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Autore: semolina    14/05/2020    0 recensioni
Dopo il loro incontro al Mollly's [nella 5x03], tra Sylvie Brett e Antonio Dawson è nato un qualcosa, un legame sottile. Il lavoro li terrà lontani ma non indebolirà ciò che è nato, lo rafforzerà invece rendendoli completamente connessi.
Questa è la prima volta che scrivo una fan fiction,non mi era mai capitato di appassionarmi così tanto alla storia nascente tra due personaggi tanto da far accendere la mia fantasia e "costringermi" a scrivere.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ok, dire che sono stata latitante è un eufemismo bello e buono, ma, sapete com’è..l’ispirazione va viene e la mia era semplicemente andata. Mi ero addirittura dimenticata di questa FF, fino a quando pochi giorni fa non l’ho ritrovata tra i vari file sul pc e ho deciso di riprenderla. Confesso che avevo già scritto i capitoli 13 e 14, ma rileggendoli non mi piacevano un granchè, così ho deciso di modificarli e correggerli. Per adesso pubblico solo questo, ma spero di pubblicare anche i prossimi a breve.

Chissà se ci sarà ancora qualcuno che vorrà leggerli.


Quando Gabby salì a bordo dell’auto Sylvie aveva ancora un’espressione di shock dipinta in volto; l’amica si accorse subito che qualcosa non andava e senza preamboli andò dritta al sodo, sicura di sapere cos’era successo per lasciare la collega in quello stato.

“ Hai incontrato Laura, vero?”

“ Da cosa l’hai capito?” Chiese Sylvie voltandosi nella sua direzione.

“ Dalla tua faccia.” Sylvie abbassò lo sguardo, sentendosi scoperta.

“ Cosa ti ha detto?” 

“ Si è presentata...tutto qui.” Tacque, incerta se raccontare alla Dawson quello che la ex moglie del fratello le aveva detto, ma lo sguardo che ricevette da Gabby non le lasciò scampo.

“ Beh, si è presentata come la moglie di Antonio e mi ha definita...l’amante..” L’amica sbarrò gli occhi e spalancò la bocca per l’incredulità. 

“ Cosa???” Tuonò inorridita appena ebbe metabolizzato l’informazione.

“ Parole sue.” Sylvie mise in moto l’auto.

“ Ma è completamente fuori di testa...non ci credo..” 

“ Credo proprio che rivoglia indietro il marito…”sospirò affranta a bionda, cercando di concentrarsi sulla guida. Gabby, ancora sconvolta per le parole della ex cognata, si accasciò sul sedile, stranamente senza parole. Dopo qualche secondo di silenzio si voltò verso la bionda con aria preoccupata.

“ Oddio..è colpa mia..”

“ Come potrebbe essere colpa tua, scusa?” Chiese perplessa l’altra.

“ Quando sono entrata in casa da mia madre Laura stava uscendo… io per impedire che mia madre mi trattenesse troppo con i suoi soliti discorsi le ho detto che tu eri fuori e che non potevo farti aspettare troppo…Beh, mia madre si è lanciata in elogi verso di te; beh lo sai che mia madre ti adora, no?!”

“ Non capisco ancora come possa essere colpa tua..”

“ Laura deve aver sentito e si deve essere sentita..che so, minacciata?!”

Sylvie sorrise dolcemente.

“ Gabby, non è colpa tua se mi ha detto quelle cose così..crudeli..” Pronunciando quelle parole Sylvie rivide l’intera scena dell’incontro con la ex di Antonio e sentì nuovamente le parole che le aveva detto:una per una. 

Non si affezioni troppo. Così sarà meno doloroso quando Antonio la lascerà’.

Un dolore sordo si fece strada nel suo petto. Era stata così sicura di sè mentre pronunciava quelle parole da riuscire ad insinuare il dubbio nel suo cuore, dopo tutto lei conosceva Antonio da molto più tempo, avevano condiviso anni insieme, erano cresciuti insieme; il pensiero che forse Laura potesse aver ragione si fece largo nella sua testa facendola sprofondare in una tristezza ed in una insicurezza insopportabile. La voce di Gabby la fece riemergere dai suoi pensieri. Il senso di colpa che attanagliava la Dawson non accennava a diminuire e Sylvie si sentì invadere dall’affetto per la collega e amica così tanto che decise di nasconderle le ultime parole che Laura le aveva rivolto.

