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Autore: Nao Yoshikawa    16/05/2020    13 recensioni
Isabel non si accetta, cerca costantemente l'approvazione degli altri. Oramai è arrivata al punto di non riconoscersi più, di vivere in funzione dell'altra gente, per non essere giudicata, allontanata. Ma è un'esistenza dura e faticosa e bastano le parole di un amico per dare inizio al crollo della sua maschera. I primi passi verso l'accettazione di sé, come persona.
«Storia partecipante al contest “Non ci resta che sognare” indetto da Soul_Shine e Sabriel_Little Storm sul forum di EFP».
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dipingere.
Sognare di farsi un autoritratto vuol dire che il sognatore farà pace con se stesso e riuscirà ad accettare i propri difetti; sognare di dipingere su una tela indica l'inizio di un periodo all'insegna della spensieratezza.


 
Maschere di ceramica e colla


Alzarsi la mattina e guardarsi allo specchio rappresentava per Isabel la sfida più grande, quella di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Guardarsi e affrontare se stessi era difficile. Era terribile, necessario, ma Isabel sarebbe riuscita a sfuggire per sempre.
Trascinandosi verso il bagno, la prima cosa che vide riflessa nello specchio fu ovviamente la propria immagine ed allora non poté fare a meno di lasciarsi andare ad una smorfia.
Isabel non pensava di essere brutta. Si vedeva normale, si prendeva cura di se stessa. Adesso che era una giovane donna, aveva imparato ad essere più sicura da quel punto di vista. Solo da quel punto di vista, in realtà. C’era un motivo se detestava guardarsi allo specchio: l’immagine che rifletteva non rispecchiava la vera se stessa.
Come ripeteva in continuazione, con tono atono e stanco: “Ho solo una bel visino, ma non sono particolarmente intelligente. E non ho nessuna qualità, sono una persona piuttosto patetica”.
E lo pensava davvero. Tutti avevano dei difetti, ma per lei i suoi parevano più che altro dei peccati mortali da dover correggere.
Troppo emotiva, non riusciva mai ad avere decoro quando le emozioni prendevano il sopravvento. Rideva e piangeva con troppa facilità.
Troppo timida e goffa. Alla gente non piaceva una persona poco sicura di sé, era molto meglio fingere di avere sicurezza, cosa in cui era diventata piuttosto brava.
Troppo gelosa, di ogni persona a cui teneva. E non andava bene, perché la gelosia era segno di debolezza.
Dopo essersi sciacquata al viso, passò al trucco. Stava per iniziare un’altra giornata all’insegna dell’ipocrisia più totale, in cui avrebbe fatto finta di essere chi non era, di cambiare la vera anima che cercava di uscire allo scoperto e che veniva – puntualmente – soffocata.
Isabel si vestì e uscì dal bagno. Poteva permettersi di far rumore, la sua coinquilina, con cui condivideva l’appartamento, era già uscita. Per arrivare all’ingresso dovette passare in mezzo a tutti i suoi strumenti di disegno e ci mancò poco che non facesse cadere le tempere sul pavimento. Era l’arte il suo luogo felice e sicuro. Anche in questo, non pensava di avere un grande talento, ma di fatto era l’unica cosa che amasse fare davvero. Per questo frequentava un’accademia.
Si lasciò alle spalle il suo rifugio dal mondo esterno e mise su la sua bella maschera, i cui pezzi erano tenuti incollati a fatica.
Come spesso si ricordava, Isabel era una persona patetica. E lo era soprattutto per la sua totale incapacità di avere rapporti sociali. Questo non era facile da nascondere o cambiare, ma ci stava provando davvero. Perché essere asociali non era bello, la gente avrebbe pensato che era strana e si sarebbe ritrovata da sola.
