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Autore: MissRosalie42    20/05/2020    0 recensioni
La cosa più importante da sapere su Sam è anche l'unica che nessuno conosce. Il ragazzo può vedere i fantasmi.
Nulla di particolarmente esaltante, per lui. Può vederli e parlare con loro da sempre, ci è abituato.
Quando però si trasferisce in una nuova casa e la trova infestata da un ragazzo morto alla sua età pochi anni prima, le cose cambiano.
Sam sarà costretto ad affrontare tutto ciò che lo spaventa e che aveva sempre evitato: la sua famiglia, le sue insicurezze, i suoi sentimenti. A quale prezzo imparerà ad essere se stesso?
Genere: Drammatico, Fluff, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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13. Lo sanno tutti

Quella notte la madre di Sam dormì con lui, nel suo letto, che per fortuna era a una piazza e mezza.
C’era anche Max, seduto come al solito per terra, sotto la finestra.
Oltre Mindy, in casa c’era Hugh, che era stato chiamato nel caso il signor Robertson avesse deciso di tornare.
Quella sera Sam aveva scoperto molte cose.
Aveva sempre saputo che suo padre era una persona violenta, ma mai avrebbe immaginato che alcune volte arrivasse addirittura a picchiare sua madre. Non aveva mai visto i lividi o le altre abrasioni, perché stava sempre attento a ferirla dove non si vedesse. E non l’aveva mai picchiata con Sam in casa.
Max gli disse che da quando si erano trasferiti non aveva mai visto un comportamento del genere, altrimenti glielo avrebbe raccontato, ma era pur vero che il fantasma aveva un udito umano e non poteva vedere oltre i muri, anche se poteva attraversarli.
A quanto pareva, il padre di Sam non aveva mai alzato un dito su Mindy, ma un paio di volte ci era andato vicino, ed era stato solo grazie all’intromissione della moglie se la ragazza ne era uscita sempre indenne.
Sam si sentiva un idiota per non essersene accorto prima, ma Mindy gli aveva assicurato che non era colpa sua, perché sua madre aveva fatto di tutto per tenerlo all’oscuro. Non era mai riuscita a denunciarlo.
I nonni materni avrebbero preso le parti dell’uomo. Per loro il compito di una donna era quello di stare in casa a fare la madre e obbedire al marito. Sam scoprì anche che sua madre si era pagata l’università da sola, e che uno dei motivi per cui non frequentavano molto i nonni era che non avevano mai accettato che fosse diventata un medico.
E poi c’era la reputazione. Non solo quella personale, ma anche quella professionale, sicché lei e il marito lavoravano insieme e frequentavano lo stesso circolo di persone sia in ospedale che fuori.
Mindy aveva provato a convincerla a denunciare, ma non ci era mai riuscita.
“So che non dovrei dirlo” gli aveva detto la ragazza, posando un impacco di ghiaccio sulla guancia di Sam che si era gonfiata e arrossata tantissimo. “Ma sono quasi contenta che stavolta abbia colpito te. È stata la goccia. Domani andremo alla polizia.”
 
Il giorno dopo, infatti, Sam fu consegnato nelle mani dei King, mentre Mindy e Hugh accompagnavano la signora Robertson in centrale.
Raccontarono la verità, sarebbe stato inutile cercare di salvare le apparenze. Erano vicini di casa, si sarebbero accorti dell’assenza del signor Robertson, per non parlare dello zigomo tumefatto di Sam che parlava da solo.
A pranzo, si sedettero tutti a tavola in cucina: Anthony e Gina, Brandon e Amy Beth, Sam, e anche Claire, la governante dei King.
Stavano mangiando in silenzio, cosa fuori dal comune per quella famiglia.
Sam si sentiva molto in imbarazzo. Soltanto dieci minuti prima sua madre era stata seduta sul divano nel salotto di quella casa piangendo tra le braccia della signora King mentre raccontava cos’era successo.
In quelle ultime ore il ragazzo aveva scoperto un sacco di altre cose, ad esempio che Gina e Barbara erano diventate amiche nelle ultime settimane.
Ok, lui trascorreva a scuola quasi intere giornate, ma come aveva fatto a perdersi così tante cose?
Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
“Non ti piace? Ti prepariamo qualche altra cosa?” domandò cautamente la signora King, visto che il ragazzo non aveva mandato giù neppure un boccone.
“Mà, sono sicuro che il problema non sia la lasagna” disse Brandon, sforzandosi con poco successo di non usare un tono esasperato.
“Chiedo scusa” disse Sam.
