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Autore: Sarah_lilith    14/05/2020    2 recensioni
"Lo sai cosa fa male? Il pensiero che miliardi di persone vivano un'esistenza triste e solitaria solo per morire e finire seppellite in un buco nella terra, completamente dimenticate dal resto del mondo. Questo, bello, mi spaventa da impazzire. Pensaci: il non valere niente ora, significa non valere niente mai"
"Non tutti hanno una visione così pessimistica"
"Risparmiami le tue cazzate, gioia. Il fumo, la droga, i libri, il sesso, l'amore... tutte queste distrazioni, malsane o no, servono a farci dimenticare in che buco orribile ci hanno incastrati"
"Cioè?"
"La vita stessa. É questa, la prigione"
"Anche tu sei intrappolato, allora. Eppure sembri libero di fare ciò che vuoi"
"Sai, mia madre, quella stronza, ha detto una sola cosa giusta, nella sua inutile vita: Uccello in gabbia non canta per amore, ma per rabbia"
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Jiang Wanyin/Jiang Cheng, Lan Wangji/Lan Zhan, Lan XiChen/Lan Huan, Wei Ying/Wei WuXian, Wen Ning/Ghost general
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Who will be there to take my place
When I'm gone you'll need love to light the shadows on your face
(…)
If I could turn back time, I'll go wherever you will go


(Wherever you will go - The Calling)

 

 

 

Passava le sue giornate chiuso in camera da ormai due settimane. 

Rannicchiato in posizione fetale sulle lenzuola che sapevano di lacrime, guardava il tempo scorrere dalla sua finestra come se il tramontare del sole non gli importasse più.

Passivo alla vita, ecco cos’era diventato.

Mangiava solo perché sua sorella lo costringeva, presentandosi ogni mattina davanti all’uscio della sua stanza con un vassoio di legno tra le mani delicate. Non se ne andava fino a che il fratello non aveva bevuto almeno tre sorsi di zuppa.

In quelle settimane -erano settimane, sì?- la ragazza l’aveva cucinato così tante volte che ormai doveva aver decimato le coltivazioni di loto, eppure non smetteva mai di prepararla.

A che serve distinguere i giorni se ognuno è uguale al precedente, pieno di sensi di colpa e incubi? 

Wei Ying non lo sapeva, e forse nemmeno gli interessava saperlo. 

Quando era successo l’incidente, il medico che li aveva accolti in ospedale si era rivolto a tutti e tre guardando YanLi, l’unica maggiorenne tra loro. 

I vostri genitori non ce l’hanno fatta, mi dispiace, gli aveva detto.

Poi aveva preso a spiegare quanto intensamente avevano tentato di salvarli, e come il coma farmacologico a cui era stata indotta la madre, che a differenza del marito era sopravvissuta allo schianto, era durato poco più di cinque minuti.

Si era spenta come una candela consumata.

Ma Wei Wuxian aveva smesso di ascoltare dopo la prima frase, troppo concentrato a non mettersi a gridare per dare retta al dottore.

Sono morti, sono morti, sono morti, si era ripetuto come una macabra cantilena, ciondolando con la testa avanti ed indietro, facendo scricchiolare la sedia di plastica della sala d’attesa.

Non ricordava neppure come e quando erano tornati a casa.

Rammentava però il pugno che lo aveva mandato lungo disteso sul corridoio della zona giorno, a metà tra la cucina e il salotto. Suo fratello aveva sempre picchiato forte come un bastardo.

Tu rovini tutto quello che tocchi, sei una disgrazia per il mondo da quando sei nato. Non potevi proprio startene buono per un intero giorno, vero? Dovevi per forza fare casino come al solito!?! gli aveva gridato contro Jiang Cheng, mentre la sorella gli tirava una manica per fermarlo. É colpa tua se noi siamo soli ora!

Poi era corso per le scale e aveva sbattuto la porta di camera sua con forza, forse per nascondere il rumore dei singhiozzi che gli raschiavano la gola.

