Crossover
Segui la storia  |       
Autore: Registe    20/05/2020    3 recensioni
Quarta storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
La guerra tra l'Impero Galattico e la famiglia demoniaca si è conclusa, ma non senza un costo. Vi è una cicatrice profonda che attraversa mondi e persone, le cambia, rimane indelebile a marchiare i frammenti di tutti coloro che hanno la fortuna di essere ancora vivi. Qualcuno decide che è il momento giusto per partire, cercare di recuperare qualcuno che si è perso. Qualcuno decide di dimenticare tutto e lasciarsi il passato alle spalle.
Qualcun altro decide invece di raccogliere i frammenti di una vita intera e metterli di nuovo insieme, forse nella speranza che lo specchio rifletta qualcosa di diverso.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Film, Libri, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 5 - Questioni di famiglia







Boba Fett da bambino








Coruscant era famoso in tutta la Galassia per la confusione ed il traffico sregolato che si dipanava su decine di livelli, ed il ronzare delle macchine e degli schermi pubblicitari anche nei momenti di massima calma. Ma negli appartamenti del Governatore Tarkin, filtrati da aspiratori acustici, regnava un silenzio assoluto. Talvolta, pensò Boba Fett rimuovendosi il casco, non sembrava affatto di trovarsi nella capitale dell’Impero Galattico.
Shandra, la figlia di Tarkin, era poco meno di un ciclone a ciel sereno. Era chiaro che la notizia del suo “arrivo a sorpresa” fosse filtrata dalla bocca di qualcuna delle sue numerose balie, perché lo attendeva nella stanza in piedi sul letto con un cuscino più grande di lei che atterrò sul petto del cacciatore di taglie con tutta la violenza possibile fuoriuscita dalle braccia di una ragazzina di sette anni. Finse di indietreggiare per il colpo subito e per poco non travolse il droide protocollare alle sue spalle, AL-4YS. “Che modi, signorina Shandra. Che modi!”
Sul suo petto di metallo bianco erano state attaccate delle strisce di tessuto colorate che Boba riconobbe subito come tentativi di imitare delle mostrine da ammiraglio con tanto di medaglia legata al collo con un nastro per capelli. Tracce di colore lungo il petto facevano intuire anche un tentativo fallito di imitare i bottoni di una divisa. “Un giorno chiederò il licenziamento, sì. O andrò in ferie per dieci rotazioni. Su Eriadu ci sono complessi termali di olio per droidi che attendono solo me!”
“Ma tu non puoi licenziarti, AL!” disse Shandra, ben ferma sulle coperte.
“Lo so, la vita è ingiusta” disse il droide, imitando un sospiro teatrale alla maniera degli umani. Si scostò da lui con un piccolo inchino e tornò verso il letto, afferrando la bambina da sotto le braccia. Lei sbuffò, ma dopo un paio di calcetti di protesta si mise seduta sul bordo del letto e lasciò che la figura bianca le sistemasse le pieghe del suo vestito da notte. “Ma il governatore Fett è venuto a trovarla, signorina. Quindi deve presentarsi nel modo più consono possibile. Se vuole diventare un ammiraglio non può andare in giro con la divisa sciatta, giusto?”
“Ma io non voglio diventare un ammiraglio, AL! Io voglio diventare un grand’ammiraglio!”
“Giusto, giusto, perdoni i miei circuiti”.
Boba appoggiò con noncuranza il casco su una delle sedie della cameretta, godendosi la scena. Se fosse esistito un paradiso per droidi, AL ne sarebbe stata la protettrice e guardiana. Nonostante Tarkin pagasse eserciti di tate umane, alla fine quella che doveva sobbarcarsi il duro compito di intrattenere quel vulcano di Shandra era sempre la solerte AL. Boba non era mai stato un grande amante dei droidi, ma capiva che per alcune cose serviva soltanto la pazienza dei circuiti al platino-iridio delle macchine. Il suo casco non aveva ancora sfiorato l’imbottitura della sedia che AL glielo prese dalle mani con una notevole stizza e lo ripose lungo un armadio quasi vuoto in quella che il droide doveva aver destinato ad “area sporca”.
Boba sospirò, ma Tarkin avrebbe avuto da ridire se avesse sparato all’unico droide in grado di tenere a bada sua figlia.
“Vado a finire la vestizione del signorino Neos. Con permesso, governatore” disse la figura metallica prima di sparire dietro una porta scorrevole che portava all’appartamento attiguo con qualche medaglia di carta che si staccò nel processo.
Shandra gli rivolse il migliore dei suoi sorrisi. Sapeva essere gentile, in realtà, anche se Boba sapeva che le piaceva da morire dare centinaia di ordini alle sue balie per il semplice gusto di vederle correre come delle forsennate. Un lato che aveva preso da Tarkin, indubbiamente. I grandi occhi verdi, però, non tradivano la bellezza ultraterrena di sua madre. “Zio Boba, papà è ancora in riunione, vero?”
