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Autore: Red_Coat    14/05/2020    2 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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Per alcuni la ricerca di sé stessi è facile, lineare e per nulla invasiva, come il gesto di bere un bicchiere d’acqua.
Poi ci sono quelle persone complicate, è sono una maggioranza davvero notevole a dire il vero, il cui animo è così profondo da rischiare di farli finire annegati nelle complesse spelonche della loro storia, e per loro ovviamente il processo e tutt’altro che piacevole o naturale.
Solo un giorno in cima alla vetta più alta con una bella panoramica sul proprio subconscio tra luci ed ombre, e poi via giù di corsa per il ripido tracciato, come sulle montagne russe. E mentre si corre il paesaggio cambia, si modifica, diventa sorprendente e poi spaventoso e in ultimo ancora pericoloso, addirittura mortale.
Tra lati oscuri che non credevi di avere e dettagli di te che avevi dimenticato, volontariamente o meno.
Tutto torna a galla all’improvviso durante quella frenetica corsa, e invece di trovare te stesso ti perdi e finisci per rimanere annichilito e muto lì dove il treno ti lascia, in mezzo ad un fiume in piena o ad un branco di lupi famelici e neri come i rimorsi di coscienza che all’improvviso ti dilaniano il cuore.
Ecco, di sicuro tra queste due categorie di persone il giovane Cloud Strife rientrava a pieno diritto nella seconda, a prescindere che le sue condizioni di salute mentale fossero aggravate dall’influenza di bugie ed esperimenti.
Ancora non aveva imparato a guardarsi allo specchio nell’insieme, ombre e luci, e questo non influiva a suo vantaggio nella risoluzione del grande puzzle della sua esistenza. Non fino a quando non avrebbe imparato a unire i pezzi senza scartarne nessuno, nemmeno il più spregevole.
 
\\\

Giorni prima …
 
Faceva freddo … molto, molto freddo. E Sua mamma era arrabbiata, succedeva sempre quando si faceva male, per un motivo o per un altro. Era sola con un figlio a cui badare e una casa da mandare avanti, spesso non riusciva a stargli dietro.
La sentì sbruffare, mentre continuava a tenere gli occhi chiusi e a restarsene disteso sul letto.
 
«Mi spieghi come fai a conciarti sempre in questo stato? Dove sei andato stavolta?» 
 
Sospirò lungamente, la testa vuota e annebbiata. Già, come aveva fatto. Ma soprattutto ... com'era conciato? 
Un dolore sordo lo ferì attraversandogli le tempie, un fischio lungo e tagliente rimbombò nelle sue orecchie. Altre immagini si aprirono rapide uno squarcio nella sua memoria: Nibelheim in fiamme, Sephiroth, la Masamune sporca di sangue, il suo ghigno malefico contrapposto al dolore di Tifa.
Ebbe paura. Molta paura. Il cuore accelerò di colpo i suoi battiti come se volesse correre lontano da quell'incubo, ma non ci riuscì, anzi questi si fece ancora più concreto quando nel sogno riaprì gli occhi e si ritrovò nella sua casa in fiamme e il cadavere di sua madre riverso a terra, in una pazzo di sangue. Urlò, e nel mentre sentì la risata di Sephiroth farsi sempre più intensa, come il fumo e il fuoco che lo circondarono fino a bruciare completamente ogni cosa, perfino i suoi stessi polmoni. 
 
«Credi davvero di riuscire a venirne a capo?»
 
Nel buio in cui si ritrovò a sprofondare il suo nemico si fece di nuovo sentire. 
 
«Quali di questi ricordi sono veri, e quali falsi? Chi può dirti la verità?» 
«Basta! Smettila! Tu non fai più parte della mia vita, non ne farai più parte!» si ribellò «Sei morto! Ti ho ucciso! Non c'è più posto per te qui, Sephiroth!»
 
Incurante della sua rabbia, questi rise di nuovo, quasi intenerito.
 
«E pensi che questo basti? Illuso. Io farò sempre parte di te, soprattutto ora ... non puoi ricostruirti prendendo solo i pezzi che ti piacciono. A meno che tu non voglia continuare a vivere nella menzogna, visto quanto ci stai bene.» 
 
Sghignazzò perfido.
Strife strinse i pugni convulsamente, una smorfia rabbiosa deformò le sue labbra.
 
«Si che posso!» sbraitò, ringhiando con tutto il fiato che aveva in gola «Posso! E tu non hai niente a che fare con me!»
 
Il geostigma. All'improvviso gli fece male, talmente tanto da svegliarlo di colpo dal sonno profondo in cui era caduto. Si tenne il braccio, stringendo i denti. Il mal di testa s'intensificò stringendolo in una morsa a tenaglia ma poi all'improvviso svanì, lasciandolo spossato lì dov'era, sdraiato in mezzo all'erba umida del mattino, vicino alle braci del falò che aveva acceso per restare al caldo. 
Aveva la febbre, la fronte sudata, tremava di freddo, ma provò comunque ad alzarsi.
Riuscì solo a restare in ginocchio, la nausea e potenti giramenti di testa.
Strinse la terra e l'erba sotto i palmi delle sue mani, quasi fino a sradicarli. Chiuse gli occhi e qualche lacrima nervosa gli sfuggì.
Scosse il capo, come per scacciare perfino il ricordo di quel sogno.
 
