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Autore: crazyfred    13/05/2020    6 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 - Natale in casa Nappi









Il grande albero era stato addobbato. Luci, palline, biscottini di pan di zenzero, tutto contribuiva a diffondere nel grande salone della foresteria i profumi e le luci delle feste.
Vincenzo aveva faticato ad abituarsi al Natale a San Candido. Il freddo, la neve che arriva fino alle ginocchia, le tradizioni diverse. Gli mancavano il capitone della vigilia e la tombola "scostumata" che non finiva mai, gli struffoli di mammà e il chiasso della gente a passeggio lungo la via dei Presepi; in Alto Adige c'erano i Mercatini di Natale, ma non erano proprio la stessa cosa.
Le casette di legno in centro e le corone dell’Avvento accese in ogni casa non potevano rimpiazzare il presepe di sughero, con i pastori che coprono ogni centimetro. Gli strauben e gli zelten per quanto buoni, non avrebbero mai sostituito i dolci fatti in casa dalle signore del quartiere.
Eppure quell’anno Vincenzo, per la prima volta, non aveva nessuna malinconia al pensiero dell’ennesimo Natale lontano da Napoli. Tutto quello che poteva desiderare, in fondo, lo aveva con sé. Mela – nemmeno lui la chiamava più con il suo nome di battesimo, ormai – era con lui, e si apprestavano a festeggiare il suo primo Natale. Insieme.
E con loro, quella banda di matti che si era scelto come amici. Anzi, come famiglia. Una grande famiglia allargata. Huber e la sua strampalata tribù. Valeria, che per Mela – così come per Vincenzo, era qualcosa di più che una semplice amica. Emma e Francesco, per i quali tutta la caserma e il commissariato avevano penato e tifato, nei lunghi mesi di tira e molla. Loro ce l’avevano fatta, al contrario di lui ed Eva. Ma Emma e Francesco avevano qualcosa che lui ed Eva non avrebbero avuto mai. Erano anime gemelle. Vincenzo avrebbe voluto dirglielo a quei due testoni, quando si erano messi in testa che - testuali parole - "si facevano soltanto del male". Ma almeno alla fine avevano capito: quel male va preso quanto il bene e affrontato a viso aperto.
Con Eva invece le cose erano ben diverse. Si erano voluti bene, ci avevano provato, ma un giorno Vincenzo aveva dovuto arrendersi e aprire gli occhi di fronte alla realtà: erano troppi diversi e le loro esigenze inconciliabili. Non si trattava semplicemente di decidere se abitare in paese o in una casetta lontana dal centro oppure se scegliere, per la bambina, un nome tradizionale italiano oppure uno spagnolo. Per Eva, pensare ad una vita insieme, non era fattibile. Le famiglie abitano sotto lo stesso tetto, condividono le gioie, i dolori, i progetti e le speranze. Come poteva un commissario di provincia, quasi di frontiera, conciliare la sua vita relativamente tranquilla ed abitudinaria con le aspirazioni di fama e notorietà di una donna che aveva dedicato tutta la sua vita ai flash delle telecamere e al glamour dei red carpet? Entrambi, infatti, si erano resi conto che aprire il B&B non era davvero il sogno della ragazza, ma la proiezione di ciò che Eva voleva dimostrare a Vincenzo: essere qualcosa di più di un bel corpo stampato sulla copertina di qualche rivista. Vincenzo non aveva mai messo in dubbio la sua intelligenza, ma su Eva aveva riversato tutto quello che cercava in una donna e aveva provato a modellarla, inconsciamente. Loro sì, che si erano fatti del male. Ma no, Vincenzo non avrebbe mai rinnegato il suo passato e le sue scelte. Come poteva? A Mela non avrebbe mai rinunciato. Semplicemente, aveva compreso che era ora di andare avanti.
