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Autore: Pervinca95    18/05/2020    4 recensioni
Nora Gigli frequenta l'ultimo anno del liceo quando decide di trovarsi un piccolo impiego come babysitter per aiutare sua mamma con le spese.
Peccato che, troppo tardi, si renderà conto che i bambini di cui dovrà prendersi cura sono i fratelli di Riccardo Sodini, il ragazzo per cui la maggior parte del genere femminile della sua scuola ha un debole.
*
Dalla storia:
Appena si fu girato gli feci una boccaccia. Fu un impulso al quale non potetti resistere.
"Come hai detto che ti chiami?"
Mi bloccai con un piede già fuori dalla porta. Che mi avesse beccata?
Virai con lo sguardo su di lui, fermo a fissarmi con le mani nelle tasche dei jeans.
Evitai di fargli notare che non ci eravamo ancora presentati. "Nora", risposi guardinga.
Abbassò un attimo gli occhi mentre si mordeva il labbro inferiore per trattenere una risata. Quando li rialzò, l'azzurro delle iridi luccicava di spasso. "Fossi in te, Nora, mi darei un'occhiata" affermò con un sottile tono schernente. "Prendilo come un consiglio" aggiunse senza risparmiarmi il suo sorrisino. Poi ruotò di nuovo le suole e si avviò verso la cucina.
Quando uscii da quella casa mi prudevano le mani.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Inferno













Era di nuovo sabato.

Un'altra settimana stava volgendo al termine senza che il diabolico nano Sodini mi avesse uccisa o provocato un esaurimento nervoso irreversibile. 

Potevo dunque ritenermi fortunata.

Il bernoccolo che aveva fatto capolino in mezzo alle mie sopracciglia la sera stessa della porta in faccia, si era finalmente ritirato. Insomma, ero tornata ad avere un aspetto umano. 

Potevo ringraziare Sodini senior se per qualche giorno ero stata un unicorno. 

In compenso, avevo avuto il piacere di non incontrarlo più per tutta la settimana. Seppur in ritardo, le mie preghiere erano state ascoltate e sia mercoledì che giovedì mi aveva accolta sua mamma. 

Potevo dunque ritenermi doppiamente fortunata.  

<< Ragazze, ho una notizia bomba >> esordì Francesca, dopo una breve corsa fino al mio banco.

Batté le mani su di esso e ci guardò una ad una, le iridi castane che sprizzavano lampi di eccitazione. 

Vanessa, seduta sulla sedia, continuò a masticare il suo panino senza scomporsi. 

Era ricreazione e, grazie all'orario ridotto del sabato, dopo un'ora saremmo uscite da scuola per goderci il pomeriggio libero.

Considerando che l'ultima lezione in programma era letteratura italiana e che la professoressa avrebbe spiegato, ero estremamente rilassata. 

Mi ero accomodata sul banco, la schiena appoggiata al pilone di cemento dietro di me. Linda, invece, se ne stava in piedi accanto a Vanessa a spilluzzicare la sua merenda. 

<< Che notizia? >> le chiesi curiosa. 

Francesca sfoderò un sorriso accattivante. << Una festa, stasera. >> 

Salutai tutt'e tre con la mano. << Buon divertimento. >> 

Vanessa e Linda risero, Francesca mi rifilò uno schiaffo poco delicato sulla gamba. 

<< Non hai libertà di scelta >> disse. << Nessuna di voi ce l'ha. Ormai ho già detto a Giacomo che ci saremo. >> 

<< Grazie per esserti consultata con noi >> rimbrottai massaggiandomi il punto in cui mi aveva colpita.

<< E dai >> si difese prendendomi sotto braccio. << Ci divertiremo un sacco. >> Appoggiò la testa sulla mia spalla in un'astuta mossa per farsi perdonare. 

Faceva sempre così quando le rimordeva un po' la coscienza. Cercava di essere assolta dai suoi peccati diventando docile e coccolosa. 

Ed io non avevo la forza di avercela con lei. 

<< Di chi è questa festa? >> domandò Linda, infilandosi un pezzo di schiacciata in bocca. 

Francesca saltò su, euforica. << Di Virginia Puccini, della 5ª D, che essendo amica di Giacomo gli ha chiesto di invitare un po' di gente. Mi ha detto che si terrà in centro, alle 21:00, al locale Inferno. >> 

<< Speriamo che non lo sia di nome e di fatto >> scherzai.

