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Autore: beep beep richie    11/05/2020    1 recensioni
IT [ REDDIE!AU ]
Di cosa profuma Richie Tozier? Un quesito simile, prima di quel momento, Eddie non se l’era mai posto. Se ne stava in piedi davanti allo specchio del bagno a fissare il proprio riflesso ed aveva appena finito di constatare che la camicia con le palme di Richie fosse molto, anzi tremendamente larga, cazzo. Di cosa profuma Richie Tozier? Di stupido, innanzitutto. Aprì gli occhi e si rese conto di star sorridendo, piuttosto soddisfatto, ma farlo in assenza del suo amico gli sembrò un attimo dopo un po’ sciocco. Che gusto c’era ad insultare Richie se quello non poteva sentirlo? Se lo figurò proprio: s’immaginò quello che, ridendosela, quella sua risatina del cazzo, gli diceva che insultarlo in sua assenza fosse poco producente e poi faceva un’imitazione di qualcosa che Eddie non conosceva. «Sta’ zitto, Richie!» Un. Attimo. Cavolo. «Oh, perfetto, adesso per colpa tua mi metto anche a parlare da solo!» Era peggio di un’infezione, Rich gli avrebbe fatto venire una malattia mentale e non andava bene, oh, non andava proprio bene. Se gli avesse fatto venire una malattia, sua madre ne sarebbe uscita pazza.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Houston, abbiamo un problema!

 
Si narrava di un regolamento non scritto da rispettare per qualunque adolescente volesse sopravvivere a quel luogo abbandonato da Dio chiamato “scuola”, riguardante per tre quarti il fatidico primo giorno – con chi parlare e a quale banco sedersi, per esempio, per fare immediatamente bella figura ed evitare di diventare vittima di bullismo per i prossimi infernali anni. Stacey non ci credeva a queste leggende, le era sempre stato insegnato dalla sua adorabile madre che per fare veramente amicizia non ci si doveva fermare mai alle prime impressioni e soprattutto non bisognava fingere di essere chi non si era: sii te stessa, Stacey. Vai benissimo così, col tuo gioioso sorriso, la tua intelligenza e le tue passioni che ti rendono la persona più interessante che io conosca. Ti farai tanti amici, vedrai.
 
Il primo giorno di scuola si sedette al primo banco, quello davanti alla cattedra, e di fianco le capitò una compagna con una sindrome di cui non conosceva il nome. L’unico nome che riteneva importante conoscere, in fondo, era quello della ragazzina.
 
«Ciao!» Le rivolse il sorriso migliore del suo repertorio e le porse la mano. «Sono Stacey!» Attese lunghi secondi e in nemmeno mezzo di quei secondi il suo sorriso si spense. Attese, paziente, fino a quando non comprese che la compagna non fosse in grado di rispondere. Le sorrise ancora di più e fu stesso lei a posare il palmo su quello della ragazzina per stringerla calorosamente. «È un piacere!»
 
Con quello stesso sorriso ammirò l’intera classe, una ventina di ragazzini scalmanati, non più nella pelle di vivere con loro nuove esperienze. Si disse che durante l’intervallo avrebbe fatto conoscere la sua allegria e le sue passioni a tutti. Per il momento doveva stare seduta al suo posto, l’insegnante era appena arrivata e si stava già presentando.
 
«Sono la signorina Kibbon!» cominciò con un tono più severo di quanto ci si potesse aspettare. «Silenzio!»
 
Silenzio fu la prima cosa che la signorina Kibbon disse, Stacey non l’avrebbe mai dimenticato. Come non avrebbe dimenticato i suoi compagni di classe che alla prima ora del primo giorno di scuola disturbavano la lezione, indisciplinati come non mai. Non avrebbe mai dimenticato Phineas Lewis con quel suo non richiesto mi scusi, signora, ma si studia già da subito? È il primo giorno! e non avrebbe mai dimenticato il secondo Silenzio! della Signorina, ragazzo, non signora!
La signorina Kibbon porse alcune domande di cultura generale alla classe per verificare il loro livello di conoscenze e l’unica che riuscì a rispondere fu Stacey. Fu allora che volò il primo Secchiona! Le prime risa alle sue spalle. Però Stacey non si offendeva, non ancora. Durante l’intervallo raggiunse un gruppetto misto di compagni in un angolo della classe per fare amicizia, ma venne ignorata fino al momento in cui uno di loro chiese se non fosse la secchiona. Quando gli altri risero, lo fece anche lei, allora la considerarono strana e se ne andarono in massa verso la macchinette. Stacey non si perse d’animo e raggiunse il secondo gruppetto della classe formatosi, erano tutti ragazzi. Chiacchierarono un po’, ma nessuno sembrava interessarsi ai gusti di Stacey: lei amava leggere, loro dei libri guardavano soltanto le figure, per dirne una. Però se diventi nostra amica ci fai copiare! Stacey rispose di non aver mai detto di eccellere a scuola, allora loro dissero quindi non ci servi. Ormai mancava soltanto un minuto alla fine della ricreazione e doveva ancora andare in bagno, ma Stacey non era riuscita ancora a farsi un singolo amico e non poteva non riuscirci, non poteva proprio. Vide alcuni ragazzini in disparte, ognuno per conto proprio, e un gruppo tutto al femminile vicino alla finestra – il tempo era troppo poco e sembrava più semplice puntare al gruppo più numeroso, così andò dalle ragazze. Una di loro fece scoppiare la propria gomma da masticare in faccia a Stacey e le chiese, senza neanche ricordare il suo nome, ma tu non lo sai proprio cosa sono i rossetti? deridendola. In fin dei conti era l’unica ragazzina struccata! La campanella suonò. Quel giorno nessun coetaneo le rivolse altre parole fino a quando, alla fine, Phineas Lewis non le urlò per strada Secchioooona! insieme ad altri due. Sospirò, ricordandosi che il seguente sarebbe stato un nuovo giorno e sarebbe andato meglio.
Il secondo giorno qualcuno le lanciò una pallina di carta tra i capelli e lei ne rise.
Il terzo giorno la pallina di carta divenne una gomma di masticare.
Il quarto giorno quasi tutti già appartenevano ad un gruppo, mentre Stacey riceveva sorrisi soltanto dalla sua compagna di banco.
Il quinto giorno le si avvicinò Adam Bay.
 