Se fosse stata un po’ più sicura e meno ansiosa di compiacere gli altri, forse non sarebbe stato così difficile. Era tutto un maledetto circolo vizioso in cui lei stessa si era rinchiusa. Quando arrivò in accademia salutò Vanessa, la sua coinquilina, e il gruppo di amiche di quest’ultima. Parlò e scherzò con loro, in maniera del tutto forzata e innaturale.
Perché quella non era lei. Ma doveva integrarsi, rinnegarsi.
Almeno quando dipingeva non erano necessarie bugie. Era piuttosto ironico che la sua passione fosse una di quelle in grado di far venire fuori la vera essenza di un essere umano. Ma per fortuna nessuno sembrava abbastanza sveglio da leggere attraverso i suoi dipinti. Amava i colori intensi e amava in particole l’astrattismo. Lo trovava affascinante ed era interessante il fatto che ognuno potesse dare l’interpretazione che voleva. Quella mattina, seduta sul suo sgabello, aveva però optato per dei colori più scuri, il grigio in particolare. Era molto istintiva, nella vita e nell’arte.
Anche quello, un difetto. L’istinto porta a fare stupidaggini. Non nella pittura, però.
«Wow! Sembra un mare in tempesta. Animo tormentato, Isabel?»
Riconobbe immediatamente la voce del suo compagno di corso. E arrossì, arrossiva praticamente per tutto e, sebbene cercasse di darsi un contegno, non poteva controllarsi alla perfezione.
«L-Levi!» balbettò, tossendo poi appena e cercando di ricomporsi. «Animo in tempesta? Assolutamente no, avevo solo voglio di dipingere qualcosa di... oscuro?» tentò.
Il ragazzo sgranò gli occhi, lasciandosi andare poi ad un sorriso radioso.
«Ah, forte. Torno al mio posto, comincia la lezione.»
Levi era uno dei pochi compagni di corso a starle simpatico. Con lui sarebbe stata a suo agio se solo si fosse un po’ lasciata andare, perché proprio con tutti – anche con Levi – avvertiva la necessità di fingersi un’altra persona e di rimanere perennemente schiacciata da quella sensazione continua di stress e soffocamento.
La lezione fortunatamente iniziò presto e ciò l’aiutò ad allontanare i cattivi pensieri. Amava esercitarsi nella pittura e quel giorno sarebbero passati ai ritratti. Agli autoritratti, per la precisione. Isabel non era stata per niente felice quando l’insegnante aveva assegnato loro il compito di esercitarsi con un autoritratto. Immediatamente era stata colta da una sensazione di malessere generale. A ritrarre altra gente non avrebbe avuto problemi, ma il pensiero di mettere su carta se stessa – la vera se stessa – la disturbava non poco. E tale sensazione di malessere perdurò anche dopo la lezione, quando si ritrovò fuori dall’aula ad ascoltare le sue amiche parlare del nuovo compito loro assegnato.
«Non ho mai ritratto me stessa, verrà fuori qualcosa di terribile» scherzò Vanessa, gesticolando. Di solito Isabel si sforzava di parlare anche quando non aveva niente da dire, di non isolarsi anche quando aveva solo voglia di rimanere, appunto, da sola.
«Non dire così, sarà divertente», disse Mary, un’altra compagna di corso dai capelli biondissimi. «Tu che dici, Isy?»
Quest’ultima sollevò lo sguardo, rispondendo distrattamente.
«Umh, cosa…?»
In quell’istante Levi arrivò, in un certo senso salvandola.
«Beh ragazze, che volete che vi dica? Io sono bellissimo, quindi non avrò problemi a ritrarmi. Voglio dire, guardatemi!» scherzò, teatrale, facendo ridere le altre ragazze, Isabel compresa. Levi era una persona che non passava inosservata, se ne andava in giro sempre con i vestiti macchiati di tempera, i capelli scuri disordinatamente legati in un codino basso. Inoltre, alto e con quella camminata molleggiante, sembrava uscito direttamente da un cartone animato, ma era simpatico, sarcastico e stravagante.