«Sephiroth ...» mormorò tra i denti, singhiozzando «Tu, bastardo ...»
 
\\\
 
Guidare in moto fino al prossimo villaggio non fu facile, ma per fortuna non era molto lontano. Raggiunse Cosmo Canyon con l'intenzione di trovare un po’ di ospitalità fino a che non fosse stato in grado di ripartire, ma sperava anche di trovare qualche altra informazione sul geostigma da Bugenhagen.
Le sue aspettative furono disilluse solo a metà. Red XIII lo accolse volentieri nella sua tribù, offrendogli tutto quello di cui aveva bisogno, ma gli disse anche che purtroppo il vecchio saggio era tornato al pianeta da appena qualche giorno.
 
«Cosa volevi chiedergli?» domandò il leone, mentre erano seduti entrambi attorno al fuoco sacro.
 
Cloud Strife esitò ancora un istante prima di rispondere. Aveva scelto Red perché non voleva che nessun altro dei suoi amici conoscesse il mostro contro cui stava lottando, ma ... poteva fidarsi?
Sospirò.
Ormai non era più importante, e per un istante fu tentato di lasciar cadere quell'argomento nel vuoto.
Ma ... se Red o un altro dei suoi familiari avesse invece qualche informazione utile? Doveva liberarsi del geostigma, doveva trovare un modo per lasciarselo alle spalle. Sephiroth ... Lo stava usando contro di lui, ancora una volta. Non sapeva come questo fosse possibile, ma ... doveva assolutamente guarire. 
 
«La piaga che sta colpendo il pianeta? Sai nulla in merito?»
 
Nanaki si fece pensieroso, scosse il capo.
 
«Il geostigma, intendi? Ne abbiamo sentito parlare, ma nessuno di noi n'è stato colpito.»
 
Per fortuna non fece ulteriori domande, anche se a dire il vero avrebbe voluto, e tra di loro cadde un silenzio che suonò più confortante di mille parole.
Quella notte Cloud Strife la passò sveglio ad osservare il cielo spaventosamente vicino dalla finestra della stanza che era stata di Bugenhagen, senza riuscire a chiudere occhio.
Nessuno si era accorto del suo geostigma grazie al velo nero e alla benda con i quali lo aveva coperto, ma forse sarebbe stato un bene che lo avessero fatto.
Brancolava nel buio, e avrebbe tanto voluto che la luce di almeno una di quelle stelle fosse scesa ad illuminarlo. 
Certo non si aspettava di ricevere quella luce proprio da quelli che erano stati i suoi più acerrimi nemici dopo Sephiroth.
Fu proprio Nanaki a portargli la notizia, tre giorni dopo il suo arrivo a Cosmo Canyon.
Bussò alla sua porta e gli comunicò ch'era arrivato un ospite a cui poteva chiedere qualche informazione in più.
 
«È un dottore.» gli comunicò «Sembra un tipo a posto.»
 
Si chiamava Yukio Fujita.
 
\\\

(...)

«Così ... sei tu Cloud Strife.» 
 
Yukio si voltò a guardarlo. Era esattamente come lo aveva visto nel lifestream, perfino con gli stessi vestiti addosso. L'ennesima conferma.
Il biondo si bloccò di colpo, guardandolo negli occhi e cercando di capire. Non era stata una domanda. Si conoscevano già?
 
«Lei è ...» iniziò.
«Yukio Fujita.» si presentò, porgendogli la mano «Sono un medico.»
 
"Ex SOLDIER 1st class in una vita precedente, nonché nonno, e forse anche complice ... della tua nemesi." 
Cloud titubò ancora per un istante, ma alla fine decise di stringergli la mano e quando lo fece con una presa salda per qualche attimo Yukio lo inchiodò al suo sguardo, lanciando un'occhiata prima al braccio coperto dalla stoffa nera, poi al suo volto sorpreso.
 
«Il leone mi ha detto che stai cercando informazioni sul geostigma.» aggiunse, lasciandolo andare.
 
Strife tornò a scrutarlo nuovamente, con molta attenzione. Poteva fidarsi? 
Alla fine pensò che né Tifa, né tantomeno Barret o qualcun altro dei suoi conoscenti lo avrebbe mai incontrato, quindi annuì.
 
«Potete aiutarmi?» 
 
Yukio sorrise appena. Scosse il capo, osservandolo quasi con tenerezza.
 
«Non molto, a dir la verità.» gli rispose «Il morbo si è già diffuso in tutto il pianeta, almeno nei continenti est ed ovest, ma non esiste ancora una cura.» 
 
Poi aprì la sua borsa, ne trasse fuori qualche boccetta di stimolante e gliela consegnò.
 
«Solo questi sembrano funzionare, almeno come palliativo ai sintomi. Ma non ne abusare.» 
 
Cloud Strife rabbrividì, fermandosi ad osservarlo e lanciando rapide occhiate prima alle boccette e poi a lui.
 
«Dove le avete prese?»
 