«Vuoi fare cambio di posto?» le chiese lui. Stacey non si aspettava che qualcuno le rivolgesse la parola e pensò che se per fare amicizia bisognasse fare un favore ad Adam Bay, allora...
 
«Dove sei seduto?»
 
«No, non con me!» Scosse la testa. «Con Fred!» Il suo compagno di banco. Quarta fila, sulla sinistra. Stacey aprì la bocca per rispondere, ma lui continuò. «Non mi piace, parla troppo durante le lezioni e poi non sa neanche che materia sia l’epica, ma dai.» Si strinse nelle spalle. «A te invece ho visto che piace l’epica.»
 
«Wow, da adesso guarderò Fred Clarke con occhi diversi! Sicuro non con gli occhi dell’epica!» Ne rise lei. «Certo che mi piace l’epica e potrei anche spostarmi, ma... aspetta... siamo sicuri che lui sia d’accordo? Insomma, prima fila?!» Sperava in un sì, sperava dannatamente in un sì.
 
«Boh. Non gliel’ho chiesto.»
 
«...»
 
«...»
 
«...»
 
Scoppiarono a ridere nello stesso momento.
 
«Okay, fa niente, poi lo chiedo a qualche professore di cambiarmi di posto dicendo magari che non vedo, così non mi possono dire di no. Sono furbo, io!» Adam Bay poteva anche essere un po’ bruttino, col viso ricoperto d’acne, gli occhiali storti ed un mento grosso quanto una montagna, i capelli d’un rosso troppo opaco per risultare un minimo figo, ma a Stacey sembrava simpatico, le piaceva. «Allora nel frattempo se ti sta bene siamo compagni di banco solo in biblioteca!»
 
«Assolutamente, Furbo!»
 
Quel giorno Stacey e Adam Bay divennero amici. Il sesto giorno fu migliore con lui e così i successivi, nonostante le cose non fossero cambiate col resto della classe. Dopo un mese Stacey aveva compreso che tutte le ragazzine ridessero di lei perché non aveva un filo di trucco in viso, la chiamavano però l’amica dell’handicappata e dello sfigato, mentre i ragazzi la chiamavano secchiona – e poteva accettarlo, in fondo, perché non era sola. Faceva la sfigata con Adam Bay e le andava bene, lui era suo amico, il suo unico vero amico.
 
Qualche mese dopo venne l’ultimo dell’anno.
 
«Divertiti!» le disse Adam Bay in telefonata quel pomeriggio. «Domani chiamami così mi racconti quanto ti sei divertita!»
 
A Capodanno però Stacey non fece nessuna chiamata. I fuochi d’artificio difettosi esplosero tra le braccia di sua madre.
 
Il quinto mese di scuola fu un inferno. Phineas Lewis non fece alla sua compagna le condoglianze, peggiorò solo la situazione chiedendole quanto fosse stato deficiente suo padre a non vedere che fossero difettosi quei dannati fuochi d’artificio. Che padre coglioneee! Un giorno così farà morire pure te, secchiona! Stacey non gli aveva mai risposto, chiusa in se stessa.
 
«Quando è scoppiata in aria i fuochi erano colorati?» domandò l’ultima volta Phineas Lewis, senza un briciolo di sensibilità verso di lei ed il suo lutto, ma con le scatole rotte di essere ignorato da quella sfigata.
 
Da allora iniziarono i disastri.
 
 
*
 
 
Stacey aveva un piano, ma anche Eddie ne aveva uno. Beh... circa. Aveva avuto giusto qualche ora per idearselo, quindi era consapevole che non fosse chissà che, però era sempre meglio di niente. Se la brutta stupida pensava che l’avrebbe fregato in questo modo, si sbagliava di grosso. E se pensava che avrebbe fregato anche Mike... Oh, nessuno prende in giro i miei amici!
 
«E quindi questa è la casa!» concluse così il giro turistico, chiudendo la porta della propria stanza una volta che entrambi furono dentro.
 
«È carina!» ammise Eddie, camminando per la stanza ed osservando nei dettagli ogni oggetto che questa conteneva – alla ricerca di qualche dettaglio che potesse fregarla, alla ricerca della minima, la più piccola, minuscola prova che ci fosse del marcio in lei. Perché doveva esserci per forza. «E anche tuo padre non sembra male! Pare un tipo a posto.» Più che a queste parole, però, Eddie era attento in quel momento alle fotografie incorniciate poggiate sulle mensole e appese al muro.
 
«Naturale, mio padre è un grande! Da chi credi io abbia preso?»
 
«Lei invece è tua madre?» domandò quando vide la ragazzina in posa accanto ad una donna molto simile a lei. «Ti assomiglia un sacco!»
 
«Mi assomigliava.» lo corresse Stacey, mettendo su un sorriso debole che doveva voler dire no, tranquillo, non dire che ti dispiace. Però Eddie lo disse lo stesso.
 
«Oh...» Cazzo, figura di merda! Si sentì tremendamente a disagio, ma nonostante questo dovette voltarsi verso Stacey. «Giusto, scusami, io... mi dispiace, non-»
 
«Tranquillo, Eddie.» rassicurò lei. «È successo un anno fa, non ti preoccupare.»
 
Un anno è molto poco, considerò lui.
 
«Me ne ero scordato, cazzo.» disse più a sé per rimproverarsi che a lei, scuotendo la testa. «Era molto bella, comunque. Anche mio padre è morto.» Gli sembrò giusto dire di essere nella sua stessa barca, così magari dimenticava la sua figuraccia. Stacey però non commentò la cosa, non gli chiese neanche quando fosse successo, invece scosse la testa per far capire che non ci fosse bisogno di parlarne. Allora lui si concentrò sugli altri oggetti. Libri, libri, libri, ancora foto, libri... «Non ce li hai dei poster?»
 
«Mh?»
 
«Sì, che so, non ti piacciono i New Kids on the Block? Ben ha un poster loro sulla porta! Lo abbiamo scoperto un giorno mentre stava in bagno!»
                                                                              
«Non sono tipa da poster!»
 
Sì, beh, non sei proprio tipa da New Kids on the Block perché non ti piacciono, in realtà.
 
