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Autore: Mirty_92    22/05/2020    1 recensioni
Jane si è appena dichiarato. Lisbon, per lui, ha rinunciato alla sua partenza e prima di riprendere servizio all'FBI di Austin, ha ancora una settimana di libertà. Ma che settimana l'aspetta? Entusiasmante, speciale, fuori dagli schemi? E chi può dirlo. Lei sa solo che se al suo fianco ci sarà Jane allora tutto andrà bene.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Angolo Mirty_92

Ben ritrovati a tutti. Mi prendo qui un piccolo spazietto per dire due parole.
Ultimo capitolo? Non lo so ancora.

In realtà forse penso si possa aggiungere qualcosina per potersi agganciare meglio all’inizio della settima stagione ma, come ho già detto, non ho ancora deciso per cui, per il momento, contrassegnerò la fic come completa.

Per il resto vi dico solo che mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo, anche se molto breve, soprattutto per la parte introspettiva finale che mi sembra possa descrivere al meglio il carattere dell’amore sincero tra Jane e Lisbon.

Beh, è un mio punto di vista, naturalmente.

Spero che lo apprezziate tanto quanto me.

Buona lettura e… alla prossima,

Mirty      

 

9. Il nostro paradiso blu 


Sento qualcosa di morbido e leggero che mi accarezza il viso. Non riesco a trattenere un sorriso quando realizzo che sono le labbra di Jane che stanno percorrendo ogni singolo centimetro della mia guancia destra depositandovi dei tenui baci. Apro appena gli occhi e noto che è ancora buio intorno a noi.
“Buongiorno.” La sua voce è un sussurro accattivante appena accennato.
Mi rigiro fra le sue braccia e mi perdo nei suoi occhi rimanendo imbambolata. Accidenti a Jane! Non so come faccia ma su di me, in questi momenti, ha un effetto devastante. Eppure non è la prima notte che passiamo insieme. Anzi, questa è stata l'ultima, almeno lo è qui a Islamorada, ma spero che questo idillio durerà anche quando saremo rientrati ad Austin. Che strano! Non ne abbiamo ancora parlato.

“Tutto bene? Mi sembri pensierosa.” Jane mi guarda curioso. Strano che non abbia capito a cosa sto pensando. O forse fa solo finta di non averlo capito.
“Tutto ok. Ma che ore sono? È ancora buio.”

“In effetti manca ancora un po’ all’alba ma siccome è il nostro ultimo giorno qui volevo farti una sorpresa.”
Mi scappa un sospiro di rammarico. È davvero il nostro ultimo giorno qui. Improvvisamente non mi va più di tornare a casa.

“Una sorpresa prima dell’alba?”
“Sì, avanti, pigrona. Andiamo!” Mi fa alzare e mi accorgo di opporre ben poca resistenza. Ho ancora sonno e il motivo è colpa di Jane. Cos’è che continuo a ripetere? Che è sempre colpa di Jane? Beh, sì! È davvero sempre colpa sua. È lui che ha sempre uno o più motivi per farsi perdonare. Anche se poi lo sa fare piuttosto bene, devo ammetterlo. Ma ora, svegliata prima dell’alba, è normale che abbia ancora sonno, avendo dormito poco, giusto?

“Oh, dove mi porti Jane?”
“Te l’ho detto. È una sorpresa. Prendi questa.” Mi lancia una sua camicia mentre lui ha già indossato un paio di pantaloni e si sta allacciando una camicia nuova.

“E cosa dovrei farmene, scusa?” Me la rigiro fra le mani e mi accorgo che è la stessa che gli ho sfilato la sera prima. Un improvviso rossore tradisce i miei pensieri sulla nostra ultima notte insieme. È un ricordo così intimo e passionale che ancora mi fa scorrere un brivido di piacere.
Jane se n’è accorto perché lo vedo cercare di nascondere un sorriso ma decide di non dire nulla. Torno a concentrarmi sulla camicia.