“E lo sarà per un bel po’, suppongo” disse lui. “Oltretutto so che deve parlare con Saruman di non so quale questione. Quindi stasera ti metto a letto io, va bene?”
“Va benissimo!” disse lei, con quel suo sorriso furbetto con cui si sarebbe comprata anche il più grigio burocrate del Clan Bancario. E che, come brontolava il suo amico Tarkin tutte le volte che era certo di non farsi udire dalla piccola, in capo a meno di dieci anni avrebbero attirato tutti i mosconi dell’alta società di Coruscant e dei vari pianeti del Nucleo. Boba non si era mai considerato un uomo pratico dei bambini né in grado di organizzare giochi più educativi del portarli al poligono di tiro, ma sapeva che un giorno o l’altro la parte del supervisore e della scelta delle guardie del corpo di Shandra sarebbe ricaduta su di lui. Nel frattempo, pensò mentre prendeva in braccio la piccola e le metteva tra le mani il suo Ewok di stoffa preferito, il suo compito sarebbe stato quello di starle vicino e raccontarle una storia o due prima che si addormentasse.
O prima che facesse quella domanda.
“Ma quando torna la zia Zam?”
Puntuale come un orologio chiss. Boba guardò il soffitto alla ricerca di una scusa magari scritta al margine del lampadario bianco e rosa, ma tutto ciò che gli venne in mente fu il rumore della pioggia, il vento ed il rapido guizzo di un ricordo.
 
 

Le giornate passavano lente a Kamino. Grigie, noiose, ma soprattutto lente.
Il suo programma di apprendimento era terminato da qualche ora, il che per Boba voleva dire avere tutto il pomeriggio per sé. Sarebbe potuto uscire per andare a pescare qualche rollerfish, ma non aveva molto senso esercitarsi sul famoso lancio ku’rl se non c’era nessuno vicino a vederlo; e gli ologiochi sportivi alla lunga lo annoiavano più delle visite di Taun We, che senza dubbio passava più nella speranza di trovare suo padre in casa che non per assicurarsi che lui stesse bene. Visite oltretutto inutili, perché lui stava sempre bene. Pensò pigramente che tra qualche minuto sarebbe iniziato uno speciale sui vincitori della corsa di speeder su Taris della settimana precedente; si avvicinò all’oloschermo per attivarlo e cercare la frequenza, quando una luce fuori dalla finestra attirò la sua attenzione.
Qualcosa stava atterrando lungo la pista C, ed era troppo piccolo per essere una nave da trasporto kaminoana. Dunque poteva trattarsi solo della Slave I.    
L’attimo dopo era già uscito dall’appartamento, con l’impermeabile addosso; si buttò sotto la pioggia a larghe falcate, facendosi trovare già sull’orlo del molo quando la nave si portò in orizzontale durante la manovra di atterraggio e accese gli stabilizzatori. La pioggia rimbalzava contro la superficie ancora calda del duracciaio dello scafo, trasformandosi in una sottile nuvola di vapore che si assottigliò non appena si aprì il portello e suo padre mise i piedi a terra. Nonostante la scarsa illuminazione, il beskal della sua armatura rifletteva le ultime luci del quadro comandi; quando si chiuse il portello alle spalle fu per Boba il segnale preferito, e gli fu al collo con un gridolino. “Pa’, sei tornato in anticipo! Li hai battuti sul tempo come sempre, vero?”
“Ci puoi scommettere, Boba. Ma sono qui per una sosta” disse da oltre il casco “La Slave mi ha segnalato un’anomalia sul caricamento dei cannoni di sinistra. Riparto non appena avrò dato loro una sistemata”.
Boba non trattenne una smorfia di delusione. Per qualche istante lo aveva sfiorato l’idea di poter vedere le interviste ai piloti di Taris sul divano con suo padre, magari con un bicchiere di succo di juri ed i suoi commenti che erano la cosa più bella del mondo. Tanto lo sapeva che nessuno di loro sarebbe mai riuscito a battere suo padre in una vera competizione tra gli asteroidi. Gli diede un pugnetto contro lo spallaccio, con un’idea in mente “Ma allora hai ancora il prigioniero nella stiva? Lo hai messo in carbonite o nella cella?”
“Nella cella, Boba. La carbonite mi servirà più avanti. E no, non puoi vederlo”.
Lo sollevò ancora per qualche secondo, poi lo mise a terra. “È un essere piuttosto pericoloso. Meglio starci lontani”.
“Ma tu lo hai catturato, giusto? Quindi comunque sei più forte tu!”
“Non se ne parla”.