Gli stimolanti non erano qualcosa di facilmente reperibile, soprattutto ora che la Shinra aveva smesso di esistere.
Yukio sorrise di nuovo, gli sembrò quasi di leggergli nel pensieri. Aveva lo stesso identico sguardo diffidente di Victor. Erano nemici giurati, ma almeno su qualcosa si trovavano d'accordo.
Non gli negò la verità.
 
«La Shinra è morta, ma qualcuno ad essa legata sta cercando di aiutare ora. Non piacciono neanche a me, ma devo aiutare i miei pazienti.» 
«Quindi collabora con loro? Chi sono?» lo incalzò.
«Non ha importanza.» rispose però lui «Lo saprai se verrà trovata una cura.» tornò a guardarlo di nuovo negli occhi, compassionevole e quasi paterno «Quello che è certo per ora è che ... l'unico modo per contrarre il geostigma è trovarsi ... nel posto giusto al momento sbagliato.»
 
Cloud sgranò gli occhi, come colpito da quell'ultima frase. Nel vederlo Yukio ne fu quasi commosso.
 
«Credo di non aver bisogno di chiederti se ti è capitato.» concluse scrutando quello sguardo.
 
"E ti ricapiterà, molto presto." 
Non attese una risposta. Prese la sua borsa, si abbottonò il cappotto e scese dalla pedana sulla quale brillava il fuoco sacro. Ma prima di andarsene si voltò a sorridergli un'ultima volta.
 
«Nonostante tutto, Cloud Strife, permettimi di darti un consiglio ...» aggiunse «C'è un'unica strada da percorrere, l'unica che ti rimane. Goditi il viaggio, e fai tesoro del tuo tempo.» 
 
Quindi lo salutò con un cenno della mano e voltatogli le spalle se ne andò, riprendendo il suo cammino. Questo era tutto ciò che poteva fare, il resto dipendeva da loro.
In fondo se il destino doveva compiersi nulla glielo avrebbe impedito, e le sue parole sarebbe diventate solo teneri versi di conforto da rileggere alla fine della strada, prima del lancio nel vuoto e nel buio dell'eterno nulla.

\\\
 
Il fuoco sacro di Cosmo Canyon restò accanto a lui quella sera, mentre rifletteva sulle parole del vecchio medico e sul da farsi. Sembrava un tipo a posto, era stata una fortuna averlo incontrato forse.
Ma … c’erano troppe decisioni da prendere, troppe strade da scegliere, rifletté osservando distrattamente una delle boccette di stimolante che stringeva ancora in mano.
Restò a pensarci a lungo fintanto che il tramonto lasciava il posto al cielo scuro della sera, alle stelle e al grande globo lunare, che sorse tardi e si erse sopra il villaggio inondandolo con la sua luce lattea.
Nanaki andò a trovarlo a quell’ora, portandogli da mangiare, e non fece domande sul geostigma. Invece chiese.
 
«Tifa e gli altri, come stanno?» 
 
Il biondo sospirò. 
 
«Non lo so.» rispose, scuro in volto «Non li vedo dalla fine della guerra.»
 
Il leone lo fissò con l'unico occhio buono, quasi preoccupato.
Strife sospirò di nuovo, incrociando nervosamente le dita e lasciando ardere nei suoi occhi la luce vivida delle fiamme.
 
«Anzi, vorrei che non sappiano che sono stato qui.» gli chiese, quasi imponendoglielo.
 
Il felino sospirò, annuendo.
 
«Se è questo che vuoi ...» replicò. «Ma ...»
«Grazie.» risolse Cloud, perentorio.
 
Quindi tornò a sospirare e aggiunse, quasi a volersi scusare.
 
«Mi farò vivo io. Mi serve tempo ...»
 
***
 
«Non abbiamo prove che sia stato lui.»
 
Reno stava aspettando che Rufus terminasse di parlate per telefono con Reeve, assieme agli altri suoi colleghi fuori dalla porta della stanza del loro capo, quando udì quella frase e non poté più resistere.
Spalancò la porta e si precipitò dentro, beccandosi il rimprovero di Tseng che ignorò bellamente.
 
«Capo, sta commettendo un errore. Non dobbiamo sottovalutarlo di nuovo!»
 
Calò il silenzio nella stanza, Rufus gli rivolse uno sguardo serio senza dire nulle, il cellulare ancora appoggiato all'orecchio. Tseng entrò immediatamente a tentare di trascinarlo via, ma Reno fu irremovibile.
 
«Lo abbiamo già fatto una volta e sappiamo com'è andata.» continuò, le lacrime agli occhi ripensando al suo compare ucciso da Osaka per colpa di un loro eccesso di zelo «La prego. Se molteplici indizi fanno una prova allora possiamo anche aprirci alla possibilità che Victor Osaka sia tornato e stia cercando vendetta. S'è così non ci vorrà molto prima che raggiunga Midgar? Vogliamo permettergli di trasformare tutti gli abitanti di Gaia in zombies?»
«E come pensi di fermarlo?» gli chiese allora Rufus, guardandolo negli occhi.
«Conosciamo bene ormai i suoi assi nella manica e i suoi punti deboli. Tendiamogli una trappola, catturiamolo prima che lo faccia lui con noi!»
«E se fosse proprio questo ciò che vuole? Tentare di catturarlo significherebbe cadere noi nella sua trappola.»
«Sempre meglio questo che aspettare che ci trovi mentre continua a mietere vittime. Almeno lo avremmo individuato inducendolo ad uscire allo scoperto!»
 