“ Gabby. Smetti di darti la colpa, perchè non lo è! Ti prego..”

“ Ok.” Sospirò rumorosamente continuando a guardare Sylvie con aria preoccupata.

“ Brett.” La richiamò gentilmente. “ Questa...cosa...Laura.. Non cambia ciò che Antonio prova per te. Lo sai, no?!”

Sylvie deglutì e mosse la testa per farle un cenno affermativo.

“ Per voi due non cambierà niente.” Il tono della mora era deciso e fermo, come lo era il suo sguardo. Sylvie le sorrise affettuosamente e la ringraziò per la sua premura; ma un pensiero fisso si stava impadronendo della sua testa:

Avrebbe cambiato tutto. Laura avrebbe cambiato tutto.

Si sentì morire. Non essendo certa di riuscire a parlare senza tradire il suo stato di angoscia, lasciò che il silenzio invadesse l’abitacolo. Un silenzio pesante e denso, interrotto soltanto dai rumori esterni che entravano ovattati dai finestrini chiusi, le accompagnò fino all’arrivo in caserma, dove, dopo aver parcheggiato e spento il motore, fu rotto da Sylvie che con voce tremante disse all’amica:

“ Non dire niente ad Antonio. Vorrei..vorrei farlo io.”

“ Ok. Sì certamente.” Rispose Gabby dolcemente, dopotutto non si aspettava niente di diverso.

“ Grazie.” Con quelle parole lasciarono che il lavoro occupasse le loro menti completamente, assorbendole nella quotidianità dei gesti. Nonostante evitasse l’argomento, Gabby notò il turbamento dell’amica, la quale non sfoggiava il suo solito sorriso smagliante che la faceva brillare di una felicità disarmante; maledisse la ex cognata per quel tiro mancino che aveva riservato alla sua amica e si prefisse di affrontarla faccia a faccia alla prima occasione utile. Dopotutto Sylvie le aveva chiesto di non parlarne al fratello, non a Laura; ed era esattamente ciò che aveva intenzione di fare.

 

Erano le diciotto passate ed Antonio Dawson era seduto alla sua scrivania, sembrava che un treno lo avesse investito in pieno e lo avesse risputato lì, di nuovo a quella scrivania, di nuovo a fissare il pc e la lavagna degli indizi, di nuovo con niente in mano. Si passò una mano tra i folti capelli neri per poi soffermarsi a massaggiarsi le tempie,sfinito; nella stanza regnava uno strano silenzio, ognuno di loro, ogni agente dell’intelligence, era seduto al suo posto, a fissare il pc o la massa di fogli sulla propria scrivania, con espressioni stanche e anche un po’ rassegnate dipinte in volto. Avevano seguito ogni pista che si era presentata loro davanti, avevano interrogato decine di persone: familiari, colleghi, amici o semplici conoscenti del paramedico rimasto ucciso nell’incendio sulla Jackson Boulevard e l’unica cosa che avevano scoperto era che non c’era nessun collegamento, tranne l’essere un paramedico, tra Joseph Darren e Sylvie o Gabby. Niente di niente. Nessuna persona in comune, nessun luogo frequentato in comune, nessun caso seguito insieme. Niente. E quel niente li stava annientando. Antonio continuava a pensare a cosa potesse essere sfuggito loro torturandosi senza tregua, ma le uniche cose che collegavano i due casi erano soltanto quelle di partenza: incendio doloso innescato da metanfetamina e i paramedici. Nient’altro combaciava. Dopo l’ennesima occhiata al rapporto di Kelly Severide sull’incendio di Hastings street  decise che era il momento di staccare un attimo la spina; si alzò lentamente dalla sedia e si diresse verso la stanza dove era la macchinetta del caffè. Passando tra le scrivanie dei colleghi chiese se qualcuno avesse bisogno di una tazza di liquido nero.