Con Eva lontana, bloccata per lavoro a Madrid, Vincenzo ci provava davvero a fare in modo che la piccola mantenesse un contatto con la madre, attraverso piccoli video, foto e videochiamate. Ma come la mantieni una bimba di 10 mesi ferma davanti ad un cellulare per più di 10 secondi? La piccola aveva da poco iniziato a muovere i suoi primi passi e Vincenzo si sentiva, da buon papà del Sud, come se avesse dovuto accompagnarla all'altare di lì a poco e avesse dovuto separarsi da lei per sempre. Ogni volta che provava ad allungare la distanza delle sue esplorazioni, incoraggiata da Isabella e Valeria, Vincenzo correva a prenderla in braccio. Alle proteste di Vincenzo, che riteneva troppo presto per la bambina camminare così tanto da sola, Valeria rimbrottava, perplessa : "Vincenzo, ti rendi conto che Mela stava solo tentando di arrivare da questo divano a quello di fianco?!" Ma Vincenzo faceva spallucce e continuava imperterrito nella sua missione di tenere Mela con sé - e con sé intendeva in braccio, naturalmente - fino ai trent'anni. E anche allora, se ne sarebbe dovuto discutere con molta calma.
 
 
Se c'era una cosa che Francesco detestava dell'inverno a San Candido era dover rinunciare ad andare a cavallo. Il freddo e la neve copiosa limitavano le sue corse con Oliver in giro per i boschi. Però, si convinse, prima o poi avrebbe comunque dovuto arrendersi all'idea di usare il suo amico a quattro zampe solo per il lavoro: con Emma erano ben determinati, appena i medici avessero dato il loro assenso, a far crescere la loro famiglia. La stessa palafitta, sperava, ben presto sarebbe stata stretta e poco pratica per loro.
Entrando in casa, trovò Emma in bagno ad asciugarsi i capelli di fronte allo specchio. Mentre spazzolava i lunghi capelli, poco sopra la nuca si intravedeva ancora quella piccola porzione di capelli che aveva dovuto radere qualche mese prima, per l'intervento. Francesco le si avvicinò e abbracciandola alle spalle, poggiò un lieve bacio proprio lì, sulla cicatrice. Erano stati giorni lunghi e difficili, ma era tutto passato. Ancora poche settimane di attesa prima dell'ultimo controllo che, speravano, avrebbe fugato ogni dubbio: entrambi erano nervosi al pensiero, ma cercavano di non darlo a vedere. Era Natale e volevano godersi le loro prime feste insieme.
"Buonasera, signora Neri!"
Emma si lasciò andare ad un sorriso. Non sapeva nascondere il suo orgoglio ogni volta che lui la chiamava così. Aveva voluto sposarla in fretta - non sarebbe stato Francesco, l'uomo degli estremi, se non l'avesse fatto - appena tornata a casa, prima che iniziasse il freddo, ma non c'era nulla che avrebbe cambiato delle loro nozze: la piccola chiesetta, i loro amici lì con loro e una cena sulla terrazza per i pochi intimi che li avevano sempre sostenuti. Poi, quando tutti se n'erano andati, Emma aveva fatto partire una canzone da una playlist sul cellulare e aveva preteso un lento da Francesco. Solo loro, alla luce della luna e della lampada fioca che illumina il terrazzo della palafitta. Non si poteva veramente dire che avevano ballato, certo, non nel vero senso della parola. Abbracciati, talmente stretti che nel silenzio della sera potevano sentire l'un l'altro i battiti dei loro cuori, avevano finito per ciondolare sul posto, senza dirsi una parola, ad occhi chiusi, eppure era come se si fossero detti tutte le parole d'amore che i poeti avevano scritto. Non avevano bisogno di nient'altro, erano nella loro bolla, nel loro mondo. Ed erano felici.
