Il
nostro
progetto
“No,
no, Parker. Ho detto niente fucsia.”
Joe
sbuffò. “Ogni tanto si può osare, sai?
Non succede niente se Mr. Sunfun si
ritrova un po’ di fucsia
nella cornice dello slide, dai!”
“Osare?”
Il tono di Allison era vagamente divertito.
“Sì,
lasciarsi andare, non essere rigidi… Avere il coraggio di
fare qualcosa di
diverso… Essere audaci… Penso si chiami proprio
‘osare’, sai, Allison?” rispose
lui, divertito, con in mano una sigaretta.
“Ti
ho lasciato fumare vicino al mio pc, Parker, più audace di
questo!”
Lui
però alzò un sopracciglio. “Diciamo che
sono stato più audace io a chiedertelo
che te a permettermelo!” disse, divertito, mentre si
avvicinava la sigaretta
alle labbra.
Ma…
come? Falsamente infastidita, Allison gli rubò la sigaretta
dalle labbra e
aspirò anche lei, guardandolo. “Sono capace
anch’io di osare, sai?” gli chiese
subito dopo. Lo sguardo che le posò addosso il ragazzo la
rese vulnerabile.
“Scusa.
Non avrei dovuto dirlo. Tolgo il fucsia…” disse.
“No.
Lascialo. Il vecchio della Sunfun sopravviverà.”
“Così
mi piaci!” esclamò il ragazzo, accarezzandole la
guancia e tornando subito dopo
a lavorare al pc. Allison allungò una mano a coprire la sua,
ma quando lui si
voltò si rese conto di non essere in grado di osare davvero.
“Tieni,
è tua” disse solamente, restituendogli la
sigaretta e facendo credere di averlo
toccato per quello.
***
Due
ore dopo, finita la presentazione e buttato giù tutti gli
appunti per le varie
pubblicità, il loro lavoro giunse al termine ed era quasi
ora di cena.
“Bene,
ci rimane del tempo per andare in ufficio a stampare e fare i fascicoli
da
distribuire” disse Joe, guardando l’orologio quando
dichiararono che la
presentazione fosse perfetta.
“Fascicoli?”
chiese Allison.
“Sì,
tu li fai sempre quando presenti il progetto.
Pensavo…”
Allison
lo interruppe. “Possiamo farli domani mattina. La
presentazione è per le dieci,
abbiamo tutto il tempo per sistemare il cartaceo”.
“Quindi
abbiamo proprio finito. Io…” La voce di Joe
sembrava quasi delusa. Ma per cosa?
Allison
prese il telefono e disse: “Se ti piace il cinese, ti offro
la cena io,
stasera”.
“Oh!
Allora dovrei andare a casa a cambiarmi per farti fare bella
figura!” esclamò,
divertito, improvvisamente di buon umore.
“Vai
benissimo anche così” disse Allison componendo il
numero del take away che
chiamava di solito. Guardò di sottecchi il ragazzo,
desiderando che non se ne
andasse più. Indossava jeans e una maglietta a mezze maniche
abbastanza
sportiva, ma a lei sembrava più elegante di tutti i ragazzi
che in ufficio
giravano in giacca e cravatta. Si morse un labbro prima di ordinare
‘muscoli
primavera’ al ristorante.
***
“Così…
Sei stato un quaterback? Dai, non lo avrei mai detto!”
Allison rise, prendendo
con le bacchette un pezzo di pollo.
“Ah,
ah. Spiritosa...” La voce di Joe non era abbastanza delusa,
non quanto quella
di Allison fosse derisoria.
“Sto
scherzando!” esclamò ancora, ma
ridacchiò di nuovo.
Mentre
si litigavano pollo e involtini primavera, Allison e Joe si erano
raccontati
aneddoti scolastici e imprese sportive. Avevano scoperto di essere
cresciuti a
pochi quartieri di distanza e di aver anche qualche amico in comune.
Quando
Allison riuscì a rubare l’ultimo pezzo di pollo,
sorrise e glielo porse, dicendogli:
“Ne vuoi un po’?”, facendolo sventolare
sotto il suo naso. Joe si allungò sul
tavolino del salotto, da dove non si erano mai alzati, e, in un sol
boccone,
glielo fregò, mangiandolo.
Allison
rimase di stucco: non se lo aspettava! Spalancò la bocca e
gli occhi e poi
scoppiò a ridere.
“Mi
sa che stai meglio…” disse Joe, dopo un
po’, guardandola in un modo strano.
