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Autore: dinyrd    11/05/2020    2 recensioni
Tobio poteva nascere in molti modi: talentuoso, intelligente, spiritoso, simpatico. Invece è nato ansioso, scemo e con una cotta spaventosa per Shoyo. Averlo invitato a quella festa potrebbe essere stata la migliore o la peggiore idea che gli sia mai venuta.
[KageHina]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Mi sono accorta di avere un problema. Questo problema comprende la gente che balla e le dichiarazioni trash. E quindi eccomi di nuovo, ma giuro che la smetto. Purtroppo è un'altra epopea di disagio nata dalla mia procrastinazione nello studio. Lettore avvisato mezzo salvato? 
L'ambientazione è strana, una mezza americanata tratta dal peggio teen drama di serie z, perché o il trash si fa bene o non si fa. Buu le mezze misure e la decenza!
Enjoy!









 
 

Le mani sudate non erano un buon segno, Tobio lo sapeva. In diciotto – quasi – dignitosi anni di vita, non gli era mai successo di avere le mani sudate. Non possono portare a niente di buono. Si asciuga discretamente le mani sulle cosce e guarda con aria costipata il vialetto della casa davanti a lui. È vuoto, con l'erba bisognosa di essere tosata che a tratti lo invade. La porta alla fine di esso è ostinatamente chiusa – Tobio sa che è solo colpa sua e del suo immenso anticipo.

Ma è nervoso, non ci può fare niente. E non ci crede che è riuscito ad arrivare fino a li senza vomitarsi sulle scarpe. Sente lo stomaco attorcigliarsi su se stesso e la gola secca.

Forse sta sbagliando tutto, forse dovrebbe mandare un messaggio ad Hinata e darsi malato. Scusarsi e sparire per sempre dalla faccia della terra. Sarebbe umiliante, certo. Un'occasione sprecata, senz'altro. Ma eviterebbe di mettersi in imbarazzo in qualsiasi modo.

Afferra quindi il cellulare, ma le mani nuovamente sudate glielo fanno un po' scivolare dalle mani e se lo poggia sulla coscia prima che possa cadere impietosamente sul tappetino della macchina di Oikawa - “Tobio-chan, non vorrai mica andare a prendere il tuo Romeo con il catorcio di tua sorella, vero?”, gli aveva detto la faccia da cazzo. A poco erano valse le sue proteste, le chiavi gli erano sbattute in mano e la porta in faccia – tentenna un paio di minuti sullo schermo spento dello smartphone, quando lo sblocca si rende conto che manca ancora in quarto d'ora al momento più importante dalla sua vita da teen e che seduto in macchina (alle quasi sette del pomeriggio, da solo, mentre fissa a intervalli il vialetto di una casa che non è la sua) sembra solo uno psicopatico.

Ma sente che sembrerebbe ancora più pazzo se andasse a suonare adesso, sembrerebbe impaziente, uno che vuole tutto subito – che non è necessariamente falso, ma non questo il caso – e se chiude gli occhi può quasi rivedere dietro le palpebre le esatte parole del giornaletto che aveva preso in prestito da Kindaichi (“La posta di Saeko” parlava chiaro, arrivare con troppo anticipo ad un appuntamento era da maleducati, troppa impazienza poteva allontanare un eventuale partner. E sicuramente lui non voleva tentare la fortuna per vedere se la rubrica mentisse o meno).

Il problema dell'attesa, è però che ha una gran voglia di scappare, tornare a casa, infilarsi sotto alle coperte e dormire per l'eternità.

Perso nei suoi piani di ritirata, quasi non sbatte la testa contro il tetto della macchina quando il telefono gli vibra sulla gamba, l'arto ha uno spasmo involontario, nervoso, e la ginocchiata che dà allo sterzo gli fa masticare qualche bestemmia. Quando si riprende abbastanza e constata che sia la macchina che la sua povera rotula siano interi, finalmente guarda il telefono che è intanto un po' scivolato verso il cambio.

Lo scocciatore, neanche avesse sentito i suoi pensieri, non è altri che Oikawa stesso, che vuole assicurarsi che non se la stia dando a gambe.


 

Best senpai

Sei arrivato? È già uscito? Se stai guidando non rispondere.

Tu

Sono arrivato, non è uscito. Sono in anticipo.


 

Tentenna un po' le dita che picchiettano sullo schermo pensierose e creano una parola di dodici lettere senza senso. La cancella e decide che ha bisogno di sostegno morale, anche se Oikawa è sempre una scelta rischiosa (basta guardare come si è salvato in rubrica per capire che oltre all'egocentrismo c'è posto per poco altro nella sua vita, e quel poco altro è occupato da Iwaizumi. Però, cazzo, a questo egocentrico Tobio vuole anche un po' bene, e quando ascolta e prende le cose sul serio e non a ridere è bravo nei consigli, e Tobio ha proprio voglia di scappare e bisogno di qualcuno che lo ancori a quel maledetto sedile) e decide che a provare, ormai, non ci rimette più niente. Anche le prese in giro a questo punto si sono esaurite da giorni, quindi Tooru dovrebbe riuscire a rimettere insieme un briciolo di serietà per confortarlo.


 

Tu

Che ansia. Non so se abbia accettato per pena. In questo momento vorrei solo tornare a casa e fare finta di niente. Potrei anche venire da te e Iwaizumi, potremmo finire Stranger Things..

Best Senpai

Sei un'idiota. Non ti permettere di tornare indietro o a questa stupida festa ti ci porto per le orecchie. Poi sai che bella impressione con il tuo Romeo? Che ovviamente non ha accettato per pena, qui l'unico che prova pena sono nel vedere che siete due cretini.

Tu

Smettila di chiamarlo così, è imbarazzante.

Best Senpai

Intendi cretino o Romeo? Perché nel primo caso sto parlando di un dato di fatto, e nel secondo ti sto citando.

Tu

Lo sai di cosa parlo. E smettila di riportarlo a galla, ero ubriaco.

Best Senpai

Amo, sai che non potrò mai smettere di prenderti in giro per questa cosa. È il karma questo, la punizione divina che ti è arrivata per aver bevuto senza avere l'età.

A proposito, non provare a toccare neanche un goccio di qualsiasi cosa che non sia acqua stasera. La macchina la rivoglio intera.