"Vincenzo ha chiamato" gli disse, fingendo disinteresse alle effusioni in cui il marito continuava ad indugiare "ha raccomandato di non fare tardi, perché la sua sopportazione delle canzoni di Natale di Huber ha un limite". Le conosceva bene, Francesco, quelle canzoni. Erano settimane che il poliziotto le cantava, mentre provava ad addobbare la caserma, con Vincenzo che puntualmente lo rincorreva per smontare tutto. Non si trattava semplicemente di "Bianco Natale" o "Tu scendi dalle Stelle", oh no!, erano rivisitazioni alla Huber, con monti, valli e naturalmente mandrie di bovini. La durata? Venti minuti e 10 strofe. Francesco rideva sotto i baffi, fingendo compostezza, quando iniziava il teatrino quotidiano, ma Vincenzo aveva ragione: a tutto c'era un limite, soprattutto la notte di Natale. Ma quando restava solo con sua moglie ogni buon proposito difficilmente andava in porto.
"Mmmm" protestò, mentre le posava un bacio sulla spalla "incomincia a far molto freddo…perché non ce ne restiamo qui stasera?"
“Perché altrimenti il nostro testimone di nozze ci toglie il saluto?!" suggerì Emma, ironica. Per Francesco, però, non sembrò una spiegazione sufficiente.
"Dai amore…io e te, la stufa accesa, sotto il piumone…magari inizia anche a nevicare"
Effettivamente l'aria era cambiata. Mentre girava in centro a San Candido, per gli ultimi acquisti, aveva sentito nell'aria un profumo diverso. Non tutti riuscivano a percepirlo, ma lei sì. Era dolciastro ma allo stesso tempo pungente e secco, e insieme al freddo si stendeva sulla faccia e sulla mano da cui aveva tolto il guanto per rispondere ad un messaggio sul telefono. Aveva letto che per ognuno aveva un profumo distinto, fatto di sensazioni e di ricordi. Per lei aveva l'aroma di Sacher torte, del legno bagnato della palafitta. Era l'odore di Innsbruck, delle corse che aveva fatto con Francesco per ripararsi dal gelo quando l'aveva trascinato a forza a vedere una mostra all'Hofburg e a mezzogiorno la temperatura era di - 8°; la neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé. Aveva, per caso, scoperto che anche lui riusciva a distinguerlo, quell'odore particolare che ha l'aria poco prima che inizi a nevicare. Forse era un segno, forse era un'ulteriore prova della loro affinità e quando lo aveva pregato di descriverglielo non aveva potuto far a meno di versare una lacrima, di nascosto. C'era il muschio, il legno che brucia nella stufa, il tè verde, il  burro di cacao alla vaniglia e l'odore dei maglioni di lana lasciati negli armadi per lunghi mesi. Emma non poteva evitare di pensare che oltre a lei, la neve in Francesco evocasse il ricordo di Marco. Avrebbe voluto guarire e colmare quel vuoto, ma sapeva che non funzionava così. Il cuore si espande, fa posto per un'altra persona, un nuovo affetto, ma non si smette di amare chi ci ha lasciati. Francesco non voleva e non poteva dimenticare Marco, lei non poteva e non voleva dimenticare il loro bambino.
 
Non avevano parlato molto quella sera, quando lui era andato a riprendersela, lungo la strada che portava verso l'autostrada. L'aveva rincorsa a cavallo e lei aveva pensato che era successo, alla fine Francesco aveva dato di matto. L'aveva fatta salire in groppa e l'aveva condotta davanti ad una chiesetta. "era qui che volevo sposarti" le disse. Lei era distrutta dalla sua schiettezza, dallo spiattellarle quel desiderio così forte andato in fumo per colpa sua. Se le circostanze fossero state diverse avrebbe riso: quella chiesa era troppo piccola per il matrimonio che Huber avrebbe preteso di organizzare, con la banda del paese e tutti i bambini della scuola elementare a fare da damigelle e paggetti. A malapena ci sarebbero entrati gli sposi, il prete e i testimoni. Era perfetta.
"Mi hai fatto male" le disse…sì era vero, aveva tradito la sua fiducia; peggio, lo aveva tradito con la persona che più di tutte gli aveva fatto del male. Ma quello che segui la spiazzò ulteriormente: lui non la odiava, non poteva "il bene che mi hai donato vale di più di ogni incomprensione, di ogni torto e di ogni mancanza…di cui io sono altrettanto colpevole".