Eddie mise il naso più o meno ovunque, persino tra i suoi rossetti, e dopo cinque minuti in cui l’aveva lasciato fare Stacey cominciò a stufarsi.
 
«Hai finito, Eddie-Freddie?! La questione-Mikey aspetta solo te!»
 
«Ho finito!» concesse, andandosi a sedere a gambe conserte sopra il letto, proprio di fronte a Stacey, che era nella stessa posizione. Ovviamente prima si era tolto le scarpe. «Ma prima ho delle domande da farti!»
 
Stacey sbiancò – e fece bene, dato che quello di Eddie sembrava più che altro un interrogatorio.
 
«Non vorrai farmi il terzo grado?»
 
E invece... era proprio così!
 
Dopo venti – cazzo – di – minuti era ancora alla domanda... «E cos’è che ti piace di lui?»
 
«Questo me l’hai già chiesto prima!» esclamò esasperata.
 
«Ah sì?» Il naso all’insù, Eddie fece il finto tonto. «Non me lo ricordo. Che avevi risposto?»
 
Se lo ricordava benissimo. Aveva detto: naturalmente adoro i suoi muscoli! Scherzo, scherzo, però quelli mi piacciono davvero. Beh, non so, si tratta di piccole cose. Mi piace il modo in cui si interessa alle storie che gli racconto, anche se appartengono ad un genere che non è il suo – e oh! Credo sia assolutamente affascinante come sappia davvero collocare ogni storia al suo... posto, riesco a spiegarmi? E pooooi, Eddie-Freddie, ha quegli occhi color cioccolata cheeeee aaaaaahh!!!! Sono belli belli belli! Ed è tenero come mi guarda.
 
«Tenero come ti guarda...?» aveva chiesto Eddie.
 
«Beh, sì. Come se un po’ gli piacessi. Ti è mai capitato? Nessuno ti ha mai guardato con gli occhi dell’amore?»
 
Eddie ci aveva pensato su e alla fine aveva scosso il capo, a qualsiasi conclusione fosse arrivato.
 
Stacey sbuffò.
 
«Ho detto che mi piacciono i suoi occhi e direi che in generale fisicamente mi piace tutto! Su, Eddie: Mike è molto carino! Non credi?!»
 
Arrossì. Naturalmente non aveva alcuna cotta per Mike, ma Eddie restava comunque un ragazzo omosessuale che si spacciava per eterosessuale, in questo modo si sentiva come sul punto di essere scoperto: doveva saperlo se Mike fosse carino o meno?!
 
«Suppongo di sì... perché lo chiedi a me?!»
 
«Ci sei tu soltanto nella stanza!» gli fece notare lei.
 
«VAI AVANTI!»
 
Stacey sbuffò di nuovo e cercò di ricordare cos’altro avesse detto. Ripeté le stesse cose e Eddie si sentì fregato. Non che fosse la fine del mondo: aveva ancora molte domande in serbo per lei.
 
«Fidanzati passati?» chiese allora.
 
«Chi sei, suo padre?!» Eddie inarcò un sopracciglio, segno che non avrebbe mollato l’osso. «In realtà l’ultima volta che sono stata fidanzata ero in prima media, cazzo!»
 
«Quindi prima di Richie e dopo la prima media non avevi baciato nessun altro?!»
 
«Frena, Eddie-Freddie, frena! Hai parlato di fidanzati, non di baci!» Il che lo incuriosiva. «L’ultimo bacio l’ho dato al mio migliore amico della vecchia scuola. Mike me lo ricorda molto, tranne per l’aspetto.» Questo era vero, ma Eddie come poteva esserne certo?
 
«Come si chiamava?» chiese, semplicemente curioso e non perché fosse fondamentale per il suo piano. Ne sapeva qualcosa dell’innamorarsi del migliore amico...
 
«Adam. Adam Bay.»
 
«Cos’è successo poi?»
 
Era successo che se qualcuno avesse scoperto che una sfigata aveva baciato uno sfigato, immediatamente sarebbero diventati lo zimbello della scuola, e Phineas Lewis li aveva scoperti. La coppia di bradipi era il più carino dei soprannomi che avevano, il peggiore non voleva neppure ricordarlo.
 
«Che io non gli piacevo. Non mi guardava con gli occhi dell’amore.» mentì stringendosi nelle spalle. Eddie sentì una nota amara in queste parole e non riuscì a proferire parola. «Fa niente, magari con Mikey mi va meglio. Se no, non sarà comunque la fine del mondo, dico bene?»
 
«Dici... dici bene!»
 
Trascorsero tre lunghe ore assieme su quel letto a parlare e Eddie non riuscì proprio a scoprire quale segreto lei nascondesse, solo quali mosse avesse in mente per conquistare il suo amico senza ingannarlo. Forse la prossima volta avrebbe dovuto studiare un piano più accuratamente. La parte più impulsiva di lui gridava DILLE COSA SAI! DILLE CHE L’HAI VISTA CON GRETA, ma non poteva permettersi di fare errori, non quando Stacey si era fatta amici tutti i Perdenti.
Qualche ora più tardi, dopo essersi affacciato alla finestra e non aver trovato il suo amico di fronte, usò la scusa che sua madre lo stesse aspettando per abbandonare la tana del nemico. Venne accompagnato alla porta e lì salutato. Restò in quel vialetto per poco più del dovuto a fissare casa Tozier ancora una volta, in sella alla propria bici, poi cominciò a pedalare. Richie doveva aver finito da un pezzo di tagliare l’erba per suo padre.
 
 
*
 
 
«Pensavo di piacerti!»             
 