E nonostante la sua stravaganza piaceva eccome. Probabilmente forse un po’ lo invidiava.
«Io… non credo che lo farò…» ammise dopo qualche istante di silenzio. E a quel punto gli altri si voltarono a guardarla.
«Perché no? Sarà un compito divertente da portare a termine», disse Mary.
«Sì, infatti!» aggiunse Vanessa. «E poi, se avessi un bel viso come il tuo, non mi farei alcun tipo di problema e…»
«Ho detto che non voglio farlo!» sbottò, anche più aggressivamente di quanto avrebbe voluto. Maledetta emotività che alle volte sfuggiva al suo controllo, che reprimeva, ma che molto spesso vinceva imperterrita. In cambio si guadagnò i loro sguardi stupiti e confusi.
«Isy… tutto bene?» chiese Vanessa. Lei allora sorrise, nel modo più naturale possibile, indossando per l’ennesima volta una maschera di ceramica che prima o poi sarebbe caduta in pezzi.
«Sì, io, amh… devo andare al bagno un attimo, scusate.»
Levi la osservò allontanarsi senza però provare a fermarla. Chi avesse voluto, si sarebbe accorto che qualcosa non andava in Isabel, nei suoi modi di fare nervosi e negli innaturali tentativi di apparire perfetta e diversa.
 
Una volta entrata in bagno Isabel si sciacquò la faccia, sentendosi terribilmente stupida. Perché aveva dato di matto in quel modo? E soprattutto, perché l’idea di un autoritratto la innervosiva tanto? Aveva le capacità per fare un buon lavoro.
Allora cosa?
Si guardò allo specchio, asciugandosi gli occhi ora sporchi di rimmel sbavato. Era sempre più strano. Era lei, eppure non era lei. Si guardava ma era come se guardasse qualcun altro, come se non si riconoscesse. Tutto ciò era assurdo, quanto patetico. Bastava non pensarci, come sempre del resto. Cercò di ricomporsi. Quella giornata sarebbe finita ben presto. E poi ne sarebbe arrivata un’altra, ancora, uguale alla precedente. Prese la borsa e decise che la pausa l’avrebbe passata nel cortile. Sola, sarebbe stata sola con se stessa solo per qualche minuto, doveva concederselo prima di impazzire a causa dell’ansia e della tensione. Andò a sedersi su una panchina in marmo, godendo del calore del sole. Sicuramente doveva esserle venuto il blocco dello scrittore, ne era certa. Per provare a vedere se avesse ragione, tirò fuori il suo blocco-note che usava per abbozzare le idee. Con la penna iniziò a tracciare sul foglio i lineamenti del suo viso, ma non appena arrivò il momento di aggiungere i dettagli, non riuscì proprio ad andare avanti.
«Fanculo, sapevo che sarebbe finita così, non riesco a fare un emerito cavolo di…»
«Amh… Isy?»
La voce di Levi la fece trasalire tanto da farle cadere la penna di mano. Bene, aveva di nuovo fatto la figura della pazza davanti ad un’altra persona.
«Levi?» domandò. «Ciao, emh… io non sto facendo niente.»
«Sì, lo vedo», il ragazzo inarcò un sopracciglio, sedendosi accanto a lei. «Ah, ma allora mentivi poco fa, vedo che hai già iniziato ad abbozzare il tuo ritratto.»
Istintivamente Isabel coprì il foglio con una mano.
«Non sono io…»
«Davvero? A me sembri proprio tu.»
Lo guardò negli occhi. Nessuno le faceva mai troppe domande e doveva ammettere di trovarla una cosa molto snervante.
«D’accordo, chi ti ha mandato? Mary? O Vanessa? Maledizione, non ho niente che non va, lasciatemi in pace.»
«Non mi ha mandato nessuno», sospirò Levi, paziente. «Però non mi sembra che tu non abbia niente.»