Iwa-chan dice che rivogliamo anche te intero.

Tu

Non siete i miei genitori, smettetela siete inquietanti.

Best Senpai

Scendi da quella cazzo di macchina e vai a prende quel nanetto che ti piace tanto.

Tu

Io voglio solo morire.

Best Senpai

VAI!

Iwa-chan ti augura buona fortuna.

Io spero che ti vada tutto male.


 

L'orologio gli conferma che mancano poco meno di cinque minuti all'ora dell'appuntamento, Tobio fa le contorsioni e si riesce ad infilare il cellulare nella tasca degli skinny jeans, si asciuga di nuovo le mani sulle cosce e cerca d'infilarsi la giacca di pelle senza scendere dalla macchina, finisce che quasi suona il clacson e decide di metterla una volta sceso. Guarda per un secondo i fiori poggiati sul sedile posteriore e poi li afferra, si dice che o tutto o niente, o la va o la spacca, quelle cose li insomma. No pain no gain (centra qualcosa? Forse no. Gli interessa in quell'esatto momento? Sicuramente no).

Quando finalmente scende dal mezzo si prende un paio di secondi per guardare il suo riflesso sulla carrozzeria lucida. Non si sente scomodo e neanche brutto – sa oggettivamente di essere un bel ragazzo, grazie tante, sono cose che succedono quando tutti non fanno che chiederti se fai il modello o l'attore (quando l'unica cosa che fa lui quando non gioca a pallavolo è accarezzare i materassi) – gli anfibi che indossa sono i suoi preferiti e sono ormai allargati dall'uso al punto giusto da non fargli più male per il resto dei loro giorni, i pantaloni gli fasciano le gambe lunghe e muscolose e le spalle larghe riempiono perfettamente la giacca. Oikawa gli ha acconciato i capelli nello stesso modo in cui li aveva uno degli attori dell'ultimo drama coreano con cui il maggiore è entrato in fissa, e sono piacevolmente voluminosi e ondulati. Si è davvero messo in tiro per quell'occasione e si sente un po' scemo.

“Ha accettato di uscire con me mentre glielo chiedevo sudato e in tuta, va tutto bene” si dice da solo, parlando come uno scemo alla strada vuota o al mazzo di garofani che stringe in mano.

Con quelle parole si decide quindi ad avanzare, percorre il vialetto in un paio di falcate affrettare e suona ancora prima che riesca a connettere il cervello con i muscoli. In una sorta di 'ora o mai più' che ammette lui stesso essere troppo drammatico (ma lui è fatto così, non è una questione di urgenza, quanto più di essere inutilmente ansioso).

Quando la porta gli si apre davanti, non si aspetta decisamente quello che invece trova a accoglierlo. Sulla soglia c'è Hinata Shoyo, tranne che è almeno dieci centimetri più basso del solito e ha i capelli un po' troppo lunghi. Passano almeno dieci imbarazzanti secondi in cui guarda quasi a bocca aperta la persona che gli sta davanti, prima che le sue povere sinapsi tornino in contatto tra di loro.

“Natsu?” chiede, quella quasi non gli scoppia a ridere in faccia.

“Kageyama, presumo,” il tono è allegro, sembra quasi lo stia prendendo in giro. Ed è altamente probabile e giustificata come cosa, visto che Tobio è sicuro di avere in faccia un espressione da idiota totale.

“Mh, si. Ecco, Hinat- Shoyo è in casa?” vorrebbe rimangiarsi quello che ha detto all'istante, quanto cazzo è stupida quella domanda? Gesù, sarebbe stato meglio restare in macchina e mandargli un messaggio per chiedergli se fosse pronto. Perché non ci ha pensato prima? Si sarebbe evitato quella figuraccia.

“Certo che è in casa,” sbuffa Natsu in una risata, lo stomaco di Tobio gli finisce sotto le scarpe. “Credo si stia finendo di preparare, vuoi aspettarlo dentro?” chiede, ma la domanda è abbastanza retorica, perché già si è spostata dall'uscio e lui sta già mettendo piede nell'ingresso.

“Te lo chiamo subito,” gli sorride, mentre gli fa cenno di sedersi su uno sgabello all'isola della cucina. Poi si volta verso le scale che portano al piano superiore e urla. “Shoyooo, il tuo bello è qui!”

Tobio non ha neanche il tempo di pensare di voler morire, che dal piano superiore arrivano un paio di tonfi neanche troppo attutiti, qualcosa viene trascinato sul pavimento – una sedia? La scrivania? Shoyo sta spostando l'armadio davanti alla porta per barricarsi in camera, in un lampo di rimorso, e vuole evitarlo? - e la voce di Shoyo, leggiadra come il gracchiare di un corvo, urla il nome della sorella, un imprecazione abbastanza colorita e che sta scendendo.

“Quindi, Kageyama,” il suo cognome rotola sulla lingua della ragazza come se stesse provando come suona. Tobio sa che è più piccola di lui, lo vede anche, eppure il modo in cui lo guarda – con un intensità simile a quella del fratello, forse lievemente attutita dal sorriso sulle labbra e dalla scintilla maliziosa negli occhi – lo fa sentire incredibilmente a disagio e piccolo e sotto pressione. E anche uno scemo, mentre ancora tiene in mano quello stupido mazzo di fiori, che a ben pensarci poteva anche evitare di portare.

“Posso offrirti qualcosa da bere? Una birra, magari?” Natsu lo guarda ancora divertita, le dita che picchiettano ritmiche sul bordo di marmo dell'isola, esattamente dalla parte opposta a dove si trova lui.

“Io... devo guidare?” dice Tobio, la sorella di Shoyo alza un sopracciglio fulvo – quindi è una cosa di famiglia, chissà da chi dei due genitori hanno ripreso, forse da entrambi, si chiede se sia possibile – e quasi non gli scoppia a ridere in faccia.

“Lo stai chiedendo a me?” gli risponde tossicchiando, si avvicina al frigorifero e si versa un bicchiere di succo. Alza il cartone verso Tobio, ma lui scuote la testa in segno di diniego.

“No, no, certo. Devo guidare” conferma come lo stupido che è.

“Menomale, sopratutto perché, conoscendolo, Shoyo avrà probabilmente bisogno di qualcuno che lo riporti a casa a braccia,” la ragazza lascia un'occhiata significativa ai suoi arti coperti dalla pelle della giacca, “vedo che sei ben attrezzato.”