Dire che avevano fatto l'amore, tornati in palafitta, sarebbe stato riduttivo. Si erano ritrovati, riscoperti. Le labbra vagavano lente su ogni centimetro di pelle, la studiavano, la veneravano; le mani si rincorrevano, intrecciandosi. E gli occhi, ridenti e brillanti, sorridevano reciproci, nonostante il buio della stanza. Alle prime luci dell'alba, il torace di Francesco a farle da cuscino, Emma ancora non riusciva a prender sonno. Non voleva perdersi alcun instante di quella notte che ormai stava finendo. Ormai non ci sperava più; anche lei si era convinta che come coppia non funzionavano, per quanto ardentemente lo volessero. Ma qualcosa dovevano pur valere, se il mondo sembrava fermarsi quando erano insieme.
Anche lui era sveglio, le accarezzava dolcemente la schiena nuda, ma non proferiva una parola. Pensò allora alla sua decisione di proseguire con l'intervento. Nonostante i rischi e le paure di lui, era giusto, ora più che mai. Non sopportava di vederlo nascondere l'angoscia ad ogni minimo mal di testa, le preoccupazioni mal celate quando la lasciava da sola, vivere la propria vita di coppia come se ogni istante fosse l'ultimo. E poi voleva diventare madre: avere un figlio da lui e dargli un figlio, mettere al mondo un esserino che fosse la sintesi perfetta di quell'amore e l'estensione di sé fuori dal proprio corpo. Di più: voleva crescerlo insieme a lui, fare le nottate in bianco tra poppate, pannolini e colichette, ritrovarsi a ridere come due stupidi ad ogni verso e ad ogni nuova scoperta, emozionarsi di fronte ai suoi primi passi e vederlo prendere il suo posto nel mondo, camminando insieme, come una vera famiglia. Come se le leggesse nel pensiero, Francesco, preso un grosso respiro, trovò il coraggio di parlarle del loro angelo, come lo aveva chiamato, come non era stato capace di fare settimane addietro, quando per entrambi la ferita era ancora fresca ed il timore di farsi male era più grande della necessità di lenire il dolore lasciato dalla perdita del loro bambino. Lui lo voleva, confessò, più di ogni altra cosa; non per quello avrebbe o meno rappresentato per lui "ma perché tu sei l'amore della mia vita … nessun'altra persona al mondo vorrei al mio fianco per diventare padre. Solo tu." L'aveva vista con la figlia dei Kirk in braccio, solo pochi giorni prima, ed il suo cuore si era fermato, al pensiero che, se solo fosse stato davvero l'uomo giusto che si gloriava di essere, molte delle cose successe si sarebbero potute evitare. Se non si fosse fatto prendere dal panico forse avrebbero avuto il loro bel da fare per accogliere l'arrivo di una bambina tutta loro, anziché rimettere insieme i cocci di una storia partita male e che rischiava di finire peggio.
Lei, allo stesso modo, incalzata dalle sue parole e rincuorata dal calore del suo abbraccio, dalle dita che giocavano con i suoi capelli, si tirò su, incrociando il suo sguardo. Non c'era difficoltà, né dolore o recriminazione. Stavano semplicemente aprendo i loro cuori, come non avevano mai fatto davvero fino a quel momento, entrambi con la mente sempre da qualche altra parte per affidarsi completamente a quel sentimento che li univa. Gli parlò, senza mai staccarsi dai quegli occhi verdi, dolci e forti allo stesso tempo, di quanto si era sentita in colpa per non essersi presa cura di sé in quelle prime pericolose settimane, nonostante fosse chiaro che la sua era una gravidanza a rischio, di come avesse un bisogno disperato di averlo vicino, perché in fondo, nonostante tutte le parole sputate e tutte le recriminazioni, rimaneva il padre del suo bambino, ma soprattutto l'uomo che amava, eppure ogni volta qualcosa andava storto, ammise di essersi sentita sporca quando si era resa conto di quello che era successo con Kroess, di come era andata totalmente in blackout da non ricordarsi di nulla e che  avrebbe voluto solo sprofondare nel terreno quando lui le fece la proposta. Ma era l'unica persona che voleva accanto a sé, voleva solo provare a ricominciare daccapo.