“Non ti devi scusare” disse il signor King. “Tu non hai fatto nulla di male per meritare un pugno in faccia, ragazzo. Capito?”
Sam strinse forte la forchetta e cominciò a singhiozzare. Nel pianto balbettò qualcosa, senza neanche rendersene conto, finché Brandon non lo prese per le spalle e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
“Sam… Sam! Non capiamo cosa stai dicendo. Che vuoi dire? Che vuol dire che te lo sei meritato?”
Sam si limitò a fissarlo, sperando che capisse.
E l’amico capì.
“Cos’è successo?” domandò ancora Brandon, a voce bassa, accarezzandogli le spalle cercando di tranquillizzarlo.
Ma il ragazzo esitava.
“Sam, puoi dirlo. Non è un problema per noi. Per nessuno di noi.” Brandon gli offrì uno dei suoi soliti sorrisi rassicuranti.
“Ieri sera Thomas mi ha accompagnato a casa” riuscì a dire Sam, tra un singhiozzo e l’altro, ma non fu in grado di andare avanti.
“Tuo padre vi ha visti” disse Amy Beth. Non era una domanda.
Sam annuì.
“Continuo a non capire” disse la signora King. “Perché avrebbe dovuto arrabbiarsi?”
“Mamma…” mormorò Brandon.
“Tesoro” intervenne il marito, posando una mano sul braccio della moglie e indicando Claire con un cenno della testa.
“Oh” esclamò la donna.
Claire invece sorrise a Sam.
Adesso era il ragazzo a non capire, e chiese aiuto con lo sguardo al migliore amico.
“Claire ha una compagna. Te l’ho detto che non è un problema per noi.”
Sam tirò su col naso e si asciugò le lacrime con le mani, facendo attenzione e a non strofinarle sullo zigomo.
“Secondo me dovremmo metterci altro ghiaccio” mormorò Claire.
“La madre ha detto di lasciar respirare un po’ la zona” rispose Gina.
“Però sta diventando di un colore che non mi piace” aggiunse Anthony.
“Improvvisamente tutti medici, in questa casa” commentò la signora King, scuotendo la testa.
“Ti fa male?” chiese Amy Beth al diretto interessato.
“Non molto, se non la tocco.”
“Allora noi ci ritiriamo nelle mie regali stanze” disse Brandon alzandosi, anche se non aveva finito di mangiare. Tirò Sam per un polso per e fece un cenno alla sorella.
I signori King li lasciarono andare, e i tre giovani salirono al piano di sopra chiudendosi nella stanza del figlio minore.
“Qualunque cosa sia successa, mio padre ha ragione. Non ti sei meritato nessun pugno in faccia. Va bene?” disse Amy Beth, gettandosi sul letto.
Brandon gli indicò la poltrona e Sam si sedette.
“Però adesso devi dirci com’è andata con Thomas” disse l’amico, appoggiandosi alla porta chiusa, con un sorriso elettrizzato.
Brandon!” esclamò Amy Beth.
“Che c’è?!”
“Ti pare il caso?”
“Certo che sì.”
“Assolutamente no.”
“Ma voglio sapere!” si girò verso Sam. “Dove ti ha portato? Se ti ha accompagnato fino a casa vuol dire che è andata bene, no? Vi siete baciati?”
Brandon!” sibilò di nuovo Amy Beth.
Sam rise.
“Ahia!” esclamò, toccandosi d’istinto la guancia. Ridere faceva male.
“Ah! Lo sapevo!” quasi strillò il ragazzo, mentre la sorella alzava gli occhi al cielo.
“È andata bene” spiegò Samuel. Raccontò della Galleria.
Amy Beth ascoltava estasiata. “È il primo appuntamento più romantico del mondo. Non posso credere che era il piano B e che all’inizio voleva portarti al pub.” Finse di massaggiarsi le tempie come se avesse mal di testa. “Ah, gli uomini!”
“In realtà penso che gli sia venuto in mente mentre mi lamentavo del pub.”
“Perché ti lamentavi del pub?!” Brandon fece la parte dell’indignato. “Ma alla fine? Vi siete baciati?”
“Non ci siamo baciati. Cioè… ci siamo… quasi baciati, credo.” Sicuramente sarebbe arrossito se la faccia non fosse già stata gonfia e di tre colori.
“Che vuol dire, quasi? E che vuol dire, credo?!” domandò Brandon esasperato.
“Non lo so, Brandon, sono confuso! Ti ricordo che non ho avuto tempo di pensarci.”