“Oh,
sì, Parker, sto veramente meglio! La prossima volta che mi
verrà l’influenza
contatterò Young e la Sunfun e proporrò di fare
una presentazione!”
Ancora
ridacchiando, si alzò per buttare i cartoni nel cucinino e
non sentì il ragazzo
arrivarle alle spalle. “Non è andata male,
vero?” le chiese, facendola
sobbalzare.
“Oh,
mamma mia! Volevi uccidermi?”
“Oh,
beh, io…” Quando lui arrossì, Allison
sorrise.
“Dai
che stavo scherzando! Prendi un po’ tutto sul serio, eh? Sai,
ogni tanto puoi
osare anche tu!” disse ancora, divertita, scimmiottando le
sue parole.
“Mi
piace osare…” Il sussurro della sua voce si fece
pericolosamente più vicino e
Allison lo guardò avvicinarsi senza dire niente. Non voleva
dire niente. Non
voleva che ci ripensasse. Voleva che lui osasse. Voleva osare anche
lei. Quando
la sua mano si colmò del suo viso e la imprigionò
con il suo corpo contro il
lavello, non ebbe il coraggio di fare niente se non continuare a
guardarlo dal
basso con il cuore che batteva impazzito.
Ma
cosa stava facendo? Era un suo collega! Allison non piaceva ai suoi
colleghi! E
a lei non piacevano loro! Beh, forse questo collega le piaceva. Forse
lui non
era come gli altri. Forse… Quando le labbra di Joe si
posarono sulle sue i
pensieri divennero cenere e si sparpagliarono da soli nel vento. Chiuse
gli
occhi mentre schiudeva la bocca e poi non dovette più
pensare a niente, se non
a quella pelle calda e a quel respiro affannato quando il suo.
Joe
le passò le mani dietro la schiena e la staccò
dal lavello, facendola girare
nella piccola cucina. Allison rise di gusto quando la
sollevò e la fece sedere
sul tavolo, tornando a baciarla e stringendola a sé.
***
Allison
aprì gli occhi e si girò nel letto. Quando
realizzò che era disfatto anche
dall’altro lato, si tirò a sedere di colpo. Nel
momento in cui si accorse di
essere nuda, si ricordò della sera precedente. Del progetto.
Della Sunfun. Di
Joe. Joe!
“Joe”
lo chiamò, alzandosi dal letto, avvolgendosi il lenzuolo
intorno al corpo.
“Joe” disse ancora, uscendo dalla stanza. Quando
entrò nel piccolo soggiorno,
non notò nient’altro se non il suo portatile
chiuso, sul tavolino. Si avvicinò
velocemente al tavolino e tastò il computer, già
sapendo quello che non avrebbe
trovato: la chiavetta usb con la presentazione del progetto.
“Merda!”
esclamò. L’aveva fregata! Il novellino aveva fatto
tutto il carino e il
servizievole e poi voleva soltanto rubarle il progetto.
Lanciò uno sguardo
all’orologio: dieci minuti e sarebbe iniziata la
presentazione. “Merda, merda!”
gridò ancora.
Corse
di nuovo in camera e si allungò per raggiungere il telefono
sul comodino:
c’erano un sacco di notifiche, ma quando sbloccò
lo schermo la scritta rossa
‘Low battery’ lampeggiò più
volte e il cellulare si spense. “Merda!” Non
sarebbe riuscita a chiamare Bill Young per dirgli che stava arrivando.
Si
lavò velocemente e infilò un vestito e le calze.
Quando uscì di casa, mise la
trousse del trucco in borsetta, pensando di truccarsi in macchina.
Scese in
strada e cercò un taxi, ma sembrava che non ce ne fosse
neanche uno
disponibile.
Dopo
aver imprecato due volte, riuscì a vederne uno in fondo alla
strada e corse per
prenderlo. Riuscì a non travolgere la coppia che stava
uscendo dall’abitacolo e
si sistemò velocemente sul sedile posteriore. Diede
all’autista l’indirizzo
dello studio e tirò fuori dalla borsetta la trousse.
“È
pericoloso truccarsi in macchina” disse il tassista,
guardandola dallo
specchietto retrovisore, ma Allison non si girò neanche.
“Lo
so, lo so, ma è un’emergenza. Lei guardi la strada
e non inchiodi
all’improvviso, io resto girata così ci sono meno
probabilità” spiegò lei, come
un generale in guerra. Che poi, era proprio una guerra: la guerra che
le aveva
scatenato il novellino.
