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Autore: Longriffiths    11/05/2020    7 recensioni
Neanche la vicinanza dell'unico pezzo di Paradiso che ancora aveva il piacere di assaporare, in un certo, particolare e strano senso, gli dava il piacere della pace. Non completamente almeno, perché la sua vicinanza era comunque ancora lontana dal tasso che necessitava lui, per sentirsi bene. Davvero bene.
Perché Aziraphale, per quanto tentasse ora come allora di alleviare le sue pene, non riusciva a comprenderlo come entrambi avrebbero voluto che fosse, ma un angelo che non è caduto, non può, per quanto il suo potere e le buone intenzioni fossero grandi, comprendere il male di un demone.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
So di non essere affatto in linea con il periodo ma mi è venuta e dovevo riportarla xD
Chiedo scusa ai veterani, per l'introspezione dei personaggi, sono freschissima qui e devo ancora prendere confidenza con questi due, siate clementi xD
Un bacio e vi lascio con la prima di numerose FF su questo fandom, sperando, di diventare sempre più sciolta.
A presto!

Grazie mille alla mia meravigliosa Paige95 per questo splendido aesthetic
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{Capitale Giudaica, Gerusalemme} 7 - 4 a.C - Betlemme.
 
-'Giuseppe.. è pieno di soldati qui..'-
-'Bisogna avere fiducia in Nostro Signore, Maria. Lo spirito Santo ci protegge, nostro figlio starà benissimo. Abbi fiducia in Dio Onnipotente, e nei suoi messaggeri divini. Abbi fiducia in Aziraphale, come ne abbiamo avuta in Gabriele.'-
-'Che cosa ti ha detto esattamente costui?'-
-'Di scappare in Egitto, oggi stesso, e non tornare fino a che Re Erode non perisca.'-
-'Ma dobbiamo passare per la porta principale, è sorvegliata da decine di guardie.'-
-'Nascondi il bambino. Andrà tutto bene, te lo assicuro.'-
In una borsa in cuoio, tra i tanti altri sacchi colmi di vesti e cibo che l'asino aveva allacciato alla groppa, la giovane Maria ripose un bambino dormiente avvolto in fasce bianche, avendo cura di non stringere troppo la chiusura. Lasciare la propria casa senza sapere quando avrebbero potuto rivederla era una sensazione orribile, ma mai quanto l'essere provati dal riporre piena fiducia e allinearsi a cuor leggero alla folla che tentava di lasciare la città, e il preoccuparsi di vedere il proprio figlio, reciso in gola da un pugnale. 
L'amore e la devozione verso il Dio al quale si era impegnata di incarnare il frutto, era un assioma potente, ma ella non aveva mai conosciuto amore più grande di quello che aveva provato, quando aveva stretto tra le braccia Gesù. 
Persino per lei, con schiere di angeli ai suoi lati, era impossibile non sentire la preoccupazione stringerle le viscere. Tra le strade del paesino, uomini a cavallo irrompevano nelle case, radevano al suolo qualsiasi cosa pur di trovare rampolli maschi dai due anni in giù, e malgrado il tasso di mortalità infantile dell'epoca, e la popolazione ridotta, al massimo il numero di vittime sarebbe stato una ventina. Ma era ugualmente uno spettacolo orribile. 
Donne e uomini accasciati su corpicini ancora caldi, bagnati nel liquido vermiglio dei loro stessi cuori fermi. 
Urla, pianti, disperazione, crudeltà.
Agli occhi gialli e brillanti quanto il sole di un demone, tutto ciò sarebbe dovuto risultare appagante, soddisfacente, divertente.
Crowley non riusciva a reperire i sentimenti cruenti che rendevano il tutto, ai suoi singolari occhi, un martirio impossibile da sopportare.
Un miracolo adottato dallo schiocco delle sue dita dalle lunghe unghie nere, e i destrieri dei soldati inciampavano accidentalmente con le loro stesse zampe, su pietre o oggetti rotti, schiacciando a morte i cavalieri, scaraventandoli per sempre via dal luogo in cui atrocità e ripugnanza stavano controllando gli animi.
Lasciando che, nella caduta, si infilzassero con le loro stesse lance. 
 