Calò il silenzio. Sam si maledisse, perché non era stata sua intenzione rovinare l’atmosfera. Aveva avuto una notte e una mattina fin troppo drammatiche, era bello adesso poter dimenticare per un secondo quanto era diventata schifosa la sua vita.
 
Trascorsero il primo pomeriggio ad ascoltare e criticare le nuove canzoni di Brandon.
Quando Amy Beth e Sam si alleavano per prenderlo in giro e trovare note o parola sbagliate inesistenti lo mandavano al manicomio, anche se lui sapeva che scherzavano, e alla fine si divertivano tutti e tre.
Ad un certo punto sentirono il suono del campanello al piano di sotto.
“Vado io” disse Amy Beth.
Una cosa che Sam aveva imparato subito quando aveva iniziato a frequentare la famiglia King era che nessuno in casa si aspettava che la governante facesse qualcosa, se potevano farla anche loro. Claire aiutava con le pulizie, con la cucina, con le varie commissioni che servivano a gestire una casa e una famiglia, ma raramente faceva qualcosa da sola se i King non erano impegnati in altre faccende.
Due minuti dopo, Amy Beth si affacciò di nuovo alla porta della camera del fratello.
“Sam, dovresti scendere” disse, con aria seria.
I due ragazzi si guardarono in faccia, poi la seguirono.
Il salotto era affollato.
Oltre ai signori King e a Claire, c’erano anche sua madre, Mindy e Hugh, Sarah Burke e un poliziotto in divisa.
“Buonasera” disse Sam, titubante.
“Ragazzi, aiutatemi in cucina” disse Claire.
“Vi do una mano anche io” aggiunse la signora King.
Le due donne presero Amy Beth e Brandon per un braccio e delicatamente li condussero fuori, richiudendosi la porta alle spalle.
Fu la signora Robertson a rompere il silenzio.
“Sam” disse, prendendogli entrambe le mani e facendolo sedere accanto a sé sul divano. “Il signor King ci seguirà nella denuncia” disse.
Il padre di Brandon era un avvocato. Naturalmente, l’avvocato di famiglia dei Robertson era un amico di suo padre, quindi era fuori questione che venisse coinvolto.
“D’accordo” disse.
“La dottoressa Burke collabora con il distretto di polizia” intervenne quindi Anthony. “È qui per controllare come stai. Tutto qua.”
Per essere sicuri che mia madre non abbia mentito, pensò Sam.
Sarah gli sorrise e si sedette sul tavolino davanti a lui, come se fosse a casa sua. Aveva con sé una valigetta.
Lo visitò in fretta, parlando con la madre di Sam su come avevano trattato la ferita fino a quel momento. C’era una naturalezza nella loro conversazione che fece riflettere Sam sul fatto che forse già si conoscessero. In fondo lavoravano nello stesso ospedale.
Alla fine Sarah convenne che tutto sommato gli era andata bene, il gonfiore sarebbe passato in fretta. Per il livido ci sarebbero voluti alcuni giorni. Non aveva bisogno di punti e poteva continuare tranquillamente a seguire le direttive della signora Robertson, che ‘è più che capace di prendersi cura della ferita del figlio’.
Sam si appuntò mentalmente di ringraziare per l’ennesima volta Max per averlo aiutato ad evitare un naso rotto.
Prima di potersene tornare in camera di Brandon, Sam dovette rispondere anche ad alcune domande del poliziotto. Gli venne chiesto di raccontare la serata e quando l’uomo gli domandò come mai il padre aveva perso le staffe, Sam decise di dire una mezza verità. D’altra parte, ormai, in quella stanza conoscevano tutti il suo segreto. Nel giro di una settimana erano cambiate tutte le carte in tavola.
“Mi ha visto con un ragazzo e ha pensato che ci stessimo baciando.” Poi, siccome rivivere la serata precedente a parole aveva fatto montare di nuovo la rabbia in lui, aggiunse: “A quanto pare mio padre non è solo violento, è anche omofobo.”
Sentì la madre trattenere il respiro, e con la coda dell’occhio vide Hugh sopprimere a stento un sorrisetto.
“Ed era vero?” indagò il poliziotto.
“Non è rilevante” intervenne il signor King, con voce pacata ma ferma.
Il poliziotto sembrava un po’ a disagio.
Sarah alzò la testa dal foglio che stava compilando. “Io ho finito” disse, con tono di comando. Consegnò il documento al poliziotto. “Il ragazzo deve riposare, è ferito e ha subito un trauma” con un dito ticchettò sulla carta nelle mani dell’ufficiale. “I dettagli li trovate lì dentro, possiamo andare via.”
