio di scarso valore, abbinato a una collana e il classico pacchetto di sigarette Marx nascoste nello zaino di solito vuoto.
“Quel tipo è da quasi tre giorni che non torna a casa.”
“Sarà in qualche ospedale per medicarsi l’ennesima mano mozzata.”
“Se un giorno non dovessi presentarmi al lavoro, probabilmente qualcuno mi avrà ucciso, confondendomi per quello.”
“Spenderò belle parole per il tuo funerale.” Affermò il rosso, affettando un limone e preparando il primo cocktail della giornata.
“Qualche idea su come risolvere il problema di questa convivenza forzata?”
“Ne avrei una, ma è rischiosa.”
“Ti ascolto.”
“Perché dovrei parlartene?” Chiese il rosso.
“Perché ti conosco bene e quando una cosa è rischiosa, significa che tu vuoi provarci comunque.”
“Ma davvero?”
“Un po’ come quella volta che sei entrato nell’ufficio del Preside solo per recuperare il cellulare ritirato a Mike.”
“Andrà a finire che qualcuno mi arresterà con tutte le cazzate che combino.” Ghignò il rosso, passando il calice analcolico al cameriere.
“La mia testimonianza sarà pulita.”
“Dirai che merito l’ergastolo e che possono gettare anche la chiave.” Tossicchiò il rosso, immaginandosi già la scena in tribunale.
“Senza di te diventerei capo barman.”
“Tempo una settimana e i clienti ti potrebbero denunciare per il sapone che butti nei loro bicchieri.” Ribatté piccato.
“Non è così che si prepara il Metropolitan?”
“Se Chef ti sentisse diffondere l’ingrediente segreto dei nostri migliori cocktail, ti riempirebbe di calci nel sedere.”  Brontolò Scott.
“Già.” Sospirò il punk, voltandosi verso la porta e notando l’entrata massiccia di una trentina di studenti che, in pochi minuti, avevano riempito la loro sala.
Era proprio vero che il Pahkitew era stato reso leggendario solo da Scott.
E per alcune ore, ebbero tempo solo di scambiare qualche breve battuta e di passarsi gli ingredienti da utilizzare.
 