Tobio non sa che dire. Ci pensa il soggetto della conversazione a toglierlo dall'imbarazzo. Shoyo scende come una furia la rampa di scale e quasi non inciampa sull'ultimo gradino. Si aggrappa al corrimano per non rovinare a terra e li guarda con gli occhi fuori dalle orbite.

“Sono pronto!” ansima, ma Tobio non ci fa caso. Il sangue gli sciaborda nelle orecchie e ha quasi paura che potrebbe annidarsi proprio dove non dovrebbe andare in quel momento, per precauzione meglio spostarsi i fiori sul cavallo dei pantaloni.

Shoyo è bello. Lo è normalmente, per lui. Gli piacciono i suoi capelli rossi, la sua pelle chiara e le lentiggini sul naso, l'intensità del suo sguardo gli fa tremare le ginocchia e il sorriso gli scalda il cuore. Ma quella sera, se gli è concesso dirlo, Shoyo è proprio bono.

Tobio non riesce a distogliere lo sguardo dalla pelle tesa dell'addome lasciata scoperta dal crop top che ha messo – non è niente di speciale, è nero con il nome abbreviato di quella band, Black Qualcosa, che gli piacciono tanto – il tessuto si ferma poco più sopra del suo ombelico (non credeva di poter trovare attraente un ombelico) e lascia scoperti solo una manciata di centimetri prima d'incontrare il bordo di pantaloni fin troppo aderenti per il suo bene. A coprirsi le braccia altrimenti nude ha messo la sua giacca di jeans piena di toppe – sulla spalla sinistra c'è quella personalizzata che gli ha regalato Hitoka, un pulcino nero con i capelli arancioni, sul bordo inferiore destro un R2-D2 è incastrato tra un ufo e un lupo – i capelli solitamente scompigliati e indomabili hanno trovato forma sotto ad un cappellino da baseball rosa con la visiera rigirata.

“Scusa il ritardo Kageyama, Natsu non ti ha messo a disagio vero?” Tobio deglutisce un grumo di saliva più grande del suo esofago e quasi si strozza.

“No, mi ha fatto piacere conoscerla. Dispiace a me di essere arrivato in anticipo. Credevo di trovare più traffico” si risolve a dire, ritrova anche un po' di compostezza e la voce non gli trema. Sembra il solito e se ne compiace. Shoyo gli sorride – e per lui può anche concludersi la serata che è già contento così– e lo squadra da capo a piedi, c'è qualcosa nel suo sguardo ma Tobio non sa cosa. Non è che ha messo i pantaloni macchiati, vero? Ha controllato! Poi si ricorda dei fiori che stringe in mano, scatta in piedi come se lo sgabello lo avesse morso e li porge all'altro nel più goffo degli inviti.

“Sono per te!” quasi urla, Natsu ride nel suo bicchiere di succo che le va di traverso e Shoyo sobbalza preso alla sprovvista, poi afferra il mazzo dalle sue mani – che adesso sono inutili e che vengono infilate in tasca prima che possano approdare su lembi di pelle che non gli è consentito toccare – e se lo stringe un po' al petto mentre annusa i fiori. Tobio vorrebbe fotografarlo.

“Sto per vomitare,” interrompe il momento Natsu, Tobio sente le orecchie rosse e Shoyo la fulmina con lo sguardo.

“Mettili in un vaso, invece di fare la simpatica. Noi stiamo uscendo, tra poco arriva la mamma, mi raccomando non distruggere casa -” inizia Shoyo in quella che sembra essere una paternale imparata a memoria, ripetuta chissà quante volte. Parla mentre si sposta verso la porta, Natsu li segue prende i fiori dalle mani del fratello e alza gli occhi al cielo ad ogni parola.

“Si, si, lo so. Ho quindici anni, non dieci. Adesso vattene! Ciao Kageyama, torna a trovarci.” La porta sbatte dietro di loro, Tobio è sicuro che il collo gli si stia chiazzando d'imbarazzo e Hinata soffoca un lamento.

 

-

 

L'occasione è il compleanno dei gemelli Miya. Tobio ha avuto il piacere – o la sventura – di conoscere Atsumu ad un campo estivo un paio di anni prima e non se ne è mai più liberato. Non ha lo stesso livello d'invadenza di Oikawa – Gesù, già di piaga ne aveva una, nessun Dio sarebbe stato così malevolo da dargliene un'altra – ma ha l'abitudine di ficcare comunque il naso in cose che non lo riguardano. Osamu, d'altro canto, sembra leggermente meglio del suo doppione, ma Tobio non lo conosce abbastanza per poterlo affermare con certezza (e se deve essere proprio sincero, non gli interessa nemmeno).

La folla che occupa il giardino della loro villa lascia Tobio un po' attonito: è mai possibile conoscere tanta gente? È sicuro che non lo sia e che gran parte dei presenti sia stata imbucata – un po' come Shoyo, che i gemelli ancora non li ha conosciuti, ma che è stato invitato da Tobio e che a sua volta ha invitato un'altra manciata di amici (“Per non sentirmi a disagio!” aveva detto e lui non gli avrebbe mai potuto negare nulla) – ma a questo punto può davvero ancora considerarsi una festa di compleanno?

“Ho visto Hitoka, andiamo!” la voce di Shoyo sovrasta il brusio della folla; in giardino l'eco della musica non è così forte da impedire di parlare e questo rende il prato un buon posto per chiudersi in gruppetti compatti a fumare, come testimoniano i vasi di fiori che iniziano ad essere costellati di mozziconi. Non vorrebbe mai trovarsi nei panni di chi deve pulire quel macello, la mattina dopo. Shoyo lo afferra per la manica della giacca e lo trascina nel vialetto, Tobio si trova a dover scavalcare i bicchieri messi in fila al lato del cemento – forse è la sua immaginazione, ma gli sembrano emulare quelle foto delle piste di atterraggio per gli aerei di notte, o forse è fatto a posta, o forse sta solo cercando qualcosa su cui concentrarsi che non sia il sedere perfettamente strizzato nel denim davanti a lui – prima di doversi fermare bruscamente per non tramortire l'altro.