Uscirono tutti dalla stanza, e rimasero solo Sam e la madre.
“Mi dispiace molto che tu debba sopportare tutto questo. Ora devo tornare in centrale, ma ne parliamo più tardi, va bene?”
Sam annuì.
“Mindy viene con me, ma Hugh va a prendere le sue cose e si trasferisce da noi per un po’. Ti dispiace?”
“Certo che no” rispose Sam, come se fosse ovvio, poi si rese conto che la madre non poteva sapere che lui conosceva bene Hugh e che spesso l’uomo si univa alle sue uscite con Mindy, ad esempio le visite alla Galleria.
Si scambiarono un rapido abbraccio, e Sam cominciò a sentirsi meglio.
 
Dieci minuti dopo, Sam era di nuovo chiuso in camera di Brandon con lui e la sorella.
“Vado a fare un giro di telefonate” disse a un certo punto il musicista. “Avviso Archer e Christine che stasera non ci siamo per l’inaugurazione.”
“Perché no?” chiese Sam.
“Amico, vuoi uscire con la faccia conciata in quel modo? Sei dell’umore per uscire con la faccia conciata in quel modo?”
Io no.”
“Appunto.”
“Ma non dovete restare a casa solo perché io non esco.”
“Sei veramente scemo se pensi che ti lasceremo da solo” disse Amy Beth. Si girò verso il fratello. “Fai in modo che qualcuno avvisi anche Diane e le altre ragazze.”
“Thomas!” esclamò Sam, ricordandosene improvvisamente. “Lo avevo invitato a venire con noi. Se arriva al pub e non mi trova, penserà che gli ho dato buca o una cosa del genere.”
Brandon gli strizzò l’occhio. “Già il secondo appuntamento, eh? Va bene, andiamo.”
“Non è che potresti chiamarlo tu?”
“Come mai?”
“Non mi va di farmi fare un altro interrogatorio.”
L’amico sospirò. “Sono un Santo. Va bene, dammi il suo numero.”
Silenzio.
“Non ce l’hai, vero?”
Sam scosse la testa.
“Ce l’ho io” disse Amy Beth.
Entrambi la guardarono sorpresi.
“Come mai hai il numero di Thomas?” chiese Sam.
“Geloso?” lo prese in giro la ragazza.
Brandon scoppiò a ridere.
“Conosco la sorella” rispose infine Amy Beth. “Lo trovi nella rubrica sulla mia scrivania, sotto il nome Evelyn.”
Brandon uscì dalla stanza, e la ragazza si concentrò su Sam.
“Prima o poi dovrai parlare con lui.”
“Di questa storia non voglio parlarne proprio con nessuno!” replicò Samuel.
“Ma lo sai che è impossibile, vero? Tutti in città conoscono i tuoi genitori. Pensa a quando la madre di Sofia Parlor ha rasato per sbaglio metà testa del marito. Il giorno dopo lo sapeva già tutta la scuola, e quella roba era una stronzata, non era neppure vero e proprio materiale da gossip. Non mi sorprenderei di leggere il titolo ‘La Dottoressa Robertson caccia di casa il marito’ direttamente sui giornali.”
A questo Sam non aveva pensato, ma Amy Beth aveva ragione. Quella non era Londra, ma una semplice cittadina dove tutti conoscevano tutti, soprattutto se facevano parte della cerchia dei ricchi snob, come suo padre e i genitori di tre quarti degli studenti della Walker.
“Scusa, non volevo turbarti” disse ancora la ragazza, pentendosi di quel discorso davanti alla faccia dell’amico. “Però lunedì non puoi arrivare a scuola impreparato, devi essere pronto a quello che ti diranno.”
La scuola. Sam aveva avuto tanti di quei pensieri, nelle ultime ventiquattro ore, che la scuola sembrava una realtà lontanissima.
Brandon aprì la porta prima che Sam potesse rispondere.
“Ho combinato un casino” disse senza preamboli, richiudendosi la porta alle spalle e appoggiandovisi contro come faceva spesso.
“Cioè?” indagò subito l’amico.
“Ho chiamato Thomas. Ma ho combinato un casino” ripeté. “Solo che sembrava convinto che tu lo stessi scaricando! Non mi sembrava una buona idea lasciarglielo credere, e ho provato a rassicurarlo.”
“E quindi cosa gli hai detto?”
“Che avevi avuto un problema e non potevamo uscire da casa mia.”
Sam chiuse gli occhi e fece un sospiro. “Va bene, non è questo grande dramma. Gli parlerò lunedì.”
Brandon si schiarì la voce. “In realtà… sta venendo qui. Adesso.”