<< Vedrai che sarà un successo >> mi rassicurò lei. << Dobbiamo metterci d'accordo su come arrivarci. Giacomo ha la macchina, quindi potremmo chiedergli un passaggio. Che ne dite? >> 

<< Sono d'accordo >> intervenne Vanessa. << Meglio che ci sia un ragazzo con noi dato che dovremo fare un pezzo a piedi. >> 

<< Giusto, allora dopo, fuori da scuola, sistemiamo la cosa con Giacomo >> concluse Francesca mentre suonava la campanella. 

Annuii, seppur reticente all'idea di sorbirmi la festa di una sconosciuta. 

Avrei voluto trascorrere la serata davanti ad un film insieme a mia mamma, ma i miei piani erano destinati a fallire miseramente.

Pregavo solo che qualcuno mi assistesse.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

Ero davanti al letto da almeno mezz'ora. 

Avevo fatto la doccia, mi ero spalmata un po' di crema corpo dolcemente fruttata ed avevo asciugato i capelli. 

In quel momento ero indecisa su quali vestiti indossare. Ne avevo selezionati alcuni e li avevo stesi sulla coperta in modo da esaminarli meglio. 

Eppure ero ancora lì, indecisa sulla scelta.

<< Mamma >> urlai in direzione della porta. << Puoi venire un attimo? >> 

Mia mamma arrivò poco dopo con uno strofinaccio in mano. 

Si scostò un ciuffo dal viso e mi venne vicina. << Dimmi. >> 

<< Non so quale mettere >> le spiegai. << Mi aiuti? >> 

Lei studiò attentamente ogni outfit, increspando le labbra come tutte le volte che meditava su qualcosa. 

<< Questo >> disse infine, indicandone uno. 

Consisteva in un morbido maglioncino bianco con uno scollo a barchetta decorato da delle perline e in una gonna blu, lunga un po' sopra il ginocchio, arricchita da dei motivi geometrici dorati. 

<< Aggiungi un paio di calze nere leggere, degli orecchini dorati e gli stivaletti bassi che hai comprato l'anno scorso. Per i capelli ci penso io >> dichiarò annuendo. << Vai, intanto vestiti che ho la roba sul fuoco. >> 

Sorrisi nel vederla sfrecciare fuori dalla camera con dei movimenti goffi. 

Feci come mi aveva detto e mi osservai allo specchio.

Lisciai il maglioncino mentre analizzavo il mio profilo, constatando che, tutto sommato, stavo bene. 

Proseguii col trucco. 

Stesi un leggero velo di ombretto beige luminoso, passai una linea sottile di matita nera intorno agli occhi e infine il mascara. 

Conclusi con qualche spennellata di cipria e di blush sugli zigomi. 

<< Mamma, io ho fatto >> la chiamai mentre riordinavo tutto ciò che avevo messo in disordine. 

<< Arrivo, prendimi una molletta nera >> urlò dalla cucina. 

Cercai nei cassetti del mio comodino e ne tirai fuori una, poi sistemai la sedia della scrivania davanti allo specchio e mi accomodai in attesa che arrivasse. 

Mancavano ancora dieci minuti prima che Giacomo e le ragazze passassero a prendermi con la macchina. Dentro di me speravo che Francesca mi inviasse un messaggio in cui scriveva che, purtroppo, la festa era saltata.

Avrei ballato la Macarena dalla gioia.  

<< Eccomi. >> Mia mamma entrò con un largo sorriso. Si sistemò alle mie spalle ed armeggiò con i capelli. << Pensavo di rotolare queste due e fermarle dietro la testa >> disse mentre attorcigliava prima una ciocca e poi l'altra. Le imprigionò con la molletta e si dedicò ai due ciuffetti che mi aveva lasciato ai lati del volto. << E questi li terrei così, ad incorniciarti il viso. Non farei altro, sono già belli di loro questi capelli. >> Li toccò con dolcezza e sorrise. << Ti piace? Io dico che stai benissimo. >> 

Annuii, restituendole il sorriso. << Grazie, mamma. >>

Mi alzai in piedi e la abbracciai stretta. << Avrei voluto stare con te stasera >> le confessai, la testa appoggiata sulla sua spalla.