Passeggiava a piedi nudi tra la sabbia bollente e il sangue sparso in terra a fare da tappeto al suo infelice cammino, a qualche metro di distanza da due novelli sposi in povertà. Stavano per essere autorizzati a lasciare Betlemme, solo dopo un'accurata perquisizione, che avrebbe inevitabilmente rivelato il bambino.
Lo sguardo e i tratti della mimica facciale erano duri e riluttanti alla veduta di quello spettacolo. I boccoli rossi gli solleticavano il collo, al passaggio della fuga di uomini e donne con in braccio i loro figli, o da soli, semplicemente spaventati. Dalla tunica nera che portava avvolta intorno al corpo, estrasse un sacco colmo di monete d'oro che pochi giorni addietro aveva indotto un uomo a rubare per lui, con pena la morte per inciso, e lo sventolò quasi sotto il naso di un mendicante rannicchiato e tremante dietro un'anfora in terracotta. Si mise in pari per guardarlo in faccia, dietro le lenti scure, allentando i lacci del contenitore di quel piccolo bottino e rivelando i dischi luccicanti ai raggi del sole.
-'Tu adessso andrai da quell'uomo laggiù, e scambierai quest'oro con uno dei suoi sacchi di provvissste. Al tuo ritorno, a operazione compiuta, avrai il doppio. Scappa con la somma e morrai. Tirati indietro, e morrai.'- 
Qualche minuto più tardi, appollaiato come un'aquila nera sul tetto di un'abitazione, Crowley osservava più calmo e rilassato Giuseppe, Maria, e il loro asino nascondiglio del figlio di Dio lasciare la contea alla svelta, dopo che Giuseppe poté tentare una guardia con la piccola fortuna che qualcuno da lassù gli aveva donato, a lasciarli passare senza controllare la merce. Il mendicante aveva spirato pochi attimi dopo, assalito da orde di soldati a cavallo impegnati in un inseguimento.
Il panico all'interno delle mura della città, non era cessato. Il suo umore, era ancora pessimo. 
In cuor suo, nel corpo che abitava, e nell'anima, in ogni piuma nera delle sue ali dannate, sentiva di avere un dovere verso quel neonato. 
Un neonato al quale non aveva nessun diritto e motivo di voler bene.
Un neonato che non avrebbe mai conosciuto da vicino, come aveva fatto col Padre Suo, tradendolo infine.
Un neonato che non aveva avuto il piacere di festeggiare alla nascita. 
Nel nome di quel neonato, i suoi pari demoni sarebbero stati scacciati e vinti liberando molti uomini dalla loro prigionia spirituale, cosa che avrebbe dovuto impedire con ogni arma a sua disposizione, ma era forte il rimorso verso quel tradimento che mai gli sarebbe stato perdonato, e che ogni giorno e ogni notte lo tormentava affligendo ogni singolo centimetro di pelle, ustionandolo fuori e dentro come le fiamme dell'inferno non avevano mai fatto. Una celestiale melodia che accompagnava molte delle sue giornate più spesso di quanto era loro dovuto, da quattromila anni a quella parte, andò a solleticare il canale uditivo del rosso ridestandolo dai suoi pensieri. 
La famiglia in fuga era ormai una macchia nel deserto.
 
 
-'Che cosa ci fai tu qui?'- 
L'anima pia incarnata in un corpo mortale tenne le iridi color del ciano sulla figura del suo eterno nemico, osservandolo con curiosità e stupore. La mancata risposta, ed il quieto modo in cui Crowley spostava lo sguardo all'orizzonte senza degnarlo di nota alcuna, e senza battere ciglio, gli fece contrarre il viso in una smorfia spazientita, come era solito fare quando il suo collega lo ignorava categoricamente o lo canzonava in qualsiasi modo, e gli angoli delle labbra si incurvarono all'ingiù, prima di tornare serio e pacato.
-'Ho avvertito i Magi di non tornare qui. Adorare il Cristo sarebbe stata l'ultima cosa che Erode avesse in mente.'-
-'Beh, saggia mossa angelo, senza dubbio, ma non hai tenuto conto che si sarebbe incazzato così tanto. Sta facendo strage di innocenti.'-
-'E tu di povere persone delegate al loro lavoro da un uomo che uccide chiunque più volte di quante respira. E' tutto scritto, Crowley. Non puoi interferire con il grande piano.'-
-'Stanno uccidendo dei bambini! Nessuno di questi è il Cristo Redentore.'-
-'La cosa mi angustia parecchio, come mi ha angustiato il diluvio Universale, la schiavitù Ebraica, ma non posso permettermi di giudicare, e tanto meno tu.'- 
-'Non sto giudicando, sto assicurando le anime di assassini avari di denaro e potere al mio padrone un po' prima del tempo. E' il mio lavoro. Fermami se puoi, falli smettere.'-
I riccioli biondi incorniciavano l'immagine edenica di Aziraphale, contorta in un'espressione di oltraggio e scetticismo allo stesso momento. Arricciò il naso in quella adorabile maniera che settava le labbra di Crowley in un ghigno compiaciuto, borbottando qualcosa che la controparte non arrivò a comprendere, prima di andarsene conscio di dover vegliare costantemente sulla sacra famiglia. 
 