Wei Ying non se l’era presa. In fondo, Jiang Cheng aveva ragione.

Ed era per quel motivo che il ragazzo non si era lamentato delle accuse, né aveva tentato di difendersi. Meritava quell’odio così come meritava di essere al posto della Signora Yu e del marito, su quella branda gelida all’obitorio.

E fu con quel pensiero in testa, con quella fantasia di morte e dolore, che cominciò la sua nuova abitudine: quella di ferirsi. Sul serio, questa volta. 

Niente pugni sui muro o rotolate sotto la pioggia battente, adesso aveva preso una strada più terapeutica, per espiare le sue colpe.

Si incideva la carne fino all’osso, quando le giornate lo assalivano con la loro malinconia. E succedeva sempre più spesso, doveva ammetterlo.

Per farlo usava un ago che aveva trovato in bagno, sotto alle spazzole e agli accessori per capelli.

La Signora Yu lo teneva lì per ogni evenienza. Metti caso che mi si scucia una manica mentre mi sto pettinando, aveva detto al marito quando lui aveva chiesto spiegazioni.

Nessuno aveva voluto fare ulteriori domande. Cose da donne, come tutto quello che riguardava lei e YanLi.

L’affilato spillone di metallo era spesso quanto uno spago e poco affilato, più utile come decoro che come ago vero e proprio. Ma a Wei Wuxian non serviva fosse efficace subito.

Quando gli incubi erano troppi e la testa gli sembrava scoppiare, il ragazzo si rigirava tra le mani l’oggetto, ammirandone la fattura per qualche minuto. Poi decideva cosa colpire, quel giorno.

Il pezzo di carne prescelto spesso si trovava sulle cosce, sugli avambracci o sullo stomaco. 

Erano punti facilmente raggiungibili e poco esposti agli occhi estranei, quindi perfetti per lo scopo. Anche se Wei Ying non ci aveva nemmeno pensato con gran serietà, in effetti, la prima volta.

Aveva semplicemente afferrato il pesante ago e ne aveva sfregato la punta sulla carne tenera attorno all’ombelico fino a sanguinare. Poi aveva continuato per svariati minuti, ignorando il dolore crescente che gli urlava di smetterla.

Aveva continuato fino a che la zona non aveva perso sensibilità. Dimenticandosi quanto facesse male, si era concentrato sul disegno sanguigno che gli inzuppava la cintura dei jeans. 

Colpa tua, colpa tua, solo colpa tua…

Era diventata una routine prima che se ne rendesse davvero conto.

Non lo faceva perché voleva uccidersi, ma questo a suo fratello non sarebbe mai importato e sua sorella non l’avrebbe mai capito. Nessuno lo avrebbe mai capito.

L’avrebbero accusato di essere pazzo, o magari di avere manie di autolesionismo, ma non era così. Wei WuXian ne era convinto: si trattava di una giusta punizione per ciò che aveva fatto.

Era un modo per espiare i propri peccati e guarire il dolore che aveva causato, perché la famiglia che lo aveva accolto era stata distrutta per colpa sua, come aveva detto Jiang Cheng.

Colpa tua, colpa tua, solo colpa tua… chiedi perdono per ciò che hai fatto, codardo!

Se avesse dovuto morire nell’intento, così sarebbe stato.

 

 

 

 

ANGOLINO D’AUTRICE
Ecco il penultimo capitolo. Mi sento un nodo in gola assurdo e mi stanno massacrando a DS, ma ce la posso fare… no, scherzo.
Tra la tristezza di questo aggiornamento, l’ansia della quarantena e quel maledettissimo videogame non so più come supererò la giornata, davvero. Vi ringrazio per aver letto fino a qui e per essere così pazienti, so di essere una ritardataria cronica sui capitoli.
Sorry, lov u -.-

Baci a tutti, Sarah_lilith

   
 
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