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Autore: paige95    23/05/2020    12 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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Il tocco dell’angelo


 



Poligono di tiro - base militare americana - 
confine Nord/Est di Kabul, 19 agosto 2018
 
 
 
Christian non aveva affrontato il jet lag nel migliore dei modi; da quando era atterrato, persistenti mal di testa lo avevano accompagnato nel corso delle ore, persino il silenzio insolito della notte appena trascorsa non era stato in grado di offrirgli un po’ di sollievo. La scossa di adrenalina era arrivata intorno alle sei di mattina, quando dall’altra parte del mondo riuscì a sentire la voce sottile della sua bambina; Alisia aveva sussurrato come se il padre fosse a pochi metri da lei, voleva ricreare un cantuccio di tempo tutto dedicato a loro; Christian aveva capito poco e niente dei suoi discorsi, si era lasciato solo cullare da quella dolce melodia e si era premurato di tranquillizzarla quando sul sorgere dell’alba in cielo l’anima spietata della guerra tornava a rinvigorirsi e a rombare spaventando la piccola oltre la cornetta. Grazie al breve scambio di battute con la famiglia, si era appisolato nel suo giaciglio scomodo qualche minuto con il cuore più sereno, in attesa che la sua avventura al fronte ricominciasse ufficialmente, dopo uno stallo di svariate lune. Non ricordava che le estati a Kabul fossero così calde, il surriscaldamento atmosferico, le conseguenze del buco nell’ozono e storie varie dovevano aver raggiunto anche quell’angolo della Terra dimenticato da Dio; aveva lo stomaco vuoto, non era riuscito a mettere qualcosa sotto i denti per colazione, avvertiva troppa umidità e l’angoscia per la missione che il generale Flores aveva posto nelle sue mani entrava nelle viscere contorcendole. Aveva rimuginato tutta la notte sui suoi doveri; quando si era arruolato in giovane età, lui meno di altri avrebbe previsto quel conflitto sanguinoso che ormai da anni stava radendo al suolo paesaggi e intere famiglie devastando il Paese. Era il lontano 2001 quando tutto ebbe inizio; Christian era poco più che ventenne, quando a reti unificate in mondo visione scorsero davanti ai suoi occhi immagini che sarebbero rimaste impresse sui libri di storia e nella mente di ogni testimone della tragedia che si stava consumando nel cuore di New York. Aveva come molti assistito impotente al collasso delle Torri, che minuto dopo minuto, secondo dopo secondo, si sgretolavano come castelli di carta lasciando incredulo ed attonito mezzo mondo. Si erano sentiti tutti un po’ newyorkesi in quei terrificanti momenti di angoscia, motivo in più coloro che condividevano la stessa lingua e la medesima bandiera; Christian ebbe la forte tentazione di prendere il primo volo di linea e raggiungere l’altra parte del Paese, la sua fobia non lo avrebbe fermato in quelle circostanze; molti militari erano stati impiegati sul campo nel disperato tentativo di salvare i sopravvissuti, anche i feriti più gravi. Il Navy SEAL attendeva solo la più impercettibile vibrazione del cellulare che gli desse l’ordine di precipitarsi laggiù con un codice rosso. Il comando non arrivò mai da parte dei suoi superiori; era rimasto inerme per mezza giornata a sentire salire la conta delle vittime, le registrazioni delle chiamate ai soccorsi e le grida di coloro che stavano provando quell’orrore sulla propria pelle; la CNN per giorni aveva trasmesso solo volti terrorizzati e sconvolti avvolti nelle maschere bianche delle macerie, riproponendo in loop quei momenti concitati, anche quando la metropoli stava piano piano iniziando a realizzare il dramma di quelle ore. Fu l’unica volta in cui ringraziò il cielo per l’assenza dei suoi genitori, si erano almeno risparmiati lo spettacolo di quella apocalisse; erano morti con l’immagine del World Trade Center nel fiore del suo splendore. Neanche un mese dopo da quell’11 settembre, la guerra era esplosa in Medio Oriente; la televisione americana ne aveva dato il triste annuncio, molti civili avrebbero perso la vita e la loro esistenza non era certo meno preziosa dei quasi tre mila morti delle Twin Towers. Nell’ultimo ventennio