Un po’ rassegnata all’idea che lui non l’avrebbe lasciata in pace, decise di rivelargli il suo dilemma, nella speranza che l’emotività non prendesse di nuovo il sopravvento.
«È colpa di questo stupido compito sul farsi un autoritratto. Io non voglio farlo. Non voglio», sospirò.
«Fin qui c’ero arrivato. Ma perché? Non sarà perché ti vedi brutta, non è vero? Perché se è così sappi che non lo sei affatto, io ti trovo bellissima.»
Isabel si irrigidì, rossa in viso. Ai complimenti non era abituata ed il fatto che fosse stato un ragazzo a fare un commento sulla sua bellezza, la lusingava e innervosiva. Lo guardò, puntandogli il dito contro.
«Non me lo dire. Sei venuto qui a consolarmi con la scusa di provarci con me! Lo sapevo! Ce ne fosse mai uno che è davvero interessato a capire come sto!»
Levi si lasciò andare ad una smorfia imbarazzata.
«Ma Isy…»
«No, ho capito perfettamente: non ti interessa sapere come sto, vuoi solo provarci e magari portarmi a letto!»
Nell’udire quelle parole, Levi le bloccò i polsi. Isabel infatti aveva preso a gesticolare in preda all’imbarazzo e all’emotività e non era più riuscita a fermarsi.
«Isabel! Io sono gay, d’accordo?» cercò di sovrastare il suo tono di voce squillante.
Tali parole risuonarono ripetutamente nella testa di Isabel, che adesso si sentiva piuttosto stupida. Lo aveva toccato senza un valido motivo, probabilmente lui voleva aiutarla davvero.
«Ah… sei gay, eh?» sussurrò, ricomponendosi.
«Esatto. E poi non ci proverei mai con qualcuno in evidente difficoltà, non è proprio da me», borbottò Levi a braccia conserte.
E la fece ridere.
La ragazza si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ora un po’ meno a disagio.
«Allora ti interessa davvero sapere cosa ho che non va?» sussurrò.
«Certamente, sono qui per questo», Levi cambiò immediatamente espressione, voltandosi a guardarla.
Sfogarsi e confidarsi con lui, per Isabel rappresentava un grande sforzo. Era sempre stata abituata a fingere che andasse tutto bene, per la gente, una persona come lei – insicura, timida, emotiva -, era scomoda, molto meglio nascondere tutto dietro un bel sorriso.
«Il fatto è che…» iniziò a parlare lentamente, strofinando nervosamente le mani. «È che ho paura. Non voglio ritrarmi, perché so già che non mi rivedrei in ciò che ho disegnato. Non sarei io. E questo lo so per certo, perché non mi rivedo già guardandomi allo specchio ogni mattina.»
Levi si fece più vicino, interessato.
«E perché non dovresti riconoscerti?»
A quel punto un sorriso amaro dipinse le labbra di Isabel. Era quello il punto focale della questione: perché fingeva sempre di essere qualcun altro per adattarsi agli altri, perché non si sopportava, perché ogni cosa in lei non andava bene.
«Forse perché io non sono veramente io», affermò dopo qualche secondo di silenzio. «L’Isabel amichevole, controllata, sempre felice, è una facciata. È come se indossassi costantemente una maschera. Una maschera di ceramica i cui pezzi sono tenuti a malapena dalla colla. Perché sta iniziando a pesare.»
Tornò a respirare. Dirlo finalmente a qualcuno le aveva tolto un mezzo peso dallo stomaco. Ma ora doveva sperare che Levi non la prendesse in giro, che non le dicesse che era patetica.
Invece il ragazzo aveva un’espressione confusa.
«Ma perché fingi di essere chi non sei?»
Isabel batté le lunga ciglia, facendo spallucce.
