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Autore: unsensoaquestonome    18/05/2020    0 recensioni
Grace Barlow ha diciannove anni quando si arruola come infermiera dell'esercito per amore della patria e per, diciamocelo, scappare dalla sua famiglia. Quella che le si prospetta è una vita di servizio semplice e tranquilla, ed è esattamente quello che Grace si aspetta: non ha mai sognato in grande, ma tra i suoi piani ci sono un bel marito e la possibilità di invecchiare insieme a lui. Ma la vita non le ha mai chiesto cosa voleva. Siamo negli anni '40: la guerra in Europa si espande e, presto o tardi, questa piomberà sulla vita di Grace, mettendola davanti ad una realtà più grande di lei, davanti alla morte, alla vita, alla famiglia, all'amore.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo cinque

Il taxi mi lascia di fronte all'edificio giallo: pago il conducente con un sorriso cordiale e scendo. Le mura sono sporche di nero, piene di polvere e l'intonaco in alcune parti si sta staccando, segno del tempo che è passato su questo edificio.
"Questo è l'alloggio delle signore" mi informa il signor Ripley.
Da quando mi è venuto a prendere dalla stazione non ha chiuso bocca: poverino, è stato molto gentile a spiegarmi come funzionano le cose qui, ma io di parlare non ne avevo proprio voglia. Le due ore di viaggio in taxi le ho passate lanciandogli piccoli sorrisi forzati, annuendo di tanto in tanto e guardando il paesaggio desolato che scorreva fuori dal finestrino.
Sono stata assegnata ad un campo militare a qualche ora di distanza da Londra: praticamente lavorerò in una semplice tenda allestita per il primo soccorso vicino ad un aeroporto, come mi ha spiegato il signor Ripley, non si è fermato sui dettagli.
"Il campo è a dieci minuti di camminata, cinque in macchina: sa, per ragioni di sicurezza... in casi come questi la distanza, anche se minima, è nostra amica" continua a parlare freneticamente mentre entriamo nell'edificio.
Il giallo sporco dei muri esterni non rispecchia l'interno: tutto sommato, nonostante le mura spoglie, sembra tenuto bene. Davanti a me si presenta una grande scalinata, posta subito davanti all'entrata, che decora il tutto in stile vittoriano, vecchio, ma vittoriano. 
"E' un edificio di importanza storica da queste parti: era un collegio molto prestigioso, solo i rampolli delle famiglie più aristocratiche erano ammessi..."
Quasi non lo ascolto mentre saliamo per le scale, alla cima delle quali, il signor Ripley si ferma.
"Bene, signorina. Di sotto, vicino alla sala comune vi è la sala da pranzo, mentre dall'altro lato della stanza c'è la cucina. Qui sopra ci sono i bagni e le camere: condividerai la stanza con altre quattro signore... mi segua"
Mi porta alla fine del corridoio in una camera non poi così male: ci sono tre letti da un lato e due dall'altro, un tappeto al centro della stanza, un grande finestra e degli armadi non troppo spaziosi; vicino ad uno degli armadi c'è una porta di legno, che presumo porti al bagno. Il signor Ripley mi fa cenno per farmi accomodare e mi avvicino a quello che sarà il mio letto.
"La sua compagna di stanza sarà qui a momenti e finirà il suo piccolo giro turistico... spero di esserle stato di aiuto, signorina Barlow" mi dice con un grande sorriso.
Solo ora mi rendo conto di quanto i suo baffi grigi e le sue guance rosse lo rendano paffuto. Gli rispondo immediatamente con una stretta di mano, cercando di mostrargli la mia gratitudine, che durante il viaggio non ho gli fatto percepire più di tanto.
"Grazie mille, signor Ripley"
Quando esce dalla stanza, mi metto a curiosare in giro: non è niente in confronto alla casa che avevo a Washington, tanto meno si avvicina alla casa di famiglia a New Orleans. Tutto sommato non mi lamento: non mi aspettavo mica chissà cosa. 
"Grace Barlow?" mi chiede una ragazza dai capelli rossi mentre entra nella stanza.
"Sono Nancy"
"Piacere" le dico stringendole la mano.