Mi accarezzò la schiena con una risata. << È giusto che tu esca un po' con le amiche. E poi domani abbiamo tutta la giornata per stare insieme. >> 

Mi ritrassi per guardarla imbronciata. << Dovresti impedirmi di uscire, sai quanti pericoli potrei incontrare fuori da queste mura? È un mondo troppo pericoloso per una dolce donzella come me. >>

Sciolse l'abbraccio scoppiando a ridere. << Ma stai zitta. Basta, non ti voglio più sentire. Esci subito di qua. >> 

<< Ma mamma, almeno dammi un coprifuoco. Le undici? >> tentai muovendo le sopracciglia rapidamente.

<< Nora, le undici sono tra due ore e mezzo. >> 

<< Infatti, è un tempo più che sufficiente per stare fuori >> mi difesi. 

<< Basta, esci subito >> disse scuotendo il capo, ilare. 

Raccattai la borsa e una giacchetta leggera, che con molta probabilità avrei lasciato in macchina di Giacomo dato che indossavo già un maglioncino.

<< E va bene, ma sappi che sono molto offesa >> affermai mentre procedevo verso la porta di casa. 

Mi voltai sulla soglia, lo sguardo supplichevole. << Nessun ripensamento? >> 

Lei scosse la testa, divertita, per poi accarezzarmi i capelli che scendevano morbidi fino a sopra il gomito. << Mi fido ciecamente, so che sei una ragazza giudiziosa. Quindi ora vai, o ti butti fuori a pedate. >> 

Sospirai rassegnata, dopodiché mi abbassai per farmi scoccare un bacio sulla fronte. 

Salutai mia mamma che il cellulare mi squillava. 

Scesi di corsa le scale e uscii dal condominio, per poi correre alla macchina dei miei amici e prendere posto nei sedili posteriori insieme a Linda e Vanessa. 

<< Ehilà, bella fanciulla >> mi salutò Francesca, ruotandosi a guardarmi. 

Notai che il suo trucco era decisamente più pesante del mio per via dell'ombretto nero sapientemente sfumato su tutta la palpebra. 

Era bravissima a truccarsi, frutto di anni e anni di intenso studio di tutorial su internet.  

I capelli castani e lisci erano stati arricciati con la piastra e possedevano un volume alla radice che ero sicura fosse riuscita ad ottenere solo grazie alla lacca. 

Le sorrisi. << Chi si rivede. >> Spostai lo sguardo su Giacomo e mi sporsi a toccargli la spalla. << Grazie per il passaggio. >> 

<< No problem >> rispose dandomi il pugno per batterlo contro il suo. 

<< Ti stanno proprio bene i capelli così >> mi disse Linda, il tono carezzevole. 

Sorrisi felice. << Grazie, me li ha sistemati mia mamma. Comunque siete tutte belle. >> 

Linda indossava un paio di jeans neri a vita alta ed una maglietta bianca attillata che finiva dentro i pantaloni. Sulle spalle aveva una giacchetta nera a mantellina. 

I suoi grandi occhi verdi erano incorniciati da un accentuato trucco nero, ma meno eccentrico rispetto a quello di Francesca. 

Vanessa, invece, aveva optato per un vestito fino a metà coscia di velluto verde. I capelli neri erano sciolti sulle spalle, la frangetta bombata. 

<< E io? Non sono bello? >> chiese Giacomo, scherzosamente risentito. 

Ridemmo per quasi tutto il viaggio, sebbene nella mente non avessi smesso di pregare un attimo a causa della guida di Giacomo, talvolta non proprio fluida dato che era fresco di patente.

Per fortuna riuscimmo ad arrivare a destinazione sane e salve. 

Giacomo parcheggiò nel primo posto libero ed insieme camminammo fino al locale. 

Una volta raggiunto, dovetti armarmi di tutta la pazienza di cui disponevo per non fare dietrofront. 

<< Mai nome fu più azzeccato >> borbottai alla vista della ressa di gente fuori dal pub.

Quello era davvero l'inferno. 

La strada brulicava di ragazzi e ragazze, alcuni con un bicchiere in mano, altri a fumare, altri ancora a scambiarsi solo qualche chiacchiera. 

E il peggio doveva ancora venire dato che era richiesto che entrassimo. 

Linda mi prese sottobraccio per infondermi coraggio. A quanto pareva la mia espressione doveva essere la perfetta descrizione dello sconforto. 

Francesca, che amava stare in mezzo alla gente, si voltò a guardarci entusiasta. << Entriamo? >> 

Volevo possedere un briciolo della sua vitalità. 