«Perché… beh, perché io di base sono piena di difetti. Sono schifosamente emotiva, come hai potuto vedere, così tanto che alle volte mi sento una pazza. E sono goffa, maldestra, una frana con i rapporti sociali, mi sento a disagio a parlare con la gente. In verità preferirei avere due o tre amici fidati, piuttosto che un mare di conoscenti con cui però devo sforzarmi anche solo di scambiare due parole. E poi io detesto uscire ogni sera, alle volte vorrei solo stare a casa. Ah, per non parlare del fatto che non ho nessuna dote, certo, a parte quella della pittura e… parlo troppo! Vedi?»
Sul viso di Levi era comparso un grande sorriso, non di scherno, anzi.
«Caspita, effettivamente adesso sembra di star parlando con tutt’altra persona! A me piaci molto più in queste vesti, sei naturale, com’è possibile che me ne sia accorto solo io?»
Isabel riprese fiato. Era piacevole poter essere se stessa.
«Forse perché alle persone fa comodo così. Mi sono autoimposta di comportarmi in un modo che non è il mio, perché non volevo sentirmi più dire cose del tipo: “Parli troppo, sei proprio asociale, dovresti essere meno solitaria e non lasciarti travolgere dalle emozioni” e cose così. Quindi, quando sono arrivata in accademia il primo giorno…» e dicendo ciò guardò verso l’alto. «Ho deciso che sarei stata un’altra persona. Purtroppo però temo di aver fallito, adesso.»
Era incredibile con quale naturalezza riuscisse a parlare con lui. Era la prima persona, dopo tanto tempo. Levi non l’aveva giudicata nemmeno per un istante e l’aveva ascoltata in silenzio.
«Umh, sì. Capisco, ma comunque non capisco. Da quello che ho sentito, tu non sei tutta un difetto. Sei una persona. E una persona non può essere perfetta. D’accordo, forse sei davvero un pochino troppo emotiva, forse magari avrai… un brutto carattere…» ripensò a come l’aveva attaccato poco prima. «Ma non credo dovresti fartene un problema così grande. Potrai piacere o meno, ma almeno sei tu. Non credo che dovresti cambiare in funzione degli altri.»
«Ma Levi… per me l’accettazione degli altri è importante. So che è sbagliato, ma è un mio bisogno spasmodico…»
Levi si accasciò sulla panchina.
«E come pensi che gli altri potranno accettarti se non ti accetti tu, eh genio?» borbottò. «Insomma, dai, vogliamo parlare di me? Io sono un totale disastro nei rapporti umani, sono sarcastico fino ad a volte risultare insensibile e sono anche un maniaco del controllo e dell’ordine, è per questo che i miei pennelli sono sempre perfettamente sistemati gli uni accanto agli altri!»
Ad Isabel venne sinceramente da ridere.
«Ma tu piaci.»
«Certo che piaccio, mi piaccio anche io. E se qualcuno la pensa diversamente... beh, al diavolo, non è che si può piacere a tutti. Ad ogni modo non sanno che si perdono», dichiarò incrociando le braccia al petto. Isabel rise di nuovo, questa volta senza riuscire a controllarsi. Era sempre stata una che quando rideva lo faceva con il cuore, non doversi trattenere era liberatorio.
«Ecco, vedi? Ti prego, promettimi che proverai a togliere quella pesantissima maschera. Insomma, abbraccia il tuo vero io.»
Isabel guardò i suoi occhi chiari e sinceri.
Era più facile a dirsi che a farsi. Non è che non ci avesse mai provato, ma nel momento di farlo provava sempre paura.
Paura, ansia, sarebbe stato bello riuscire a volersi bene esattamente così com’era, senza doversi preoccupare. Quelle potevano sembrare frasi fatte, ma Levi sembrava sincero.
Scosse il capo, per poi sospirare.
«E va bene, prometto che ci proverò, ma non ti assicuro niente. È più facile a dirsi, che a farsi.»
«Oh lo so. Ma da qualche parte dovrai pure cominciare, no? Intanto, lascia che sia io ad abbracciare per primo il tuo vero io!»