Solo verso le 17 trovarono il tempo di uscire nel retro per fumare in santa pace.
A quell’ora, nonostante tutto, il locale si svuotava e pertanto Chef ordinava la chiusura per le pulizie.
Essendo compito dei camerieri, i due erano liberi d’uscire e di ricaricarsi un po’.
“Ancora poche ore e poi tocca a Mal.”
“Quello lì è sciroccato e lento come una lumaca.” Commentò il rosso, fissando il cielo che si era colorato con il tramonto.
“Sai che potrebbe ereditare uno dei nostri posti?”
“Parli delle offerte che Chef ha ricevuto mesi fa, pur di liberarmi dal contratto, e di cui non dovrei sapere nulla?” Sospirò Scott, appoggiandosi alla pesante ringhiera di ferro.
“Te l’ha detto?”
“I suoi documenti erano in bella mostra.” Scandì con calma, cacciando una nuvoletta di fumo e fissandola svanire.
“Chef ha una pessima abitudine.”
“E poi si lamenta se qualcuno getta le sue cartacce e gli porta via i fogli delle presenze.” Commentò, incrociando le braccia che si ritrovarono percorse dalla ruvidità piacevole del ferro arrugginito.
“Hai scelto cosa fare?”
“Se mi stai chiedendo se ho intenzione d’accettare la proposta di McLean, sei fuori strada.”
“Guadagneresti ancora di più.”
“Il denaro non è in cima alla lista dei miei pensieri o delle mie priorità.”
“Se lo fosse, avresti accettato la proposta dei Gerry&Pete.” Annuì distrattamente.
“Finirei con il lavorare il doppio e addio divertimento.” Confermò, aggiungendo ciò che aveva sentito sui dipendenti del McLean.
Non erano trattati come persone, ma come numeri e ciò inficiava sul loro rendimento. Il loro stipendio poteva anche essere il migliore dell’intera regione, ma in quanto a realizzazione personale erano molto lontani in graduatoria. Quelle poche volte che i suoi conoscenti erano entrati in un locale di proprietà di McLean avevano riscontrato solo musi lunghi, silenzio tombale, celato artificialmente da una musica in sottofondo e maleducazione da parte dei camerieri.
“E con Dawn?” S’informò il punk, mentre il collega sussultava sorpreso.
“Non so che fare, Duncan.”
“Quale sarebbe il tuo piano?”
“Le ho dato un mese di tempo, ma se non trova un’altra sistemazione, come faccio a mandarla via?” Chiese il rosso.
“Non vuole andare dai suoi parenti?”
“Vorrebbe essere autonoma.”
“Sarebbe una cosa positiva, se aiutasse nelle spese.” Sbuffò il punk, picchiettando appena sulla sigaretta e facendo cadere la cenere sullo spiazzo che sarebbe stato ripulito l’indomani da uno dei camerieri, obbligato a sottomettersi a uno dei soliti ordini dispotici di Chef Hatchet.
“Per avere una possibilità, dovrei accettare il lavoro di McLean, ma questo significa rinunciare a quelle poche libertà che ho ora.”
“Infatti.”
“Inoltre dovrebbe prendere lei l’iniziativa e non costringermi a salvarle le chiappe.” Sbottò, gettando la cicca al suolo e calpestandola.
“Però cacciandola ti sentiresti in colpa.”
“Beverly è un coglione.” Sputò il rosso, scaricando parte della tensione su quel ciccione decerebrato che avrebbe pregato di non vedere mai più.
“Glielo abbiamo detto tutti, prima che andassero a convivere.” Tentò il punk, spegnendo la sigaretta e accendendosene un’altra.
“Come ha fatto a tradirla?”
“Tutti sanno che è un idiota.”
“Ok essere stupidi, ma non puoi negare che Dawn sia una bella ragazza.”
“Non mi dirai che il tuo piano consiste nel trovarle un ragazzo che possa appiopparsi le spese.” Riprese Duncan, facendolo negare.
“È appena uscita da una brutta storia e non vorrei farla ricadere di nuovo.”
“Guardiamo in faccia la realtà Scott: se lei non s’impegna, tu non puoi aiutarla.” Borbottò il punk.
“Lo so.”
“C’è qualcosa che ti turba in tutto questo?” Chiese Duncan, gustando l’aroma intenso delle sue sigarette.
“Io non la capisco.”
“Potresti spiegarti meglio?” Domandò il punk, cercando di formulare una strategia che potesse aiutare l’amico.
“È distratta, spesso ha gli occhi arrossati, a volte non tocca cibo e lascia tutto nel piatto.” Elencò, rialzando gli occhi verso il cielo, laddove un aereo con il suo ronzio aveva catturato la sua attenzione.
“Il pensiero e i ricordi la tormentano.”
“Vorrei provare ad aggiustare ciò che Beverly ha distrutto.” Si risollevò, staccandosi dalla ringhiera e stiracchiandosi la schiena.
“Del tipo?”
“Zoey e Gwen non dovrebbero sapere che ho abbandonato l’Università, giusto?”
“Credo di no.”
“E credono che abiti ancora da solo.” Aggiunse, rinforzando le sue ipotesi.
“Cos’hai in mente?”
“Quand’è che puoi aiutarmi?” Chiese il rosso, ricevendo un sorriso per risposta.
“Anche domani, se vuoi.”
“Dobbiamo farle incontrare in qualche modo.”
 