Adam Bay le piaceva molto e non perché lo trovasse carino, non perché fosse il più divertente dei ragazzi della loro età, non perché avessero in comune l’amore per la lettura e neanche per tutte le altre similitudini, alla fin fine. Adam Bay le piaceva molto perché era vero, perché non aveva avuto pregiudizi nei suoi confronti e soprattutto perché c’era sempre stato. In qualsiasi momento, come un’ancora, era lì per lei e la salvava con la sola presenza, col solo affetto che le dava, con l’ascolto che le riservava. E non era solo l’ancora, era anche il timone, era la vela, era l’intera nave. Anche se non era la nave più forte dei mari, la più grande, potente e resistente. E il mare era agitato, Stacey lo sapeva, l’onda di Phineas rischiava di buttare giù la nave, però non ci riusciva mai, la nave non era affondata, non ancora, ma...
Ma c’era uno scoglio.
Stacey pensò allo scoglio, poi alla nave, ancora allo scoglio infine. Allora cambiò idea.
Adam Bay non era la nave. Adam Bay era lo scoglio, lei la nave, e anche se il mare era in tempesta, lei sarebbe sopravvissuta senza quel cazzo di scoglio. Perché non era uno scoglio su cui riposare, su cui salvarsi dalla tempesta, era uno scoglio contro cui schiantarsi. E lei doveva cambiare rotta. Niente scogli. Niente Adam Bay.
 
«Non lo senti quello che dicono?!» Tutto quello che dicevano ormai da un po’ su di loro, qualcosa che la buttava più giù di quanto non volesse. Aveva già i suoi cazzo di problemi da quando sua madre era morta, non serviva quel bullismo gratuito da parte dei suoi compagni di classe. Un amico sì, quello serviva, ma se anche il suo amico era preso di mira, allora che aiuto poteva darle? Non aveva bisogno di qualcuno che la spingesse più a fondo, non aveva bisogno di qualcuno che cadesse con lei, credeva; aveva bisogno di qualcuno che la salvasse, e forse piuttosto poteva salvarsi da sola. Non lo senti quello che dicono?! Forse così suonava come una debolezza. Si corresse: «Non senti quello che dicono su di te? Non ti accorgi di quanto vero sia, di quanto tu sia un cazzo di perdente? Dovrei stare con te? Ma in quale universo, Bay?» Non lo chiamava mai Bay. Lui era Adam, solo Adam, il suo Adam.
 
Il non più suo Adam dal cuore spezzato. E piuttosto incazzato, anche.
 
Quel giorno, oltre che un amico, un tesoro, un amore, Stacey perse se stessa. La cosa peggiore era che proprio su quella se stessa che aveva perso lei aveva deciso di fare affidamento.
 
 
*
 
 
«Hai finito, Tozier?» chiese uno Stan meno disinteressato di quanto sembrasse. «Avevo appena pulito, se continui a marciare dalla finestra alla scrivania con quel sudiciume sotto le scarpe dovrò rifare tutto.»
 
«Io non capisco!» sbuffò Richie, ignorandolo. «Che stracazzo ci faceva Eddie a casa di Stacey?!»
 
Stan fece roteare gli occhi, desiderando di non aver mai ricevuto la confessione del corvino riguardo i suoi sentimenti per il Kaspbrak.
 
«Porca puttana! Voglio dire, ottieni il permesso di uscire e vai da Stacey?! Cosa avrà avuto di tanto importante da fare con Stacey anziché con me?!» Non la smetteva di gesticolare, ma al prossimo braccio che rischiava di sbattere contro la lampada Stan lo avrebbe ucciso sul serio.
 
«Credevo che non ti preoccupassi troppo di Stacey. È nostra amica.» Stan non aveva mai ammesso di fidarsi ciecamente della ragazza, però sino a quel momento lei non li aveva traditi e Eddie, dopo quel pomeriggio trascorso il giorno precedente in sua compagnia, si era comunque presentato a scuola in mattinata. Perciò non l’ha ucciso, finiva così il suo ragionamento. Non l’ha ucciso... purtroppo. «Sicuramente più amica tua che di Eddie.» Effettivamente questo gli sembrava strano: a Eddie non piaceva affatto Stacey, lo aveva ammesso più volte agli inizi.
 
«Questo che vorrebbe dire?»
 
Sì, lo aveva ammesso... in assenza di Richie, più che altro.
 
«Che non credo Eddie faccia i salti di gioia perché Stacey trascorre le giornate con noi.» ammise saggiamente.
                                       
«Ma che vai dicendo, Urina?! L’altro giorno ad una certa Stacey si è mezza sdraiata addosso a Eddie, porca vacca!» E mica si è spostato, quel figlio di puttana!
 
«Prima che tu dicessi che toccasse a Stacey stare sull’amaca. Era il mio turno, Richie.»
 
«Eppure non ti sei opposto!»
 
Stan alzò gli occhi al soffitto per pregare. Richie non si aspettò alcuna risposta solo perché sapeva che l’amico le avesse concesso l’amaca per aiutarlo. Stan era sempre avanti a tutti, un grande, proprio un grande.
 
«Stavolta te lo chiederò: sei geloso?» Credette necessario specificare: «Di Stacey, non Eddie.»
 
«Via, Stanley, che vai pensando! E poi a Eddie non può piacere Stacey! Ti pare!»
 
«Allora è tutto a posto.»
 
«No, cazzo!» Diede un calcio alla sedia. Di Stan. Ricevette un’occhiata orribile. «Scusa.» fece prima che quello potesse dire qualsiasi cosa. «È che... era proprio lì, davanti casa mia, e il coglione... il coglione che fa, va da lei!?! Fine?!»
 
«Ti sei sentito messo da parte.» Non era una domanda, a Richie lo sembrò invece.
 
«Figurati. Cioè, un po’, va beh, è che, chiariamoci, Eddie può fare quello che vuole, però poteva fermarsi anche solo due minuti con me, cazzo!»
 
«Non era una domanda.» Ecco la precisazione in ritardo. «Ti sei sentito messo da parte.» concluse perciò di nuovo. E pensare che secondo Stan fosse soltanto Eddie quello che voleva costanti attenzioni...! «Siete proprio fatti l’uno per l’altro.»
 
 
*
 
 
Una delle parole che più terrorizzavano Eddie iniziava con E e finiva con sami. C’era qualcosa, però, di ancora più terrificante: gli amici che parlavano degli esami. Cazzo, pensava ogni volta, non potete evitare, prima che mi venga un attacco di panico?! Quel giorno in mensa i Perdenti non parlavano di esami, ma di qualcosa che gli procurava lo stesso livello di ansia: la gita. Discutevano di quanto sarebbe stato divertente partire con l’insegnante di educazione fisica e quella di biologia, ora che finalmente era stato trovato il sostituto per il secondo accompagnatore, dato che a quanto pareva non era solo Richie a immaginare una love story tra i due, ma tutti quanti. Quella conversazione in realtà era anche abbastanza leggera, però bastava la parola gita a ricordare a Eddie che non avesse ancora risolto il problema del pagamento. Perché ovviamente sua madre della gita non sapeva proprio niente, non si era fatto scoprire, ma i soldi da utilizzare potevano essere solo i suoi. Che casino, che casino, che casino.
 