Hitoka è sotto al portico, un bicchiere nella mano sinistra e la destra che gioca un po' nervosa con la collana che porta al collo. È circondata da una manciata di altri ragazzi che Tobio conosce solo di nome o per sentito dire. Ma lei, oh, Tobio la conosce bene. È stata la prima amica in comune tra lui e Shoyo, lei li ha presentati e lei lo ha spinto a invitarlo ad uscire quella sera, dopo esser venuta a conoscenza della sua cotta madornale, della sua timidezza sproporzionata e del suo handicap nei rapporti sociali – queste ultime due cose le aveva sperimentate lei stessa in prima persona.

“Oh, siete arrivati! Credevo che non sareste più venuti, ci stavamo giusto chiedendo se restare!” La testa di Tobio scatta alla voce, Shoyo gli lascia il braccio e usa la mano per dare una pacca giocosa sulla spalla del ragazzo che gli si è appena avvicinato.

L'intero gruppo li guarda, Tobio si sente un po' a disagio, vorrebbe toccarsi i capelli, ma ha paura di rovinarli. Vorrebbe andare a cercare anche lui qualcuno che conosce, ora che l'attenzione di Shoyo è proiettata ai suoi amici. Gli andrebbe bene anche avere Oikawa e Iwaizumi che si comportano come se fossero i suoi genitori, in quel momento. Ripiega invece nel rimanere piantato dove si trova, infila di nuovo le mani in tasca e si chiede se deve presentarsi lui o aspettare di essere introdotto.

A salvare la situazione ci pensa Hitoka, si stacca dal gruppo, gli si affianca e fa scontrare le loro spalle – quanto meno ci prova, ma anche con i tacchi la spalla di lei non arriva che poco più in alto del suo gomito – e gli sorride.

“L'hai invitato quindi?” gli dice, il soggetto della frase – che sta creando una babilonia sul portico con gli amici – è chiarissimo.

“Già,” risponde un po' emozionato, “non ci credo che ha accettato.”

“Quindi gli hai anche detto che ti piace, ero proprio stanca di-” le parole di Hitoka vengono sommerse dalle urla congiunte di Shoyo e di una nuova persona appena uscita dalla porta principale.

Tobio sposta repentino lo sguardo dall'amica al suo fianco al nuovo arrivato e la gola gli si annoda quando vede Shoyo saltargli in braccio. Gli enormi bicipiti del nuovo arrivato si contraggono, lo afferra al volo e le risate attirato l'attenzione di tutti quelli vicini a loro.

“Non ci posso credere!” urla il Nuovo Arrivato, mentre Shoyo gli stringe le braccia al collo e gli ride nelle orecchie. A Tobio sembra di vedere la scena dall'esterno: lui lì, appoggiato alla ringhiera del patio con le mani affondate nelle tasche, i capelli ridicolmente voluminosi e l'espressione da disadattato che sente le sue speranze evaporare mentre il tipo per cui ha una cotta da quasi due anni è appiccicato ad un tipo alto, tutto muscoli e sorrisi – dopotutto, chi si somiglia si piglia – e osceni capelli grigi con cinque centimetri di ricrescita.

“Mh,” Hitoka lo guarda un po' spaesata, sta per aprire bocca mentre tutti gli altri loro amici si sono accalcati attorno al nuovo arrivato e si scambiano stupide pacche sulle spalle. Tobio vorrebbe girare sui tacchi e tornarsene immediatamente in macchina, infilarsi nell'appartamento dei suoi stupidi amici e piangere sulla spalla di Oikawa fino a perdere la faccia. A mano libera di Hitoka, quella che prima stava giocando con la collana, gli afferra l'avambraccio. Lo stringe e in qualche modo lo ancora al terreno, gli sembra di tornare dentro se stesso come dopo un esperienza extracorporea e quando volta il viso per guardarla si accorge che ha le guance paonazze e un fiume di parole da dire a cui non riesce a dare voce però, perché in quel momento uno dei festeggiati decide di palesarsi sul portico con una sigaretta che gli pende dalla bocca, caso vuole che sia il gemello che conosce e che “Tobio, quindi sei venuto!” gioisce, prima di approcciarlo e intontirlo di parole. Per la mezz'ora successiva non lascia spazio a nessun altro per attaccare bottone, ma Tobio dubita che Hitoka avrebbe comunque detto qualcosa davanti a quello che per lei è uno sconosciuto – e comunque non è che lui voglia che Atsumu s'immischi nella sua vita, quindi va bene così – e quando finalmente sembra avere la gola secca (e Tobio è a conoscenza di fatti riguardanti invitati alla festa che lui neanche conosce) uno dei ragazzi del gruppo viene a ripescare Hitoka. Le chiede di ballare, lei guarda Tobio come se si volesse scusare, lui le fa cenno di andare e, con un ultimo sguardo mortificato, sparisce nella folla appena dietro l'uscio.

Atsumu sembra voler iniziare un altra filippica infinita su qualsiasi argomento gli stia passando per la testa in quel momento e Tobio lo guarda quasi inorridito, conscio di non poter sopportare un secondo in più di conversazione. A salvarlo in quel momento gli si affianca Shoyo, che sembra essersi ricordato del suo accompagnatore, gli si appende un po' petulante al braccio e fa passare lo sguardo svogliato un paio di volte su Atsumu. Poi si gira verso di lui, il sorriso che gli rivolge è affilato e luminoso, diverso dal solito ma bello ugualmente.

“Allora Tobio, mi fai ballare?” domanda, guarda nuovamente il gemello Miya davanti a lui, quello alza un sopracciglio.

Tobio, che certi giorni non è sicuro neanche di riuscire a restare in piedi davanti a Shoyo, figurarsi a ballare, lo guarda stralunato. Poi annuisce e il rosso lo trascina nel casino della villa.