E dicendo ciò l’abbracciò saldamente, facendola ridere, ancora. Isabel ebbe l’impressione che un altro pezzo della sua maschera di ceramica stesse crollando.
 
Al pomeriggio, tornò a casa. Quella era stata una delle conversazioni più edificanti che avesse mai intrattenuto con qualcuno, si era sentita capita. Chissà perché lei e Levi non avevano approfondito prima il loro rapporto?
Quando arrivò la sera, Isabel andò a letto. La sua coinquilina Vanessa era uscita con la loro solita comitiva, ma lei aveva rifiutato, con la scusa di stare poco bene. I pennelli, i colori e la tela erano lì e più di una volta li aveva guardati. Sarebbe riuscita a ritrarsi? Perché un compito così facile per gli altri, per lei doveva apparire così orribilmente difficile?
Spense la luce e si girò da un lato, decidendo che ci avrebbe dormito su.
Ad Isabel capitava spesso di fare sogni anche piuttosto lucidi. Ma in seguito si sarebbe ritrovata a pensare che quello era stato sicuramente uno dei più strani.
Quel sogno era colorato, come una tela dipinta dei suoi colori preferiti, il rosso, l’arancione e il rosa che creavano un effetto piacevole, come un cielo al tramonto. Non c’era nient’altro, ma poteva chiaramente vedere se stessa seduta davanti ad un tela. Curiosa, si fece più vicina. Con sguardo attento e movimenti decisi, accarezzava la tela con la punta del pennello. Inizialmente erano solo linee confuse, ma poi poté chiaramente vedere il suo viso. Si stava autoritraendo con una facilità impressionante.
Notò subito, con gran sorpresa e sollievo, di riconoscersi in quegli occhi dolci e malinconici, in quel sorriso appena accennato, ma sincero. Quella era proprio lei, nelle iridi c’era una luce che aveva cercato con abilità di mascherare. Un viso e un animo che aveva cercato di nascondere e di cui oramai avvertiva il peso.
Questa non sono io.
Sì, sei tu. Tu, con i tuoi difetti e con i tuoi pregi. Quando la smetterai? Non dovresti cambiare per nessuno. Non dovresti arrivare al punto di non riconoscerti nemmeno.
E se non dovessi piacere?
Ma non credi sia molto più importante che sia tu per prima a piacerti?
Quella strana conversazione con la sua coscienza le faceva venire da piangere. E quando più tardi si sarebbe svegliata, avrebbe trovato le guance bagnate di lacrime.
Sì, credo di sì. Ma come si fa?
A piccoli passi, non vorresti toglierti questo peso? E accettarti, magari?
Isabel guardò ancora una volta la se stessa indisturbata che si ritraeva. Non sapeva come fare, ma aveva promesso a Levi che ci avrebbe provato e non voleva certo deluderlo, non lui che l’aveva presa così a cuore.
Posso provarci, ma non sono certa che ci riuscirò.
Nel momento in cui pronunciò quelle parole ad alta voce, i colori iniziarono a svanire e tutto si dissolse. Improvvisamente aveva spalancato gli occhi, ritrovandosi nel buio della propria camera. Vanessa non era ancora tornata, chissà quanto era passato da quando si era addormentata?
Si asciugò le guance umide. Non si sentiva triste, solo un po’ stravolta, ma leggera.
 
Era passato un weekend e poi erano passati altri tre giorni, ma Isabel non si era fatta vedere in accademia. Levi l’aveva aspettata tutti i giorni, senza vederla mai arrivare. Chissà lei come stava? Chissà se quella conversazione le aveva davvero fatto bene, infine?
«Insomma, tu sei la sua coinquilina, possibile che non sai niente?» domando quella mattina Levi a Vanessa. Quest’ultima però rispose con un’alzata di spalle.
«Isabel è viva e vegeta, ma credo che stia male. Non lo so, si è comportata in modo strano, sarà grave?»