«P-pensate capitare nella s-stanza di fianco alla loro, i-in a-a-albergo!» rise Bill.
 
«Mi permetta, le insegno questa posizione che ai miei alunni piace tanto!» aveva osato Richie, imitando la voce del professore di educazione fisica. «In particolare al signor Kaspbrak!»
 
Decisamente: Eddie non era in vena di battute. Ormai mancavano soltanto cinque giorni alla partenza ed il bollettino doveva essere pagato, cazzo. Possibile che fosse talmente codardo da non riuscire a mettere mano sulla carta di credito di sua madre per un prelievo di soldi? O direttamente sui contanti? Se ne accorgerà, diavolo, ovvio che se ne accorgerà.
 
«Con tutti i soldi che spende per le tue medicine, secondo me non se ne accorge, Eds.» aveva provato a rassicurarlo Richie l’altro giorno, ma non era stato abbastanza convincente. Effettivamente neanche il corvino sembrava molto convinto della cosa, si trattava comunque di abbastanza soldi, cifre come trecento, non dieci, venti.
 
«Dobbiamo proprio parlarne mentre mangiamo?» chiese Ben, troppo disgustato dalla scena che si era immaginato per finire il suo pranzo. Anche Stan lo era, infatti aveva già abbandonato la forchetta nel piatto.
 
«Covone caro, anche quei due mangiano qualcosa in fondo!» sghignazzò il Tozier. «Una il pisello e l’altro...!»
 
«Richie!» lo rimproverò Beverly, ridendo. «Beep-beep!»
 
«Sì, b-beep-beep, Richie!» l’appoggio Bill.
 
«Sì, bravi, zittite il povero Richie, proprio voi due che ci andate dentro come conigli! Il dio di Stan vomiterebbe solo a vedervi!» Tentarono di interromperlo, ma Richie continuò. «Oh, ma non temete: più fate gli sporcaccioni, più rendete fiero lo zio Richie!»
 
Stacey nel frattempo diede una gomitata a Eddie, distraendolo dai suoi pensieri e catturando anche l’attenzione del corvino. «Eddie-Freddie?» lo chiamò piano e lui alzò il volto verso il suo. Stacey prima gli sorrise, poi si piegò lateralmente verso il castano per sussurrargli all’orecchio: «Ci sono novità con Mikey.»
 
Eddie non ne voleva sapere niente, non prima di aver scoperto cos’altro avesse in mente quella brutta stupida, ma era sempre meglio quel racconto che sentir parlare della gita.
 
«Mh mh?» la esortò a continuare e lei gli narrò alcuni fatti. A metà racconto Eddie si chiese se non stesse sbagliando, se la stesse lasciando fare un po’ troppo, mettendo così in pericolo Mike – Stacey aveva usato la parola flirtare, era preoccupante.
 
Richie non aveva più parlato per tutto il tempo, fissando il comportamento losco dei due. Al termine del pranzo però la sua Boccaccia era già riaperta.
 
«Ho controllato la mia agenda, sono libero oggi pomeriggio!» fece a Eddie.
 
«Per cosa?» domandò lui, confuso.
 
«Per le ripetizioni di matematica!»
 
«Oh!» Giusto! «In realtà... Rich, non lo so più se posso...» Ho troppe cose per la testa, tentò di dirgli con la sola preoccupazione che aveva negli occhi, e Richie lo capì perfettamente.
 
Proprio perché lo capì perfettamente, dandogli una bella pacca sulla schiena, Richie rispose: «Certo che lo sai, Spaghetti! Ci vediamo alle quattro a casa tua!»
 
«Ma-»
 
«Ah-ah: non hai scuse! Camera tua è il posto preferito di tua madre per te, tesoruccio, sono abbastanza sicuro che ci puoi stare, anzi, ci devi stare!» Tradotto: non inventare scuse del cazzo. Tradotto ancora: lascia che ti distragga io, Eds.
 
Stavolta lo capì perfettamente, così dopo un piccolo tentennamento Eddie annuì.
 
 
Quel pomeriggio, puntuale come non lo era mai stato, Richie si presentò a casa del suo amico.
 
«La devi smettere di fare così, cazzo!» sbottò un Eddie più isterico del solito.
 
«Santo cielo!» rispose Richie con teatralità, poi abbassò la voce. «Sei in quel periodo del mese, ragazzina?»
 
«Fottiti, Rich!» Lo spintonò. «Ti ho detto che mamma era andata a fare la spesa, potevi pure entrare dalla porta di casa per una cazzo di volta invece di sembrare un fuggitivo!»
 
«In teoria non sono fuggito, sono entrato! Questo mi rende un entrativo!»
 
Richie sperava sempre che le sue battute lo facessero ridere, ma ce ne erano alcune migliori ed alcune peggiori ed in fondo lo sapeva quando Eddie avrebbe riso e quando no. Dopo questa cazzata una risatina se l’aspettava, rimase deluso nel non udirla. La dolce risatina del suo malvagio Spaghettino! Non si abbatté, però, e decise di spararne un’altra buona.
 
«Spaghetti non risponde perché non è un esperto di certe cose, ohi ohi! Con tutte le volte che sono entrato dentro tua madre, una lezioncina te la posso pure dare! Peccato che io ora sia qui per altre lezioni, la chiamavano fisica...!»
 
«Matematica.» lo corresse Eddie, spazientito. «Sei qui per le ripetizioni di matematica, non di fisica.»
 
«Non che non ti servano pure quelle di fisica...» aggiunse a voce bassa l’altro.
 
«Va bene, fottiti, okay?! La porta è quella!» La porta, non la finestra. La indicò. «Magari è il momento giusto perché tu impari ad usarla!»
 