Lui la lasciò parlare, calmo e ogni tanto le sistemava dietro l'orecchio quella ciocca ribelle che sfuggiva mentre animatamente gli parlava. Entrambi si sentirono catapultati a quei giorni che sembravano ormai appartenere ad una vita passata, quando da perfetti sconosciuti erano in grado di parlare di sé a cuore aperto, non senza difficoltà, ma senza pregiudizi e con la libertà di chi non ha aspettative. Così si erano innamorati e così si stavano innamorando di nuovo.
Emma gli rivelò che aveva fissato la data dell'operazione; poco più di dieci giorni la separavano dall'ora della verità. Francesco ebbe un sussulto e i suoi occhi, da limpidi e sereni, divennero immediatamente cupi. Girò lo sguardo verso la finestra, verso i monti che avvolgevano la casa sul lago. Lei prese il volto tra le sue mani, obbligandolo ad incrociare e sostenere il suo sguardo: gli sorrise e, lentamente, andò a posare le sue labbra su quelle di lui. Era difficile, a quel punto, distinguere dove finiva il sapore di lui e dove iniziava quello di lei, quella notte erano davvero diventati una cosa sola. Staccatasi, con la mano accarezzò la fronte corrucciata di Francesco, a voler stendere quella ruga che l'ennesima preoccupazione gli stava provocando. Non voleva perderlo, gli spiegò, ed il pensiero di affrontare un'operazione così rischiosa, proprio ora che si erano trovati davvero, la faceva tremare; tuttavia era la stessa ragione per cui era determinata ad andare avanti. Sperava che lui lo capisse.
Lui non capiva, ma lo accettò comunque. Era una scelta che, sebbene li riguardasse entrambi, non spettava che a lei. L'avrebbe rispettata, perché l'amava. Emma aveva portato energia e luce nella sua esistenza, gli aveva ridonato la vita che la morte di Marco si era portata via, e non avrebbe permesso che quella luce si spegnesse; non poteva obbligarla, per paura, ad una sopravvivenza fatta di sacrifici e rinunce. "Ti starò vicino" giurò "qualunque cosa succede; e se si perde, perdiamo insieme"
 
Ma Emma quella battaglia l'aveva vinta. Nel momento più buio, quando sembrava che le cose stessero andando per il verso sbagliato, si stretta alla vita che l'aspettava fuori dall'ospedale, all'uomo che amava e a quella lista che, un po' controvoglia, aveva compilato per fargli piacere, come quella che aveva con sé al suo arrivo tra le montagne.  Passare una notte in tenda per vedere l'alba dal Monte Becco, vedere il sole tramontare nel mare, tornare a vedere i suoi lupi, giocare una partita a curling, insegnare a Francesco a ballare, dare 7/8 nipotini a zio Vincenzo "che ci tiene assai" … SPOSARE FRANCESCO. Lui aveva aggiunto a caratteri cubitali questa frase alla fine della lista, rubandogliela tra le mani il pomeriggio prima del ricovero, quando fuori pioveva ed Emma aveva convinto Francesco  a rimanere sotto le coperte tutto il giorno. Quando lesse quelle parole, faticando a trattenere un  sorriso, Emma prese la penna dalle mani di Francesco, calcando forte ogni singola lettera e sottolineando il testo. "lo voglio" riuscì a stento ad affermare, prima che il suo uomo - adorava quell'espressione - l'abbracciasse placcandola nel lettone per coprirla di baci.