Avrei avuto il suo stesso sguardo eccitato solo davanti ad un bel film, una tisana calda ed una gustosa crostata alle more. 

Ed invece mi toccava stare lì. Ancora una volta, le ingiustizie della vita. 

Linda mi trascinò all'interno del locale che, per lo meno, era più spazioso di quanto avessi immaginato. 

Si sviluppava in una pista da ballo centrale sui cui lati erano disposti tavolini e divanetti. Su un fianco si stendeva un lungo bancone dove i barman servivano da bere a chi occupava gli sgabelli. Sul fondo della pista, in un angolo, imperava il dj con la sua console che, in quel momento, muoveva il capo come un piccione per seguire il ritmo dell'orribile musica che aveva messo.  

Notai che una scala a chiocciola conduceva al piano superiore che aveva il campo visivo aperto sulla pista. Infatti molti che erano seduti ai tavoli di sopra osservavano chi ballava di sotto. 

Individuai una ragazza dai corti capelli rossi andare incontro a Giacomo. Aveva le guance paonazze e alcuni ciuffi bagnati attaccati alle tempie. << Ciao Giacomo, hai portato qualche amica? >> chiese sporgendosi a guardarci. 

Sorrise calorosamente, il che me la fece reputare subito simpatica. 

<< Vi lascio due cartoncini ciascuno per le bevute, così da non doverle pagare. E niente >> disse stringendosi nelle spalle. << Vi auguro di divertirvi, ci vediamo in giro. >> 

Salutò tutti con un cenno della mano e fuggì per essere inghiottita dalla folla. 

Giacomo smistò i cartoncini, per poi alzare lo sguardo oltre la mia testa.

Non ebbi il tempo di voltarmi perché venni investita da una montagna umana. Il mio collo venne avvolto da un braccio, così come quello di Linda.

<< Ma guarda un po' chi c'è >> sentii urlare all'orecchio da una voce inconfondibile. 

Spostai gli occhi su Ruggero Urri, il casinista di classe, che mi stava fissando con un largo sorriso. 

Da qualche giorno aveva cambiato stile di capelli: sui lati li aveva tagliati decisamente corti per lasciare la zona centrale più folta.

Dovevo ammettere che quel taglio gli donava, rispecchiava di più la sua personalità eccentrica.  

Il suo brillantino al lobo attirò la mia attenzione dato che non l'avevo mai notato.

<< Sai che sei proprio carina? >> disse all'improvviso, spiazzandomi.

Annaspai per qualche secondo mentre le mie guance assumevano colore. 

Se non altro non lo avrebbe notato nessuno dato che le luci erano piuttosto soffuse. 

<< Grazie >> risposi impacciata. << Ma hai bevuto? >> mi uscì spontaneo. 

Lui rise e si mise su dritto per sgranchirsi la schiena. << Solo un drink, niente di compromettente. >> 

<< Sta forse nascendo una coppietta? >> ci stuzzicò Giacomo, abbracciandosi e mandando baci a caso. 

Scoppiò a ridere quando Ruggero gli si lanciò addosso, afferrandolo per il collo. 

Sorrisi imbarazzata e cercai Linda con lo sguardo in una muta richiesta di salvataggio.

Per fortuna recepì istantaneamente il mio messaggio e mi trasportò in uno dei divanetti liberi intorno alla pista. 

Vanessa e Francesca ci seguirono a ruota e insieme occupammo un tavolino.

<< Quanto sono stupidi i maschi >> osservò Francesca, sprofondando nel sedile davanti a noi. 

<< Per caso ti piace Ruggero? >> mi domandò Vanessa con un'espressione maliziosa. 

Ritrassi il capo. << No >> risposi di getto. Abbassai gli occhi sulle mie mani congiunte sul tavolo. << Lo trovo simpatico e mi piace stare con lui, ma come amico >> specificai.  

Ruggero era davvero un ragazzo spiritoso e alla mano. Era sempre stato gentile e disponibile nei miei confronti, ma per lui nutrivo un semplice affetto. 

Non riuscivo proprio a vederlo come un potenziale fidanzato. 

E lui non mi aveva mai dato motivi per pensarla diversamente. Quella era la prima volta che mi faceva un complimento. 