“Cosa?!?!” esclamarono Sam e Amy Beth contemporaneamente.
“Insisteva che voleva sapere che problema c’era con Sam, e io ovviamente non gli ho detto nulla, e allora mi ha chiesto se poteva venire qua. E gli ho detto di sì.”
Brandon spostava lo sguardo dall’una all’altro, in attesa di una reazione.
Sam impallidì e si portò le mani al viso, facendo una smorfia di dolore, perché si era dimentico dello zigomo tumefatto.
“Beh, il prima o poi è arrivato in fretta…” mormorò Amy Beth.
“Scusate, ma che dovevo fare?!” Brandon era nel panico e Sam non lo aveva mai visto così. “All’inizio sembrava un cucciolo di cane bastonato perché credeva che Sam volesse mollarlo, e alla fine era preoccupatissimo perché pensava fosse successo qualcosa di grave.”
“Ma infatti è successo qualcosa di grave!” esclamò Amy Beth.
“Sì, lo avrà capito dal fatto che non volevo dirgli cosa” disse Brandon, esasperato. “Anche se gli avessi detto che non poteva venire qui, probabilmente sarebbe arrivato lo stesso e si sarebbe arrampicato alla finestra.” Si voltò a guardare Sam. “Dio mio, Sam, ma cosa gli hai fatto? È completamente andato! Perso! Stregato!”
Malgrado tutto, Sam non riuscì a fare a meno di sorridere.
 
Mezz’ora dopo, Sam era in piedi al centro della camera di Brandon. Thomas era sulla porta, e lo fissava sbigottito.
“Bene, noi andiamo a prendere qualcosa da mangiare. Torniamo tra un po’” disse Amy Beth, afferrando il fratello per il gomito e trascinandolo fuori dalla stanza, mentre Thomas si spostava per farli passare.
“Divertitevi” disse Brandon. Rise all’occhiataccia della sorella e la seguì fuori dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
“Ciao” disse Sam, guardando ovunque tranne che verso Thomas.
“Cosa ti è successo?” domandò l’altro a voce bassa, incapace di staccare lo sguardo dal volto di Sam.
“È una storia lunga e patetica.”
“Voglio sentirla.”
“È… è stato mio padre.” Per l’ennesima volta da quando era tornato a casa la sera prima, gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Thomas non disse nulla, ma lo raggiunse e lo circondò con le braccia, stringendolo talmente forte che a Sam mancò il respiro. Gli strinse le braccia intorno alle spalle e appoggiò la propria guancia contro la testa di Sam, accarezzandogli i capelli con una mano.
Lo tenne così a lungo, e Sam stava così bene in quella stretta che sopportò in silenzio anche il dolore alla guancia che premeva contro la spalla di Thomas.
Nessuno, a parte Mindy, sua madre e forse Brandon, lo aveva mai abbracciato così forte, con quella sicurezza. Di certo non suo padre, o qualcun altro dei suoi familiari. Nemmeno Patricia, che in ogni caso non avrebbe mai potuto farlo.
Quando sciolsero l’abbraccio, Sam stava lacrimando dall’occhio sinistro, quello dello zigomo colpito.
“Giuro che non sto piangendo” disse con una risata mezza rotta, nella speranza di salvare un minimo di dignità. “È per colpa di questa” e indicò vagamente la propria faccia.
“Ti fa molto male?” chiese Thomas, sentendosi uno sciocco subito dopo. Sollevò una mano e accarezzò delicatamente il mento di Sam, per spazzare via una lacrima che era arrivata fino a lì.
“No. Solo quando la tocco.”
Thomas abbassò di colpo la mano. “Scusa.”
Sam sorrise. “Tranquillo.” Oramai aveva asciugato tutte le lacrime con la manica della felpa. “Non c’era bisogno che venissi fino a qui, ti avrei parlato lunedì a scuola. Ti ho fatto telefonare solo perché non pensassi che non mi ero presentato a un appuntamento.”
“Quindi era un appuntamento ufficiale?” sorrise Thomas, quasi gongolando.
“Io fossi in te non farei quella faccia. Tu mi hai portato in una galleria d’arte aperta solo per noi, circondati da quadri stupendi, una serata praticamente perfetta, e io ti ho proposto un pub rumoroso in compagnia della cricca di Brandon.”
“Mi sembrava di avertelo già detto: a me importa solo di stare con te.”
Sam trattenne il fiato. “Non avevi detto proprio così…” mormorò.
“Era quello che intendevo. Lo sai.”
“Sì, lo so.”