Rufus sorrise appena. Scosse il capo.
 
«Avevi detto di conoscere i suoi punti di forza. Non abbiamo i mezzi per sfidarlo, lo sai bene. Il nostro esercito è ancora troppo residuo, ed è la nostra unica fonte di sicurezza nel qual caso riuscisse a trovarci.» gli fece notare, aggiungendo poi per Reeve che continuava ad ascoltare in silenzio oltre la cornetta «La WRO è nella stessa identica situazione. I volontari sono molti, ma la maggior parte sono bambini o adolescenti, e quelli addestrati ad affrontare un SOLDIER non riuscirebbero ugualmente ad affrontarne uno del suo calibro.»
«Offriamogli uno scambio, allora.»
 
Quella proposta quasi gli sfuggì dalla bocca, e lasciò di stucco tutti i suoi interlocutori, Rufus incluso.
Lo vide assottigliare le palpebre fissando la sua espressione disperata, vedendolo ansimare come se stesse facendo uno sforzo enorme. E poi lo vide riaversi quando gli chiese, sibillino.
 
«Cosa stai cercando di propormi, Reno?»
 
Fu come se all'improvviso il rosso avesse realizzato il pieno significato di quella sua proposta lanciata sull'onda dello sgomento.
Deglutì, osservando il volto severo di Tseng e quello sconvolto di Elena.
 
«I-io ...» tornò a balbettare, descrivendo un piano folle a cui aveva pensato durante tutte le notti insonni ad aspettare che quel mistero venisse svelato.
 
Prese fiato e parlò, di corsa, vomitando le parole.
 
«La testa di JENOVA. Presidente, è stato lei stesso a dire che avrebbe potuto essere il nostro asso nella manica. Non sappiamo se la stia cercando o meno, possiamo scoprirlo solo usandola come esca. Comunque sia se è vendetta che vuole sono sicuro che si farà avanti anche solo per il mero gusto di sfidarci.»
 
Trattenne il fiato studiando la reazione del giovane Shinra, lo stesso fecero i suoi colleghi presenti e perfino Reeve, restando in attesa.
La proposta di Reno, per quanto pericolosa, sembrava la più adatta a risolvere la situazione, tuttavia ... c'erano molti punti oscuri in quel piano, primo fra tutti quello che si affrettò ad esporre Rufus Shinra stesso.
 
«Lo sai che non è un piano privo di rischi, vero? Che potrebbe benissimo accadere che sia lui ad uccidere noi ancor prima di riuscire a mettergli le mani addosso, sempre ammesso che sia lui il responsabile.»
 
Stavolta a rispondere al posto di Reno fu proprio Reeve.
 
«Credo che potrebbe funzionare, Presidente.» gli disse «In ogni caso è l'unica cosa che ci resta da fare. Dobbiamo evitare che altri innocenti cadano nella rete dell'epidemia zombie e per farlo non possiamo che scoprirne la causa e bloccarla. Inoltre se quegli uomini che abbiamo avvistato al cratere nord sono ancora in giro, che siano assieme a lui no potremmo prendere due piccioni con una fava.»
«Mph.» sorrise Shinra «Sta diventando anche più temibile del geostigma.» osservò, senza sapere se esserne divertito o amareggiato.
 
Tseng abbassò lo sguardo per un istante, rivolgendo poi la sua attenzione a Reno, che continuava ad ascoltarli in ansia.
 
«Abbiamo abbastanza forze per dei presidi?» chiese Rufus.
«Si, dovremmo farcela.» replicò Tuesti «Manderò una squadra a Gongaga, una a Nibelheim e una a Costa del Sol.»
«Lasciamo stare Gongaga e anche Nibelheim.» gli ordinò però l'erede della Shinra, scuotendo il capo «Dobbiamo impedire che l'epidemia si diffonda sul nostro continente, mi serve monitorare il passaggio di chiunque dall'est all'ovest. Voglio che una squadra si occupi di sorvegliare Costa del Sol e che altre lo facciano con gli altri principali punti di sbarco. Bastano anche poche persone, e non è necessario che la popolazione sappia molto. Dobbiamo farci sentire ma senza generare allarmismi.» poi guardò Reno e sorrise «S’è noi che sta cercando ci troverà, e allora potremmo pensare a come agire.»
 
Il rosso sorrise e annuì sollevato, lo stesso fece Reeve, anche se non poté essere visto.
 
«Sembra un ottimo piano.» disse «Ma dobbiamo essere pronti a tutto. Avviso Vincent.»
 
La chiamata si chiuse. Faccia a faccio coi suoi turks, Rufus si prese un istante per osservarli.
Erano visibilmente scossi, e li capiva.
 
«Visto che a quanto pare dobbiamo rassegnarci all'idea che il mostro sia ancora vivo.» osservò, per poi decidere «Come procede il reclutamento delle vecchie leve?» chiese a Tseng.
«Non molto bene in realtà.» gli rispose quello, dispiaciuto «Sono in pochi quelli che vogliono tornare.»
«Mph. Ingrati.» sogghignò il Presidente, divertito «Quanti uomini siete riusciti a radunare?» tornò quindi a domandare.
«Circa trecento. Sono quasi tutti fanti.»
 