“Devi indossarla. Non hai detto tu che sei stanca di andare in giro con i vestiti che ti ho comprato? Una camicia non è un vestito.” Mi risponde con un’alzata di spalle e ha quel tono dell’ovvio che mi irrita, ma non abbastanza da farmi innervosire. Almeno non ora perché, devo ammetterlo, il fatto che voglia farmi una sorpresa mi incuriosisce tanto quanto mi spaventa, in realtà. Sono un mix di sentimenti contrastanti, me ne rendo conto. Ma con Jane è sempre stato così. È il suo modo di fare che finirà per mandarmi in pappa il cervello. Ma non posso farne a meno.
“Dai, Lisbon. Non farti pregare. Sbrigati o tutto l’albergo ti vedrà uscire con indosso solo una camicia. È questo che vuoi?”

Sgrano gli occhi di fronte alla sua aria scherzosa.
“Stai scherzando, spero.”
È già pronto sulla porta. Beh, non che a lui serva molto per essere pronto e perfetto, aggiungerei. E poi chissà da quanto tempo è che è sveglio a progettare quello che ora vuole fare.

“No, sono serissimo.”
“Jane! Ma andiamo! Non posso andarmene in giro così!” Non posso non protestare. D’accordo che non voglio più mettere un vestito ma non posso uscire solo con una camicia che mi copra l’intimo e per di più una sua camicia anche se è grande – per mia fortuna – e mi arriva a coprire buona parte del sedere – per una volta sono contenta di non essere una stangona come Van Pelt – . Ma è comunque indecente! Sono un’agente dell’FBI, insomma! Ho una dignità da salvaguardare! Mentre lui è così… così… impeccabile.

“Suvvia, Lisbon. Facciamo questa pazzia. È il nostro ultimo giorno qui. Fidati di me.”

Ecco, la sua famosa frase. Fidati di me. Quando dice così non promette nulla di buono.  

Faccio finta di pensarci e alzo gli occhi al cielo ma in realtà ho già deciso. Mi sono fidata in passato, mi fido ora e mi fiderò ancora e ancora di lui in futuro.
“Oh, d’accordo Jane. Arrivo.” Sbuffo esasperata mentre copro la mia biancheria intima nera indossando la camicia bianca di Jane. Cerco di abbottonarla in fretta prima che lui mi prenda la mano e, con fare circospetto e silenzioso, mi fa uscire dalla stanza.

Corriamo in punta di piedi lungo il corridoio e poi giù dalle scale. C’è ancora il ragazzo che fa il turno di notte alla reception. Maledizione! Mi fermo di botto e per un attimo Jane non mi strappa il braccio. Ancora mi teneva la mano.
Mi guarda perplesso.

“Che hai, Lisbon?” sussurra piano.
“C’è il ragazzo della reception. Che facciamo? Ci vedrà!”

Sorride e scuote il capo. “Marcelo non si accorgerà neanche di noi. Andiamo.”
Mi stringe la mano incoraggiante e proprio mentre riprendiamo a camminare, Marcelo – così l’ha chiamato Jane – si gira per prendere chissà cosa alle sue spalle.

Tre falcate veloci di Jane, cinque dei miei passi e siamo fuori. Poi, improvvisamente euforica per non essere stata scoperta, inizio a correre come se fossi una bambina di 5 anni. E quel che è peggio è che sono io questa volta a trascinarmi dietro Jane. Percorriamo tutto il sentiero lastricato fino all’ingresso del resort e poi faccio un salto lasciandomi quasi sfuggire un urletto di esultanza.
Jane mi guarda e non smette di sorridermi.

“Ti sei divertita, agente Lisbon?”
Cerco di ricompormi un momento notando che la camicia nella corsa si è sollevata lasciando scoperto un po’ troppo.

“Mi sono solo lasciata prendere un po’ la mano” cerco di giustificare il mio atteggiamento infantile. Accidenti, non so cosa mi sia preso.
Jane si avvicina fino a poggiare la sua fronte sulla mia. “Io penso che ogni tanto non sia male, lasciarsi un po’ andare. Con me non devi trattenerti, lo sai.”

“Perché me lo rinfaccerai a vita, vero?” lo guardo sospettosa.
“Esatto, agente Lisbon” ridacchia mentre gli sferro un piccolo pugno sulla spalla. Dannato, Jane!