Che
sciocca era stata a fidarsi di lui! Oh, c’era da dire che lui
era stato
veramente bravo: il brodo, il ‘ti lascio dormire’,
le sue labbra, la sua
lingua… Cavolo, la sua lingua! Si scoprì
arrossita nello specchietto e si scusò
dicendosi che era per la rabbia di essersi fatta fregare.
Sotto
l’edificio dove lavorava, Allison scese di corsa dal taxi e
si infilò fra le
porte vetrate. Guardò di nuovo l’orologio mentre
aspettava l’ascensore e
tamburellò nervosamente con la scarpa sul pavimento: era
tardissimo!
Al
ventiduesimo piano, appena le porte si aprirono, si fiondò
verso il corridoio
dell’agenzia e passò davanti alla receptionist,
alzando il cartellino, senza
neanche fermarsi. Camminò velocemente verso la sala
riunioni, ma quando ci
arrivò davanti, la porta si aprì e lei si
scontrò con Bill Young che stava
uscendo.
“Allison!
Allora stai bene! Eravamo preoccupati. Parker ha insistito per
aspettarti, ma
dopo mezz’ora abbiamo dovuto per forza iniziare. Pensavo ti
fosse tornata la
febbre e che non saresti venuta!” La voce di Young le
riempì le orecchie, il
cervello e i pensieri. Si ritrovò a stringere mani e a
sorridere rassicurando
tutti sul fatto che stesse bene.
Quando
i delegati della Sunfun e Young uscirono dalla sala riunioni, Allison
entrò e
vide subito Joe che la guardava con le braccia incrociate sul petto.
“Spero
che tu non l’abbia fatto apposta…”
iniziò lui.
“Pensavo
che fossi scappato via…” disse lei insieme a Joe.
Si
interruppero tutti e due e scoppiarono a ridere mentre si guardavano
con occhi
spalancati.
“Scusami,
pensavo che volessi prenderti gioco di me”
sussurrò il ragazzo.
“Io
pensavo che volessi prenderti il merito per il progetto!” Si
fece più vicino a
lui e gli posò una mano sul braccio.
“Ti
ho chiamato tantissime volte. Ti ho mandato una marea di
messaggi!” esclamò
Joe, un po’ ferito. Allison tirò fuori dalla
borsetta il telefono e glielo
mostrò.
“Si
è scaricato. È spento”
spiegò, avvicinandosi a una presa di corrente e
infilando il cavo nell’incastro. Lo schermo si
illuminò e lei continuò a
parlare. “Adesso vediamo i tuoi
messaggi…”
Joe
si avvicinò con tre passi e quasi gridò:
“No, non adesso!”
Come?
La ragazza corrugò la fronte mentre pigiava il tasto per
accendere il telefono,
continuando a guardarlo. “Perché no?”
Joe si infilò le mani nelle tasche dei
jeans e guardò per terra: era imbarazzato.
Quando
il cellulare si accese, notò le diciotto chiamate e le venti
notifiche dei
messaggi. Alzando un sopracciglio, gli lanciò
un’occhiata divertita, aprì la
chat del ragazzo e iniziò a scorrere tutti i commenti. Negli
ultimi lui
chiedeva se andasse tutto bene e diceva che era preoccupato, sempre
più in
agitazione, mentre scorrendo in su, verso i primi che aveva mandato,
presentavano meno punti esclamativi e più calma. Fino al
primo che lui aveva
mandato: risultava di quella mattina, forse subito dopo che era uscito
di casa.
Allison
lo lesse con un sorriso sulle labbra e poi alzò lo sguardo
su di lui. “Non
volevo che tu lo leggessi con me vicino…” si
scusò lui, ma a lei non importò e
scosse la testa per rassicurarlo.
“Anch’io
sono stata benissimo con te, ieri sera” sussurrò,
avvicinandosi. Lui spalancò
gli occhi e sorrise, come se non se lo fosse aspettato, così
lei continuò: “E
non vedo l’ora di rifarlo!”
Quando
lui coprì la distanza che li separava con due lunghi passi,
lei si buttò fra le
sue braccia senza preoccuparsi del fatto che la sala riunioni avesse i
vetri a
vista, che chiunque dei presenti potesse vederli, e lo baciò.
“Sembra
che il progetto sia piaciuto, alla fine, eh?” gli disse,
quasi imbarazzata, ma
solo perché molto emozionata di stare fra le sue braccia.
“Il
nostro progetto, dici? Oh, sì! È piaciuto
tantissimo”. Lui sorrise, senza
staccare gli occhi da lei.
Il
loro progetto? Sembrava qualcosa di
molto di più di una presentazione per la Sunfun. E
chissà, forse lo era davvero.
FINE
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