 
                                                    ***********
 
 
Un anno prima dell'Apocalisse. 
{25 Dicembre, Soho - Inghilterra; 22.00} 
 
 
Il silenzio dell'appartamento allertava ogni suo tratto sensoriale. Aveva fatto in modo, miracolando l'appartamento dal mobilio moderno nel quale aveva preso residenza da parecchi anni, che nessuna voce, musica, e luce esterna potesse ripercuotersi sul suo stato psicofisico. 
Scelse infatti quella notte, di non ignorare come era puntualmente solito fare ogni qualvolta il globo girasse sino a raggiungere quella data, le forti risate allegre e divertite delle genti, e far finta di non vedere la ridicola scena parata dinanzi i suoi occhi dalle grandi vetrate delle finestre, di persone che passeggiavano travestite da giullari elfici, pieni di campanellini e fronzoli, e pacchi regalo, intonando canzoni sulla carità, la gioia, la liberazione dell'anima, e tutto ciò che faceva in parte venire voglia a Crowley di afferrare una lama da barba e tagliarsi di lungo le vene. Non poteva negare, di provare una certa ostilità verso quel periodo, e scuotere il capo nel vedere individui abbracciarsi e consumare cibo insieme ostentando l'amore che li accomunava, quando generalmente questi non facevano che screditarsi e pugnalarsi alle spalle. 
E anche senza l'aiuto della sua influenza. 
Gli auguri di ogni bene però ve ne erano a fiotti più dei fiocchi di neve, che calavano sulle teste dei suddetti direttamente dal cielo, come una implicita benedizione e incoraggiamento al perdono. 
Per Crowley, quella non era altro che ipocrisia.
L'ipocrisia era forse l'atteggiamento umano che più lo infastidiva al mondo, e a Natale, di ipocrisia vi era piena ogni casa, ogni cuore al di fuori di animi puri e innocenti ancora privi di peccato, ogni decorazione.
E in più, odiava quella dannata festività. 
Immagini celestiali ovunque si girasse, documentari televisivi, prediche religiose, e la percussione amplificata di un pendolo che batteva sulla campana di ogni chiesa, più volte al giorno. 
'Ogni volta che suonano le campane, un angelo mette le ali'. Aveva udito al St. James's Park una domenica una madre riportare ad un figlio questa tenera frottola al boato del suono in questione, e il motivo per cui ad ogni rintocco bisognava farsi il segno della trinità celeste. 
Quando la speranza parve accendere un barlume nel cuore del bambino, Crowley aveva fatto planare un piccione al suolo, schiantandolo senza più vita. Un segno divino abbastanza evidente, se andava colto nel gisuto verso. 
Sentiva di non poter tollerare per un attimo soltanto, ancora una volta, una sola di queste cose in quella data. 
Le cose gli piacevano ancor di meno, se era impossibilitato a prenderne parte come in quella circostanza. Non aveva mai in due millenni festeggiato il Natale. E pur non avendo mai dovuto farlo nell'eternità a venire, con l'imminente cessazione del mondo, non avrebbe più avuto modo neanche di fantasticare sulla possibilità remota e lontana anni luce dalla sua realtà corrente, di farlo. 
Sollevando le membra stanche dalla sedia in noce scuro, quasi strisciò al mobile bar versandosi un generoso calice di vino rosso, e schioccando le dita in modo da accompagnare la sua discesa nel baratro della perdita dei sensi e della percezione visiva, con la voce del suo artista preferito in assoluto.
Un brano dei Queen faceva da sottofondo alla sua incessante bevuta. Doveva resistere solo per altri due bicchieri, prima che il filo dei suoi pensieri si interrompesse annodandosi in un groviglio di insensati e poco importanti ragionamenti.
I pensieri che come ogni anno in quel giorno, lo invogliavano ad addormentarsi e autocostringersi a una sorta di ibernamento soprannaturale.
 