Boba fece per obiettare, ma tutte le sue proteste si sciolsero quando suo padre gli passò una mano tra i capelli, scompigliandoglieli tutti. “Facciamo così. Tu la smetti di uccidermi di domande e io ti insegno come ricaricare i cannoni, va bene?”
Il ragazzo non trattenne un sorriso. Suo padre non faceva toccare la Slave I a nessuno, nemmeno ai droidi riparatori migliori della Galassia. Un vero Mandaloriano, diceva sempre, non possiede nulla che non sappia costruirsi o ripararsi da solo. E Boba non vedeva l’ora di essere abbastanza grande per imparare come far decollare quella nave. “Fai un salto a casa e portami tre accoppiatori a fusione. Ed anche qualcosa da mangiare, che ne avremo per un po’, intesi?”
Con un saltello schizzò via, dritto verso casa, inzaccherando anche l’ingresso nel timore che suo padre iniziasse a smontare anche un solo bullone senza di lui. Trovò gli accoppiatori senza difficoltà, prese una torcia per sé ed anche una visiera e nel dubbio anche il saldatore portatile che aveva in camera per riparare i droidi spazzini su cui si esercitava col tiro, poi si lanciò in dispensa e prese tutta la bottiglia di juri e tutto ciò che sarebbe servito per una merenda sotto l’astronave. Si tuffò di nuovo nei corridoi, stavolta spintonando un kaminoano, e si lanciò lungo la pista di atterraggio felice di vedere suo padre in piedi, probabilmente al comlink, che non aveva iniziato senza di lui.
Era a metà del percorso quando l’esplosione lo travolse.
Fu un muro di calore intenso che lo sbalzò a terra mentre il mondo intorno diventò tutto bianco. Un fragore assordante sovrastò ogni altro rumore finché le sue orecchie non riuscirono più ad udire nulla. Gli accoppiatori gli ruzzolarono dalle mani ed il quel bagliore accecante Boba riuscì a scorgere solo lingue di fuoco che si levavano altissime nonostante la pioggia torrenziale. Si ritrovò sbalzato a terra, faccia all’ingiù, con un dolore fortissimo lungo la schiena; strisciò di lato, accorgendosi di essere caduto contro uno dei piloni che sorreggevano le cisterne energetiche. Se non fosse stato per quel pilone probabilmente sarebbe stato sbalzato oltre il molo, dritto nelle acque nere dell’oceano di Kamino. Non riuscì a respirare per quello che gli parve un tempo infinito, ma il cuore riprese a battere nel momento in cui iniziarono gli spari.
Si mise a sedere, si guardò intorno sotto la pioggia e vide la familiare sagoma della Slave I con una parte della stiva mancante e del fumo nero che ne usciva. Un’altra nave era apparsa proprio sopra di loro, i deflettori alzati ed i cannoni carichi.
La sagoma di suo padre apparve da dietro la Slave I. Il cuore di Boba riprese a battere veloce per l’entusiasmo, vedendolo in piedi come sempre. Aveva estratto il lanciarazzi, e con un salto si portò dietro un altro pilone, preparandosi a caricarlo. Sparò un colpo di blaster con la mano sinistra oltre gli edifici, e ne partì un verso animalesco. Boba seguì la traiettoria del colpo di suo padre nella speranza di vedere qualcosa, ma la pioggia ed il fumo dell’esplosione non gli fecero vedere nulla.
Qualcuno rispose al fuoco.
Suo padre si riparò maggiormente, poi prese il lanciarazzi con entrambe le mani ed attivò lo zaino da battaglia: in pochi istanti si sollevò di diversi metri da terra, oltre il pilastro; i suoi avversari senza dubbio non immaginavano una mossa simile, perché continuarono ancora a sparare contro il punto in cui si era trovato i precedenti secondi. Prese la mira -Boba sapeva che il mirino plineale del suo casco non c’entrava nulla, era lui ad avere un occhio superiore a quello di un Jedi- e fece fuoco: la nave appena apparsa ebbe un sussulto, e nell’area anteriore partì un’esplosione. Boba sapeva che il lanciarazzi non sarebbe stato in grado di far saltare in aria un veicolo di quella dimensione, ma il pilota non era chiaramente all’altezza e fu costretta a scartare a destra, alla ricerca di un molo per atterrare.
E nessun pilota mediocre poteva atterrare su Kamino senza rischiare di sfracellarsi al suolo.
Gli spari continuarono, stavolta più vicini, e il ragazzo capì che la nave avrebbe potuto aspettare. Adesso dalla sua posizione vide cinque figure muoversi e spostarsi dietro uno degli edifici.
Il comlink nell’orecchio iniziò a vibrare; all’inizio Boba non ci aveva nemmeno fatto caso, paralizzato com’era dal fragore della battaglia, ma quando si riprese sentì il rumore della comunicazione accesa fin nel cervello e rispose. “Pa’?”