«Heeeeeey, hey.» Richie lo fronteggiò e si fermò ad un passo da lui, quindi abbassò la voce e la testa verso il più basso. Anche Eddie aveva la testa e perciò lo sguardo bassi. «Qualcuno qui è molto agitato.» Improvvisamente si sentì agitato anche lui, era sempre nervoso quando trattava con Eddie con modi più seri, senza fare battute. Il castano era uno dei suoi migliori amici e lo conosceva, Eddie lo conosceva più di quanto forse si conoscesse Richie stesso (beh, tranne per un piccolo dettaglio, il suo piccolo, sporco segreto) eppure era comunque difficile togliersi la maschera da clown. Si aggiustò gli occhiali sul naso.
 
«Sì, Rich.» Il sospiro di Eddie fu profondo abbastanza da convincere Richie a rimanere senza maschera, almeno finché necessario. Sdrammatizzare era okay, ma in fondo non voleva essere considerato un vero e proprio stupido, non voleva che Eddie cercasse aiuto altrove solo perché lui era troppo coglione per prenderlo sul serio. Il castano cambiò tono, ma il fatto che più che arrabbiato con Richie o col mondo ora sembrasse stanco non tranquillizzò l’amico. «Ho proprio in questo momento l’occasione di prendere i soldi di mamma per la gita e invece me la faccio sotto. Non ci riesco.» Avrebbe potuto alzare lo sguardo su Richie e ritrovarselo maledettamente vicino, invece non gli capitò di farlo, indietreggiò di un paio di passi e si mise sul letto in maniera scomposta. «Io non sono un ribelle come te, non ci posso venire a questa cazzo di gita. Magari nella prossima vita.»
 
Richie sembrò profondamente offeso.
 
«Non sei un ribelle come me?!» Mai frase tanto falsa era arrivata alle sue orecchie. «Giovincello!» fece con una Voce che Eddie non cercò nemmeno di riconoscere. «Tu sei l’essere più trasgressivo che io conosca!» Gli mise una mano sulla schiena – inizialmente doveva essere una veloce pacca, ma il suo palmo non volle saperne di staccarsi dalla maglia ben stirata del più piccolo. «Vogliamo scherzare? Tu prendi il sole con la protezione cinquanta, Eduardo! Cinquanta! Anziché cento!»
 
Stupido, si ritrovò a pensare Eddie mentre gli scappò una risata alzando gli occhi scuri per incontrare lo sguardo di Richie.
 
«E tua madre vuole che usi la protezione duecento! Questo è l’atto di ribellione più sensazionale che io abbia mai visto!»
 
«Rich-» provò ad interromperlo Eddie invano.
 
«Vogliamo parlare di quella volta, signore e signori, di quella famosissima volta in cui in piscina mamma Kappa ti ha vietato di tuffarti dal trampolino e tu, mio piccolo mascalzone, lo hai fatto proprio davanti ai suoi occhi?!»
 
«Pensavo che non mi vedesse...»
 
«Oh sì! Qual era stata la scusa? L’avevo scambiata per un’altra signora! Bazzecole, piccolo figlio di puttana! Punto primo, ogni figlio che si rispetti sa riconoscere la sua adorabile mammina e punto secondo... come cazzo si fa a scambiare tua madre per un’altra donna?!» Eddie pensò che stesse per arrivare una battuta su quanto sua madre fosse grassa, invece... «La mia Sonietta è unica! Sono profondamente offeso, povero l’amore della mia vita, sigh!»
 
Eddie rise un’altra volta, più debolmente.
 
«Okay, Richie, ma manca veramente poco. Si parte tra quanto, cinque giorni? I professori mi ricordano di portare i soldi a tutte le ore, se non li porto domani sono praticamente finito...»
 
«Allora tu li porti domani!»
 
«Ma come?! Non so dove mettere le mani, anzi lo so, ma se poi mamma mi scopre?! Mi mette in punizione per tutta la vita! E se mi disereda?! E se non mi dà mai più la paghetta?! E se-»
 
«Respira, ragazzo!» Richie lo bloccò per le spalle, guardandolo dritto negli occhi e sperando in cuor suo che l’amico potesse davvero calmarsi soltanto essendo guardato tanto intensamente. Ambiva a troppo, decisamente. «Tua madre non ti diserederà, ama troppo il suo pisellino per fargli un torto simile! E poi che dovrebbe lasciarti in eredità? Le medicine? Una misteriosa collaborazione con una ditta che fabbrica inalatori di cui ancora non sai l’esistenza?»
 
Eddie sapeva che Richie aveva ragione: al massimo sua madre lo metteva in punizione, quindi in prigione dentro casa, solo per proteggerlo. Però non si sentiva ancora tranquillo.
 
«Sì, ma è un furto, capisci! Sono soldi rubati! Tanti soldi rubati!»
 
«Presi in prestito! Glieli restituirai fino all’ultima monetina e pure con gli interessi se preferisci! Ma meglio senza interessi, se ti avanza qualcosa ci facciamo un gelato.» Comunque! «E poi è tua madre, cazzo! Te li darebbe i soldi della gita!»
 
«Gita a cui nemmeno mi manda.» gli fece notare Eddie.
 
«Dettagli, Eds! Futili dettagli! Ora, se permetti, io e te ci mettiamo a giocare alle spie, d’accordo?»
 
«Non abbiamo più dieci anni.» ricordò il castano, non riuscendo a comprendere cosa avesse l’altro per la testa.
 
 
“L’altro”, però, rispose con un ghigno. «Oh, lo so bene!» Un ghigno indecifrabile. «Ma a te piaceva da matti giocare a fare le spie!»
 
«Veramente non era neanche il mio gioco preferito!» ribatté il guastafeste.
 
Richie lo ignorò e mimò una pistola con le mani, poi furtivo si mosse verso una delle pareti della camera dell’amico.
 
«Che cazzo stai facendo?»
 
Non gli rispose, ma si guardò intorno come ad assicurarsi che nessuno potesse vederlo e mosse alcuni passi laterali con la stessa pistola ancora “carica”.
 
«Richie?!» insisté Eddie, avendo però un’idea di cosa avesse in mente, adesso.
 
«Sssh!» lo rimbeccò quello. «Sono in missione, Agente 00-nano!» sussurrò, facendogli sbuffare una risata.
 