Sorrise. Adesso lo sapeva davvero. Perché per quanto gli sembrasse impossibile, troppo bello per essere vero, troppo bello per poter capitare proprio a lui, l’espressione sul viso di Thomas valeva più di mille parole.
Lentamente gli prese una mano, e insieme intrecciarono le loro dita.
Poi Thomas sollevò l’altro braccio, e sfiorò il viso di Sam dal lato buono, accarezzandolo con i polpastrelli. Fece un passo avanti, chiuse gli occhi e lo baciò.
Dapprima posò solo delicatamente le labbra su quelle di Sam, un piccolo bacio a stampo, ma non si allontanò e lasciò la propria bocca a sfiorare quella di Sam. Attese qualche secondo, come se avesse paura che Sam potesse ritrarsi e stesse aspettando l’inevitabile distacco.
Sam, invece, si avvicinò ancora di più a lui con tutto il resto del corpo e sorrise con le labbra premute su quelle dell’altro.
Thomas avvertì il sorriso, lo ricambiò, spostò la mano dietro la nuca di Sam per tenerlo fermo, e finalmente dischiuse le labbra per far nascere un bacio vero.
Fu meglio di quanto Sam avesse immaginato e sperato. Aveva sempre pensato che sarebbe stato nervoso durante il suo primo bacio, invece fu come se lui e Thomas non avessero fatto altro da anni, tutti i giorni, tutto il giorno.
Si strinsero cercando di avvicinarsi sempre di più, come se fosse umanamente possibile, visto che già così non passava un filo d’aria tra i loro corpi.
Inevitabilmente lo zigomo colpito di Sam cominciò a fargli male, ma lui era troppo rapito dal bacio affinché gliene importasse qualcosa.
Quando si separarono per riprendere fiato e guardarsi negli occhi, Thomas continuò a tenerlo ancorato a sé circondandogli i fianchi con le braccia.
“Volevo farlo dal primo momento in cui ti ho visto, il primo giorno di scuola, a settembre” disse Thomas, ancora col respiro corto.
“Non ci credo” replicò Sam, sconvolto.
Thomas rise. “Ti ho visto seduto da solo ad uno dei tavoli in cortile durante la pausa pranzo. Stavi scarabocchiando su un quaderno e mi sono avvicinato solo perché volevo sentire la tua voce, così ti ho chiesto dov’era un’aula, non mi ricordo neanche quale.”
“Quella di matematica” rispose Sam.
“Ma allora te lo ricordi?”
“Certo che me lo ricordo. Intendevo dire che non posso crederci che volevi baciarmi già da allora” Sam scosse la testa, incredulo e felice.
“E invece sì. Ora dobbiamo recuperare il tempo perso” disse Thomas, un secondo prima di baciarlo ancora.
Quando si separarono di nuovo, Thomas osservò la ferita.
“Perché?” chiese soltanto.
Sam non sapeva cosa rispondere. Non voleva che Thomas si sentisse in colpa.
“Niente di particolare. Ha solo trovato una scusa. È una persona violenta, in passato ha ferito anche mia madre. Adesso lei e Mindy sono andate a denunciarlo. La polizia ha già parlato anche con me.”
Thomas si fece raccontare tutto nei dettagli, ma Sam lo tenne all’oscuro del coming out e ovviamente dell’aiuto di Max. Trovò liberatorio potergli raccontare tutte quelle cose, e si accorse di farlo non perché tanto le avrebbe scoperte lo stesso, ma perché voleva. Mentre si sfogava su quello che era successo, l’espressione dolce di Thomas, le sue carezze delicate e i suoi abbracci lo aiutarono a metabolizzare tutto.
Avevano appena finito di parlare e si stavano scambiando un altro bacio, quando furono interrotti da un forte bussare sulla porta, e dall’esterno li raggiunse una voce familiare.
“Qualsiasi cosa stiate facendo, voglio sperare non sia sul mio letto!”
Brandon!”
 
Circa un’ora dopo si affacciò in camera la mamma di Brandon, e li trovò tutti e quattro seduti per terra a giocare a Monopoli. Sam e Thomas sedevano così vicini che le loro ginocchia si toccavano.
“Scusate l’interruzione” disse la donna. Sorrise a Thomas. “Volevo sapere se resti a cena. Ordiniamo la pizza.”
“Non si preoccupi, stavo per andare via” rispose il ragazzo.
“Dove vai?” intervenne Brandon. “Non hai il permesso di andare al pub senza di noi!” scherzò.
Thomas rise. “Grazie per aver messo in chiaro le cose. Non ti preoccupare, me ne torno a casa.”