E lui le leggeva quella lista ogni giorno, ogni turno visite quando, bardato di cuffia e camice e guanti, andava a farle visita in rianimazione. Sette lunghi giorni in cui non sapeva se avrebbe rivisto il suo sorriso o sentito la sua voce.
A volte, di notte, il ricordo di quei giorni tornava a galla nella memoria di Francesco sotto forma di incubi. Quando si risvegliava, di soprassalto, la trovava lì, al suo fianco, placidamente addormentata, i lunghi capelli sciolti e disfatti sul cuscino, le lunghe gambe candide intrecciate alle sue. Alle rimostranze di Francesco sui piedi gelati, Emma ironizzava "tu sei la mia borsa dell'acqua calda, ora, arrenditi". Poteva dissentire? Ovviamente no. Se mai lui avesse detto che gli asini volano, Emma probabilmente gli avrebbe dato ragione, come poteva protestare di fronte a sua moglie - sua moglie, non ci si sarebbe mai abituato - che voleva solo dormire abbracciata a lui?
Emma non era all'oscuro degli incubi di Francesco. Il vantaggio di dormire stretti era di sentire ogni minimo movimento. Ma sapeva che suo marito era una persona tanto riservata quanto sensibile e si rendeva conto che, in alcune circostanze, era meglio lasciarlo smaltire da solo. Le era capitato già, talvolta, di consolarlo in piena notte, quando i suoi fantasmi, prepotenti, non lo lasciavano dormire. Quegli incubi avevano dei nomi ben precisi: Marco, Livia, Kroess, Gunther, Leo … ora però era ben conscia che anche il suo personale calvario si era aggiunto al novero  dei suoi tormenti.
Talvolta, rimanendo ad occhi chiusi, fingendo di dormire, sentiva le sue mani grandi e forti accarezzarle il volto, 
le sue labbra le sfioravano la fronte e solo allora Francesco tornava a stendersi di fianco a lei, probabilmente vegliandola finché il sonno non aveva la meglio su di lui. Altre volte, invece, lo sentiva muoversi fino ai piedi del letto, il respiro chiaramente affannato, alzandosi con cautela per non svegliarla. Quelle notti erano le peggiori. Sapeva di non dover lasciarlo solo. Temeva che potesse decidere di lasciare la palafitta per andare a sfogare le sue angosce tra i boschi o tra le acque ghiacciate del lago. Quando glielo aveva lasciato fare, era tornato a casa peggio di come se n'era andato. Allora, quando sentiva il cigolio della porta a vetro, Emma lo raggiungeva in terrazza, dove sapeva che sarebbe stato per qualche minuto, sporto dal parapetto, lo sguardo perso nel nero delle acque del lago. Di solito gli porgeva una coperta e lui, senza dire una parola, con un abbraccio avvolgeva anche lei.
Quella sera, complice anche l'euforia della vigilia di Natale, non c'era un briciolo d'inquietudine nella mente e negli occhi di Francesco. Emma sentiva la differenza fin nelle più piccole dimostrazioni d'affetto, che non le aveva mai fatto mancare: laddove poteva percepire il timore di farle male, quasi fosse una bambola di porcellana, la ritrovata serenità lasciava il posto a gesti pieni ed energici, convinti e coinvolgenti. Controvoglia l'aveva spedito sotto la doccia e ancor più controvoglia aveva desistito al progettino niente male di rimanere a casa, anziché andare a cena da Valeria e Vincenzo in foresteria.
 
Ai metodi pedagogici spericolati di Valeria e Isabella, Vincenzo preferiva di gran lunga quelli affettuosi e delicati di zio Francesco e zia Emma, tra le cui braccia Mela sembrava sempre trovarsi molto bene. Per quanto fosse geneticamente geloso di chiunque prendesse sua figlia in braccio, Vincenzo era piuttosto tollerante dei confronti dei suoi due migliori amici, anche se ancora non aveva accettato l'idea che Mela potesse preferire zio Francesco a papone suo - eccola là, pure lei, ti pareva … borbottò anche quella sera, mentre, appena varcata la soglia, la piccola letteralmente si era buttata tra le braccia del forestale.