«E non ti è passato nemmeno per la testa di domandarglielo?!» sbottò nervoso. «Tu sei veramente una… una… non lo so cosa sei, appena mi verrà in mente te lo dirò!»
Vanessa fece una smorfia, puntandogli il dito contro e facendo per dire qualcosa, ma la voce cristallina di Mary glielo impedì.
«Isy!»
Nel sentire pronunciare il suo nome, Levi sollevò lo sguardo: Isabel era appena entrata in aula, con un sorriso malinconico, alzando timidamente una mano.
«Ehi…»
I suoi amici la guardarono stupiti per qualche istante.
«Isabel! Ma allora stai bene!» esclamò Vanessa.
«Sì, adesso più che mai in effetti…» confermò, guardando poi Levi.
«Meno male! Non sai quante cose ti sei persa in questi giorni, ma possiamo recuperare, magari stasera possiamo uscire?»
Isabel la guardò, temporeggiando un attimo prima di rispondere.
«In realtà, Vanessa, credo che per questa volta passerò. Il fatto è che ho capito che i posti con tanta gente non mi piacciono, preferisco fare altro…»
Vanessa e Mary sembrarono sorprese da quella sua risposta così poco da lei.
«Oh dai, Isy. Non fare l’asociale.»
Eccola lì la stupida frase detta con leggerezza. Isabel sospirò profondamente.
«In realtà, più che asociale io penso solo di essere un po’ solitaria. E credo… sì, credo che vada bene così», affermò, poi molto tranquillamente passò oltre, andando a sedersi accanto a Levi. Chi le voleva bene avrebbe accettato i lati più spigolosi del suo carattere, così come avrebbe imparato a fare lei. Levi la guardava piuttosto divertito.
«Allora, vedo che la maschera sta cadendo a pezzi.»
Isabel lo guardò, sorridendogli sinceramente.
«Uno strano sogno che ho fatto mi ha aiutata.»
«Che cosa? Oh, andiamo», sbuffò lui. «E tutti i miei consigli non hanno fatto effetto?»
Isabel rise di nuovo e poi tirò fuori dallo zaino un foglio, mostrandoglielo.
«Alla fine ho iniziato a ritrarmi. Pensi che verrà bene?» domandò. I tratti erano appena abbozzati, ma sugli occhi si era soffermata particolarmente. Levi infatti guardò prima il disegno e poi lei.
«Direi di sì. Allora, ti riconosci in ciò che disegni?»
«Umh… un po’ sì. Il fatto è che credo mi ci vorrà del tempo per lasciarmi andare del tutto…» pensò ad alta voce.
Levi si sistemò sulla sedia, rilassato.
«Beh, certo, un lungo viaggio comincia sempre con il primo passo.»
Aveva ragione lui. A Isabel venne un po’ da piangere per il sollievo e il suo prossimo passo fu proprio lasciarsi andare a quelle lacrime liberatorie. Andava bene così.


Nota dell'autrice
Con questa storia ho un rapporto strano, perché da una parte non mi convince del tutto. Ho paura di aver raccontato un grande "niente" e di non essere stata chiara in quello che volevo far arrivare. Il personaggio di Isabel è diventato molto autobiografico man mano che scrivevo, quindi è diventata pure una storia molto personale. Il messaggio voleva essere: "Accettatevi, perché avere dei difetti va bene. Siamo persone e non dobbiamo essere perfetti". So che sembra che Isabel si faccia tanti complessi inutili, ma vi posso assicurare che una persona molto sensibile assorbe tutto ciò che le viene detto e arriva anche ad "annullarsi"per uniformarsi ed essere accettata. Cosa sbagliatissima. Inizilmente avevo pensato a Levi come love interest di Isabel, ma ho preferito che avessero semplicemente una bella amicizia. Spero che questo "qualsiasi cosa sia" vi sia piaciuto o magari vi abbia dato qualche spunto per pensare.
 
   
 
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