LOYAL, BRAVE AND TRUE
Capitolo primo: Loyal, Brave and True
Will I be stronger
Or will I be weak
When you're not with me?
Who am I without my armor?
Standing in my father's shoes
All I know is that it's harder
To be loyal, brave and true.
(“Loyal Brave True”- Christina Aguilera)
Juan Borgia era ormai
in vista del castello del Re di Napoli e si sentiva molto combattuto.
Una parte di sé era
compiaciuta, poiché il padre, invece di rimproverarlo per la condotta
sconsiderata che aveva tenuto durante l’assedio di Forlì, gli aveva affidato
una missione importante, con grande scorno del fratello Cesare; l’altra parte,
però, quella del suo orgoglio ferito, bruciava. Aveva avuto l’impressione che
Papa Alessandro lo avesse voluto allontanare da Roma proprio per tenerlo
lontano dai guai… e poi, a dirla tutta, si infuriava ancora quando ripensava al
modo in cui, più di tre anni prima, il Principe Alfonso e la sua sorellastra
Sancha si erano presi gioco di lui. A quel tempo Re Ferrante era ancora vivo,
sebbene ormai ridotto a un vegetale, Alfonso di Napoli era sicuro del suo Regno
e desideroso di allearsi con i Borgia per rafforzare la sua posizione. Proprio
per questo la sorellastra Sancha era stata promessa in sposa al giovanissimo
Goffredo e lui, Juan, era andato a Napoli per organizzare il matrimonio, come
Gonfaloniere e Capitano Generale della Chiesa. Per tutto il tempo, tuttavia,
Juan era stato oltraggiato e deriso dal Principe e dalla sorellastra, che
avevano fatto più volte accenno alle origini bastarde di tutti i figli del Papa e lo avevano ridicolizzato, come
se la sua parola valesse meno di niente. Sancha, poi, lo aveva continuamente
provocato per divertirsi con lui come avrebbe fatto con un qualsiasi garzone…
Sì, l’ego smisurato
di Juan era ancora ferito da quel lontano ricordo. E non moriva dalla voglia di
rivedere quel ragazzino spocchioso e insolente!
Tuttavia adesso la
situazione era rovesciata e sarebbe stato lui a ridicolizzare il Principe
Alfonso, che ormai era un regnante solo di nome.
“Juan,
è giunta l’ora che tu dimostri di essere un Borgia a tutti gli effetti” aveva
detto suo padre, Rodrigo Borgia, il Papa di Roma. “Hai ventitré anni e io non
posso continuare a concederti delle occasioni perché tu le distrugga. Ti avevo
mandato in Spagna perché ti sposassi e tu invece sei partito con i
Conquistadores per le Americhe; ti avevo affidato il comando dell’esercito che
assediava la fortezza di Caterina Sforza e tu hai fallito ancora, lasciando a
Ludovico il Moro tempo a sufficienza per giungere in soccorso della cugina e
sbaragliare le nostre truppe!”
“Sembrate
dimenticare, padre, che io stesso sono rimasto ferito in quell’occasione. Sarei
potuto morire!” aveva reagito Juan, indignato.
“Difficile,
visto che sei scappato dopo che eri stato ferito alla gamba, lasciando l’esercito
in balia di Ludovico Sforza…”
“Allora
sono un fallito che non merita niente, è questo che volete dire, padre? Vi
siete pentito di non aver scelto Cesare per questi incarichi, non è così? Oh,
lui sì che sarebbe stato valoroso, vi avrebbe reso fiero… non come me che, a
quanto pare, non faccio altro che deludervi!” Juan non sapeva se dovesse
sentirsi più offeso o amareggiato per i rimproveri del padre.