<< Secondo me gli piaci >> ipotizzò Vanessa. << Martedì, mentre facevi il percorso ad ostacoli, non ti staccava gli occhi di dosso. >> 

Ero piuttosto imbarazzata da quel discorso. E ricordare tutti gli sguardi che avevo avuto addosso quel giorno non aiutava. 

Se Ruggero avesse avuto davvero una cotta per me non avrei saputo come comportarmi. Non volevo né dargli false speranze né farlo stare male.

Scacciai via quel pensiero con un gesto della mano. 

Speravo solo che Vanessa si sbagliasse o avrei cominciato a vivere quella situazione con il patema d'animo. 

Giacomo spuntò dalla massa di gente, i capelli scompigliati per la lotta con Ruggero. << Siete qui, finalmente vi ho trovate. Volete gettarvi in pista con me, Ruggero e gli altri? >> 

Francesca saltò in piedi. << Io ci sto >> disse, facendo la felicità del suo pseudo ragazzo. 

Vanessa la seguì a ruota e Linda mi guardò titubante.

<< Voi intanto andate, io prima voglio approfittare di uno di questi cartoncini >> affermai con un sorriso. 

Linda mi toccò una mano. << Sicura? Se vuoi vengo con te. >> 

Le diedi una spinta scherzosa col fianco per farla alzare dal divanetto. << Vai pure >> la incoraggiai. 

Francesca mi rivolse una muta domanda, a cui annuii per rassicurare anche lei. 

Dopo che se ne furono andati, mi sollevai dalla mia comoda postazione per dirigermi al bancone. 

Non mi piaceva ballare in pubblico. Non sapevo come muovermi, mi sentivo estremamente impacciata e la vicinanza con degli sconosciuti non mi andava a genio. E poi non volevo rompere nessun piede o mollare un pugno in faccia a qualcuno per sbaglio. 

Raggiunsi il bancone e mi accomodai su uno sgabello vuoto. 

Il barman fu da me in meno di cinque secondi.

<< Un Mojito analcolico >> ordinai barattando il primo cartoncino.

Seguii la preparazione del mio cocktail per assicurarmi che non ci venisse gettato dentro niente di strano. Ero paranoica su quel fatto, mi sentivo un'ispettrice in incognito, ma dopotutto le precauzioni non erano mai abbastanza. 

Afferrai il bicchiere che mi veniva servito, per poi ruotare lo sgabello e cercare i miei amici in mezzo alla folla. 

Non avevo la minima intenzione di aggregarmi a quella massa indistinta di corpi umani, me ne stavo benissimo lì vicina al bancone. 

<< La babysitter si dà all'alcool. >> Quella voce e quella frase mi fecero irrigidire come se avessi ricevuto una doccia ghiacciata. 

Non ci volevo credere. 

I miei occhi atterrarono in quelli azzurri di Sodini. 

Lo stupido era lì. Adesso il nome del locale aveva ancora più senso. 

Gli riservai un'occhiata di sufficienza. 

Indossava una camicia bianca risvoltata sui gomiti ed un paio di jeans chiari con alcuni strappi sul ginocchio. I capelli erano scomposti e al contempo impeccabili, lo sguardo pervaso di scherno. 

<< È analcolico >> precisai sollevando il bicchiere. 

E ora puoi sparire, avrei voluto aggiungere. 

Il mio tono seccato sembrò non scalfirlo perché non si mosse di un centimetro. 

<< Mi dai uno dei tuoi dischetti per la bevuta? >> domandò invece, aprendo il palmo. 

Guardai la sua mano aperta con pretesa, poi il suo viso. 

Forse avevo sentito male e mi stava semplicemente chiedendo un baciamano per farsi perdonare di quanto fosse antipatico. 

Aprii bene gli occhi e mi sporsi verso di lui. << Come scusa? >> 

Un angolo della sua bocca si incurvò sardonico. Fece vagare lo sguardo per il locale mentre si toccava i denti superiori con la lingua, le labbra increspate in un sorrisetto. Poi schioccò la lingua al palato e, quando riportò gli occhi su di me, si picchiettò l'orecchio. << Fatti controllare. >> 

Se il mio pugno non partì dritto verso la sua faccia fu per puro miracolo. 

Percepii le mie narici dilatarsi come quelle di un bue. Ci mancava solo che cominciassi a scalciare e gli caricassi addosso.

<< Il mio udito funziona benissimo >> risposi secca. 