«Non ti darò corda!»
 
«Ho detto sssh, agente!» insistette a voce bassa. Mise una mano sulla maniglia della porta, la aprì silenziosamente e senza far rumore controllò pure che Sonia non fosse in corridoio – pur sapendo già che non ci fosse. «Via libera!»
 
«Richie-» Ma Eddie stava già praticamente ridendo.
 
«Cosa fai?!» lo rimproverò quello con teatralità. «Devi strisciare contro i muri, cazzo! O farai fallire la nostra missione!»
 
«Mamma non tornerà prima di mezz’ora, lo sai?»
 
«Dio, Eds, abbassa la voce!» Gli stava togliendo tutto il divertimento. Poi Richie tornò nel personaggio, continuando a muoversi per casa Kaspbrak come una spia. «Proseguire, agente, proseguire! Agente 00-nano, mi sta seguendo?! Agente, mi riceve?! Cazzo! Eddie?!»
 
Così alla fine gli aveva dato corda.
 
«Forza, prendili!» fece finalmente Agente 00-occhialuto, riferendosi ai soldi che Agente 00-nano aveva sotti gli occhi. Le sue mani ancora mimavano una pistola, c’era bisogno di un’arma in caso Sonia tornasse prima.
 
Eddie continuava a chiedersi da ormai un minuto lunghissimo se ne avesse ancora per molto con quel gioco, ma espose altri dubbi: «Non lo so, sei sicuro?» Lui non lo era per niente, continuava a dirsi mamma mi ammazza, mi ammazza, mi ammazza.
 
«Io sono sempre sicuro di quello che faccio!» E invece Richie Tozier non era mai sicuro di quello che faceva. «Andiamo, sbrigati, prima che tua madre decida di tornare proprio per prenderti con le mani nel sacco! Anche se più che sacco questo è un-»
 
«Me ne pentirò, già lo so!»
 
«Esattissimissimo! Solo che questo sarà un problema dell’Eddie del futuro!»
 
«Non sei affatto incoraggiante!»
 
«Ci vuoi venire in settimana bianca sì o no?»
 
Certo che ci voleva andare in settimana bianca. Amare segretamente ed ogni giorno un amico anche senza essere ricambiato non era la fine del mondo se quello gli dava costantemente attenzioni, ma in molti momenti non era abbastanza, e certe volte Eddie aveva bisogno di speranze. La gita era una speranza, la speranza che potesse accadere a lui quello che succedeva a tutti, che potesse arrivargli la felicità come caduta dal cielo, puff, tra i monti. In fondo sarebbero stati ad una diversa altitudine... La gita era l’unica possibilità di essere con Richie altrove, appena fuori da Derry, e forse fuori da Derry lui poteva guardarlo con gli occhi di cui parlava Stacey: quelli dell’amore. Ottimistico, veramente tanto, per uno come lui. O forse non era ottimismo, il suo. Era disperazione. Ogni tanto Eddie Kaspbrak non era ottimista, era disperato. Poiché disperatamente innamorato.
 
«Certo.» rispose allora, prendendo quei soldi di cui aveva bisogno.
 
 
Mezz’ora dopo, come previsto, Sonia era a casa.
 
«Piselliiiiino!» chiamò dall’ingresso. «Sono a casa! Tutto bene?»
 
«Eccola.» dichiarò a Richie con lo stesso tono che avrebbe usato se solo avesse detto: “Eccola, la fine dell’estate”. L’arrivo di Sonia Kaspbrak, in effetti, era sempre molto poco atteso come quello della fine della stagione più divertente. (Tranne nell’anno in cui avevano sconfitto It.) «Sì, ma’, sto studiando!» aggiunse a voce più alta per farsi udire dalla camera sua.
 
«Vedo che diventi sempre più bravo a raccontare bugie alla tua mammina!» ne rise Richie, seduto... sotto di lui. Erano davanti alla scrivania, pronti da almeno un quarto d’ora a cominciare quegli esercizi di matematica che Eddie non aveva capito e l’altro invece sì, e nessuno dei due in tutto quel tempo aveva insistito per prendere un’altra sedia dalla cucina. Richie era seduto su quella di Eddie e Eddie sulle sue ginocchia, comodissimo...
 
«Guarda che non è una bugia, stiamo davvero davanti ai libri!»
 
«Infatti, ma più che i libri stai studiando i peli delle mie braccia!»
 
... e gobbo, il mento piantato sul quaderno di matematica ed il viso ad un centimetro dal braccio dell’amico a cui aveva alzato la manica e su cui stava passando un dito avanti ed indietro, giocando coi suoi peli. Richie aveva ringraziato per tutto il tempo Dio e anche il dio di Stan per non avere la pelle d’oca.
 
«È perché non ci capisco un cazzo!» sbottò quello, prima di sbuffare e di tirarsi su con la schiena. «Che palle!»
 
«Non ci capisci un cazzo dei miei peli o della matematica?» sghignazzò ancora quello.
 
«‘Fanculo.» sembrò a Eddie la migliore conclusione. Si alzò in piedi e si avviò verso la porta della sua stanza.
 
«Dove vai?»
 
«Ssh! Cerco di scoprire se mia madre sta ancora in cucina o te ne devi andare subito.»
 
«Poi ti incazzi se mi comporto come fossi un fuggitivo! Cazzo, lo sono!»
 
Una volta messo l’orecchio vicino alla porta, Eddie sentì il telefono di casa squillare. Sua madre finì di sistemare qualcosa sul tavolo della cucina e s’affrettò a rispondere. La sentì salutare la sua amica e il ragazzo sospirò – quella donna la tratteneva sempre molto tempo a telefono.
 
«Torni dal tuo maestro di matematica&peli o vuoi origliare tutta la chiamata della mia donna al telefono? Oh, guarda che se scopri che ha un amante me lo devi dire, cazzo! Nessuno mi fotte Sonia bella!»
 
Eddie lo zittì con un cenno della mano: voleva sentire se quella della madre sarebbe davvero stata una conversazione lunga o meno, di solito si capiva presto dal tono che usava, se era frettoloso oppure no.
 
Cosa mi stai dicendo?! sentì dirle.
 
«Eds, allora?»
 
Lo zittì con un altro cenno della mano.
 