“Non
è questo, è soltanto che non so più come fare con te, per farti diventare l’uomo
che potresti e dovresti essere” aveva sospirato il Papa che, nonostante tutto,
continuava a credere in quel figlio scapestrato e disobbediente. “Per questo ho
deciso di affidarti un nuovo incarico molto importante, ma questa è l’ultima
volta, ricordalo. Come Gonfaloniere e Capitano Generale della Chiesa, ti
recherai a Napoli con un buon numero di truppe dell’esercito papale per offrire
la protezione dei Borgia al Principe Alfonso…”
Già, le cose erano
davvero cambiate nel regno di Napoli dall’ultima volta in cui ci era stato,
pensò Juan sogghignando tra sé. I Francesi, guidati da Re Carlo, avevano
tentato di invadere l’Italia e proprio il Papa aveva concesso loro di passare
da Roma e di prendersi Napoli, pur di non essere destituito. Re Carlo aveva
conquistato la città senza colpo ferire visto che, nel frattempo, Re Ferrante
era morto e quel ragazzino viziato e insolente di Alfonso era scappato. Quello che
era accaduto, poi, era frutto di voci e supposizioni. Si sapeva che il Re
francese era riuscito a catturare Alfonso e a farlo prigioniero e poi, quando
gli Stati italiani si erano uniti per cacciarlo dalla penisola, era tornato in
Francia portando con sé il prezioso ostaggio. Si diceva che il braccio destro
di Re Carlo, un valoroso Generale di mezza età, si fosse preso particolarmente
a cuore il destino del Principe. *
Due anni prima, nel 1495, il sovrano francese aveva deciso di rimandare Alfonso
e il suo Generale a Napoli: il Generale avrebbe tenuto il Regno in
rappresentanza del suo Re e Alfonso… beh, Alfonso sarebbe stato semplicemente
il Re fantoccio, tanto per non
scontentare la Spagna. **
Il problema era sorto
perché, sei mesi prima, il Generale si era gravemente ammalato ed era morto
poco più di un mese prima. A quel punto, Re Carlo non aveva più un suo uomo di
fiducia a guidare il Regno di Napoli e Papa Alessandro temeva che potesse
inviare nuovamente un esercito in Italia: si era mosso in anticipo e aveva
fatto in modo che fossero i Borgia a offrire la protezione necessaria al
giovane Principe.
“Se
saprai giocare bene le tue carte e conquistarti la fiducia di quel Principe
giovane e inetto, sarai tu a governare il Regno di Napoli, anche se
ufficialmente la corona apparterrà ad Alfonso” gli aveva spiegato Rodrigo
Borgia. “Nel caso dovessi fallire anche questa volta, allora il tuo compito
sarà di uccidere il ragazzo e non credo che la cosa ti creerà problemi, mi
sbaglio per caso? A quel punto, in mancanza di altri eredi diretti, saranno
Goffredo e sua moglie Sancha a trasferirsi a Napoli e il regno sarà loro. Sancha
è comunque una figlia illegittima di Re Ferrante.”
Rodrigo Borgia
avrebbe vinto in entrambi i casi, pensò Juan. Il regno sarebbe stato degli
Aragonesi agli occhi del mondo, ma dei Borgia nella realtà dei fatti: Alfonso e
Sancha erano solo delle pedine in quel gioco…
Ma, questa volta,
Juan era ben deciso a non fallire. Non avrebbe dato l’ennesima delusione al
padre e a se stesso, sarebbe riuscito a manipolare il Principe Alfonso e
avrebbe governato lui il Regno di Napoli. Non poteva farsi passare avanti anche
da Goffredo, l’ultimogenito della famiglia!
Nel frattempo, nel
suo castello di Napoli, il Principe Alfonso guardava apatico e sconsolato i
preparativi per l’arrivo del Gonfaloniere Juan Borgia e delle sue truppe. Sarebbero
arrivati nel primo pomeriggio ed era stato organizzato un grande banchetto in
loro onore.
Ad Alfonso non
importava assolutamente niente. Sapeva benissimo, ormai, che quella che i
Borgia chiamavano protezione era solo
un altro modo per dire che sarebbero stati loro a governare il Regno di Napoli,
così come avevano fatto i Francesi prima di loro. Questa volta non avrebbe
nemmeno cercato di ribellarsi, gli era bastato ciò che era accaduto l’unica
volta in cui ci aveva provato… se non fosse stato per l’intervento del
Generale, lui sarebbe morto tra torture atroci e spaventose che Re Carlo aveva
fatto in modo di prolungare per ore e ore.