"Vedo che già ti sei sistemata... gli altri letti sono di Helen, Shirley e Margaret, ma non credo avrete modo di incontrarvi: i turni qua sono estenuanti, vedrai che userai questa stanza solo per dormire" mi informa con una risatina.
"Questi sono i tuoi turni, coincidono con i miei, quindi direi che passeremo molto tempo insieme Grace... ora mettiti la divisa e seguimi" mi dice consegnandomi un foglio stropicciato con segnati gli orari che farò.
Cosa? Sta correndo un po' troppo per i miei gusti. Non che mi aspettassi un corteo di benvenuto e i migliori comfort, ma non ho nemmeno disfatto le valige! Nonostante questo faccio come mi dice e mi cambio velocemente in bagno. 
"Siete tutte americane?" le chiedo mentre cerco di stare al suo passo, una volta uscite dalla stanza.
"Sì" mi risponde frettolosamente troppo impegnata a controllare le cartelle che ha in mano.
"Da quanto sei qui?" chiedo cercando di fare conversazione.
"Due settimane... bisogna ambientarsi subito qui" continua notando il mio sguardo sorpreso.
La ragazza che mi farà da guida e che dovrebbe spiegarmi come funzionano le cose qui è praticamente una novellina.
"Ora ti porto al campo così vedrai come funziona, poi andremo in ospedale" mi informa varcando la soglia dell'alloggio.
"Ospedale? Quale ospedale?" le faccio un'altra domanda.
Sono più che confusa ora, non ci sto capendo più niente.
"L'ospedale della città: è a un'ora da qui. Tutti noi facciamo turni diversi e ci alterniamo tra il campo e, quando serve, diamo una mano in ospedale"
"Il signor Ripley non me ne aveva parlato" ammetto.
"E' vecchio, si sarà dimenticato" mi dice con una scrollata di spalle e un sorriso.
Ci incamminiamo sulla strada sterrata che presumo porti al campo. Sta accadendo tutto troppo velocemente, non so se riuscirò a mantenere questo passo, non sono abituata. E pensare che a quest'ora mi sarei potuta trovare in una calda spiaggia delle Hawaii a godermi il sole in tutta tranquillità.
"Allora Grace, di dove sei?" mi chiede cercando di fare conversazione.
In effetti sono quasi cinque minuti che nessuna di noi apre bocca e, a pensarci bene, dovrei provare a conoscerla, dato che sarà molto probabilmente l'unica persona con cui legherò e avrò un rapporto qui.
"New Orleans, tu?"
"Seattle... perchè mai hai abbandonato la città del jazz per venire qui?"
"Credo sia la mia immensa dedizione per il dovere" le dico facendola ridere.
"Sei divertente ragazza... mi piaci"
"Anche tu non sei male"
"Immagino che il signor Ripley non ti abbia detto più di tanto"
"In effetti no"
"Povero vecchio, riesce solo a parlare di quanto il nostro alloggio sia un edificio importante e bla, bla, bla... come biasimarlo? E' uno storico, o meglio, lo era, prima della guerra"
"Ha perso il lavoro?"
"Ha perso il posto di lavoro in tutti i sensi... demolito da una bomba"
"E' tremendo"
"Va così qui, Grace... e se ti fa pena un misero edificio, aspetta a quando dovrai correre da tutte le parti per salvare vite. Al campo non è tanto disastrosa la situazione: se un pilota è tanto fortunato da ritornare all'aeroporto, di solito non è in fin di vita, grave sì, ma niente di irrimediabile. La parte orribile arriva quando dobbiamo prestare soccorso all'ospedale: lì è tutto diverso, perchè si tratta di civili, praticamente persone che con questa guerra non hanno niente a che fare... eppure sono i primi a rimetterci"
"Beh, è il nostro lavoro... è per questo che siamo qui" le dico cercando di risollevare il morale della conversazione.
"Già..." mi risponde con un sorriso amaro.
Di nuovo il silenzio cala tra di noi, finchè, qualche minuto più tardi, giungiamo al campo.
"Eccoci qui! Quello è l'alloggio dei piloti, qui come puoi vedere ci sono gli aerei ma quello che interessa a noi è quel tendone laggù" mi dice indicandomi la tenda da campo blu davanti a noi. 
Entriamo nel tendone e troviamo delle persone che parlottano freneticamente tra loro e sistemano il posto.