Sul volto del biondo si dipinse un'espressione stupita e soddisfatta.
 
«Pensavo peggio.» osservò compiaciuto «Mandatene una decina a presidiare il porto di Junon e altre squadre di cinque nei punti di attracco della costa più frequentati.» decretò «Ne voglio qualcuno anche qui, e il resto a Midgar. Non sprechiamo SOLDIER inutilmente.» infine si rivolse a Reno «Non staremo qui ad aspettare la morte. Potrebbe anche essere che ci stiamo infilando in una trappola, ma se c'è anche solo la minima possibilità di vincere questa guerra voglio giocarmela fino all'ultimo jolly.»
 
Soddisfatto e sollevato, il rosso annuì.
 
***
 
Qualche giorno dopo …
 
La bottega dell'armaiolo a cui Strife aveva commissionato la sua nuova arma era piccola, confusionaria e male illuminata da alcune torce. A metà strada tra i tetti rossi di Gongaga e il Gold Saucer, era la stessa in cui aveva trovato la black materia, e l’aveva scelta proprio perché a dispetto delle circostanze gli era sembrata l’unico posto in grado di accontentarlo.
Se quell’uomo era stato capace di custodire una materia così potente probabilmente poteva soddisfare anche la sua complicata richiesta.
Era stato il primo luogo che aveva visitato dopo aver messo piede nel continente, e dopo mesi ora si apprestava ad essere l’ultimo, prima della sua visita al porto di Costa del Sol per ritornare indietro.
Quando entrò tuttavia non vide nessuno, seppure non tralasciò di scrutare coi suoi occhi azzurri anche il più infimo angolo buio del caotico negozio, pieno di armi e cianfrusaglie utili ad un guerriero.
Sulla parete destra, appese in fila un po’ a casaccio, una serie di armi bianche, spade e sciabole; un po’ dappertutto invece, sparse su scaffali, casse ed espositori, c'erano accessori da battaglia, alcuni dei quali piuttosto rari, e qualche materia di base, mentre quelle più ricercate erano custodite assieme ai medicinali dietro alla cassa, al momento però sguarnita di qualcuno che la curasse.
Strife la superò e notò che la porta che dava sul retro era semi aperta. Da dietro lo stipite trapelava della luce arancione, e all'improvviso anche dei colpi metallici si fecero udire.
 
«C'è nessuno?» chiese, ma non ricevette risposta così si decise ad entrare.
 
Il fabbro era al lavoro su una vecchia spada, la visiera davanti agli occhi e il martello ancora stretto in mano, le possenti braccia sudate a causa dello sforzo e del calore della forgia.
Tossicchiò, approfittando di un momento di silenzio, e così riuscì ad attirare la sua attenzione.
 
«Oh, eccoti!» lo accolse cordiale l'uomo, riponendo i ferri del mestiere e sollevando la visiera «Sei qui per la spada? L'ho ultimata giusto ieri.» concluse.
 
Quindi lo condusse sul fondo dell'enorme stanza, quasi più grande del negozio stesso, dove vide scintillare una meravigliosa spada molto simile alla Buster Sword per forma, ma più leggera e agile, e anche leggermente più piccola.
L'uomo la prese in mano e gliela consegnò.
 
«C'è voluto un po’ per capire come crearla, è stata una bella sfida ma alla fine sono soddisfatto. Che ne dici?»
 
Cloud la prese tra le mani e ne saggiò il peso, provando a simulare qualche fendente.
Un’arma composta da altre sei, una spada principale alla quale si agganciavano le altre cinque: una spessa lastra di metallo piegata a V chiamata lama cava, il cui bordo fungeva da punto di impatto per la spada assemblata contribuendo a darle la forma della spada alla quale era ispirata; Due lunghe spade specchiate, una a bordo dritto e una con bordo a sega, entrambe con una lunga elsa nera, e infine due spade identiche, a pugnale a specchio. Queste ultime erano armi ad un taglio, con un meccanismo a forma di ingranaggio tra l'elsa e la lama che consentiva loro di piegarsi alla stregua di un coltello a serramanico. 
Grazie a ciò potevano bloccarsi sui lati della spada assemblata, con i bordi rivolti verso la lama principale nella parte anteriore della spada. Inoltre una delle due lame poteva essere rapidamente espulsa dal meccanismo dell'assemblaggio, se necessario, fornendogli un'arma fuori mano.
Ogni arma era progettata per agganciarsi alla struttura di supporto per la sua moto che gli avrebbe così fatto da fodero, oltre ovviamente che per bilanciare la spada integrale che sarebbe andata a costruire, e per potenziare le abilità del suo possessore. Lo capì subito e ne fu soddisfatto.
La guerra era finita, Sephiroth era stato sconfitto, ma qualcosa dentro di lui continuava a lasciarlo inquietato. Con un’arma del genere sarebbe stato pronto a qualsiasi tipo di battaglia.
Sorrise guardando colui che gliel'aveva realizzata, quindi tirò fuori dalla tasca del pantalone un sacchetto quasi pieno di gil e glielo consegnò.
 