 

Così finisce incastrato nella baraonda di gente che occupa il soggiorno, uno degli amici di Shoyo - “Piacere, Ryuu!” gli si è presentato urlando sopra la musica – ha procurato ad entrambi un bicchiere pieno di quella che sembra birra, ma che Tobio non si sente di bere (qualcosa che ha a che fare con suo nonno che gli dice di non accettare cose dagli sconosciuti e di non bere da bottiglie non chiuse) e che finisce nel corpo di Shoyo quando questo gli chiede se, allora, può approfittarne lui. Il Dj sta passando una selezione di pezzi che sembrano arrivare direttamente da una playlist dedicata a RuPaul's Drag Race e lui non sa assolutamente come si ballano – tralasciando che lui non sa ballare di base – e si limita quindi a spostare il peso imbarazzato da un piede all'altro. Qualcuno gli si struscia sul fianco, una mano gli strige la vita, quando si volta per controllare chi è che lo sta palpeggiando nella folla però quello già si è allontanato. Tobio riporta quindi l'attenzione su Shoyo, che invece sembra proprio a suo agio nel marasma di gente, mentre balla con gli occhi socchiusi, intercetta il suo sguardo e lo incatena con quello di Tobio. Lui sposta il peso dalla gamba destra a quella sinistra, si chiede distrattamente se abbia senso quello che sta facendo, gli occhi di Shoyo gli fanno sentire le gambe di gelatina ed è pronto per finire con la faccia a terra e calpestato da tutti, quando Shoyo allunga le braccia e colma i pochi centimetri che li dividono, gli afferra gli avambracci e gli guida le mani fino a portarsele sulla sua vita. Tobio quasi non inciampa nell'aria quando si ritrova a posare i polpastrelli sulla pelle nuda del fianco, il respiro gli si mozza in gola e sente di poter addirittura svenire quando le braccia di Shoyo provano a circondargli il collo, ma la differenza d'altezza impone che, perché quest'operazione possa andare a buon fine, lui si debba piegare un po' in avanti, si trova quindi a pochissimo dal suo viso mentre quello ride felice e gli si struscia addosso in modo indecente.

Tobio non sa se quello che gli rimbomba nelle orecchie è il suo cuore o i bassi della nuova canzone, stringe di più la presa sui fianchi dell'altro e se lo avvicina. È con una buona dose d'incredulità che si rende conto che sta ballando praticamente appiccicato al ragazzo che gli piace, ha la testa che gli gira ed è leggera come se fosse ubriaco, sente le labbra di Shoyo sfiorargli – forse involontariamente, non lo sa – il collo più e più volte e le parole gli scivolano di bocca prima che lui possa farci niente.

“Penso che tu sia bellissimo, mi piaci da impazzire-” chiude la bocca di scatto, perché il destino beffardo ha deciso che è quello il momento giusto perché la musica si spenga di botto e il dj si metta a fare gli auguri ai festeggiati.

Il risultato è che Shoyo sente tutto quello che Tobio – un po' perché scemo, un po' perché conscio che non sarebbe mai stato sentito sopra alla musica assordante – ha detto. Questa volta il respiro si mozza per davvero nei polmoni di Tobio, Shoyo gli toglie le braccia dal collo, lo guarda un po' smarrito e una qualche espressione prende a sbocciargli sulle labbra. Tobio non vuole sapere, non vuole sentire, non vuole niente. Davanti agli occhi gli passa un flash del ragazzo con i capelli grigi incontrato un paio di ore prima all'ingresso, Shoyo abbarbicato tra le sue braccia come un koala ad un albero di eucalipto, e si da del cretino da solo. Toglie le mani dai fianchi del rosso come se si fosse scottato e indietreggia, calpesta i piedi di almeno tre persone e si prende altrettanti insulti, poi si volta, si prende qualche gomitata e corre via.

 

Risolve con il salire al piano superiore in cerca di un nascondiglio e di un posto relativamente tranquillo per poter chiamare qualcuno – Oikawa probabilmente – e cercare qualche tipo di aiuto, qualcosa che lo tenga ancorato al terreno prima che il suo fiato mozzato e la sua voglia di piangere sfoci definitivamente in una crisi di panico che rovinerebbe solo ulteriormente la sua esistenza già sfigata. E ha bisogno anche di sentire una voce amica, perché probabilmente non ha alcuna possibilità di conquistare l'amore della sua vita (e se è esagerato non è colpa sua, è fatto così, non ci può fare niente. Non ci sono mezzi sentimenti, e sa di sembrare capriccioso, ma non è una persona semplice, affezionarsi non gli viene facile e innamorarsi ancora meno) e si è anche reso assolutamente ridicolo davanti ai suoi occhi, solo perché ha un filtro bocca-cervello inesistente.

La stanza in cui s'infila sembra una sala relax, ci sono un paio di divani addossati ad una parete e una serie di console per i videogame sono accatastate sotto ad una tv poco distante. Ma a lui poco importa della stanza, quello a cui ha puntato è la porta finestra che da su un balconcino. La sua speranza, mentre divora il parquet a grandi falcate, è che non ci sia nessuno da dover cacciare via, perché non si sente assolutamente nelle condizioni di litigare per una boccata d'aria e una chiamata di legittimo supporto alla sua idiozia.

I suoi piani vanno in fumo però, perché si sente chiamare da uno dei divani e di ferma di scatto.

“Hey tu! Sei il tipo di Shoyo?” Tobio si gira di scatto verso la voce che non riconosce e si trova davanti niente poco di meno che l'Eucalipto.

Ingoia il nodo che gli stringe la gola, sbatte le palpebre un paio di volte per scacciare le lacrime che sente salire e inspira profondamente dal naso prima di parlare.

“Mh, no?” chiede, perché gli piacerebbe davvero tanto essere 'il tipo di Shoyo', ma come Eucalipto dovrebbe già sapere, non è il suo caso.

“Non sei Tabeyama Kobio?” chiede, le parole si accavallano un po' le une su le altre, come se avesse la lingua troppo pesante per parlare bene ed effettivamente, dato anche il rossore che gli colora i pomelli, potrebbe aver bevuto un po' troppo.

“Se intendi Kageyama Tobio, si” lo corregge comunque, perché c'è davvero poco che gli dia più fastidio di qualcuno che sbaglia il suo povero nome. Già deve sopportare Tooru e i suoi nomignoli, e lo tollera perché gli vuole bene, non lascerà di certo che uno sconosciuto gli storpi il nome.

“Si, si, scusa. Insomma, l'uomo di Shoyo, come dico io.” Continua, Tobio sente il petto stringersi un poco e ha già capito che deve lasciare perdere, è pronto ad abbandonare quel povero scemo a marcire da solo sul divano mentre lui si va a prendere la sua meritata compassione. Va di nuovo verso la porta finestra, ma una rapida sbirciata attraverso le ante socchiuse gli rivelano che il balconcino è occupato e a giudicare dalla foga con cui la coppia si sta mangiando la faccia, non crede proprio che se ne andranno a breve.