"Non è colpa sua, povera piccola" la giustificava Emma "difficile resistergli quando sorride". Valeria e sua nipote Isabella le facevano il verso dietro le spalle. Emma lo sapeva ma alzava gli occhi al cielo, noncurante. Aveva dovuto lottare con le unghie e con i denti per prendersi quel briciolo di felicità che non si sarebbe fatta più alcuno scrupolo a mostrarla.
"Mm, va bbuo', ma mo vedete di metterla pure voi in cantiere 'na creatura…" esclamò, riappropriandosi della sua bambina, "non è che potete andare avanti a prestito in eterno". Vincenzo sapeva quanto l'argomento fosse delicato per loro, la perdita del bambino era una ferita forse mai veramente sanata, ma se c'era qualcuno a cui era permesso fare battutine, era proprio il commissario. Li aveva capiti, anche quando non si capivano neanche loro, li aveva sostenuti, anche quando la migliore cosa da fare sarebbe stata tirarli per l'orecchio dentro una stanza, chiuderli dentro e buttare via la chiave, ordinandogli di parlarsi.
"Tempo al tempo" spiegò Francesco, mentre aggiustava il vestitino della piccola, che si stava dimenando tra le braccia del padre - come al solito Vincenzo l'aveva vestita troppo pesante - "abbiamo bisogno del semaforo verde dei medici … anche se qualcuno in questa stanza la pensa diversamente". Rivolse lo sguardo verso Emma, che arrossì. Sì, pensò lei, i medici non avevano dato ancora il loro benestare, ma si sentiva bene e in tutti i controlli fatti non c'era stato nessun campanello d'allarme che potesse far pensare ad una recidiva; non vedeva perché nell'ultimo controllo le cose sarebbero dovute andare diversamente. Ovvio, c'erano momenti in cui anche era dubbiosa e le paure tornavano a galla; ma aveva superato l'ostacolo più alto, si rifiutava di pensare in negativo.
"Tutto a suo tempo e rape in Avvento"… si girarono tutti verso la porta d'ingresso, ma non c'erano dubbi su chi avesse potuto esordire con una frase del genere. Huber Fabricetti, l'assistente capo di polizia, che con la sana follia portava sempre scompiglio nel Commissariato di San Candido. Spesso il Commissario aveva messo in discussione le sue doti di poliziotto, ma negli anni aveva imparato ad apprezzarne la bontà profonda e l'affetto sincero. Avrebbe gradito un po' più di silenzio e di privacy, ma in generale non poteva lamentarsi del suo più stretto collaboratore. Si era presentato in foresteria, assieme alla sua signora e ai loro  figli, rigorosamente in abiti tirolesi. Fuori la temperatura era scesa sotto lo 0 e loro andavano in giro in lederhosen e dirndl scollati…Vincenzo, patologicamente freddoloso, corse a prendere una copertina per Mela solo vedendoli arrivare.
"Cooommissario…" spiegò Huber, alla disapprovazione del suo superiore di fronte ad una mise non proprio adatta all'inverno della Val Pusteria "vorrà dire ch-che fa-fa-faremo quaaalche brindisi di più. Il mio povero nonno diceva sempre Qua-quattro b-bicchieri fanno una b-booottiglia e t-t-tree litri fanno un taabarro" "Eh … e magari te fann' pure nu fegato tanto!!!"
Nonostante i lunghi anni di servizio trascorsi assieme, nonostante Huber fosse il padrino di Mela, i due non erano mai andati oltre il lei. Più che una formalità dettata dal luogo di lavoro, era un piccolo rituale che negli anni si era consolidato e non era mai venuto meno, nonostante la profonda amicizia. Le loro schermaglie da duo comico consolidato erano la colonna sonora di ogni giornata lavorativa e coloravano anche le rare occasioni in cui, tutti insieme, si riunivano al di fuori dell'orario di servizio.