«Pienamente meritati.» disse, rendendolo orgoglioso.
«È stato un piacere!» ridacchiò quello, poi però guardò la Buster Sword che ancora portava in spalla «A proposito. Non mi piace insistere ma ... quella spada che ti porti dietro è una bellezza. Potrei anche accettarla al posto di metà dei tuoi gil, sicuro di non volerci pensare?»
 
Strife si fece serio, lanciando un'occhiata alla spada appesa alle sue spalle.
Zack. I suoi ricordi ... I suoi sogni ...
S'intristì, scuotendo severamente il capo.
 
«Non posso.» decretò, stringendo con la mano libera l'impugnatura in cuoio, sulla quale poteva ancora scorgere l'impronta del suo precedente possessore «Non mi appartiene. Devo restituirla al suo proprietario.»
 
L'uomo annuì comprensivo, incrociando le braccia sul petto.
 
«Capisco.» replicò «Beato lui allora. È stato un piacere fare affari con te, comunque. Torna quando vuoi, ti prometto un occhio di riguardo.»
 
Strife sorrise e annuì.
 
«Me ne ricorderò. Grazie.»
 
\\\
 
Fu proprio sulla strada di ritorno verso Costa del Sol che udì per la prima volta il canto di quel lupo, e fu come risentire la sensazione di gelo eterno nell'anima che aveva accompagnato il suo primissimo incontro con Osaka.
Quella notte, stranamente, quegli stessi ricordi tornarono a galla nei suoi sogni pur nonostante avesse cercato di non dargli spazio durante la veglia.
Al risveglio, poco prima dell'alba, sognò che uno dei proiettili usati da Osaka quando lo aveva aggredito poco dopo la morte di Zack avesse raggiunto il bersaglio. Si svegliò di soprassalto, lanciò un'occhiata alla Buster Sword appoggiata all'albero accanto alla roccia sul quale si era accasciato, e paradossalmente pensò che restituirla forse gli avrebbe dato più pace, liberandolo anche dallo spettro vendicativo di Victor Osaka.
Perché per lui era morto, pur non ricordandone gli ultimi istanti, e se in vita non aveva fatto che rinfacciargli l'essersi appropriato di ricordi non suoi, forse questo lo avrebbe allontanato dal perseguitarlo dal lifestream.
Non voleva liberarsi di Zack, anzi avrebbe voluto che restasse con lui per sempre. Ma ... era l'unico modo che gli venisse in mente.
Osaka come Sephiroth ... non avrebbe più potuto nuocergli se avesse tagliato completamente i ponti con la sua anima.
Peccato la cosa fosse molto più complicata di così.
 
\\\
 
Costa del Sol era assolata e la sua spiaggia piena di gente, tutti locali che la riempivano nonostante fosse bassa stagione.
Ma al suo arrivo lì fin da subito Cloud si rese conto di quell'atmosfera strana, fin troppo tesa per i suoi gusti.
C'erano guardie al porto, con una divisa che non aveva mai visto ed armati di fucili e pugnali. Ne fu sorpreso e sulle prime cercò di trovare un modo per evitarle, ma poi capì che non gli restava scelta e dovette arrendersi.
Gli fecero domande a cui a malincuore rispose, scoprendo così che stavano monitorando la costa a causa di ciò che era accaduto a Nord e a Rocket Town, lì dove una strana epidemia aveva trasformato gli abitanti in creature infernali.
Ne fu inquietato, e per la prima volta la sua angoscia parve finalmente assumere un senso.
 
«Intendete … il geostigma?» domandò, cercando di scoprirne di più e al contempo di non lasciar trasparire il terrore che lo avvolse al solo pensiero di potersi trasformare in una creatura sconosciuta e letale.
 
Il militare scosse il capo.
 
«Non si tratta del geostigma, ma non posso dirle di più. Sono informazioni riservate.» fu l’inflessibile risposta.
 
Ne fu deluso. Che genere d’informazioni? Cosa stava succedendo e cos’altro doveva accadere ancora? Che aspetto avevano quegli esseri, e chi erano quegli uomini, per chi lavoravano se la Shinra era stata distrutta? Ripensò a ciò che gli aveva detto il medico a Cosmo Canyon ma non ebbe né il tempo né il modo di cercare le risposte, si accontentò di sapere che non ce l’avevano con lui, constatando con sollievo che anzi sembravano non sapere nemmeno chi fosse.
Lo lasciarono andare sulla nave addetta al trasporto passeggeri, dove finalmente poté riposare su un letto vero, trascorrendo tutto il tempo della traversata nella sua cabina, o al massimo al bancone del piccolo bar allestito sul ponte coperto.