“Non dire stronzate.”
Brandon!” esclamò la signora King.
“Resta qui senza farti pregare” continuò il figlio.
“Forza, ditemi i gusti” la donna tirò fuori un taccuino e una matita da non si sa bene dove. “Tutti e quattro.”
Thomas si girò verso Sam, e lui gli sorrise.
“D’accordo” cedette.
Giocarono per un’altra ora, e quando fu il momento di mettersi a tavola, oltre ai quattro ragazzi c’erano solo le altre due donne di casa.
Sam si avvicinò alla signora King e la prese da parte.
“Per caso mia madre ha detto quando sarebbe tornata? È ancora alla centrale di polizia?”
“Oh, no, tesoro. Sono tornati tutti un bel po’ di tempo fa, ma sono andati a casa tua per finire di discutere su alcune cose. Non dovrebbe volerci ancora molto, abbiamo preso le pizze anche per loro.”
E infatti avevano tutti a stento finito di mandar giù la prima fetta quando sentirono la porta d’ingresso aprirsi e un vociare provenire dall’altra stanza, finché il signor King, la signora Robertson, Mindy e Hugh non fecero il loro ingresso.
La madre di Sam apparve sorpresa di vedere Thomas seduto a tavola con tutti gli altri, ma lo salutò cortesemente senza fare domande mentre tutti prendevano posto.
Quando saltò fuori che Hugh era un grande appassionato di musica, la conversazione si concentrò totalmente sull’argomento, anche se erano soprattutto lui e Brandon a parlare, per gran sollievo di Sam, che si sentiva ancora un po’ in imbarazzo in presenza di tutte quelle persone dopo quello che era successo con suo padre.
Lui e Thomas erano seduti vicini, e ogni tanto il ragazzo si voltava per fargli un sorriso rassicurante o per chiedergli come andava la ferita. Ormai il gonfiore era quasi del tutto sparito, anche se lo zigomo era sempre più verde e violaceo.
A fine cena Hugh propose di dargli un passaggio, siccome doveva comunque andare dall’altra parte della città per prendere alcune cose a casa propria.
Thomas ringraziò per la pizza e fece un saluto generale, poi i quattro ragazzi si spostarono nell’ingresso, mentre Hugh si avviava alla macchina.
La porta d’ingresso aperta lasciava entrare un vento gelido che li fece rabbrividire.
“Ok. Allora vado” disse Thomas, guardando negli occhi Sam.
“Ok. Ci vediamo lunedì” replicò l’altro, diventando rosso.
“Per amor del cielo…” borbottò Brandon, mentre lui e Amy Beth si voltavano verso le scale per lasciar loro un po’ di privacy.
Sam rise e sollevò una mano per sfiorare delicatamente il braccio di Thomas, mentre lui si avvicinava per dargli un bacio all’angolo della bocca, esattamente come la sera precedente.
Dieci minuti dopo, anche Sam, sua madre e Mindy si apprestarono a lasciare casa King, ringraziandoli profondamente dell’aiuto e dell’ospitalità.
Finalmente in camera sua, Sam e Max si stavano già preparando ad una lunga chiacchierata di aggiornamento, il ragazzo vivo sul letto e il fantasma sulla scrivania, quando Barbara Robertson bussò alla porta.
Il figlio la fece entrare e lei si sedette accanto a lui.
“È lui, vero?” chiese senza preamboli.
“Chi?” Sam finse di non capire.
“Il tuo tutor.”
“Non è più il mio tutor.”
“Ma è lui, vero? Il ragazzo di ieri sera.”
Sam annuì.
“Quindi voi… state insieme? È il tuo fidanzato?”
Questo non era un dettaglio che i due ragazzi avevano ben chiarito, ma per Sam in quel momento fu più facile rispondere di sì.
La madre rimase silenziosa per qualche secondo, riflettendo, poi parlò abbassando lo sguardo sulle proprie mani, che teneva in grembo e che si stava massaggiando nervosamente.
“Devo ammettere che non me lo aspettavo, non lo avevo capito. Sono stata una madre terribile, eh?” fece un sorriso triste.
Sam avrebbe voluto contraddirla, con tutto il cuore, ma dalle sue labbra non uscì una parola. Adesso le cose erano diverse, aveva una nuova prospettiva, ma se quella stessa domanda gliel’avesse fatta due giorni prima, probabilmente Sam le avrebbe risposto che sì, era una madre terribile, che Mindy era stata una madre migliore, nonostante l’età per essere sua sorella maggiore e di certo non un genitore. Era difficile dimenticare così su due piedi tutti i momenti in cui sua madre lo aveva fatto sentire una nullità esattamente come aveva sempre fatto suo padre.