Si era pentito, già dal primo momento che aveva osservato la sua immagine riflessa, dopo la caduta, nell'acqua di un lago. Dal primo momento che era sceso nella dimora dell'angelo che aveva scelto di seguire, perché la brama di potere era stata più forte della sua devozione. Era stato tentato. Non aveva opposto resistenza alla sua condanna pur non sentendosi tanto meritevole di aver voluto conoscere risposte ai suoi perché in un piano di pensiero differente da quel che viveva con i suoi pari, ma conscio di tutte le sue colpe in merito. 
Neanche la vicinanza dell'unico pezzo di Paradiso che ancora aveva il piacere di assaporare, in un certo, particolare e strano senso, gli dava il piacere della pace. Non completamente almeno, perché la sua vicinanza era comunque ancora lontana dal tasso che necessitava lui, per sentirsi bene. Davvero bene.
Perché Aziraphale, per quanto tentasse ora come allora di alleviare le sue pene, non riusciva a comprenderlo come entrambi avrebbero voluto che fosse, ma un angelo che non è caduto, non può, per quanto il suo potere e le buone intenzioni fossero grandi, comprendere il male di un demone. Uno di quelli che in silenzio, quand'era sicuro che nessuno fosse in ascolto, lontano dai suoi capi e dalla sua gente, non tratteneva dopo interminabili momenti, che fossero giorni, mesi o anni di accumulo interiore, la voglia irrefrenabile di grondare dagli occhi lacrime non saline, ma amare di rammarico, pregne della vergogna, dell'odio che covava verso se stesso. 
Molto spesso Crowley fingeva di non ricordare la sua esistenza passata, i suoi servigi bianchi, o si sforzava per arrivare a non farlo. Era solo un demone subdolo, trasformista, raggiratore, ingannevole, spregiudicato agli occhi dei reietti sfregiati da pustole e visibile carne in putrefazione ch'erano i mangiatori d'anime infernali. Un soggetto di cui non fidarsi a priori, perché della loro natura. Un demone pronto a scatenare l'ira del demonio in persona, a raccattare anime, tentare l'umanità, spargere una nube nera d'angoscia e malvagità. 
Ma non lo era abbastanza nel profondo, da accomodare la fine del mondo. Non abbastanza da a(mare)dorare il figlio del Suo Signore, al pari di quanto aveva a(mato)dorato in segreto il figlio dell'entità a cui aveva voltato le spalle, sordo ora e da un po' ai suoi lamenti ciechi, espliciti e non. 
Per questi ultimi, accorreva sempre e da sempre come di rimando, un apposito inviato peculiare.
 