L'alcool aiutava sempre, di solito e anche in quel caso specifico, a schiarirsi le idee o ad evitare di pensarci troppo.
Anche perché, saputo degli zombies, all'improvviso non aveva più potuto smettere di pensare a Tifa, a come si erano lasciati. L'aveva lasciata sola, senza darle nessuna spiegazione, perfino avendocela con lei. Era arrabbiato, si.
Lo era stato, ma ora come ora si rese conto di come tutto ciò che lo avesse spinto ad agire, perfino a combattere contro lo stesso Sephiroth, non fosse altro che l'ennesima illusione.
In realtà non sapeva ancora bene a chi credere, col senno di poi capiva gli errori dei suoi amici e si sentiva in colpa perché in fondo era stato lui a fare i più grossi, senza che loro lo avessero in alcun modo incolpato.
Tifa era stata severa, ma ... lo aveva fatto per lui, forse? Per tentare a modo suo di aiutarlo, anche se nel modo sbagliato.
E lui per l'ennesima volta le aveva voltato le spalle. Lo aveva fatto per sé stesso, per tentare di ricomporsi, ma nel modo più sbagliato che potesse esistere. Sperò solo che non fosse troppo tardi per spiegarsi, forse anche farlo sarebbe stato un passo in avanti nel percorso verso sé stesso.
In fondo, burattino o no, solo chi lo aveva conosciuto davvero poteva dirgli cosa nei suoi ricordi fosse giusto o sbagliato.
 
\\\
 
Era quasi mezzanotte, Tifa stava già dormendo profondamente su uno dei due letti presenti al secondo piano, nella stanza da letto che divideva con Marlene, quando il telefono vibrò sul comodino dove era appoggiata, svegliandola.
All'inizio non se ne accorse, ma già al terzo squillo i suoi sensi ne furono allertati e al quarto lei riaprì di colpo gli occhi, afferrando l'apparecchio e accettando al volo la chiamata, senza nemmeno controllare chi fosse il mittente.
 
«Pronto?» rispose, sforzandosi di parlare a bassa voce per non svegliare la piccola.
 
Ci fu un istante di silenzio dietro la cornetta, e il suo cuore accelerò i battiti.
 
«Cloud, sei tu?» chiese, con un sorriso commosso, portandosi una mano al cuore «Dove sei? Stai bene?»
 
Lo sentì respirare, gli parve quasi di sentirlo sorridere. Poi però la chiamata s'interruppe bruscamente, lasciandola sola nell'angoscia e al buio a guardare quell'icona rossa sullo schermo.
Non riuscì più a dormire quella notte, restando a fissare il soffitto, e all'alba decise di perdere la battaglia interiore con sé stessa prima provando a richiamarlo, poi mandandogli un messaggio che non ricevette risposta.
 
"Ci manchi. Spero tu stia bene. Torna presto."
 
\\\
 
Quel pomeriggio Barret si prese il tempo per parlarle, dopo averla osservata a lungo.
I lavori erano quasi finiti, non mancava molto all'apertura al pubblico del nuovo 7th Heaven, eppure all'improvviso l'entusiasmo che l'aveva colta sembrava essersi spento per lasciar posto ad un'espressione atona e distratta, che nemmeno la piccola Marlene riuscì a toglierle.
La strappò agli esercizi di grammatica della figlia e la condusse fuori per qualche istante, con tutto il tatto che scoprì di possedere.
 
«Qualcosa non va?» domandò la ragazza.
 
Barret sorrise.
 
«Questo dovrei chiedertelo io.» replicò con sarcasmo «Sei distratta oggi. Quindi? Che c'è?»
 
La colse di sorpresa. La ragazza arrossì, unendo imbarazzata le mani e distogliendo lo sguardo.
 
«Sul serio? Scusami ...» mormorò tristemente.
«Hey, non devi mica scusarti.» la rassicurò nondimeno lui «Ma siamo una squadra, se c'è un problema voglio essere in grado di aiutare. Allora? Sei ancora preoccupata per Cloud?»
 
Ancora una volta la vide scrutarlo con sorpresa, per poi sciogliersi in un sorriso sinceramente grato.
 
«Grazie Barret.» disse «In effetti ... mi ha chiamato, ieri sera. Era lui, ma ... non ho sentito la sua voce.» rivelò, gli occhi lucidi «Credo volesse essere sicuro stessi bene.»
 
Wallace ne fu sorpreso.
 
«Oh, davvero?» domandò, con quel tono sarcastico che assumeva ogni volta che Mr. Simpatia ne combinava una delle sue «Ma tu pensa. Ce ne ha messo di tempo, eh? E non ti ha nemmeno parlato. Quindi non sai neanche dove si trova adesso.»
 
La pugile scosse il capo, tristemente.
 
«Ho provato a mandargli un messaggio, ma non mi ha risposto. Io ... credo davvero abbia bisogno di tempo, Barret. Credi che sia stata troppo dura con lui?» chiese infine, ansiosa «Cosa avrei dovuto fare? Io ... non sono Aerith. Per lei era tutto così facile ...»
 
Nel dire quest'ultima frase, la sua voce s'incrinò pericolosamente al pianto e anche a Barret venne da commuoversi. Capì il suo tormento. Si avvicinò e le pose la mano sulla spalla.
 
«Quella ragazza manca anche a me...» le rivelò «Ma ora che il Pianeta è libero sono sicuro che ci aiuterà anche stavolta. Gli starà vicino, e prima o poi quella testa dura tornerà, sta tranquilla.» propositivo, speranzoso.
 
Tifa sorrise, tornando a guardarlo negli occhi. Annuì sicura, stringendo un pugno al petto.
 
«Grazie, davvero.» concluse, abbracciandolo e sorprendendolo non poco.
 