<< Allora, me lo dai? >> richiese, incurante della mia occhiata omicida. 

Issai un sopracciglio. << E perché dovrei? >> 

Osò guardarmi come se tra noi due fossi io la stupida che non capiva. << Perché mi serve. >> 

<< Chiedilo ai tuoi amici >> controbattei, per poi allungare lo sguardo verso la pista.

Improvvisamente avrei preferito trovarmi in mezzo a quella ressa piuttosto che lì con lui. 

Mi aveva persino dato della sorda. Ero basita, incredula e pericolosamente nervosa. 

<< Non sarei qui se li avessero ancora >> ammise senza scrupoli.

Mi voltai di scatto, gli occhi che sprizzavano fiamme. 

La mia simpatia nei suoi confronti mi provocava un'irrefrenabile voglia di prenderlo a botte. Ero lì lì per rimboccarmi le maniche e trasformare la pista in un ring. 

Persino un moscerino avrebbe avuto più tatto di lui. E aveva anche il coraggio di pretendere il mio cartoncino. 

Mi stampai un sorriso falso. << Ritenta con qualcun altro, sarai più fortunato. >> 

Un suo sopracciglio schizzò verso la fronte, le sue iridi si accesero di una luce pericolosa. << Sarebbe un peccato se perdessi il tuo lavoro per cattiva pubblicità >> disse osservandosi le unghie della mano con disinteresse. << Non credo che a mia mamma piacerebbe sapere che la babysitter è un'accanita bevitrice. >> 

Strinsi i denti. << È analcolico >> ribadii irritata. 

In tutta tranquillità estrasse il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans, lo puntò sulla sottoscritta e mi scattò una foto col bicchiere in mano. 

Ero frastornata.

Esaminò la fotografia prima di mostrarmela con un sorrisetto scaltro. 

Non ebbi la forza di guardarla, non capivo dove volesse arrivare con quello stupido giochino degno solo di un cervello come il suo. 

Se la riguardò con sommo divertimento. << Da qui non si distingue l'alcolico dal non >> disse prima di osservarmi di sottecchi. << Potrei inventare un sacco di storie intorno a questa foto >> continuò, mentre nella mia mente cominciava a suonare la sirena d'allarme. << E a chi pensi che crederebbe mia madre? >> concluse, il tono compiaciuto. 

Ero sconcertata. 

Quell'essere era stato concepito dal diavolo.

Volevo sperare scherzasse, ma la sua faccia da schiaffi diceva tutto il contrario. 

La prima cosa che feci fu individuare il suo telefono con l'intenzione di strapparglielo di mano e cancellare la foto, ma intercettò il mio sguardo prima che passassi all'azione.

<< Non ti conviene, sarebbe patetico >> pronunciò con un tono estremamente odioso. 

Piantai gli occhi nei suoi. << Il tuo ricatto lo è ancora di più >> ribattei nervosa. 

Sollevò un sopracciglio, il sorrisetto derisorio ancora lì. << Quindi? Cosa decidi? >> 

Destavo l'idea di dargliela vinta, ma non potevo permettergli di farmi licenziare per una stupida questione di orgoglio. 

Espirai pesantemente ed estrassi l'altro cartoncino dalla borsetta che tenevo in grembo.

Speravo ci si strozzasse con quel drink. Sarebbe stata la giusta punizione per la sua prepotenza. 

Glielo schiaffai sulla mano con uno sguardo fulminante. << Goditelo >> dissi sprezzante. 

Lo prese con un sorriso vittorioso, le iridi azzurre colme di pungente ironia. << Sarà fatto. >> 

E detto ciò, girò i tacchi per sparire dalla mia vista. Il che fu l'unica mossa intelligente che compì, perché stavo trattenendo la belva racchiusa in me dal prenderlo per i capelli.

Ero un fascio di nervi. Non m'interessava del cartoncino o della seconda bevuta persa, perché non avrei avuto intenzione di sfruttarla, ma avrei preferito cederla ad uno sconosciuto piuttosto che a lui.

La pretesa insita nel suoi modi, come se tutto gli fosse dovuto, era irritante. Per non parlare del suo tono, della sua faccia, della sua semplice presenza e di tutto ciò che lo riguardava. Ogni cosa era irritante. 

E il problema peggiore era che mi toccava averci a che fare. 

Bevvi avidamente la mia bevanda per placare il fuoco della rabbia che mi stava divorando. 