“Ahi. Sempre questo brutto vizio di colpirmi quando dico la verità.”
Sbuffo ma gli sorrido.

“Dai, andiamo o la mia sorpresa sarà rovinata se aspettiamo ancora un po’.”

Siamo arrivati, finalmente. Io e Jane siamo sbucati in una caletta appartata poco lontana dal nostro resort. Privata, presumibilmente, perché mi ha costretta a passare tra cespugli di rose ed eucalipti, scavalcando cancelletti chiusi. Mi sono trattenuta dall’imprecare quando mi districavo tra gli arbusti mentre la sua camicia si impigliava ovunque. Per fortuna il cielo andava a poco a poco schiarendosi e iniziavo decisamente a vedere meglio. Il sole non è ancora sorto e ora Jane se ne sta in piedi sulla spiaggia, non troppo vicino alle onde dell’oceano con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte.
Senza dire nulla mi avvicino a lui.
Improvvisamente un ricordo mi attraversa la mente con una chiarezza disarmante: un tramonto, Jane che si ferma per guardarlo ed io lì, accanto a lui proprio come ora. Solo in un tempo diverso e con una disposizione d’animo tutt’altro che tranquilla. Era la sera dell’incontro stabilito da Jane con i possibili John il Rosso. Allora lui mi aveva giocata per l’ennesima volta, facendomi credere di aver accettato il fatto che io stessi con lui quando avrebbe incontrato i sospettati. Ma poi mi aveva abbandonata di fronte a quel tramonto bellissimo dopo avermi ringraziato per tutto quello che avevo fatto per lui in tutti i nostri anni di conoscenza. Mi ero emozionata quando mi aveva detto che io non avevo idea di quello che avevo significato per lui. Parecchie volte, dopo allora, mi sono chiesta se Jane fosse stato davvero sincero quel giorno e solo ora, mentre vedo che il sole rosso fuoco emerge improvviso dal nulla colorando le acque lontane dell’oceano, sono certa che sì, a modo suo, era stato sincero. Cauto, forse timoroso perché stava svelando qualcosa di sé che lo avrebbe reso più vulnerabile in un momento tanto delicato e pericoloso, ma sincero come solo con me sa di poter essere. Perché con me sa di poter essere sé stesso.

“A cosa pensi?” mi si è avvicinato piano e mi ha cinto la vita con un braccio attirandomi a sé. Appoggio la mia testa alla sua spalla.

“A te” e sono sincera.

Mi alza il mento tra pollice e indice e mi fissa. Ricambio lo sguardo e lascio che mi legga dentro. Lo so che ha capito. Lo so che sa quale ricordo la mia mente ha appena rievocato. E il fatto che sia un’alba e non un tramonto che ora stiamo condividendo insieme è più significativo che mai. Quel tramonto era segno che tutto stava per finire mentre questa è l’alba di quello che, spero per me e per lui, sarà l’inizio di una nuova vita. Insieme.
Mi bacia dolcemente, piano, lasciandomi il tempo di assaporarlo davvero. Senza alcuna fretta e senza smettere di baciarci scivoliamo lentamente sulla sabbia e lascio che lui si stenda sopra di me. Questa volta non ha nulla di cui farsi perdonare e io non ho vinto alcuna scommessa. Non voglio condurre il gioco perché questo non è mai stato un vero gioco per me o per lui. Questo momento è per noi un semplice trovarsi mentre prima architettavamo modi di scoprirci amanti per rimediare ad imbarazzanti anni di finta amicizia e di troppa paura per lasciarci andare davvero ai nostri sentimenti più profondi. La passione della nostra prima volta è scemata lasciando spazio a qualcosa di più grande, profondo e maturo. Lasciando spazio al nostro essere finalmente noi. E mentre le onde dell’oceano lambiscono appena i nostri piedi nudi, prima di abbandonarmi alla realtà dei nostri dolci sospiri, mi ritrovo a pensare che questo non è un sogno. Questo è il nostro paradiso blu. *

 

 *Il titolo e la parte conclusiva sono volutamente e ovviamente un riferimento all’episodio 6x09, Il mio paradiso blu.

 

  
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