Il Generale, già. L’uomo
che gli aveva salvato la vita tre anni prima e che lo aveva preso sotto la sua
protezione. L’uomo che, unico tra tutti i Francesi, si era interessato
veramente alla sua situazione e che lo aveva aiutato a riprendersi, lo aveva sempre
difeso, era stato accanto a lui, lo aveva fatto sentire importante anche quando
sapeva bene di non esserlo più. Il Generale era stato sempre gentile, era un
uomo valoroso e leale e gli aveva voluto bene. Sì, certo, si era anche preso
delle libertà eccessive nei suoi
confronti, cose che lui non era sicuro di avere accettato né capito bene fino
in fondo… Eppure era stato per tre anni il centro del suo mondo, vicino a lui
non aveva più paura e sapeva di poter contare sempre sul suo appoggio e sul suo
affetto.
Quando, sei mesi
prima, il Generale si era ammalato e il dottore aveva detto che c’erano poche
speranze, Alfonso si era sentito gelare il sangue. Non poteva, non poteva
lasciarlo solo! Cosa avrebbe fatto senza di lui? No, non lo poteva accettare,
non era giusto!
Il Principe aveva
trascorso gli ultimi mesi senza praticamente muoversi dalla stanza del
Generale, era lui ad occuparsene, a curarlo, a cercare di farlo mangiare… come
aveva fatto anche con suo padre, ma con tanta disperazione in più, perché, pur
non essendo innamorato di lui, sapeva che il Generale era l’unica persona al
mondo alla quale voleva davvero bene. Se all’inizio si era affidato a lui solo
per sentirsi al sicuro, più passava il tempo e più sentiva di provare un
affetto vero e sincero per quell’uomo. Così, in quegli ultimi mesi, oltre a
occuparsi di lui, aveva voluto passare ogni istante in sua compagnia, straziato
al pensiero che sarebbero stati gli ultimi giorni, le ultime settimane. Si
arrampicava sul letto accanto a lui e gli leggeva dei libri, gli parlava,
cercava di mostrarsi forte e sereno per non farlo preoccupare.
Solo quando, alla
fine, il Generale era morto, Alfonso si era lasciato andare alla disperazione.
Aveva pianto tutte le sue lacrime, si era gettato sul suo corpo ormai privo di
vita supplicandolo di non lasciarlo solo, di non abbandonarlo, gridando e
singhiozzando come un bambino. Non era stata la reazione più adeguata per un
Principe, tanto meno per un giovane di diciotto anni com’era ormai lui, ma il
dolore era troppo forte e non gli importava niente di ciò che avrebbero pensato
guardie e servitori.
“Mi avevate promesso
che sareste stato sempre con me, che mi avreste protetto” aveva gridato tra le
lacrime, stringendosi al corpo del Generale e divincolandosi da quelli che
volevano portarlo via. “Me l’avevate promesso, dovete tornare da me, non mi
potete abbandonare, no, non voglio!”
Durante il funerale,
Alfonso era svenuto e il dottore lo aveva trovato in preda a una febbre
altissima. Aveva trascorso le due settimane seguenti tra la vita e la morte e
tutti avevano iniziato a pensare che il giovane Principe avrebbe ben presto
seguito nella tomba il suo protettore… ma non era andata così. A poco a poco
Alfonso si era ripreso, la febbre si era abbassata e poi era scomparsa e il suo
fisico aveva reagito. Ma la consapevolezza della solitudine aveva steso un’ombra
scura sul volto di quel ragazzo un tempo vivace, irriverente e ironico.
Il Principe Alfonso
aveva perduto ogni illusione, non credeva più in niente e attendeva soltanto il
prossimo invasore, colui che, ancora una volta, lo avrebbe circuito o peggio
per portargli via il Regno di Napoli. E adesso stava per arrivare Juan Borgia.
Se lo ricordava, lo aveva preso in giro e umiliato senza pietà quando le cose
erano ben diverse, quando lui era l’erede di Re Ferrante e Juan Borgia solo il
bastardo del Papa.
Adesso si sarebbe
voluto vendicare, Alfonso ne era certo, ma non gli importava più di tanto. Si
prendesse pure il Regno di Napoli, se lo voleva.
Bastava che non gli
facesse del male…
Non aveva paura di
morire, non più ora che era rimasto da solo, ma ricordava troppo bene ogni
secondo delle orribili torture subite nelle segrete, quando era stato
sottoposto alle peggiori sevizie, straziato dai dolori, lacerato anche nelle parti
più delicate del suo corpo. No, non avrebbe mai potuto sopportare un’altra
volta simili atrocità. Se Juan Borgia era venuto per ucciderlo e prendere il
potere che lo avvelenasse, allora. Non erano famosi per avvelenare la gente, i
Borgia?