Non si aspettava di sentire il suono del campanello.
Non se lo aspettava mai, ma in quel frangente era ancor più improbabile, tanto che si costrinse ad accigliarsi. 
Indossò velocemente i suoi singolari occhiali scuri, e raggiunse la porta d'entrata, spalancandola senza chiedere chi fosse, né premurarsi di indossare una maglietta o una giacca.
Un uomo panciuto e biondo in completo beige e con un papillon dalla fantasia in tartan in tinta con il resto del vestiario, era in piedi dinanzi a lui, e reggeva con entrambe le mani un cesto in vimini di quello da scampagnate nel bosco.
-'Che cosa ci fai tu qui?'-
-'Buonasera Crowley! Sono passato a salutare.'-
-'Te l'ho detto mille volte, quando hai intenzione di parlare con me, alza il telefono. Aspetta, tu..'- Pronunciò quella frase marcando esageratamente il labiale, in finto tono sprezzante. Si tolse poi gli occhiali in un fluido movimento scoprendo le iridi serpentesche, che zittirono per qualche attimo il suo interlocutore, che mascherò il rossore evidente sulle gote posate sulla sua accattivante figura come ritegno, alla frase che venne.
-'Hai di nuovo eliminato il mio numero dalla rubrica?'-
-'Te lo ripeto, quello è stato un incidente! Caro, non ci saremmo visti fino a Gennaio inoltrato, volevo solo salutarti di persona.'-
-'Il venticinque di dicembre?'- 
Non si erano mai incrociati in quella data.
Quello poi, era il primo anno che i coniugi Dowling portavano per quella festività il giovane Warlock in vacanza fuori paese. Gli incarichi presi ormai da dieci anni come tata e giardiniere, erano stati sollevati anche per Aziraphale, che non mancava mai di trascorrere almeno parte di quel giorno con la famiglia a differenza del demone. Al contrario suo faceva molte cose, tipo continuare ad aprire la libreria solo nel weekend, e donare il suo stipendio da entrambe le parti in varie cause di beneficenza, o in carità nelle chiese o ai mendicanti. Teneva solo il minimo indispensabile per sé, per gli abiti e il cibo. 
L'angelo interrogato sorrise dolcemente, annuendo come se non avesse colto la frecciatina all'interno della domanda. Crowley sbuffò volgendo il capo in terra, e schioccando più volte le labbra tra loro in piccole pernacchie prima di rivolgersi a lui.
-'Aziraphale, perché non sei a ubriacarti di acqua Santa tra le nuvole con i tuoi pari?'-
-'Sono appena tornato in verità. E noi non ci ubriachiamo lì.'-
-'Solo voi riuscite a rendere i compleanni noiosi.'-
-'Tecnicamente tu lo sai bene che il calendario al quale si affidano gli umani è errato, la nascita di Nostro Signore incarnato in questo mondo non è oggi, l'abbiamo adottata per adattarci alle abitudini. Viviamo tra loro, comunichiamo con loro, gli umani, le tradizioni vanno rispettate.'-
-'Considerando le abitudini degli umani, è meglio che non inizino a prendere sul serio un'altra data al pari del Natale, è ringrazia il piano ineffabile che questo non comprendesse anche il matrimonio di Cristo, visto già il modo in cui hanno preso la nascita e la resurrezione. E comunque, queste cerimonie si passano in famiglia. Da quel che ho appreso.'- Sottolineò con il timbro vocale quel temine, che avrebbe reso miliardario l'angelo se gli avessero dato una moneta per ogni volta che lo pronunciava da quando si erano conosciuti.
-'Con gli affetti Crowley, con le persone care.'-
-'Allora ritornatene ai piani alti. Sparisci, è tardi devo dormire.'- Il demone tentò di chiudere la porta, ma la mano dell'angelo fu più veloce nel bloccarla. 
-'Noi non abbiamo bisogno di dormire.'-
-'Nemmeno di mangiare, ma tu non ti privi certo del cibo.'- Malgrado il tono sprezzante, l'angelo non si scompose di una virgola. 
Un po' come quando non tentava di ripararsi, di divincolarsi o di combatterlo quando il demone lo costringeva con la schiena al muro per niente intimorito e lontano dall'idea che potesse o volesse fargli del male, un po' come quando non ci restava male quando a modo suo lo prendeva in giro anche sul serio, un po' come quando ad ogni scatto d'ira e ribellione, rispondeva con un altro poco di amore che potesse ristabilire un contatto. 
-'Nessuno dovrebbe privarsi del cibo oggi, o trascorrere la sera di Natale.. da solo, a dormire.'-
-'Ti viene in mente adesssso, dopo duemila anni?'-
-'Io e te abbiamo trascorso tanti momenti, il prossimo anno potremmo non avere un Natale da celebrare, e questa è l'occasione giusta per aggiungere una nuova tacca alla lista delle cose fatte insieme. Adesso mi lasci entrare?'- In un'altra vita forse, gli avrebbe chiesto anche di smettere di sibilare, se non gli piacesse così tanto malgrado sapeva che quello era un segno di collera. 
-'Ti avviso, qui ci si ubriaca.'-
-'Tanto non devo aprire la libreria domani. Oh, e ti ho portato un esperimento culinario! Ti piacerà, conto, anzi scommetto di riuscire a farti mangiare tutto questa volta..'- Tenere il  broncio ad Aziraphale era un'impresa titanica, specie quando il fiume di parole che attaccava accostato a quel frollo sorriso capace di sciogliere la porta ghiacciata dell'inferno, iniziava la sua corsa verso di lui, annegandolo di chiacchiere che non si stancava mai di ascoltare. Gli piacevano di più delle canzoni che sceglieva per il suo cammino in auto. 
Il biondo schioccò per prima cosa le dita accendendo il camino dell'appartamento, e immediatamente un fascio di luce e calore inondò la stanza, spingendo anche le piante del demone ad accostarsi con i lunghi steli a quella calda fonte, che attirarono l'attenzione dell'ospite. Alla visione di come l'angelo aveva ridotto in poco meno di due minuti i suoi esemplari, che ondeggiavano le foglie in totale estasi ed entusiasmo, quasi si sentì mancare. Cosparsi, come un intero giardino di Natale, di stelle colorate e neve finta fatta per miracolo apparire reputando l'appartamento ancora troppo spoglio. Solo per quella volta scelse di lasciarlo fare, non dimenticandosi di imprecare a dovere sotto l'atteggiamento strafottente in merito di Aziraphale, pignolo e eccitato come un bambino all'idea di decorare la casa. 
Proibì categoricamente al padrone di casa di miracolare la tavola affinché si apparecchiasse, ostentando la volontà di un autentico spirito Natalizio, che avrebbe comportato la bellezza e la genuinità dei gesti manuali, quelle canzoncine orribili che non erano tanto male quand'era lui a intonarle, calze al camino con i loro nomi e dolciumi vari di pan di zenzero al suo interno che avrebbero consumato per dessert, candele rosse e dorate come i loro crini al centro della tavola. 
Se solo Hastur o Ligur fossero apparsi nella sua televisione, sarebbe stato condannato all'istante, ma neanche quella consapevolezza avrebbe abbassato la sua voglia di trascorrere in quel modo quella notte.
Prima che potessero iniziare a mangiare, Aziraphale assunse una posa di preghiera, lasciando Crowley in disparte dal suo contatto con Dio, in cui stava pregando principalmente per la sua anima, anche se questo non poteva saperlo.
-'Angelo, che cosa fai?'-
-'Oh io sto chiedendo la benedizione del cibo, ringraziando l'Onnipotente per avercelo concesso, e che ce ne sia in abbondanza per tutto il mondo.'-
-'Molto nobile, ma non dirle che sei con me, o potrebbe prendere sul serio la benedizione e io mi scioglierei appena ficco qualsiasi cosa in bocca.'-
-'Non dire idiozie! Anzi, caro, perché non preghi con me?'-
-'Sì, giusto.'- Crowley posò un gomito sul tavolo, poggiando il mento su un pugno chiuso. Tossì in maniera teatrale prima di urlare al soffitto.
-'Heilà Dio, sono il bastardo che hai schiantato a testa in giù nella terra qualche millennio fa, ricordi? Ti volevo ringraziare per il cibo, per non avermi ancora mandato a uccidere, e fare tanti auguri, e i miei complimenti per il fiato nello spegnere duemila candeline tutte insieme.'- Aziraphale portò le mani alla bocca sgranando gli occhi e riprendendolo animatamente scioccato, sotto le risate del suo demone.
Consumarono un insieme di pietanze perlopiù dolci, come prediligeva il suo angelo, e si chiese notando l'antipasto, in quale più piccola parte del mondo al posto delle tartine di salmone di consumasse del sushi. 
 Se lo figurò per un attimo, il suo angelo, a preparare a mani nude quei viveri, evidentemente non comperati, dato l'aspetto che avevano. Ma erano buoni, ed anche se avrebbe volentieri consumato tutto, si curò di lasciare mezza porzione di ogni cosa nel piatto. 
-'Devi proprio far finta che non ti piaccia solo perché ho detto che avrei scommesso che avresti mangiato tutto? Quanto sei fiscale!'-
-'Tu angelo, dai del fiscale a me?!'- Indispettito, Aziraphale cercò di mantenere un'espressione seria senza cadere nella tentazione di accettare tutti i cibi che Crowley gli porgeva, sorridendo un attimo dopo aver ceduto. Era quello, il motivo per il quale non mangiava. Anche il modo in cui la divinità teneva la forchetta, o puliva la bocca, o rideva, lo saziavano più di ogni altra cosa. Avrebbe osato dire che amava vederlo mangiare.
Ma non osavava neanche a se stesso.
 