“Stai bene?”
“Sì” rispose, osservandolo mentre riprendeva a sparare nonostante stesse comunicando con lui.
“Quello è importante. Faccio partire un diversivo, tu cerca di rientrare. E avvisa Taun We”
“Ma pa’ …”
“Niente ma, Boba” per un attimo la comunicazione saltò, e la visuale del ragazzo fu sommersa da una raffica di laser. Ma ancora una volta la sagoma di suo padre emerse, anche se con lo spallaccio di beskal piuttosto annerito. “Sono Salaktori. Professionisti. Fai quello che ti dico e basta, va bene?”
Non finì di dire quella frase che Boba lo vide emergere da dietro il pilastro, allo scoperto. Intorno a lui l’area dei deflettori dell’armatura mandaloriana brillava di azzurro, resa ancora più evidente dalle gocce d’acqua che vi sfrigolavano al di sopra. Si mosse dapprima in direzione della Slave, che aveva anche i quadri di comando ausiliari spenti, poi si mosse verso il terminale del molo, esattamente nella direzione opposta in cui lui si trovava. I cacciatori uscirono uno alla volta, mandandosi dei segnali, e in quel momento anche Boba riuscì a riconoscerli dai colori lungo i loro stemmi, le sfere verdi e nere.
Suo padre gli aveva parlato più volte delle principali Gilde tra i cacciatori di taglie e dei motivi per i quali non apparteneva a nessuna di esse.
Boba li fissò da dietro, cercando di ricacciare le lacrime di paura. Sapeva abbastanza di combattimento per capire che erano davvero bene allenati. Non combattevano insieme, come i cloni o i droidi, ma sembravano avere uno schema preciso che differiva dalle tattiche standardizzate che venivano ripetute nei centri di addestramento kaminoani. Il capo era senza dubbio un umano con un elettrobisento che mulinava in aria, dando ordini ai suoi compagni: due umani, un wookie e quello che sembrava essere un cereano. Sparavano ai suoi ordini, dritti contro suo padre, ed il wookie stava caricando una balestra con quelli che sembravano esplosivi. Il cuore gli accelerò: per quanto suo padre fosse il combattente migliore della Galassia quei Salaktori erano cinque, bene armati, e forse …
Da oltre la cortina di pioggia il lazo di suo padre saettò, e si avviluppò al collo di uno degli umani. Fu un guizzo così improvviso che anche Boba si ritrovò a sussultare, osservando il Salaktori gridare e venire trascinato via lungo il camminamento metallico. Suo padre emerse allo scoperto e gli vide piantargli una vibrolama al centro del petto, freddandolo sul colpo.
La reazione dei Salaktori fu immediata: tutti, a parte il wookie, gli vennero addosso per circondarlo, armi alla mano, e Boba capì che era il momento giusto. Fece un respiro profondo, lasciò il pilastro e si lanciò verso la porta del complesso. Era certo che non ce ne sarebbe stato bisogno e che se avesse aspettato la porta si sarebbe aperta da sola, e ne sarebbero usciti Taun We con un manipolo di cloni soldato, ma non poteva deludere suo padre e prese a correre, dando per un istante le spalle alla battaglia.
Una figura enorme si parò tra lui e la porta. Uscì da dietro una cisterna ed il ragazzo non riuscì a fare nulla per evitarla, finendogli addosso. L’essere lo afferrò per le spalle, e quella che si accorse solo dopo essere una enorme chela verdastra sbucò dalla schiena del suo assalitore e lo strinse per il collo. Gli rifilò un calcio, ma i suoi piedi si scontrarono contro il durissimo carapace del Tarc. Gli accoppiatori che ancora stringeva tra le mani gli caddero a terra. Provò anche a rifilargli un pugno, ma capì che sarebbe stato inutile quando la chela iniziò a stringere. Il Tarc urlò qualcosa nel proprio comlink, una serie di versi in una lingua che Boba non capì ma che venne comunque sommersa da un boato di tuono fin troppo vicino. Fece diversi passi in avanti, superò il wookie con un cenno del capo ed andò nel punto in cui suo padre stava dando battaglia.
Quando capì cosa stava per succedere non trattenne le lacrime. “Sì, Fascyn, per una volta potresti averci visto giusto tu” disse l’uomo con l’elettrobisento, quello che si teneva a distanza di sicurezza mandando gli altri avanti. “Fett non sarebbe uscito allo scoperto per nulla. Lo sappiamo tutti che non è un idiota”.
Suo padre non rispose nulla. Aveva il blaster ancora carico e da entrambi gli avambracci aveva le vibrolame estratte. Teneva sotto tiro il cereano, ma stavolta la testa era rivolta verso di lui. Il Tarc emise un grugnito compiaciuto.