Dunque, nessuno dei
due era del suo umore migliore quando, quel pomeriggio, si incontrarono.
Lasciati i cavalli
alle cure degli stallieri e i soldati a ristorarsi nei locali destinati alla
servitù, Juan Borgia si fece scortare fino alla sala del trono, di cui
conservava ricordi piuttosto negativi, al cospetto di Alfonso.
“Il Gonfaloniere e
Capitano Generale della Chiesa, il Duca di Gandia
Juan Borgia” annunciò il maestro di palazzo all’ingresso del giovane nel
salone.
Un
nome meno pretenzioso non poteva trovarlo, eh? Sembra che siano entrate almeno
tre persone, pensò Alfonso con un’ombra dell’antica ironia pungente,
mentre Juan entrava nella sala del trono con passo disinvolto e si inchinava
con l’aria di ritenere che, caso mai, sarebbe dovuto essere il contrario. In
passato Alfonso non si sarebbe fatto scrupoli a dire ad alta voce quello che
aveva pensato, ma non erano più quei tempi.
“Benvenuto,
Gonfaloniere” si limitò a mormorare. “Spero che apprezzerete l’ospitalità del
mio castello.”
“Lo spero anch’io,
visto che sono venuto qui per offrirvi la protezione della mia famiglia, Vostra
Maestà” rispose Juan. “Pertanto mi auguro di apprezzare questa ospitalità per
un periodo di tempo molto lungo.”
E poi entrambi
alzarono lo sguardo e rimasero in silenzio per un lungo istante.
Juan si era aspettato
una versione un po’ più adulta del ragazzino egocentrico e impudente che
ricordava, ma quel Principe pallido dai grandi occhi neri e tristi pareva l’ombra
malinconica di ciò che era stato. E Alfonso restò ancora più sorpreso, perché
Juan era cambiato davvero tanto rispetto a tre anni prima: allora sembrava un
ragazzo, ma ora era diventato decisamente un uomo, con i capelli castano dorati
ormai lunghi fino a sfiorargli le spalle e i baffi e il pizzetto che, assieme
allo sguardo penetrante degli occhi castani e al sorrisetto malizioso appena
accennato, contribuivano a renderlo decisamente un personaggio da cui
guardarsi.
A disagio senza
sapere bene perché, Alfonso si alzò dal trono con la vaga idea di accompagnare
lui stesso il giovane Borgia nella sala da pranzo dov’era stato allestito il
banchetto, senza attendere che lo facessero i servitori. Beh, se era venuto per
portargli via il trono, tanto valeva che iniziasse ad abituarsi, no?
“Venite da questa
parte, Gonfaloniere, vi prego. Ci sarà un banchetto in vostro onore e… sì,
naturalmente anche i vostri capitani potranno partecipare” disse il Principe, consapevole
del fatto che si stava comportando da sciocco senza un motivo.
Certo
che lo so, il perché, si disse, cercando di spiegare il
suo turbamento. Questa è la stessa
situazione di tre anni fa, con il re di Francia e, magari, se mi mostro docile
e arrendevole, Juan Borgia non mi farà del male come… come avvenne allora. Ora
non c’è più nessuno a difendermi!
Ma era davvero questa
la ragione del turbamento di Alfonso di Napoli?
Fine capitolo primo
* Tutta questa vicenda è una mia libera interpretazione
della storia reale, tratta dalla fiction TV The Borgias.
Nella serie, in realtà, il Principe viene fatto torturare a morte da Re Carlo
ma io l’ho fatto salvare da questo Generale. La storia è raccontata per intero
nella mia long fic Shadows and lights.
** Anche questa parte di storia è una mia invenzione, che
però si lega agli eventi della fiction TV The Borgias
che, a sua volta, cambia non di poco la storia reale: quindi, in pratica, io
faccio la fanfiction di una fanfiction
e mi prendo tutte le libertà che voglio! xD In realtà Alfonso di Napoli era un
uomo adulto (combatté contro l’esercito di Lorenzo il Magnifico al fianco di Riario…)
e fu suo figlio Ferrandino a riconquistare il Regno nel 1495.