"Dottor O'Donnell, lei è Grace Barlow" 
Nancy richiama l'attenzione dell'uomo alto in camice: deve essere il mio superiore.
"Benvenuta tra noi, tenente" mi saluta stringendomi la mano.
"Grazie, dottore"
"Loro sono alcune ragazze del nostro turno... Grace ti presento Martha, Rosalie, Constance e il dottor Roland" continua Nancy presentandomi a tutti i pochi presenti.
"Ah, carne fresca!" esclama scherzosamente la bionda, Rosalie.
"Appena servita!" dico cercando di stare allo scherzo.
"Noi stavamo andando in pausa... Nancy falle vedere dove stanno gli strumenti" le dice il dottor Roland, un uomo basso con i folti baffi scuri.
"Sì, dottore"
"Se ne vanno tutti?" chiedo a Nancy, quando mi accorgo che il tendone si è svuotato.
"Sì, è un raro momento di calma questo, non ti stupire, succede. I guai arrivano quando si sente la sirena"
"La sirena?" chiedo confusamente.
"Sì, la sirena... se la senti, significa che gli aerei stanno per partire per un raid: in quel caso dobbiamo prepararci per il peggio, in caso qualcuno ritorni ferito" mi spiega pazientemente.
"Allora: qui ci sono le sostanze liquide, su questo cassetto le garze, cotone e... Kit! Grace aspettami qui, ritorno subito" si interrompe non appena un giovane ragazzo entra nel tendone.
Sono confusa, non dovrebbe lasciarmi qui da sola, non so cosa fare, dove guardare. Non mi sono mai sentita così fuori luogo: non è da me. Non ho bisogno della balia, e allora perchè mi sento persa, senza Nancy che mi spiega tutto passo dopo passo? Scaccio via questa sensazione e ne approfitto per guardarmi intorno: ci sono a malapena venti lettini, anche se vedo dei materassini ammassati in un angolo, per le emergenze, credo. Tutto sommato, sebbene sia fornita con lo stretto necessario, questa tenda mi sembra funzionale: c'è tutto il necessario per stabilizzare qualcuno e da guadagnare abbastanza tempo per trasferirlo ad un ospedale vero e proprio. Comincio a sentirmi un po' più tranquilla, ora che sto prendendo confidenza con il posto. Prendo dalla tasca della gonna il foglio che mi aveva dato Nancy appena incontrate: dalla tabella leggo che ho principalmente turni di notte. 
All'improvviso un grande boato fuori dal tendone mi attira fuori: vedo un soldato impanicato che trasporta un altro uomo che si regge la mano piena di sangue. Si avvicinano a me di fretta, mentre io sono ancora immobile sul mio posto.
"Infermiera, abbiamo bisogno di aiuto" mi dice il soldato, superandomi ed entrando nel tendone.
Ci metto qualche secondo prima di riprendermi e seguirlo all'interno: dov'è finita Nancy? Cosa devo fare? Sono immobile e spaventata, perchè questo non mi è mai successo: forse è perchè non sono abituata a questo posto, non so dove sono gli attrezzi, non so dove mettere le mani. E' una sensazione orribile, soprattutto perchè oltre alle urla del soldato, vedo inchiodati su di me gli occhi dell'uomo dolorante e sanguinante.
"Infermiera! Sta sanguinando ed ha già perso molto sangue!"
"Io... io sono nuova, non so dove si trova l'attrezzatura" è l'unica cosa che riesco a dire, ancora bloccata all'entrata della tenda.
"Lo va dire lei al comandante che ha fatto perdere la mano ad uno dei migliori piloti del campo?" 
Basta il tono altamente sgarbato del soldato a farmi smuovere: non permetto a questo tipo di parlarmi in questo modo, tantomeno di sottovalutarmi. Mi avvicino al grande armadio con le ante di vetro cercando qualunque cosa mi possa servire. Non faccio più caso alle parole che mi urla contro e, quando trovo il necessario, mi avvicino al paziente, affrontando il suo amico scortese.
"Si faccia indietro" 
Ho perso la calma in questa situazione di pericolo e non riesco a spiegarmi come ho sono riuscita a mantenerla invece con il soldato maleducato.