Pensa quindi se sia possibile sequestrare un bagno, ma poi pensa che la situazione potrebbe essere anche peggiore e se qualcuno dovesse aver bevuto troppo, puzzerebbe anche. Ripercorre mentalmente i suoi passi e cerca di capire se gli possa essere possibile uscire dalla porta dove è entrato e infilarsi in macchina direttamente. L'ultima opzione è requisire il primo conoscente che trova alla festa – gli sembra di aver intravisto Wakatoshi da qualche parte, il quale sarebbe anche perfetto visto che non è un tipo da troppe domande – e farsi fare da scudo umano mentre sgattaiola via, il problema rimane comunque quello di trovarlo senza farsi notare.

“Hey Kageyama!” continua a biascicare Eucalipto intanto, allunga un braccio e gli fa segno di avvicinarsi. Tobio non lo farebbe neanche sotto tortura. Si avvia quindi alla porta, ma deve fermarsi per non scontrarsi con altre persone che stanno entrando.

Riconosce Tsukishima con altri due ragazzi e storce il naso, l'ultima cosa che vuole è incontrare qualcuno come lui in una situazione così tragica. Quello non gli rivolge che mezza occhiata, prima di dirigersi al divano libero e sprofondare tra i cuscini, uno dei ragazzi che è entrato con lui gli s'incastra vicino e inizia a parlargli all'orecchio, il tono e basso e Tobio non li sente, ma gli è chiaro che stiano parlando di lui dal modo in cui gli piantano gli occhi addosso e non glieli scollano neanche per un secondo. Tobio sente la rabbia sbocciargli in petto, sente il desiderio di dare un pugno sul naso dritto di Tsukishima e di farlo sanguinare. Prende un respiro profondo e varca la soglia della stanza, lo schiocco di un bacio lo gela e la curiosità di sbirciare dentro lo sopraffà, cerca di resistere ma le parole che sente non lo aiutano.

“Ma quanto hai bevuto Bokuto?”

“Non tantoo” è la voce strascicata di Eucalipto – Bokuto? – che lo convince a girarsi e quando lo vede baciarsi con il terzo ragazzo entrato nella stanza, la rabbia prende il sopravvento. Entra nella stanza come una furia, si pianta davanti all'altro ragazzo e non prende neanche nota del sopracciglio alzato di Tsukishima, del sorriso confuso del ragazzo vicino a Bokuto, di niente.

“Sei uno stronzo!” inizia ad attaccarlo. Non specifica con chi stia parlando ma il suo sguardo è puntato sul tipo dai capelli grigi ed è difficile fraintendere.

“Non sai nemmeno a che tipo di persona stai spezzando il cuore! Lui è gentile, solare, bellissimo e tu, non riesci a vedere cosa stai perdendo! Sii almeno sincero con lui e risparmiagli di struggersi! Non se lo merita, e tu! Tu sicuramente non lo meriti!” butta fuori, ansima un poco, sente di avere la faccia rossa e si sente sconvolto.

Bokuto lo guarda stralunato, Tsukishima e il suo amico quasi non scoppiano a piangere dalle risate. L'altro ragazzo, quello che ha baciato il grigio, sembra volersi dare una manata in fronte.

“Scusa, ma di chi stai parlando?” biascica Bokuto.

“Scusa, ma come stai parlando?” gli fa eco l'amico di Tsukishima, il biondo quasi ulula una risata mentre affonda il naso nella maglia di quello. Tobio decide d'ignorarli.

“Di Shoyo, ovviamente! Gli piaci! È ovvio!” s'infervora ulteriormente, Bokuto lo guarda come se gli fosse spuntata un'altra testa, l'altro ragazzo si sbatte definitamente una mano in fronte e geme addolorato, Tsukishima e il suo amico sembrano gelati sul posto.

“Non sei serio, vero?” domanda Kei, perché figurarsi se può farsi i fatti suoi.

“Certo, appena Shoyo ha visto questo qui,” indica con un gesto vago la figura di Bokuto, quello sembra ancora viaggiare sulle nuvole, “si è illuminato come un cazzo di albero di Natale. Gli piace così tanto e io non ho fatto altro che fare la figura dell'idiota.” Blatera.

“No, fra!” Bokuto scatta in piedi e lo raggiunge in mezza falcata, lo sovrasta di una manciata di centimetri, ma quello che lo inquieta di più è il volume delle sue braccia. Ah, se gli desse un pugno probabilmente gli staccherebbe un pezzo di faccia. Invece gli afferra le braccia e lo scuote come se fosse un peluche.

“No, fra, cazzo! Io e Shoyo siamo super amici, sei TU il tipo che gli piace!” urla. Viene poi trascinato di nuovo sul divano.

“Bokuto, calma” lo redarguisce l'altro ragazzo.

“Keijii, ma sta fraintendendo! Shoyo era così contento di uscire con lui e lui è scemoo!” piagnucola.

Tobio, che non sta capendo niente, che ha le parole di Bokuto che gli frullano in testa come una pallina rimbalzante, si sente un po' indignato.

“Kageyama, esattamente cosa è successo per farti fare la figura dell'idiota?” la domanda di Kei è piena di scherno (quasi retorica, come se non esistesse un momento in cui non faccia figure barbine, ma non è così, grazie tante), Bokuto e Keiji sono occupati in una conversazione fitta fitta tra di loro. Il filtro bocca-cervello di Tobio fallisce di nuovo il suo unico compito e lui si rende nuovamente ridicolo.

“Che mi piace un sacco,” dice. Le sopracciglia del biondo volano fino all'attaccatura dei capelli.

“E poi? Dove lo hai lasciato?” lo incalza.

“Sono scappato via,” ammette. Il suo amico ride di nuovo, Bokuto gli dice che è un'idiota – ma come si permette? – e mai si sarebbe aspettato che il sostegno arrivasse da qualcuno come Tsukishima, che sospira, si pizzica il ponte del naso (nota in quel momento che deve aver messo le lenti a contatto, perché degli occhiali non ce n'è traccia, ma onestamente non gliene frega niente) e si alza quasi faticosamente dal cuscino, come se fosse la cosa più difficile che abbia mai fatto in tutta la sua vita.