“Velocizziamo la questione, Fett. Già è tanto che ti abbiamo seguito su questo pianeta di merda, ma io e Fascyn avevamo un conto in sospeso e tu, fattelo dire di cuore, al Sindacato stai proprio sul cazzo. Fottuto indipendente” gridò il capo. “Se di questo ragazzino non te ne frega nulla vuol dire che Fascyn si è sbagliato, quindi gli stacca la testa e continuiamo come prima. Un moccioso di meno nella Galassia, niente di grave. Ma se per caso ti interessa che il piccoletto viva …”
A Boba non sfuggì il tremito nel braccio di suo padre, e capì che non era sfuggito a nessuno di loro.
Se avesse potuto, avrebbe preferito morire piuttosto che metterlo in quella situazione.
“… butta le armi e accompagnaci da Dreddon. Che, se ti fa piacere saperlo, ha messo su una bella taglia pure su di te”.
Il ragazzo cercò qualcosa da gridare. Qualcosa, qualsiasi cosa sarebbe andato bene.
Anche solo di dire a suo padre che gli dispiaceva, che aveva davvero provato a correre quando lui gli aveva dato il segnale, che però forse era stata anche colpa sua perché non era stato veloce abbastanza. E che aveva una paura maledetta, perché la chela del Tarc era enorme ed era davvero così forte e affilata da tagliargli la testa. Solo che non voleva che suo padre perdesse per colpa sua, perché avrebbe sicuramente vinto contro tutti e sei, se non fosse stato che … “Sei un bastardo, Nall”.
Con un tonfo, il blaster di suo padre atterrò sul pavimento. Le lame si spensero, e la cella energetica del lanciarazzi da polso rimbalzò lungo il metallo del molo e cadde in acqua. Anche da sotto la pioggia Boba riuscì a vedere il sorriso del capo Salaktori mentre faceva un passo avanti, controllando che suo padre fosse disarmato. Gli puntò l’arma contro la corazza di beskar, che sfrigolò al contatto. “Il Codice mi imporrebbe di risponderti nulla di personale, Fett. Ma suppongo che invece qui la situazione sia personale eccome. Fate scendere la carbonite”.
Boba tremò.
“E chi l’avrebbe mai detto che il mandaloriano avesse qualcosa di tenero sotto la corazza?” disse il cereano con la sua voce bassa. Continuava a tenere suo padre sotto tiro, ma con una mano stava chiaramente attivando i comandi della loro nave danneggiata. L’uomo che rispondeva al nome di Nall fece partire una risata contenuta che venne interrotta solo dai ringhi del wookie alle loro spalle. Il ragazzo non capì nulla, ma la leggera ilarità che era comparsa nei cacciatori scomparve come era arrivata e per tutta risposta il Tarc gli strinse la testa con più forza; si morse la lingua, cercando di coprire un grido che avrebbe allarmato suo padre ancora di più, ma il tutto si perse sotto l’acqua e la tensione che si era creata. Con la punta dell’elettrobisento il Salaktori costrinse il suo prigioniero contro un pilastro e gli avvicinò delle manette che lui si fece mettere senza alcuna lotta, continuando a tenere lo sguardo su Boba.
“Dove cazzo è andata, Snoova?” disse, rivolto al wookie. “Sappi che vale più quella lì di tutto il tuo culo peloso e di quello di tutta la tua tribù!”
L’altro ringhiò di nuovo, stavolta muovendo in aria le braccia lunghe e pelose. Boba non capì di cosa stessero parlando, lo sguardo fisso su suo padre ammanettato e bloccato. Avrebbe almeno voluto dirgli scusa, ma non riusciva nemmeno a smettere di piangere. “Sai-Ani, carica Fett in carbonite, poi dai un’occhiata alla nave e vedi se possiamo ripartire. Embo, controlla che il bastardo non tenti qualche suo trucchetto mandaloriano” disse prima al cereano e poi all’altro umano. Il wookie si avvicinò, balestra in pugno, ed il capo non gli risparmiò uno sguardo che avrebbe fulminato l’enorme creatura sul posto, se avesse potuto. “Snoova, tu tieni ancora il moccioso per un po’. Rompigli il collo se Fett muove un dito. Questo ancora potresti riuscire a farlo. Noi …” ringhiò, dando un colpo di spalla al Tarc che abbandonò di colpo la morsa “… andiamo a prendere quella puttana. Come al solito quando c’è un problema bisogna sbrigarsela da soli”.
Boba non provò nemmeno a provare a liberarsi quando il Tarc allentò la presa della chela e lo passò all’altro cacciatore. Non aveva il coraggio di fissare suo padre, e la pelliccia del wookie sembrò quasi preferibile; vide Nall ed il Tarc allontanarsi verso la Slave, le armi puntate dritte verso la stiva fumante. Doveva avere a che fare con il prigioniero che suo padre aveva catturato su Tatooine, anche se non aveva visto nessuno uscire da lì almeno fino a quando non era stato preso.