"Ora è questo che ci mandano? Persone incompetenti che non sanno dove sbattere la testa?" lo sento sparlare alle mie spalle, ma evito di rispondergli.
Vorrei passare alle mani, ma mi trattengo. Una volta finito di curare il pover'uomo, pulisco la ferita e la fascio. Poi, finalmente, mi giro, con le mani che mi pizzicano, verso il soldato, pronta a risputargli addosso tutta la cattiveria che lui ha usato contro di me.
"Senta, non le permetto di rivolgersi a me in questo modo. Cosa crede, che quella divisa le dia un qualche diritto su di me? Le ho già spiegato, pacatamente, mentre lei non faceva altro che gridarmi addosso, peggiorando la situazione, che sono appena arrivata qua. Al mio posto un'altra infermiera sarebbe andata nel panico a causa delle sue urla, ma ringrazi il cielo per il suo amico che si è trovato davanti me"
"Grazie?" mi risponde guardandomi beffardemente.
Non mi faccio sminuire da questo tipo, ma cerco di comportarmi meglio di lui, perciò mantengo la calma più assoluta, mantenendomi professionale. Quindi, lo ignoro completamente, andando a pulirmi le mani sporche. Una volta finito lo guardo, squadrandolo dall'altro al basso.
"Se ne vada... a meno che non sia in fin di vita" 
E mi da ascolto, andandosene stizzito, dopo aver lanciato un'occhiata al suo amico, che ora dorme sotto l'effetto della flebo. Cosa diavolo è appena successo? 
"Hey ho sentito gridare... che è successo?" mi chiede Nancy una volta rientrata.
"E' successo che mi hai lasciata da sola con un ferito, per andare a fare gli occhi dolci a qualche stupido pilota" le rispondo non riuscendo a trattenermi.
"Mi dispiace, Grace, non pensavo sarebbe venuto qualcuno... ti prego non farne parola con il dottor Roland" mi prega.
Scuoto la testa facendole capire che non importa. Che diavolo di giornata!

***

E' ormai una settimana che sono in Inghilterra e ormai, quasi forzatamente, ho preso il ritmo che va da queste parti. Ormai penso solo a lavorare e lavorare: la mia vita scorre in questa tenda. Non mi lamento, anzi, mi sta andando alla grande: ho scoperto che la parola che lega tutto qui è "solidarietà", poichè ci troviamo tutti nella stessa situazione e chi, meglio delle altre ragazze, può capire come mi sento ora? Ci siamo passate tutte. Con Nancy, fortunatamente, va tutto bene: dopo la mia arrabbiatura iniziale per la brutta posizione in cui mi aveva messo, ho ceduto alle sue scuse; ma se non ho lei con cui scambiare due chiacchiere, posso contare su chiunque altro: è facile fare amicizia, o per lo meno, è facile andare d'accordo con tutti. All'inizio sono stati tutti super pazienti con me e mi hanno aiutata moltissimo, ma presto mi sono resa conto che qui non si tollerano dei principianti e ce l'ho messa tutta per adattarmi al meglio, senza più essere d'intralcio e a diventare indipendente.
Il solo sta calando mentre finisco di scrivere le cartelle che ieri sera ho lasciato in sospeso. Sento qualcuno entrare nella tenda ed alzo lo sguardo: è lui, il pilota maleducato, che mi fa un cenno con la mano facendomi vedere la fasciatura sul polso. Con riluttanza mi alzo e silenziosamente lo faccio stendere. Inizio il controllo e, lo ammetto, ho tastato con un dito proprio sopra il grosso livido viola, sentendolo sibilare. 
"Male?" gli chiedo, con lo stesso sguardo beffardo che mi aveva rivolto qualche giorno prima.
Mi allontano con un piccolo sorriso di vittoria che cerco di nascondere, andando a prendere la sua cartella: ho scoperto che la persona più sgarbata che abbia mai conosciuto si chiama Finn, ed ha una contusione al polso, causata da qualche sballottamento in volo. Sono due giorni che viene per farsi controllare, ed ho avuto la fortuna di non averci nulla a che fare, fino ad ora. Leggo le medicazioni che Martha gli ha dato i giorni precedenti e prendo la pomata che usa di solito: gliela spalmo e ci stendo sopra delle garze per tenere ben saldo il polso. Il tutto facendo più pressione del dovuto: mi sto comportando da bambina? Può essere, ma se lo merita.