Lasciai il bicchiere sul bancone e mi diressi spedita verso i miei amici sulla pista. 

Avevo bisogno di distrarmi o avrei finito per farmi venire l'ulcera al pensiero di Sodini.  

Adocchiai Linda che si stava sbracciando per farmi cenno di raggiungerla. 

Mi feci spazio tra la folla, tirando spinte a tutto spiano, per poi essere sputata davanti alle mie amiche. 

<< Eccoti finalmente >> urlò Francesca, cercando di sovrastare la musica. 

Linda mi prese le mani e mi guidò in un balletto che, dovetti ammettere, era divertente. 

Prevedeva un sacco di giravolte l'una sotto il braccio dell'altra e dondolamenti a destra e sinistra. 

Scoppiai a ridere quando vidi Ruggero e Giacomo improvvisare una mossa di tango: il casque. 

Ruggero si voltò a guardarmi ilare. << Vuoi provare? >> 

Scossi il capo, divertita. << Non ci tengo >> gridai sopra una nuova canzone. 

Mi fece la linguaccia. << Fifona. >>

Gli sorrisi e proseguii a ballare con Linda che mi trascinava a ritmo di musica in mosse di sua invenzione. 

<< Al mio tre, ragazzi >> pronunciò il dj dal microfono della console. << Voglio vedervi saltare, ok? >> 

Saltare? Stavo già sudando come un porcello. 

Tutti urlarono una risposta affermativa, il mio no fu calpestato senza pietà. 

Il dj mise Without You di Avicii e, una volta giunto a pochi secondi dal ritornello, la rallentò. << Pronti, ragazzi? Ci siamo! Uno... uno, due e tre >> vociò prima di ruotare rapidamente una manopola e dare sfogo al ritornello. 

Tutti cominciammo a saltare sul posto al battito della musica. 

Le note della canzone risuonarono con tanta forza che percepii la loro vibrazione fin dentro la cassa toracica. Mi riempirono le orecchie e la testa mentre mi lanciavo in quella danza a balzelli. 

Il pavimento tremava sotto il peso dei nostri salti, e la musica assordante pareva buttare giù le pareti. 

Scoppiai a ridere alla vista di Vanessa che ad ogni saltello litigava con l'orlo del vestito. Lei mi guardò divertita, rilasciando uno sbuffo che le smosse la frangetta. 

Vagai con lo sguardo per la pista, osservando quanti fossero i ragazzi e le ragazze che si muovevano al nostro stesso tempo. E poi, sul fondo della sala, mi scontrai con gli occhi azzurri di Sodini, voltatosi proprio in quell'istante. 

Era in mezzo al suo branco di amici, la schiena appoggiata al muro, una mano calata nella tasca dei jeans.

Sulle sue labbra si pennellò un mezzo sorriso canzonatorio mentre issava il bicchiere per cui mi aveva ricattata. 

Ancora non gli era andato di traverso. 

Per tutta risposta gli feci una boccaccia, sì, proprio come i bambini. 

<< Con chi ce l'hai? >> mi urlò Linda all'orecchio.

Spostai lo sguardo su di lei. << C'è quello stupido di Sodini >> le feci presente scocciata. 

I suoi occhi si sgranarono e cercò subito di individuarlo nella folla, poi strattonò Vanessa e Francesca per un braccio e le avvertì della presenza del sorcio. 

Entrambe fecero ciò che aveva fatto Linda cinque secondi prima. Si rivolsero un'occhiata complice e poco dopo mi ritrovai ad essere strattonata brutalmente fuori dalla pista. 

Approdai su un divanetto ancor prima di essermene resa conto. 

Linda si accomodò accanto a me, Francesca e Vanessa davanti. 

<< Ok, dobbiamo studiare un modo per attirare la sua attenzione >> esordì Francesca. << Non possiamo lasciarci scappare quest'occasione. >> Lanciò uno sguardo nella direzione di Voldemort. << Cavolo, questo è proprio destino >> dichiarò assorta. 

Mi portai una mano davanti alla faccia. 

Cos'avevo fatto di male? Qualcosa di molto grosso se quella era la mia punizione. 

Avevo cercato di distrarmi e loro rievocavano quello stupido. Era una maledizione.

<< Non so cosa inventare >> intervenne Vanessa, picchiettando un dito sul tavolo. << E se una di noi gli passasse davanti e fingesse di svenire? >> 

Sospirai rassegnata. 