Il wookie sbraitò qualcosa agli altri due.
“Snoova, non si capisce un cazzo quando parli, quante volte te …”
La creatura lo spinse a terra, gli si parò davanti con le enormi gambe e sparò. Boba ruzzolò nel velo d’acqua del molo e riprese fiato nel tempo necessario di vedere l’umano di nome Embo esplodere in mille pezzi con la granata della balestra del wookie che ancora mandava le ultime luci verdastre. Il cereano mandò un grido di avvertimento, ma l’istante dopo Snoova gli fu addosso con tutta la sua considerevole stazza.
Boba vide suo padre riprendere il controllo e scattare nella sua direzione. Si mise davanti a lui, e vide che le elettromanette ai suoi polsi cambiarono colore non appena attivò qualcosa dagli avambracci dell’armatura. Con un gesto gli avvicinò il proprio blaster. “Ci vorrà un po’. Stai dietro di me e spara”.
“Ma pa’ …”
“La mia armatura reggerà i colpi. Mi fido di te” disse, mentre le manette iniziarono a sfrigolare. “Ti voglio bene”.
Non gli servì altro. Lui e suo padre si erano allenati a mirare ai rollerfish nell’oceano da quando riuscisse a ricordare; la pioggia di Kamino era il loro migliore alleato.
Sbucò da oltre la spalla e mirò al capo. Maledisse la Forza quando vide il suo colpo assorbito dallo scudo deflettore. “Gli scudi non sono eterni, Boba. Scaricaglielo”.
Boba riprese a sparare, osservando con ansia che le manette che bloccavano suo padre saltassero. Da quella distanza il capo Salaktori sparò contro di loro, ma il pettorale dell’armatura in beskal resse l’urto, anche se suo padre sembrò accusare il colpo.
Il wookie afferrò il cereano per la lunga testa; si muoveva in maniera poco precisa, con meno equilibrio di quello che avrebbe immaginato, ma la sua mole dominò quella dell’altro rapitore ed il loro scontro durò nel tempo di qualche scambio di colpi di fulminatore. Il cereano si divincolò e menò qualche calcio, ma Snoova iniziò a correre con lui aggrappato e con una sola mossa delle lunghissime braccia lo scagliò oltre il molo, nell’oceano che mulinava.
I due Salaktori rimasti furono loro addosso, ma ancora una volta il wookie fu sorprendentemente più veloce.
Prima che Fascyn il Tarc abbattesse entrambe le chele sul casco di suo padre la creatura si mise in mezzo e gli strattonò un arto, costringendolo a camminare all’indietro e ad allontanarsi dal bersaglio per non cadere riverso; il wookie aveva abbandonato la balestra per il combattimento ravvicinato, ma alla cintura aveva delle armi così nascoste nel pelo bagnato che Boba non riuscì a riconoscerle. I due erano della stessa stazza, ma il Tarc aveva un esoscheletro ed il ragazzo aveva ben presente quanto fosse duro. Snoova perse la presa sull’arto, e Fascyn gli saltò addosso. Entrambi urtarono contro la parete della Slave I, la cui intera struttura subì uno scossone all’impatto.
Le manette di suo padre si dissolsero in una fiammata l’esatto istante il cui Nall fece calare su di lui l’elettrobisento; Boba sparò ancora una volta, tre colpi di fila, osservando il deflettore sovraccaricarsi fino a svanire del tutto, liberando un grido di vittoria mentre suo padre si alzò di scatto e si frappose. L’asta dell’arma nemica si illuminò, ma gli otto uncini di platino-iridio scattarono dai guanti dell’armatura mandaloriana ed afferrarono il bisento al posto delle dita: vi fu un fragore che li mandò entrambi indietro, e due uncini erano così anneriti che sarebbero presto stati inservibili, ma Boba sapeva che il bastardo del Sindacato aveva già perso. Si allontanò, stavolta con più cautela di prima, in tempo per vedere Snoova e Fascyn rotolarsi a terra nel tentativo di staccarsi la testa a vicenda; il pensiero gli andò al prigioniero nella stiva che aveva paralizzato dal terrore i cacciatori di taglie, e per sicurezza premette la schiena contro un pilastro, cercando almeno stavolta di non farsi prendere alle spalle.
Suo padre entrò nella guardia del Salaktori con un pugno in pieno petto e accese il lanciafiamme; la pioggia sferzante cancellò quasi del tutto il suo attacco, ma l’avversario fu preso di sorpresa ed indietreggiò, dandogli un secondo spazio nella sua guardia che lui sfruttò dandogli un calcio all’altezza degli stinchi. Nall doveva ad ogni modo essere piuttosto abile, perché evitò un terzo calcio con una capriola e si allontanò dall’area, anche se la manovra chiaramente non gli riuscì come desiderava. Il lazo mandaloriano saettò di nuovo, piantandogli l’arpione nella spalla e trascinandolo verso di lui con un urlo; quello tentò una resistenza piantando a terra l’elettrobisento, cercando di deviarne la traiettoria, ma suo padre rispose tendendo il capo con maggiore forza, i piedi piantati a terra finché il lazo non si curvò intorno all’asta e strappò un secondo grido al loro assalitore.