No, figurati, non ho potuto accendere la tv, sono tornata appena adesso a casa!
 
«Spagheeeettiiiii!»
 
«Zitto un po’, cazzo!»
 
Richie sbuffò, ma si decise a dargli ascolto.
 
Non mi sembra affatto una novità, cara! Non mi stupisce affatto! Questo mese è la seconda notizia che sento su questi incidenti! No, certo, certo! Hai assolutamente ragione! Io per fortuna posso stare tranquilla con Eddie!
 
«Ha fatto il mio nome!»
 
«Beh, che sta dicendo?»
 
Ma Eddie rimase in silenzio ad ascoltare, attento.
 
Questi ragazzini non capiscono che questo è il loro destino, non c’è niente da fare! Ma che, non sto dicendo che hanno fatto bene a morire, per me che muoiono ora o muoiono dopo non cambia niente, tanto in Paradiso non ci finiscono comunque! Per carità, la morte non si augura a nessuno, no no! Sto dicendo che questo è comunque il loro destino, dove vai vai finisce che ti prendono e vieni ucciso di botte! Ma è colpa dei genitori, non li hanno educati a dovere! Sì, infatti, potevano portarli al prete prima che facessero questa brutta fine! Esattamente, esattamente!
 
«Beh?! Me lo dici o no?!» insistette ancora Richie, ma capì che avrebbe fatto prima a raggiungerlo e sentire lui stesso con le proprie orecchie, così affiancò Eddie e si mise ad origliare Sonia assieme a lui.
 
Vero anche questo! L’influenza che possono avere sugli altri è la cosa peggiore! L’altro giorno una birbante è venuta a casa mia ad ipotizzare che Eddie fosse quella cosa!
 
Eddie lo capì subito: gay.
 
Mio figlio non è omosessuale, santo cielo! Dovrei avrei sbagliato? No, ma te lo dico io, cara! Se non sono mode da seguire, allora è direttamente il diavolo! Gesù, mi togli le parole di bocca! Quel Richard Tozier, per esempio! La ragazzina ha messo in mezzo lui! L’ho sempre detto che fra gli amici di mio figlio il figlio dei Tozier fosse il peggiore! Eh, cara, le voci! Se scopro che non sono ipotesi, quel ragazzino in casa mia non ci entra più! No, ma che, già non ce lo voglio, ma in un modo o nell’altro ci finisce sempre! Cristo, tu dici? Dio, aiutaci tu! Benedetta donna, ma non sia mai! Mio figlio non ce li deve avere proprio gli amici pazzi! Guarda, non farmelo neanche dire per scherzo! Ah sì? Al telegiornale di che ora?
 
Eddie deglutì.
 
«Non c’è bisogno che tu dica niente, Eds. Lo sai, è il solito.»
 
Sì, la solita merda.
 
E la solita merda non era solo una madre omofoba, erano i ragazzini omosessuali pestati o uccisi in quella città di merda. La seconda volta in un mese.
 
«Grazie per l’aiuto, Rich, ma continuo da solo.» Matematica, la giornata...
 
La risposta di Richie arrivò in un istante, per niente studiata, semplicemente la prima cosa che gli veniva in mente pur di non andarsene e lasciarlo solo.
 
«Neanche per sogno, ci mancano ancora una montagna di esercizi e da solo farai un fottuto disastro, hai bisogno del maestro!»
 
«Lo so.» ammise, non ebbe neanche la forza di rispondergli sarcasticamente. «Ma farò comunque del mio meglio, non preoccuparti.» Si strinse nelle spalle. «Vai, dai.»
 
«Ma- ma possiamo finire gli ultimi esercizi sul serio! Guarda, te li faccio direttamente io! Anzi-»
 
«Domattina sarò in classe con i compiti finiti, i soldi e l’autorizzazione per la gita.» provò a dire questo per convincerlo ad andarsene, mentre lo spingeva verso la finestra per cacciarlo. «Mi hai aiutato abbastanza, va bene così.» Non mentiva: l’aveva aiutato a prendere quei dannati soldi per la gita, l’aveva distratto con i suoi stupidi scherzi per un buon quarto d’ora e poi aveva cercato di insegnargli qualcosa di matematica. Certo, di matematica alla fine non avevano fatto praticamente niente, però Richie ci aveva provato lo stesso e Eddie apprezzava molto lo sforzo. «Magari la prossima volta studiamo da te.» Per essere più convincente forzò un sorriso un po’ deboluccio.
 
«Vieni qui, Spaghetti.» Richie si era lasciato pure convincere allora, ma non se ne andava senza prendersi il suo abbraccio. Fortunatamente, Eddie non sembrava in vena di ribellarsi e stava già per stringerlo forte con le braccia, prima che...
 
«Tesorooo!»
 
... Sonia non lo chiamasse. Dalla voce pareva che si stesse avvicinando e infatti...
 
«Eddie, sei ancora in camera tua?»
 
... stava proprio recandosi lì.
 
«Non era a telefono?!» s’innervosì Richie – un po’ perché non aveva ricevuto il suo abbraccio ed un po’ perché semplicemente Sonia gli rovinava tutti i cazzo di piani e la odiava, Dio!, se la odiava!
 
Eddie dal canto suo si agitò.
 
«Oh no no no no no cazzo no! È meglio se non ti vede qui adesso!» Non dopo quella telefonata, non voleva sorbirsi un altro discorso disgustoso come l’altra volta. «Vattene, veloce!» Lo spinse freneticamente fuori dalla finestra, sentendo il cuore salirgli in gola man mano che i passi di sua madre sulle scale si facevano più pesanti.
 
Cazzo, sta arrivando.
 
«Vado, vado!» Stava praticamente già scappando, l’intero corpo ormai era fuori. Eddie si sbrigò a chiudergli la finestra in faccia quando Sonia toccò la maniglia della sua porta. Solo che nel momento in cui di nuovo il telefono squillò e lei gli disse Un attimo! per andare a rispondere ad esso, un altro suono arrivò alle orecchie di Eddie. Un tonfo. Ed un lamento. O se l’era immaginato?
 
Corse alla finestra, poiché il primo pensiero fu...
 
«Richie!»
 
OH, PORCA PUTTANA!
  
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