<< Non male come idea >> asserì Francesca dopo aver soppesato la sua proposta. 

<< Ma io mi vergogno >> ammise Linda. 

<< Perché non gli offrite un vostro dischetto? Sono sicura che apprezzerà >> dissi con una nota acida che non colsero. 

Se non si era strozzato con quel drink avrei ritentato con un altro. 

Vanessa spalancò gli occhi e m'indicò con l'indice. << Ottima idea. Io ci sto. >> 

<< Bene, allora come procediamo? >> chiese Linda. << Chi va? >> 

Tre paia di occhi atterrarono sulla sottoscritta. 

Sbattei le palpebre, sfasata. Cos'era quella muta domanda che leggevo nelle loro iridi? 

No, non era vero. 

Stava per scapparmi una risata isterica. 

<< Scordatevelo >> asserii spiccia. << Non ci penso nemmeno. Siete voi quelle che bramano la sua attenzione. >>

Francesca mi guardò supplichevole. << Ma tu sei la babysitter dei suoi fratelli. Cosa penserebbe di noi se, così dal nulla, ci presentassimo lì? Non gli abbiamo mai parlato, tu invece sì. Dai, ti prego. >> 

<< No. >> Ero irremovibile, non sarei andata da quello stupido. Non dopo il simpatico scambio di carinerie di poco prima. Avrei accettato solo se mi avessero chiesto di rifilargli un calcio negli stinchi. 

La cosa incredibile fu che, dopo dieci minuti, ero in piedi, con un cartoncino in mano e l'espressione di una che avrebbe preferito la morte a tutto il resto.

Ero stata irremovibile come una piuma. 

Dopo dieci minuti di lagne, suppliche, finte lacrime e ancora preghiere avevo ceduto. Più per disperazione che per pietà. 

Mi vergognavo di me stessa. Ero debole, molliccia, una pappamolla. 

Diedi un ultimo sguardo alle mie amiche nella vana speranza che avessero cambiato idea.  

Fu sconsolante vederle sorridere e sollevare i pollici a mo' d'incoraggiamento. 

Volevo sprofondare sotto terra, e la cosa più drammatica era che, la fossa, me l'ero scavata da sola. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice:

Hola! 

Come state? Spero tutto bene malgrado i tempi difficili. E mi auguro di avervi tenuto un po' di compagnia con questo capitolo e i precedenti. *_*

Mi fa tanto piacere leggere i vostri commenti e sapere che in un modo o nell'altro sono stata in grado di strapparvi un sorriso. 

Spero con tutto il cuore che questa storia continui a donarvi una risata e un po' di spensieratezza, cose di cui abbiamo tutti bisogno in questo periodo.

Detto ciò, vi mando un grosso bacio e vi lascio un piccolo spoiler del prossimo capitolo.

A lunedì prossimo!

GRAZIE. 

 

Federica~

 

 

Spoiler:

Tirai un sospiro di sollievo e m'incamminai lungo il corridoio che congiungeva le torrette finché non mi accolse la vista di una striscia viola che correva per tutto il muro. 

Individuai la classe di Voldemort e mi schiarii la voce prima di bussare.

<< Avanti. >>  

Oh no. Quella era la voce della Fantucci. 

Speravo di sbrigare la faccenda in poco tempo, così da togliermi quel disturbo in fretta. 

Quando la mia testa fece capolino nella classe, scorsi che negli occhietti neri della professoressa saettò il mio stesso pensiero.

<< Mi scusi, il professor Iradi mi ha dato questi fogli da farle firmare >> mi introdussi avanzando verso la cattedra. 

Solo quando le porsi il plico, mi resi conto che alla lavagna c'era il buon vecchio Sodini.  

Me ne compiacevo. Finalmente le posizioni erano invertite, così avrei avuto io il piacere di godermi la sua brutta figura. 

Se ne stava pigramente appoggiato al termosifone, le gambe allungate davanti a sé, le caviglie incrociate e un braccio steso a reggere il gesso mollemente.

Mi rivolse uno sguardo tra le ciglia dopo aver issato il mento in una posa spavalda. 

Bastò quello ad irritarmi. 

Era borioso e pieno di sé. Ed era necessaria una sola occhiata per evincerlo dato che non si premurava di nasconderlo. 

 

 

 

  
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