“ Io sì..ne ho decisamente bisogno.” Disse Ruzek alzandosi stancamente dalla sedia per raggiungere Antonio nell’altra stanza. Il detective aveva già preparato le due tazze e si accingeva a versare il caffè bollente; Adam camminò lentamente verso la finestra e rimase in silenzio ad osservare fuori attraverso di essa. Antonio, con le due tazze in mano, lo raggiunse e, porgendogliene una, voltò le spalle alla finestra, appoggiandosi con la schiena al muro adiacente; l’altro alzò la tazza come se volesse fare un brindisi, per ringraziarlo tacitamente. Restarono qualche minuto così: immersi nei loro pensieri e nell’aroma che il caffè stava esalando tutto intorno.

“ Ci deve essere qualcosa…” Disse Adam sottovoce, senza staccare gli occhi dal panorama al di fuori del distretto. Antonio non fiatò, abbassò soltanto gli occhi sulla tazza bianca che stava stringendo tra le mani; si sentiva sconfitto.

“ Una cazzo di cosa che colleghi quei due incendi. Ci deve essere.” Il tono di Ruzek era pieno di rabbia.

“ Che cosa ci sfugge Antonio? Che cosa abbiamo tralasciato?”

Il detective alzò lo sguardo sul collega e notò che anche lui aveva lo sguardo sconfitto e demoralizzato. Gli posò una mano su di una spalla, cercando di fargli coraggio e insieme dargli conforto. Sentì il ragazzo sospirare rumorosamente e si sentì impotente come mai prima di quel momento.

“ Lo troveremo quel dannato collegamento.” Fu ciò che la sua bocca sputò fuori con tono rabbioso. Adam per la prima volta staccò gli occhi dalla finestra e guardò il collega negli occhi.

“ Non so come ci riesci…” Iniziò lentamente.

“ A fare cosa?” 

“ A non farti sopraffare dal terrore.” Antonio trattenne il fiato qualche secondo.

“ Chi ti dice che non lo sono?” Disse infine,stringendo la tazza ancora di più. Ruzek lo guardò con stupore ed ammirazione insieme.

“ Di certo non lo dai a vedere..”

Olinsky entrò nella stanza silenzioso come suo solito ed avvicinandosi per prendere un caffè disse:

“ Ehi, Antonio…” richiamò l’attenzione del collega con voce bassa “ Trovato qualcosa?”

“ No.” Rispose il detective stringendo i denti dalla rabbia.

“ Qualche collegamento con...beh, Brett o Gabriela..” Continuò Olinsky sorseggiando la bevanda calda con aria distratta.

“ Niente. La vittima era nuovo qui a Chicago. Era il suo primo turno sull’ambulanza..” 

Olinsky si sedette e con gesti lenti e controllati poggiò la tazza di caffè sul tavolo, appoggiandosi con i gomiti, curvo come se un peso insopportabile gravasse sulle sue spalle.

“ Alvin.” Antonio richiamò l’attenzione del detective con freddezza. Aveva osservato ogni movimento del collega e aveva intuito che c’era qualcosa che non gli stava dicendo. Olinsky non fiatò, continuando a rigirarsi la tazza tra le mani e a tenere lo sguardo basso.

“ Alvin.” La voce di Antonio era bassa e dura. Ruzek, confuso, li stava guardando in silenzio, trattenendo il fiato; il tono di Dawson lo stava preoccupando.

“ Hai pensato che forse il collegamento potresti essere tu?” Il detective aveva parlato piano, senza alzare lo sguardo dalla tazza bianca che stava tenendo tra le mani. Adam si irrigidì nell’udire quelle parole e si voltò immediatamente verso Antonio, il quale era rimasto immobile, gli occhi puntati sul collega seduto al tavolo, il volto scuro e le labbra serrate; un silenzio di piombo calò nella stanza.