Lo sentì sorridere contento, anche se non sapeva bene come accogliere quel momento affettuoso.
Non era abituato agli abbracci, tranne che a quelli di Marlene. In realtà erano molte le cose della cosiddetta vita normale alle quali non era abituato, per questo avrebbe tanto voluto avere il tempo d'imparare. Avrebbe voluto essere come quella ragazza, Aerith, che ci sapeva fare con chiunque, ma certo la sua stazza e il suo braccio meccanico non favorivano la comunicazione con i soggetti più "impressionabili", ovvero praticamente con tutti.
Se solo avesse trovato un modo per migliorare quegli aspetti, era convinto presto sarebbe riuscito anche lui a lasciarsi la guerra alle spalle.
Magari dopo aver rimesso in piedi il 7th Heaven avrebbe potuto approfittare della calma per raggiungere una vecchia conoscenza che forse sarebbe stata in grado di aiutarlo.
 
***
 
Nel silenzio teso del lifestream i sospiri delle anime in pena erano ciò che faceva più rumore.
Una fra le tante in mezzo ad esse attirò l'attenzione di Zack Fair, che la raggiunse immediatamente, abbracciandola senza farsi vedere, nello stesso modo in cui era stato da lei stesso confortato.
 
«Hey, angelo ...» sussurrò, con un sorriso.
 
Aerith smise di piangere. Se avesse potuto ancora farlo, l'avrebbe sentita tremare.
 
«Zack ...» mormorò, un filo di voce.
 
Alzò la testa cercando l'azzurro dei suoi occhi e lui si fece trovare. Un cielo in cui perdersi, per lei che da tanto ormai non ne aveva più uno vero.
 
«Che c'è, piccola?» le domandò, teneramente, mettendosi a sedere a gambe incrociate al suo fianco.
 
Lo abbracciò, e lui fece lo stesso riparandola con le sue braccia. Per un breve istante il desiderio di essere vivi si fece ardente, ma nemmeno quelle fiamme poterono realizzarlo. Un magone si legò anche dentro alla gola del SOLDIER.
Nello stesso momento l'atmosfera si fece ancora più tesa, le anime si agitarono.
Fu come avere puntati sopra di loro gli occhi cattivi dell'unica anima ancora in grado di minacciarli e inquietarli pur essendosi ormai ridotta ad un cumulo di ricordi scomposti e divisi.
La sua volontà era forte, il suo potere non si era ancora affievolito perché ora non c'era più un solo nucleo di ricordi, ma due.
Uno in Cloud Strife, l'altro in Victor Osaka.
Grazie a ciò, Sephiroth continuava a far sentire la sua presenza e ben presto avrebbe potuto fare molto di più.
Inoltre c'erano anime disperate che urlavano, ma loro non potevano far nulla per alleviare le loro sofferenze.
Erano tutti coloro i quali avevano visto i propri cari rapiti dalle mani bramose di vendetta di Victor Osaka, che successivamente li aveva incatenati alla propria coscienza ormai irrimediabilmente corrotta, soggiogandoli alla propria vendetta.
Dal viso di entrambi, pur senza che se ne accorgessero, scesero lacrime addolorate.
 
«Zack, ho paura...» mormorò nuovamente la ragazza dei fiori «Vorrei fare qualcosa, ma ... non posso più. Ho tanta paura.»
 
Il ragazzo sorrise, ma ben presto si trasformò in una smorfia dolorante e triste.
"Anch'io ho paura, Aerith." pensò.
 
«Andrà tutto bene.» disse invece, sapendo bene che non sarebbe bastato «Ci sono io qui con te, ora. Andrà bene.»
 
Ormai era inutile perfino rimpiangere di non averlo saputo prima, eppure continuava a farlo con un dolore che gli lacerava il cuore.






NdA: Buona sera. Dunque eccomi col capitolo dedicato a Cloud, come avevo promesso. Apro queste brevi note per spiegarvi quanto detto nell'ultima scena, perchè è molto importante ai fini della comprensione dei prossimi capitoli.
Nel romanzo "on the way to a smile", nel racconto dedicato ad Aerith, si accenna per la prima volta al nucleo dei ricordi di una persona. In sostanza ogni essere umano ne ha uno, e quando questi muore il suo nucleo si disperde nel lifestream. Con Sephiroth, a causa degli esperimenti che sono stati fatti con le sue cellule, questo non è accaduto.
Nell'advent children originario il suo nucleo dei ricordi è rimasto in parte "salvato" dentro la coscienza di Cloud, ma solo per metà appunto, ecco spiegato il perchè di quella frase "tornatene nei miei ricordi" con cui Cloud gli dice addio alla fine del loro scontro. Ed ecco spiegato anche il motivo per cui per lui è stato facile batterlo: Il Sephiroth che vediamo nel film in realtà era debole perchè ha potuto usare solo la metà dei suoi poteri, ovvero quella custodita da Cloud.
Nel mio Advent Children invece, come avete letto, i nuclei sono due. Quello canonico e frammentato di Cloud, e ... quello contenuto in Victor. In cosa consiste realmente lo scopriremo strada facendo ;)
Per ora vi basti sapere questo. Ci risentiamo presto!

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