“Senti qua, adesso lo cerchi, lo trovi, lo baci e capite che siete due coglioni. Siamo tutti stanchi di sentirlo parlare di quanto tu sia fantastico e di quanto gli piaci. Per di più pensa a come può esserci rimasto quell'altro idiota quando lo hai mollato. Rimettiti insieme e levati dalle palle.” conclude. Non suonerebbe come un incoraggiamento, ma in anni che si conoscono Tobio da Kei ha ricevuto solo risate di scherno e battutine acide, quindi alle sue orecchie suona più motivazionale di Dave Ramsey.

“Si, si, corro,” balbetta, corre via dalla stanza e nella sua mente si susseguono, come la pellicola di un film, tutte le occasioni in cui si era permesso di sperare un po', tutti gli sguardi, i sorrisi, lo sfiorarsi di mani durante il pranzo, le battute e le risate che hanno condiviso lui e Shoyo. Tutto assume un altro significato, tutto quello che lui si era sempre imposto come una stupida fantasia diventa invece la stupida realtà. E lui piace a Shoyo, e Tobio ne è pazzo. E lo vuole baciare fino a togliergli il fiato.

Inciampa sull'ultimo gradino e quasi rovina addosso a Osamu Miya, si aggrappa al corrimano per non cadere e lo saluta distrattamente con un cenno del capo. L'altro gemello prova a fermarlo a metà corridoio, ha in mano un bicchiere colmo e sul viso un sorriso civettuolo. Tobio non ha assolutamente intenzione di farsi fermare per spettegolare su qualsiasi cosa sia successa dal momento in cui l'ha stordito di chiacchiere l'ultima volta e quello. Lo supera quindi di volata, sbircia il soggiorno gremito e non riesce a trovare nessuna testa che sia della giusta tonalità di rosso.

Individua però Hitoka. Sgomita tra la folla, ingoia gli insulti e ignora la musica che gli fa fischiare le orecchie. Afferra la spalla della ragazza e la scuote senza grazia, quella barcolla sui tacchi mentre si gira e Tobio si sente in colpa per essere stato sgarbato e cerca di sorreggerla per non farla cadere. Lei però riacquista l'equilibrio prima di cadere come un sacco di patate e lo guarda con gli occhi spalancati, l'eyeliner che le si è un poco sciolto e il mascara colato la fanno sembrare sfatta e il rossore delle guance non riesce a capire se sia opera del blush o dell'alcol. Si chiede se debba portarla via, se abbia bisogno di aiuto, se non sarebbe più giusto riportarla a casa al sicuro. Riconosce poi dietro di lei gli altri suoi amici incontrati sul portico e si tranquillizza un po' e quando Hitoka inizia a parlare si sente ancora più tranquillo, è talmente lucida che il rossore deve essere a causa dell'aver ballato in mezzo alla folla per non si sa quanto tempo.

“Tobio! Chi non muore si rivede!” gli dice, suona sarcastica e Tobio incassa un po' le spalle. Ah, quindi ha già parlato con Shoyo.

“Ho fatto un casino,” ammette, ma prima che possa chiederle dove si trova il suo amico, quella lo guarda dall'alto in basso, annuisce e gli tira un pugno.

Non gli fa male, non gli fa proprio niente. La testa di Tobio scatta di lato più per riflesso che per vero e proprio dolore e quando vede Hitoka aprire e chiudere il pugno con un cipiglio teme che si sia fatta male solo lei.

“Nei film non te lo fanno vedere che ti fai male,” borbotta. Tobio sente di essere finito in un universo parallelo.

“Questo era perché hai fatto piangere Shoyo!” gli dice, sembra intenzionata a colpirlo ancora ma Tobio la precede, indietreggia fino ad essere fuori portata e si deve poi affrettare ad avanzare di nuovo per sorreggerla dalle spalle, quando il colpo a vuoto le fa perdere l'equilibrio.

“Hai finito?” le chiede finalmente, Hitoka lo squadra da capo a piedi, ha un cipiglio un po' selvaggio quando è arrabbiata che somiglia pericolosamente a quello di Shoyo (forse è vero che chi va con lo zoppo impara a zoppicare, in tal caso potrebbe forse dare la colpa della sua drammaticità ad Oikawa, chi gli potrebbe dire che non è vero?).

“Io ho finito? Senti un po', te hai finito di rovinare tutto?” gli urla, un po' perché la musica sembra essersi alzata di volume, un po' perché Tobio cerca di tenersi lontano per evitare un altro colpo imprevedibile.

“Lo so che ho sbagliato tutto, voglio rimediare!” le dice. “Dove è andato?” Suona patetico alle sue stesse orecchie. Hitoka continua a fissarlo, si succhia il labbro inferiore per un paio di secondi per poi fargli un cenno col mento verso la porta d'ingresso.

“Dovrebbe essere fuori. Kageyama, metti a posto questa situazione.” Tobio neanche le risponde, gira su se stesso e si lancia verso la porta con la stessa veemenza che potrebbe avere solo se la stanza stesse prendendo fuoco. Calpesta i piedi di mezza dozzina di persone nel percorso e da una spallata allo stipite della porta. Quando finalmente arriva sul patio, i suoi occhi ci mettono meno di dieci secondi per trovare i capelli rossi di Shoyo – il cappellino che giace abbandonato vicino alla sua coscia. Tobio si affretta verso di lui, un po' timoroso, un po' elettrizzato. Ha il cuore che gli rimbomba in gola e l'adrenalina gli fa sentire la pelle troppo calda. Ha paura di essere sudato, schifoso e appiccicoso, ma ha ancora più paura che tutti gli abbiano mentito e che in realtà a Shoyo lui non interessi. Non sa cosa dire, ma sicuramente sa di voler chiudere quella questione una volta per tutte – possibilmente in un modo decente, che comporti qualche bacio magari, non disdegna.