“ Forse qualcuno sta cercando di fartela pagare facendo del male alla tua ragazza o a tua sorella.” Continuò Olinsky mantenendo la voce bassa e gli occhi fissi sulle sue mani. Parlava lentamente e pacatamente come se cercasse di fare meno rumore possibile, come se parlare ad alta voce potesse ferire il collega come una lama affilata. Ruzek sbarrò gli occhi e  si fece scappare un’esclamazione di sgomento; immediatamente si afflosciò come un mucchio di stracci bagnati sulla sedia vicino al collega più anziano e alzò gli occhi verso Antonio. Il detective era ancora immobile contro il muro, vicino alla finestra dove poco prima aveva raggiunto Adam con il caffè, le nocche bianche a furia di stringere la tazza, la mascella serrata per la rabbia e il terrore che piano piano si stava facendo strada nei suoi occhi e nel suo petto. Sembrò che un vento gelido avesse abbassato la temperatura nella stanza fino allo zero, congelando i respiri e le parole.

Improvvisamente il detective Dawson si allontanò dalla finestra e, posando la tazza ancora colma della bevanda calda sul tavolo, con passo veloce e deciso uscì dalla stanza, raggiunse la sua postazione, afferrò il giubbotto di pelle e scese le scale, sbattendosi la porta alle spalle. Tutti avevano notato la fuga del poliziotto ma nessuno aveva avuto il tempo di rendersi conto di cosa fosse successo; l’uscita di Antonio aveva lasciato i colleghi confusi e preoccupati. Erin dopo aver scambiato sguardi confusi con gli altri si alzò dalla scrivania e afferrata la giacca si precipitò giù per le scale per raggiungere il collega; Olinsky chiuse gli occhi e sospirò stanco appoggiando la fronte alla mano sinistra mentre Ruzek gli posava una mano sulle spalle, sospirando.

 

Lindsay trovò Antonio poco lontano dal distretto, era in piedi con le mani strette al parapetto affacciato sul fiume, gli occhi fissi su di un punto lontano.La donna si avvicinò silenziosa e rimase immobile a guardare il fiume, vicino al collega; aveva intuito che c’era qualcosa che lo angosciava ma conosceva abbastanza Antonio da sapere che avrebbe parlato da solo, se avesse voluto.

“ Ci avevi pensato anche tu, vero?” Chiese il detective dopo qualche minuto in silenzio. Erin chiuse gli occhi sospirando. Il suo silenzio fu significativo ed Antonio capì quale sarebbe stata la risposta della collega al volo.

“ Potrebbero volerci mesi...MESI, prima di trovare il colpevole tra tutti quelli che potrebbero avercela con me.” Le parole gli uscirono come proiettili dalla bocca; era così lampante il dolore che stava provando che Erin si morse le labbra e chiuse gli occhi più fermamente.

“ Non abbiamo MESI di tempo Erin. Non ce li abbiamo.” Per la prima volta da quando era uscito dal distretto guardò la ragazza negli occhi, e lei vi lesse un tale sgomento da sentire lo strazio che stava provando il detective in quel momento.

“ Come faccio a tenerla al sicuro se non so neanche chi, o che cosa, la minaccia?!” Antonio, in uno scatto d’ira e di frustrazione, colpì il parapetto con tutta la forza che aveva, facendolo tremare per il gran colpo. Erin sussultò per lo spavento; lasciò che l’uomo si ricomponesse, poi gli posò una mano sul braccio, stringendolo forte, cercando di trasmettergli sicurezza e fiducia.

“ Sei il miglior poliziotto che conosco, una delle persone migliori che abbia mai incontrato…” gli disse con tono dolce ma deciso, guardandolo dritto negli occhi.

“ Sono sicura che la terrai al sicuro. Mi ci gioco la carriera.” Antonio le accennò un sorriso tirato.

“ Adesso però ho bisogno di te, Antonio. Ho bisogno del detective Dawson e del suo cervello. Da sola non posso farcela.” Il detective trattenne il fiato per qualche secondo, poi buttò fuori l’aria lentamente tornando a guardare oltre il parapetto.

“ Ho bisogno di un altro minuto.” Disse solamente.

“ Ok, un minuto ancora.” Rispose Erin, posizionandosi di fianco al collega e allungando lo sguardo oltre il fiume.

 
  
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