 
Anche la più malvagia delle creature, è capace di amare. La differenza, sta nello scegliere di farlo.
E lui, in una forma tangibile che ancora era difficile da codificare persino per le sue possibilità, era innamorato. Di molte cose. 
Dei suoi capelli, della sua Bentley, del succo d'uva scura fermentato, della voce di Freddie. 
Amava ognuna di queste cose in modi differenti, con diversa intensità, per ragioni che trovava superfluo argomentare. Ma il modo in cui sentiva tutta la sua essenza scombussolarsi come se fosse costituito da milioni di pezzi di un puzzle montati al rovescio, senza senso né collocazione effettiva in presenza del suo pezzo di Paradiso personale, era qualcosa che evitava affrontare perché un demone, può anche provare paura.
Un demone che ha paura di un angelo, o che è terrorizzato da quello che un angelo può fargli era praticamente la storia che il libro di ogni chiesa narrava ai fedeli, troppo scontato nel suo caso, troppo distante dal reale senso della faccenda.
Non aveva paura di Aziraphale. Non era convinto che al momento dello scontro finale, lo avrebbe annientato. Non provava angoscia nel paragonare i loro poteri e inerenti nature, del bene che vince sul male.
Aveva paura dello stato in cui lui lo metteva, solo perché inconsciamente o meno, glielo permetteva. 
Neanche una volta in seimila anni avevano oltrepassato una linea fisica o emotiva, che entrambi possedevano nei confronti dell'altro essendo convinti di essere gli unici, di essere pazzi. Ma entrambi avvertivano, senza rendersi conto d'essere non davanti a un muro ma ad uno specchio, emozioni distinte in modo chiaro e riconoscibile pur non avendolo mai sperimentato in e con nessun altro. 
Professavano la loro professionalità e amicizia come un qualcosa di dovuto e costruito senza volontà, che era andato troppo avanti nel tempo sfuggendo al loro controllo per poter essere fermato, ma Crowley non sorrideva mai se non in sua presenza, e Aziraphale non prendeva in considerazione l'idea di allontanarsi dalla sua quotidianità e a ciò che riteneva consono o normale con nessuno a parte lui. Girava intorno a quel concetto per evitare di dire che si lasciava volentieri tentare, e lo poneva alla sua coscienza come un atto di protezione e affiancamento a qualcosa che aveva il dovere di tenere sott'occhio, rassegnandosi all'ombra di quello che era realmente, l'impossibilità che potessero varcare un confine pericoloso e letale, proibito, e fuori da ogni schema. Un demone non poteva amarlo come lui non avrebbe dovuto fare di rimando. 
Il legame però che li teneva in riferimento, andava oltre anche l'amore che ancora non avevano scoperto di covare, e di essere ricambiati. 
Per insultarsi in quel loro speciale e strambo modo erano sempre sul fronte di guerra, per scoprire le loro carte, forse, si sarebbero prima dovuti perdere. Ma questa non era un'opzione che volevano dover tenere in conto, neanche in quel momento che bevevano, parlavano, e sorridevano senza curarsi di finire nei guai. 
 