Fatto ritorno a casa, Scott gettò al suolo la borsa di lavoro e si sedette sul divano, dove Dawn stava studiando le materie d’esame.
Dopo quasi sei ore di lavoro poteva finalmente rilassarsi, ma nemmeno il tempo di chiudere gli occhi che una telefonata lo risvegliò.
Normalmente avrebbe maledetto chiunque osasse rompere il suo riposo, ma un’occhiata al cellulare, gli fece capire che non poteva rifiutarsi. Dopotutto non la vedeva da una vita e riagganciare sarebbe stato controproducente per la sua salute senza considerare che avrebbe dovuto aspettare chissà quanti mesi per rivederla.
Se la sua Courtney, complice le rare occasioni d’incontro, chiamava, lui non poteva tirarsi indietro ed era pronto a guidare tutta la notte, pur di stare anche solo dieci minuti in sua compagnia. Cosa che durante i concerti, le interviste o le incisioni di dischi non era assolutamente fattibile, anche perché una Courtney stanca equivaleva a una Courtney da non rendere nervosa.
“Dimmi Courtney.” Borbottò il rosso, risvegliando Dawn che si era persa a fissarlo.
“Questa sera ho la possibilità di vederti, Scott.”
“Ti sei liberata dai tuoi impegni?”
“I concerti sono finiti e per un po’ posso stare tranquilla.”
“Fino alla prossima esibizione.”
“Accetti di uscire?” Chiese la ragazza.
“Dove?”
“Pensavo a una cenetta romantica.”
“Nessun problema.”
“Ti aspetto questa sera verso le 20 al Wawanawka.”
“Va bene.” Soffiò Scott, chiudendo la chiamata e girandosi verso la ragazza.
Lei distolse subito lo sguardo, concentrandolo verso i suoi appunti e fingendo di non aver sentito nulla della sua discussione.
Non era sua intenzione rovinare la vita all’amico, anche perché lui era liberissimo di fare quello che voleva e non poteva nemmeno contare sul fatto che lui rimanesse sempre a casa a consolarla della sua perdita, ben sapendo che così avrebbe rovinato le cose con Courtney.
“Questa sera dovrai restare un po’ da sola.”
“Eh?”
“Hai sentito benissimo la conversazione.”
“Io…”
“Non aprire a nessuno, non rispondere a nessuno e non piangere.”
“Ma io…”
“So che fa male, ma non puoi continuare così.” Soffiò il rosso, poggiando una mano sulla sua spalla.
“Però…”
“Non puoi gettare la tua rabbia sullo studio o su di me.”
“Non ho nessuno con cui parlare.”
“Devi sfogarti in altro modo.” Tentò Scott, rialzandosi in piedi e prendendole la mano.
“Scott…”
“Seguimi un attimo.” Provò, portandola nella sua stanza.
“Cosa c’è?”
“Università significa tesi, ma tu sei anche troppo in anticipo.”
“Come sai che ho già cominciato?” Chiese, rendendo quasi inudibile la sua voce.
“Quelli del terzo anno hanno solo questo pensiero.”
“Non è vero.”
“Guarda che parli con uno che, nonostante l’unico anno universitario, ha sentito chiacchiere di ogni tipo in quella scuola.”
“Cavolo.”
“E poi non siamo qui per questo.” Ghignò lui, avviandosi verso la scrivania e aprendone il cassetto destro più in basso.
Da esso comparve un piccolo album dalla copertina marrone che lei non aveva mai notato.
Un qualcosa che, per com’era stato trattato, doveva essere di vitale importanza per lui.
Infatti, sedutosi sul letto, invitò la giovane ad avvicinarsi, giusto per dare una sfogliata all’album e per ricordare il passato.
Dentro di esso erano contenute molte foto di quando era bambino, ma non erano questi gli elementi di cui Scott aveva bisogno. Mostrarle com’era in costume quando aveva 5 anni poteva solo imbarazzarlo da morire e nemmeno le foto del matrimonio di sua zia Margareth o le prime cadute in bicicletta potevano farle cambiare idea.
Lui aveva preso in mano quell’album solo per le ultime pagine.
Superate in velocità quelle delle medie e delle superiori, lui rilesse un primo stralcio di giornale di poche righe e con attenzione lo porse alla giovane.
“Grande successo al locale Pahkitew.”
