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Autore: saraclove    14/05/2020    0 recensioni
C'era una guerra in corso nel continente tra il Regno di Raven e l'impero dell'Ishdon, una guerra che dura ormai da tre anni e non da segno di cessare. Anastasia Wyatt è stanca di questa situazione, perché sua madre sta male e ha bisogno di cure, ma la guerra impedisce a lei e a suo padre di guadagnare il necessario dalla loro piccola attività di caccia nel bosco sulle colline ai confini dell'impero. Così decide di partire, nonostante l'opposizione e gli avvertimenti del suo vecchio, per partecipare lei stessa a quella guerra a fianco dei soldati imperiali per vincerla e poter finalmente porre fine a quel caos. Ma una volta fuggita di casa e raggiunto l'accampamento militare, si accorge di quanto la sua idea di guerra fosse sbagliata, perché incontrerà soldati dalle capacità incredibili, quasi sovrumane e scoprirà di doversi scontrare con esseri mostruosi in grado di spazzare via da soli un intero reggimento.
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stephen sapeva di non aver mai avuto un’ottima vista. I dottori dicevano che era un tipo di miopia congenita che aveva fin dalla nascita. Forse aveva a che fare con le modifiche genetiche che aveva subito il suo embrione quando era ancora nel grembo della madre.
Stavolta però era diverso, stavolta non aveva nulla a che fare con la miopia, stavolta tutto appariva così sfocato da fargli venire la nausea, come se avesse aperto gli occhi sott’acqua. Correva per un lungo corridoio bianco di cui non conosceva la fine e, anche se dei volti indistinti gli urlavano di fermarsi, lo minacciavano, tentavano di catturarlo, lui non smise di correre e si impose di non guardare indietro. La testa pulsava e la sirena dell’allarme non faceva che peggiorare le cose. Non era mai stato un ottimo atleta, aveva un corpo fragile, una salute cagionevole e per di più quella mattina non aveva preso gli antidolorifici per l’emicrania. Cercò disperatamente di inspirare dell’aria e deglutire la bile, ma ogni volta che respirava il dolore al petto diventava così forte da fargli dimenticare quello alla testa. Era come se qualcuno gli avesse strizzato il cuore fra le mani.
Ad un certo punto le pareti bianche scomparvero. Aveva raggiunto una foresta, la Foresta Nera. Infatti era tutto così buio…così mosso…
*
Riaprì gli occhi e si trovò davanti un volto talmente vicino che al minimo movimento della testa, i loro nasi si sarebbero toccati. Forse era una fortuna che non fosse in grado di farlo.
Il dolore lancinante alla testa ritornò assieme alla sirena, un continuo ronzio fastidioso che si era impresso nella sua mente. Tutto intorno girava ad una velocità nauseante, in un insieme indistinto di luci e ombre, ma in quel vortice riuscì a distinguere due occhi azzurri che lo fissavano imperscrutabili.
Non può essere…
Cercò di coprirsi e orecchie, mentre il nervo sulla fronte continuava a pulsare ad un ritmo accelerato, ma non riuscì a muoversi: le sue braccia non rispondevano più.
Quegli occhi azzurri, gli occhi dell’uomo che lo aveva educato a chiamare “padre”.
‘Non è possibile.’ si ripeté dentro di sé, rifiutandosi di credere alla sua vista. Era sicuro di aver corso abbastanza, di aver superato la massima distanza a cui poteva arrivare il GPS installato da qualche parte dentro di lui. Non potevano averlo già trovato.
I suoi pensieri si volsero inevitabilmente alla punizione che avrebbe ricevuto. Stavolta non sarebbe stata semplicemente una scossa elettrica. Probabilmente gli avrebbero tagliato le dita o rotto le gambe, per impedirgli di scappare di nuovo.
«No.…» tentò di protestare, ma uscì soltanto un verso soffocato.
No, no, no. Non sarebbe tornato indietro senza lottare.
«Calmati» sentì la voce roca di suo padre come un eco lontano, quella voce che aveva imparato a etichettare come minacciosa nonostante le cadenze perfettamente normali.
Scalciò con i piedi per tentare di alzarsi, ma neanche quelli obbedivano ai comandi.
Avanti gambe.
Quando riuscì finalmente ad alzare leggermente il ginocchio sinistro, ma una mano glielo spinse di nuovo a terra e lo tenne fermo.