 
La serata era scivolata via come tutte accade per tutte le feste in famiglia: chi si lamenta perché le porzioni sono troppo abbondanti, chi viene rimproverato dalla consorte perché sta mangiando troppo, ragazzine che vengono riprese perché sempre al telefono col moroso, bambini che fanno a gara a chi strilla di più e adulti che li incolpano dei loro mal di testa.
Mela, mascotte di casa, era crollata tra le braccia di Emma, che la cullava dolcemente e le sussurrava una ninna nanna. La piccola era riuscita ad addormentarsi nonostante tutto il chiasso fatto dai più grandi mentre il suo padrino, Huber, vestito da San Nicola, distribuiva i regali a tutti gli invitati, tentando malamente di non farsi riconoscere dai suoi bambini più piccoli. Emma colse l'attimo, tirandosi fuori da quella baraonda, non appena intravide la piccola sbadigliare e ciondolare un poco la testa, mentre era ancora nel seggiolone.
"Tutto bene?" una voce più che familiare domandò, facendo scivolare la porta scorrevole della stanza di Vincenzo. Emma, seduta sul lettone, la bimba ancora stretta al suo petto, sorrise, annuendo a suo marito "Solo troppo casino e aria viziata…ora va meglio". Francesco sapeva che, sebbene perfettamente ristabilita, c'erano ancora alcune circostanze in cui Emma faticava e la confusione era una di quelle. "Colpa mia" si rimproverò "non avrei dovuto accettare l'invito di Vincenzo"
"Non dirlo neanche per scherzo" lo rimproverò la moglie, battendo la mano sul letto, invitandolo a sedersi di fianco a lei "questa è la nostra famiglia…e sono stata benissimo, avevo solo bisogno di 10 minuti per recuperare, tutto qui"
"sicura?" domandò lui, apprensivo.
Emma annuì, accarezzandogli il volto. Il suo viso era stato indurito dai dolori e dalla guerra, dal freddo e dagli anni, ma Emma riusciva a scorgere, dietro quell'apparente freddezza e razionalità, il suo lato più intimo e fragile, ancora più speciale perché era davvero solo suo. Il mio Francesco come lo chiamava lei, orgogliosa e territoriale.
Per tutta risposta l'uomo poggiò la sua fronte a quella di lei, respirando l'uno l'odore dell'altro, come a volerle offrire tutta l'energia che poteva. "Buon Natale" le sussurrò. "Buon Natale" rispose lei "torniamo a casa".
 
Quella notte, quando Vincenzo si alzò, per andare in bagno, notò che la temperatura in casa era scesa molto; scrutando fuori dalla finestra, si accorse, nonostante il buio, della neve che cadeva silenziosa e lenta, accumulandosi ancora sull'abbondante coltre che già rivestiva tutto il paesaggio. Gli scappò un sorriso. In lontananza, a dispetto dell'ora particolarmente tarda, vide che le luci della casa sul lago erano ancora accese...




 


Angolo dell'autrice

Salve a tutti! In questa sezione ho già scritto una One Shot dal titolo "Non posso perderti" nonché altre ff, in altre sezioni.
Un Passo dal Cielo è una fiction molto importante per me, non solo per la bellissima storia di Emma e Francesco, che credo ci abbia fatto innamorare un po' tutti, ma perché mi ha dato la possibilità di conoscere, anche se solo virtualmente, persone straordinarie. 
Il titolo di questa storia è tratto da una canzone dei Tiromancino su cui ho costruito un video che potete vedere su Youtube. Ho già scritto un altro paio di capitoli, ma è tutto ancora molto vago. Questo è più che altro un esperimento che ho voluto fare...un'esigenza personale perché le prospettive per questa bellissima coppia, e per gli altri personaggi, stando alle ultime indiscrezioni, non sono proprio rosee. sSiccome è po' non scrivo una storia così lunga, spero avrete buon cuore e non sarete troppo cattive con me. Recensite mi raccomando!!!
A presto


Federica
   
 
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