Tirò ancora, e quando perse la presa sull’arma gli fu addosso con gli ultimi uncini rimasti; quello si dimenò e provò ad afferrare qualcosa dalla cintura, ma le lame gli entrarono nel torace e forarono la sua cotta. Gli uscì un fiotto di sangue prima di cadere a terra e Boba mandò un urlo di incoraggiamento, estasiato, per poi accorgersi che lo scontro non era ancora finito.
Fascyn si era portato sopra al wookie e lo aveva atterrato. Con le braccia era riuscito a tenere a bada quelle del nemico, ma le chele erano ancora libere di muoversi ed entrambe passarono a colpire le gambe di Snoova per immobilizzarlo. Quello evitò entrambi gli attacchi, ma era chiaro che avesse perso qualsiasi forma di vantaggio davanti alla posizione ed al peso del Tarc: gli venne in mente di usare le ultime celle del blaster per far distrarre Fascyn, ma suo padre non gli aveva detto nulla al riguardo e non poteva attirare di nuovo l’attenzione di quel mostro su di sé. Rimase impietrito quando una chela saettò tra il capo e il collo del wookie e d’istinto si retrasse all’idea del sangue che ne sarebbe schizzato.
E di sangue ne uscì, ma non come avrebbe immaginato.
La chela si chiuse sul vuoto. Gli arti del wookie sembrarono ritirarsi per tutta la loro lunghezza, come risucchiati, e la massa di peli scomparve alla sua vista; il Tarc, che vi era poggiato sopra con tutto l’esoscheletro, perse di colpo l’equilibrio quando il suo appoggio venne a mancare. O, come osservò il ragazzo, più che mancare diventò molto più piccolo e flessuoso, come la sagoma di una figura umana che gli sgusciò da sotto le gambe, le braccia e le chele e si rotolò sul suo fianco. L’attimo successivo una vibrolama si piantò nella gamba sinistra del Tarc, per poi tranciargliela di netto.
L’odore di icore gli arrivò anche a quella distanza, insieme all’urlo di Fascyn.
“Adesso siamo pari, crostaceo!” disse la voce, stavolta chiaramente umana. Snoova -chiunque fosse- si rimise in piedi, e del suo aspetto di wookie non era rimasto nemmeno un ciuffo di peli. Rimase in posizione di guardia davanti ai versi di Fascyn, che si puntellò sulle chele per riprendere equilibrio, i movimenti quasi impazziti mentre l’icore giallastro continuava ad uscire. Si avventò su Snoova con ferocia, ma quello evitò l’attacco spostandosi di lato e gli girò intorno, l’energia della vibrolama che sfrigolava davanti agli occhi del cacciatore ferito; raccolse un fulminatore caduto a terra e lo puntò verso Fascyn, che sembrava ancora più imbestialito di prima. “Mando, se per caso hai finito con la manicure potresti anche venire da questa parte!”.
Suo padre non se lo fece ripetere una seconda volta. Afferrò da terra il bisento di Nall e settò qualcosa sul pannello dei comandi: partì in avanti e l’asta dell’arma si caricò, ma con maggior intensità di quanta ne avesse vista nello scontro precedente. Era chiaro che un colpo del genere sarebbe stato mortale per un umano, ma il rivestimento del Tarc assorbì buona parte del danno, sebbene il grido di Fascyn risuonò per tutto il molo e quello si voltò per fronteggiare il nuovo aggressore, dando le spalle a Snoova. Boba per poco non saltò dalla sua posizione quando lo vide di nuovo crescere in maniera incontrollata e tornare di nuovo peloso come un wookie negli istanti in cui Fascyn aveva cambiato obiettivo. Gli andò di lato, evitando le chele, e con una spinta gli fece perdere l’equilibrio, sospingendolo verso l’estremità del molo. Suo padre fece il resto, afferrando il Tarc dall’altro lato e dandogli l’ultima spinta, finché quello non volò per diversi piani fino a cadere nei gorghi di Kamino.
Boba fece per scattare in avanti ed abbracciare suo padre, ma ancora una volta dovette trattenersi. Lui e Snoova, che aveva ancora una volta assunto sembianze umane, si stavano puntando i blaster a vicenda.
“Che si fa, Mando? Ce la vediamo tra guerrieri, uno contro uno? Sappi che per me va bene”.