"Quello che sta facendo non è professionale" mi dice notando quello che sto facendo.
"Forse sono le mie scarse capacità da infermiera... la sto medicando, ha da ridire anche su questo?" mi rivolgo a lui con un sopracciglio alzato.
Lo sento sbuffare rumorosamente.
"La ferita del mio amico, l'ho causata io... non me lo sarei mai perdonato se gli fosse successo qualcosa" ammette, dopo un lungo silenzio.
"Questo non giustifica il suo comportamento" gli rispondo, ancora concentrata sulla sua medicazione.
"Ha ragione, ma ero nel panico... forse non sa che significa stroncare la carriera di qualcuno"
"Lei lo sa?" gli chiedo già intuendo la risposta.
"Fortunatamente no" mi risponde con un sorriso beffardo.
"Ancora scusa non me l'ha detto" dico finendo il bendaggio e guardandolo in viso.
"Mi scusi..."
Pensavo ci sarebbe voluta un po' di insistenza, infatti mi stupisco quando sento quelle parole uscire dalla sua bocca. 
"Tenente, lei ha un viso familiare" se ne esce dopo qualche momento di silenzio.
"Non mi sembra di averla mai vista..." gli rispondo mentre compilo la sua cartella alla scrivania.
"Di dove è?" lo sento sedersi davanti a me.
"New Orleans, perchè me lo chiede?"
"Impossibile, non sono mai stato a New Orleans... ha mai vissuto da qualche altra parte?"
"Beh, certo, per lavoro: sono stata a Long Island, Washington..."
"Ma certo, Washington!"
Che sia uno dei piloti che ho visitato a Washington? Non me lo ricordo per niente.
"L'ho vista nel treno diretto a Washington, era nella mia carrozza! Mi ha chiesto il giornale che stavo leggendo"
"Oh, ora ricordo, ma certo!" esclamo alzando lo sguardo.
"Le avevo detto che il destino me l'avrebbe fatta rincontrare!" mi dice con un sorriso gongolante.
"Non nel migliore dei momenti, però" ammetto maliconicamente.
"Beh, ma ci siamo comunque rincontrati" 
"Già..." dico continuando a scrivere.
"Spero che la buona impressione che ho fatto la prima volta valga anche ora"
"Cosa le fa pensare che ha fatto una buona impressione?" alzo lo sguardo guardandolo sinceramente interrogatoria.
"Lo so che le sono piaciuto: lo vedevo dai suoi occhi"
"Tenente lei è così..." dico alzando gli occhi al cielo.
"Sfrontato? Me l'ha già detto" mi interrompe con una risata.
"Sfrontato e maleducato: cosa le fa pensare che abbia una buona impressione di lei?" 
"Le ho già chiesto scusa"
"Credo che ci voglia qualcosa di più delle sue scuse, tenente"
"Va bene... la inviterei fuori a cena con me ma sa, la situazione in cui ci troviamo non me lo permette" mi dice con un sorrisetto insolente.
Smetto di scrivere sulla cartella e lo guardo. Ma che ha in mente?
"Non intendevo questo... e poi le ho già detto che non mi piace la sua sfrontatezza"
Ma chi si crede di essere? Come gli viene in mente che vorrei uscire con uno come lui?
"Mi distrugge l'autostima così, tenente" dice scherzosamente posando una mano al cuore.
"Facciamo così: ripartiamo da capo?"
"No" rispondo pacatamente.
"Oh, avanti, le sto provando tutte!"
"Provi di più, tenente" dico alzandomi.
Vado verso il grande armadio con le medicazioni e tiro fuori quello che mi occorre.
"Questa la deve mettere due volte al giorno per una settimana e queste le serviranno per rifare la fasciatura, così non dovra ritornare qui tutti i giorni" gli spiego pazientemente.
"Quando potrò ritornare a volare?" dice con un tono di voce, questa volta, serio.
"Ritorni tra due giorni per un altro controllo"
"Lei ci sarà?" 
Come non detto: ecco che ritorna il suo solito fare.
"Arrivederla, tenente Holbrook" taglio corto.
Continua a guardarmi mentre, finalmente, si arrende e se ne va facendomi un cenno.
   
 
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