“In questo articolo tutti parlano del nostro bar e di come un giovane barman abbia stregato i vari clienti.”
“Eri tu?” Chiese la giovane, leggendo quelle poche righe.
“Quella sera mi sono impegnato tanto.”
“Io…”
“Leggi questo.” Soffiò lui, porgendole un nuovo articolo.
“Giuria soddisfatta dei cocktail del Pahkitew.”
E anche quelle poche righe vennero divorate dalla curiosità della giovane.
Dawn aveva capito che Scott si era davvero impegnato molto in quel periodo. Una piccola nota, però, stonava nella dichiarazione di un giudice. Un qualcosa che comunque, conoscendo bene Scott, si sarebbe sempre scontrata solo con una sua scrollata di spalle.
“Perché dicono che non ti sei impegnato?”
“Credono che potrei diventare il miglior barman della regione.”
“E tu?”
“Possibile, ma non ho voglia d’impegnarmi.” Sbuffò il rosso, riponendo i due articoli al sicuro e girando nuovamente pagina.
“E qui?” Chiese lei, indicando una foto del locale con tutti i dipendenti.
In prima fila vi erano i sette camerieri che si alternavano nel bar, seguiti dalla presenza del titolare e dei tre giovani barman.
“Lo staff al completo.”
“Perché hai una coccarda in mano?” Domandò Dawn, facendolo riflettere un secondo.
“Sono arrivato al terzo posto come miglior barman della regione.”
“Solo?”
“Per non arrivare primo tendo a sabotare le mie stesse opere d’arte.” Sorrise il rosso, accarezzando i volti raffigurati sulle foto.
“Perché lo fai?” Chiese con curiosità.
“Perché ho paura che una proposta troppo allettante mi porti via da questa città.” Soffiò Scott, girando l’ultima pagina dell’album.
Nel leggere il suo sguardo annoiato era evidente che quella fosse la sua più grande paura.
Restare da solo, senza nessuno con cui confrontarsi e senza nessuno con cui divertirsi lo avrebbe quasi sicuramente ucciso. Preferiva sapere e restare nell’ombra. Preferiva essere l’eterno incompiuto e felice, piuttosto che concretizzarsi e ritrovarsi senza la minima gioia in corpo.
“E in ultima?”
“La mia foto preferita: il concorso di sei mesi fa.”
“Il concorso?”
“Ho preparato il cocktail più difficile della città e mi sono classificato solo al secondo posto.”
“Ti hanno fotografato con la giuria e con il trofeo?” Chiese la giovane.
“Una bella esperienza.”
“Lo immagino.”
“Se te lo chiedi il trofeo e la coccarda le ho regalate a Chef.” Ammise il rosso, grattandosi la testa.
“Perché?”
“È solo merito suo se ho potuto vincere.”
“Io ho visto come lavori e Chef non influisce sul tuo impegno.” Ribatté la giovane, facendo sorridere l’amico.
“Questa è la tua lezione, Dawn. Se fossi rimasto a casa e non gli avessi chiesto di lavorare, non avrei mai conquistato quel poco che ho in questo momento.”
“Tu…”
“Se resti fermo e non ti concentri sulla felicità, come puoi diventare qualcuno là fuori? Nessuno mai ti allungherà una mano per aiutarti.”
“Ci sei tu.” Soffiò, facendolo annuire.
“Se dovesse accadermi qualcosa, quali speranze vorresti avere? Se dovessi trovare la vera felicità, poi finiresti con il dimenticarmi e non avresti più bisogno del mio aiuto. È per questo che, se ne hai l’occasione, devi cogliere l’attimo e proseguire per la tua strada.”
“Ma…”
“Devi trovare una ragione per vivere e dimenticare Beverly, prima che questa infelicità prenda il sopravvento.”  Riprese, chiudendo l’album e riponendolo al sicuro nel cassetto della scrivania.





Angolo autore:

Pubblico sempre all'ultimo minuto.

Ryuk: Perchè dimentichi sempre le scadenze e hai perso la condizione del tempo.

In questo capitolo compaiono altri personaggi.

Ryuk: Come se non bastassero quelli che c'erano già.

Ringraziandovi per l'interesse, le recensioni e le visite, vi auguro una buona settimana.
A presto!
   
 
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