Aveva la voce alta, musicale, simile a quella di Taun We. Cercò di vedere meglio quella figura; era almeno una testa più bassa di suo padre e molto sottile, ma oltre a quello non riusciva a dedurne molto altro. Si teneva in equilibrio con difficoltà, adesso che era immobile si vedeva che avesse problemi ad una gamba.
“Come ti sei liberata?” disse suo padre.
“Chiedilo al wookie” fece Snoova, indicando con un cenno della mano libera un punto oltre i piloni di caricamento. Boba seguì le dita con lo sguardo, e gli ci volle del tempo per capire che la massa scura ai piedi dei condensatori non era un ammasso di ciarpame informe ma un cumulo enorme di pelo bruciato. E se quello era il vero Snoova … “Le tue manette erano di qualità, Mando. Meno male che c’era un wookie grande e grosso su cui scaricarle. Ci sarei rimasta secca, altrimenti”.
Il ragazzo adesso avrebbe dato qualunque cosa per potersi avvicinare.
Se aveva capito bene, quella era una donna.
E non c’erano mai state donne umane su Kamino. “Ma ti avviso che in quella gabbia non mi ci rimetti. Costi quel che costi”.
“Se te ne volevi andare c’era abbastanza confusione. Per una come te …”
“… sarebbe stato facile. Lo so. Dite sempre le stesse cose”.
Si appoggiò alla fiancata della Slave I, portandosi una mano al ginocchio senza però abbassare la mira del blaster; doveva essere stanca, lo vedeva anche lui, ma sapeva benissimo che anche l’armatura di suo padre aveva bisogno di riparazioni e che buona parte delle celle energetiche era stata consumata quando aveva scaricato il lanciafiamme contro il Salaktori. “Ma noi clawditi non scappiamo. Non scappiamo mai”.
Suo padre si spostò, di poco, come a cercare un altro angolo.
Avrebbe vinto, pensò Boba. Sì, avrebbe vinto senza dubbio. Cioè, se quella donna non avesse fatto un’altra cosa strana.
Non aveva sconfitto a mani nude quei Salaktori solo perché avevano preso lui in ostaggio, altrimenti …
“Lasciamo perdere questa storia”.
Senza preavviso, suo padre sollevò al petto entrambe le mani. Poi, con lentezza, ripose il blaster nella fondina. “Hai salvato mio figlio, prima. Hai rischiato la vita per tutti e due. Non è una cosa che avrebbero fatto in molti” disse, scrollando le spalle “A ben pensare, non lo avrebbe fatto nessuno”.
“Nessun umano, esatto”.
Per la prima volta Boba si accorse che adesso la figura stava osservando lui. “Ma tu lo sei, Mando. Quindi quale garanzia ho che non mi sparerai nella schiena non appena avrò abbassato la guardia?”
“Il fatto che io sappia dove trovare una vasca di bacta in uno stabilimento kaminoano e tu no. E la tua gamba mi dà l’idea che di bacta ne avrebbe un gran bisogno. Ma se vuoi perderti e chiedere indicazioni ai padroni di casa … fai pure. Ma ti avviso: sono davvero tutti uguali”.
E niente, Boba non riuscì a trattenere una risata. Anche davanti a un blaster suo padre era … era sempre il migliore.
Sarebbe diventato come lui, un giorno.
“Fai sempre questo genere di proposte alle donne che ti minacciano?” fece lei, e fu con enorme sollievo del ragazzo che infilò di nuovo l’arma nella fondina. Si tirò meglio in piedi contro la parete della nave, e di colpo sembrò molto più stanca di quanto non lo fosse stata fino ad un istante prima. Notò solo in quel momento che entrambe le maniche erano carbonizzate all’altezza dei polsi, e la pelle ustionata si vedeva anche sotto il diluvio.
“Di solito le uccido” rispose, e con un cenno della mano gli fece cenno di uscire. Boba non se lo fece ripetere due volte, e stavolta non attese nemmeno l’autorizzazione per saltargli in braccio e fargli sentire quanto fosse felice che fosse ancora con lui. “Ma stasera direi che potremo fare tutti un’eccezione, non trovi?”.
“Adoro le proposte ragionevoli, Mando”.
“E potresti anche evitare quel soprannome, visto che ci sei”
Iniziarono ad incamminarsi con calma, ed anche in quel momento al ragazzo era chiaro che nessuno dei due stesse perdendo di vista l’altro. La donna incespicava ma, con la testa contro la sua spalla, Boba si accorse che anche sotto il casco suo padre aveva un respiro molto più affaticato del solito; la osservò, e da quella posizione si accorse che aveva degli insoliti occhi chiari. “Mi chiamo Jango. E questa fonte di guai deambulante si chiama Boba”.
“Jango, eh?”
Occhi così chiari che potevano tagliarti in due.
“Sì, Mando fa davvero schifo, a pensarci bene”.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Registe