«Lasciami, no, lasciami!» la gola si seccò e cominciò a tossire.
«Calmati, sei messo male».
No, no!
Le lacrime cominciarono ad annebbiargli la vista. Tutto cominciò a tremolare. Sbatté le palpebre per ricacciarle da dove erano venute. Non doveva piangere, doveva trovare un modo per scappare.
La testa smise di girare e la vista si schiarì.
Ma cosa…
Quel volto…stava cambiando forma. Il volto di suo padre stava lentamente scomparendo per lasciare spazio a dei lineamenti più giovanili e gentili.
«E’ meglio se non ti muovi, ok?» anche la voce era più squillante e aveva perso quella nota minacciosa. Anzi, possedeva un potere tranquillizzante. Sentì l’emicrania affievolirsi e la testa diventare più leggera.
«Bendategli le ferite» continuò quella voce che lo faceva sentire così bene…
Qualcuno gli toccò la spalla e si sentì come se lo avesse trafitto con un coltello. Urlò dal dolore. Adesso ricordava: era stato colpito con un proiettile durante la corsa. Sentì il sangue caldo e fresco ricominciare a scorrere giù dal suo braccio. La ferita si era riaperta.
«Scusami» disse una voce femminile. Cercò di individuare nella sua voce quella di qualche sua sorella, ma erano completamente diverse. Forse era un’infermiera...no, loro non chiedevano scusa per il dolore che provocavano. Si maledisse per non essersi accorto di altre presenze. In una situazione normale li avrebbe rilevati.
Quanti erano?
«Scusami, ma se vuoi che ti curi devi stare fermo e sopportare un po’».
Il dolore andò aumentando, ma si costrinse a stare fermo e a non urlare, mordendosi le labbra quasi fino a farle sanguinare.
«Non sono molto brava in queste cose, spero vada bene» disse la donna alla fine della medicazione. La benda era leggermente stretta, ma il dolore era diventato un semplice pulsare lontano.
«Come ti chiami?» di nuovo quella voce. L’emicrania si affievolì di nuovo e riuscì ad alzarsi. Il ragazzo dagli occhi azzurri lo aiutò mettendogli una mano dietro la schiena.
«Continua...» disse per tutta risposta «continua a parlare...».
Il ragazzo sorrise. «Sono felice che la mia voce ti sia d’aiuto. Mi chiamo Alex...».
Quel tipo era leggermente più grande di lui, sulla ventina, stranamente simile a suo padre e...
Divisa… indossava una divisa, non un camice o un mantello.
«...e loro sono Celine,» indicò la ragazza inginocchiata di fianco a lui che lo aveva bendato, «e Christofer» fece un cenno all’uomo di mezz’età alla sua sinistra. Santo cielo, indossavano davvero tutti delle divise. Si guardò intorno per vedere se c’era qualcun’altro. Erano solo loro. Era salvo.
«Siete veri?» chiese infine.
«Cosa?» intervenne l’uomo di mezz’età ridendo incredulo «dopo che ti abbiamo curato credi ancora che siamo delle allucinazioni?».
«No, non allucinazioni, intendo…» si bloccò per una fitta alla testa.
«Chris lascia parlare me» disse il ragazzo di nome Alex e il dolore sparì di nuovo. Era una specie di incantesimo?
«...siete dei veri soldati? Soldati dell’esercito dell’Ishdon? Non è un travestimento vero?».
«Si, siamo soldati dell’impero» Alex gli mostrò un distintivo.  «Quindi, puoi dirci come ti chiami e come sei finito qui?».
«Stephen, mi chiamo Stephen e vengo...» esitò «...vengo dalla città dei Corvi» cercò di restare sul vago. La capitale era abbastanza vasta da impedire loro di individuare un punto esatto. «Io...sono scappato. So che sono un vostro nemico, ma vi prego, portatemi con voi, nascondetemi da qualche parte. Farò qualunque cosa.» Il tono si fece implorante e disperato. In quel momento la prospettiva di essere un prigioniero di guerra o uno schiavo, o qualsiasi altra cosa era migliore che ritornare al laboratorio Kateline.
«Da cosa stai scappando?» domandò Alex, con lo stesso tono con cui si parla ai bambini.
«Dai Moisha e… da mio padre. Verranno a prendere anche voi.»
   
 
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