Shoyo non si gira al rumore dei suoi passi sul legno, perché dovrebbe. C'è un traffico di ospiti che vanno dalla casa al giardino e viceversa, che l'ennesima persona che si avvicina è irrilevante. Tobio sfrutta quindi la sua manciata di secondi in anonimato per osservarlo dalla sua privilegiata posizione eretta. Shoyo invece è seduto sul primo gradino, ha i capelli scompigliati come se ci si fosse passato le dita troppe volte e tra le mani stringe un bicchiere vuoto. Continua a far scorrere la punta dell'indice sul bordo, in un loop infinito che forse lo aiuta a pensare, forse lo distrae soltanto, o forse non se n'è neanche accorto. Muove nervosamente una gamba e il muscolo della coscia guizza sotto ai jeans. Tobio non riesce a vedere la sua espressione, ma può quasi immaginare che non sia felice. Il suo corpo sembra un po' rigido e a Tobio piace che sia in parte facile da leggere, che sia vero. E lui si sente uno stupido, perché se ripensa a tutto il tempo che hanno passato insieme e a tutti i segnali che ha avuto, vorrebbe solo prendersi a pizze.

Si schiarisce la gola e le spalle del fulvo s'irrigidiscono un po'. Tobio scende un paio di gradini e si siede davanti a lui di traverso per poterlo guardare in faccia – sa che se gli si sedesse vicino non farebbe altro che bloccare il passaggio ed essere interrotto solo perché qualcuno deve andare a fumare è l'ultima delle sue volontà in quel preciso istante – è un po' più basso dell'altro, così. Shoyo lo guarda, c'è qualcosa nella piega delle labbra che gli fa venire voglia di baciarlo.

“Hey,” inizia poco intelligentemente Tobio, la lingua improvvisamente troppo pesante.

“Hey,” ripete Shoyo, il bicchiere gli è scivolato dalle dita e si è allungato per riprenderlo.

“Sei venuto a dirmi che ti dispiace? Puoi risparmiarlo. Non so nemmeno di cosa ti dovresti dispiacere.” gli dice. Sembra un po' rassegnato. A Tobio si stringe un po' il petto.

“No,” inizia, si umetta le labbra con la lingua e capisce che non è mai stato bravo a pensare a cosa dire, non è in grado di premeditare e tanto vale buttarsi a capofitto nelle cose come fa sempre – che siano cose giuste o sbagliate (come urlare al tipo che ti piace quello che provi e poi scappare come un codardo) – quindi prende un respiro profondo, raddrizza un po' la schiena e lo guarda dritto negli occhi.

“No, sono venuto a dirti che non mi rimangio quello che ho detto. Che è vero, mi piaci da tantissimo tempo e sono uno scemo, perché sono scappato e mi dispiace solo di questo. Vorrei poter tornare indietro per poter rimanere fermo li, con te tra le mie braccia. E vorrei averti baciato, anche. Perché ho davvero tanta voglia di farlo. E penso che tu sia bellissimo, sempre, e simpatico e buono e vorrei che tutti potessero sapere quanto sei meraviglioso in ogni cosa che fai, quanto cuore dai alle persone. Ma invece sono scappato, perché ho avuto paura. Paura che tu potessi allontanarmi, e ho pensato che sarebbe stato meglio il poco del niente, meglio esserti amico ché sconosciuto. Ma adesso sono qui e l'unica cosa che voglio dirti davvero è che mi piaci.” Tobio si ammutolisce di colpo. Sa di aver incasinato quello che ha detto, di aver mangiato delle lettere nella foga. Ma va bene così. Rimane fermo dove sta, questa volta. Continua a guardare Shoyo negli occhi e quasi si sente il cuore spezzare quando quello scoppia a ridere.

“Non ti ho mai sentito dire così tante cose tutte insieme!” ansima un po', lascia cadere il bicchiere che rotola sotto alla ringhiera e si perde in un cespuglio. Shoyo lo ignora, si sporge un po' dal suo gradino, le ginocchia che gli premono contro il petto mentre si avvicina con il torso verso di lui.

“Sei un cretino, lo sai?” dice, Tobio non sa neanche come rispondere, all'improvviso si sente a corto di aria e di parole, come se per quel giorno avesse finito il suo ammontare di vocaboli disponibili. Non c'è bisogno che dica niente però, perché Shoyo non sembra aver concluso.

“Ma siamo in due. Piaci anche a me e mi dispiace di non averti inseguito per chiarire la situazione. Sono stato qua fuori a piangermi addosso per niente quando potevo venirti a cercare. Potevo dirtelo subito. Ma sopratutto potevo farlo prima, prendere un po' di coraggio e farlo. Forse se stasera non ti fossi fatto avanti te, avremmo continuato a girarci intorno.” suona un po' amaro e Tobio sa bene come ci si sente.

Allunga una mano titubante e la lascia poggiarsi sul ginocchio di Shoyo. Quello non lo scaccia, lo guarda ancora negli occhi e Tobio deve deglutire due volte prima di riuscire a mettere in ordine i pensieri.

“Oddio, siamo due deficienti!” dice alla fine. Che non è forse una delle sue uscite più brillanti e forse non è neanche qualcosa che è giusto dire in quel momento, ma lui riesce solo a pensare al fatto che, se fosse stato un po' più sveglio e un po' meno codardo, tutto si sarebbe potuto sistemare prima.

Shoyo ride, raggiunge la sua mano e gliela stringe. Si sposta un po' verso il centro della scalinata e Tobio in automatico scala il gradino fino ad essergli affianco. Adesso si che stanno bloccando la strada, ma non gliene potrebbe importare di meno.

“Quindi,” inizia Shoyo, gli scivola un po' più vicino quando qualcuno scende verso il giardino e Tobio sente il suo corpo appiccicato dalla spalla alla coscia. Le mani sono ancora unite sulla coscia del rosso. “Quel bacio che mi dicevi prima, posso averlo o?” domanda. Tobio, che non è stato capace di distogliere lo sguardo dalla sua faccia neanche per dieci secondi, vede come il ponte del naso inizi a chiazzarglisi di rosso a quelle parole. Un moto di tenerezza gli sboccia nel petto e sente il rossore espandersi sulle proprie orecchie in perfetta proporzione alla voglia di baciarlo che gli stringe lo stomaco.

“Certo, si, subito!” quasi urla e vorrebbe lanciarsi dalle scale. Shoyo ride, si libera la mano e la porta dietro al collo di Tobio. Basta poco perché finalmente le loro labbra si tocchino.

Tobio non si è mai sentito meglio in vita sua.

   
 
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