Alle due del mattino, quando Aziraphale probabilmente non distingueva più le caselle e i numeri della tombola poiché non ne azzeccava uno, e stonava le note di una canzone dei Queen che mai avrebbe cantato da sobrio dando gli auguri a Santo Stefano, scattò in Crowley l'idea che forse era ora di riaccompagnarlo a casa.  
Raccolse prima di tutto una piccola scatola dalla scrivania della sua camera da letto, che stava conservando per una occasione diversa in cui regalarla al biondo, e lo invitò poi a seguirlo nella propria auto.
Il tragitto fu breve, tranquillo, e dovette parcheggiare per accompagnare Aziraphale alla porta della libreria, che voleva per forza da abitudinario aprire con le chiavi. 
Si diedero la buonanotte solo quando Crowley fu sicuro di aver lasciato l'angelo su una superficie che gli assicurasse un sonno tranquillo, per poi posare sulla scrivania dello studio della libreria nascosto alla clientela, una scatola con all'interno una tazza immacolata con il manico a forma di due bellissime ali bianche. 
'Buon Natale Aziraphale.' Recitava un bigliettino scritto al momento, che lui avrebbe letto solo l'indomani mattina.
 
 
Nel letto del suo appartamento al buio più totale, il rosso cadde in un profondo sonno che neanche la vibrazione del suo cellulare dimenticato accanto al cuscino riuscì a interrompere, la mattina dopo intorno alle dieci. 
 
'Buon Natale anche a te Crowley.' 
Recitava il messaggio, ma lui lo avrebbe letto solo quel pomeriggio all'una.
   
 
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