Comunque, era una domanda retorica, e infatti la donna continuò a parlare.
“Mi sono distaccata il più possibile tentando di proteggerti, e ho sbagliato. Mi dispiace, non commetterò più lo stesso errore. Non voglio giustificarmi, né che mi perdoni, e non posso prometterti che da oggi in poi diventerò una madre perfetta, o almeno la madre che meriti, ma ci proverò. Questo posso giurartelo.”
Sam aveva le lacrime agli occhi e non sapeva cosa dire, così si sporse verso di lei e l’abbracciò stretta.
Max, nel frattempo, non si era mosso dal suo posto sulla scrivania, e osservava la scena con dolore, rimpianto e nostalgia.
“Va tutto bene” disse Sam alla madre, sciogliendo l’abbraccio.
La madre sorrise e lo guardò pensierosa. “Tesoro…” disse, mentre la sua espressione diventava di nuovo seria. “…è strano pensare che tu e quel ragazzo non siate solo amici, non lo nego.”
Sam si ritrasse leggermente, ma la madre lo prese per una mano.
“Ti prego, ascoltami, voglio essere onesta con te. Credo di aver bisogno di un po’ di tempo per abituarmi all’idea, ma è un mio problema, non tuo, e lo risolverò. D’accordo?”
Sam annuì in silenzio.
“Ti voglio bene” gli disse infine la signora Robertson, e lo abbracciò di nuovo.
Sam strinse forte sua madre e rilasciò il respiro che stava trattenendo.
 
Quando rimasero di nuovo soli, Max cercò di nascondere quanto si sentisse devastato dalla scena a cui aveva appena assistito.
Gli mancava sua madre.
Come la signora Robertson, la signora Davis non era stata una madre perfetta, ma aveva sempre amato il figlio, e perderlo l’aveva segnata per sempre.
Per due anni Thomas aveva dovuto sopportare di vedere la donna sprofondare sempre di più nella depressione, senza poter fare nulla, sapendo che era colpa sua.
“Quindi… fino alla scorsa settimana era un segreto di Stato. Ora lo sanno tutti” sospirò Sam. “Non riesco a spiegarmi come sia potuto succedere, lo giuro.”
“Penso sia normale. La parte più complicata è trovare il coraggio di dirlo la prima volta, alla persona giusta. Poi diventa più facile.”
Sam si lasciò cadere di schiena sul letto, con lo sguardo rivolto al soffitto. “Non voglio mai più uscire da questa casa.”
Max lo raggiunse e si distese fluttuando a mezz’aria accanto a lui, fissando il soffitto a sua volta. “Non lo pensi sul serio” disse.
Sam si sentì in colpa. “No, hai ragione.”
Rimasero in silenzio a tenersi compagnia per un po’. Sam con la coda dell’occhio vedeva il bagliore di Maxwell accanto a sé, ma non avvertiva calore.
“Ho visto Thomas oggi” disse all’improvviso.
“Tutto bene?” domandò Max, dopo un momento di esitazione.
“Sì” rispose Samuel, e non riuscì a impedirsi di sorridere.
L’altro non commentò.
“Anche Sarah.”
Adesso, invece, Max si voltò verso di lui con la testa, e Sam gli spiegò dell’interrogatorio informale e della visita.
“Sarah è la persona migliore che esista” disse Max, quando Sam ebbe finito di parlare.
“Da quanto tempo non la vedi? Intendo da vicino, in questa casa.”
“Due anni. Venne a trovare gli Hendricks, ma di solito erano loro che andavano da lei. Non spesso, comunque, non avevano lo stesso rapporto che ha con i King. Comunque si è trattato sempre di visite brevi. L’ultima volta che è stata davvero qui, addirittura qui in questa stanza, i miei genitori non si erano ancora trasferiti.” Max girò la testa verso la scrivania, per non farsi vedere in viso da Sam. “Passare il tempo con lei è la cosa che mi manca di più dell’essere vivo. Anche se sono sicuro che lei sia andata avanti con la sua vita e che non pensi più a me, vorrei sapere chi sono i suoi nuovi amici, e se la trattano come merita.”
“Max… ma certo che pensa ancora a te” cercò di consolarlo Sam. “Se era una buona amica non può essersi dimenticata di te. Sono sicuro che sente la tua mancanza.”
“Sono passati dieci anni, Sam.”
“Non sono poi così tanti.”
“Sono abbastanza.”
   
 
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