i terroristi avevano iniziato a devastare il continente americano e quello europeo in nome di un dio che aveva come unica declinazione quella dell’odio; un odio che Christian mal sopportava e con il tempo fu proprio quella la miccia che accese il suo spirito patriottico; un sentimento potente verso la propria nazione era insorto nel cuore come l’amore per l’oceano e si era trasformato giorno per giorno nell’amore per la vita dei suoi connazionali e di civili innocenti. La guerra in Afghanistan per il Navy SEAL e suoi commilitoni era sempre stata occasione per un supporto all’esercito afghano e alla popolazione locale, per questa ragione non aveva indugiato ad intraprendere il suo primo viaggio in campo bellico. Non si era mai pentito di servire la propria patria e di fare tutto ciò che era in suo potere per liberare il mondo dall’odio; non aveva mai temuto di mettere a repentaglio la sua incolumità, era in fondo ciò che gli aveva procurato una medaglia al valore e i suoi attuali gradi; se fosse caduto, lo avrebbe fatto con onore e con la certezza di non aver arrecato dispiacere ad alcuno, gli unici che avrebbero avvertito la sua assenza sarebbero stati il suo buon amico William e sua moglie che probabilmente, giovane e bella, si sarebbe presto consolata.
Non era così ingenuo da credere che la svolta sensibile che aveva caratterizzato la sua vita nel corso degli ultimi nove anni non incidesse sulla sua carriera militare. Perciò le emicranie che lo tormentavano dall’esatto istante in cui aveva posto i piedi sul suolo afghano avevano un nome, anzi due – era innegabile che nel corso del tempo il legame con Katherine fosse diventato indissolubile da entrambe le parti –, e l’accaldata di cui stava soffrendo aveva una chiara causa. Da più di un’ora ormai tentava di fare entrare un proiettile della sua calibro 9x21 nel centro di un bersaglio, situato a dieci metri da lui; non era riuscito nemmeno a sfiorare il bordo esterno del cerchio; più falliva, più la frustrazione lo assaliva e con essa scemava la concentrazione, giungendo alla triste conclusione di non essere più in grado sparare; un lungo periodo di pace in mare era stato controproducente per le sue abilità già scarse di tiratore, era decisamente più ferrato nella tattica. Il posto in cui si trovava era un lerciume, veniva definito poligono per i quattro bersagli posizionati di fronte a lui a distanze differenti, per il resto c’era solo un’erba rigogliosa che saliva oltre le caviglie e un’atmosfera tetra; era uno spiazzo incolto e Christian si trovava sotto il sole cocente di metà mattina; non vi era alcun riparo, nemmeno una tettoia o un porticato e non vi era alcuna protezione né per i soldati che si esercitavano né per i visitatori, era posizionato all’ingresso solo un misero cartello in lingua americana mezzo distrutto dalle intemperie e dalle bombe. Era talmente frastornato dal rimbombo dei suoi stessi spari, che non riusciva più a distinguere gli scoppi prodotti dalle armi pesanti che avvertiva in lontananza; se una bomba gli fosse volata addosso non se ne sarebbe neppure accorto; tanto non se ne sarebbe accorto comunque, se era fortunato con un colpo secco se ne sarebbe andato all’altro mondo. Il sole iniziava ad avere pessimi influssi sulla sua mente, lui non poteva permettersi di essere colpito da alcuna bomba e l’alternativa più rosea era che lui riuscisse a difendersi con quella stramaledetta pistola. Esasperato dalla sua incapacità, iniziò a sparare una raffica di proiettili, sfogando tutta la sua frustrazione con l’unico risultato che si rintontì un altro po’. Aveva il fiato corto per la frenesia e l’afa, si placò e si chinò vinto tenendo le ginocchia sospese a mezz’aria. Posò i gomiti sulle ginocchia e lasciò che l’arma ancora fumante penzolasse dalle sue dita molli, anch’esse rassegnate all’evidenza. Abbassò lo sguardo al terreno arido sotto la natura selvatica e indomita; non riusciva più ad alzare gli occhi e a rivolgerli in direzione della palla di fuoco che risplendeva in cielo con vividi colori, le pupille bruciavano umide, reduci dalla luce intesa. Persino il metallo della fede che portava al collo era percepito da lui come rovente; non fu sufficiente indossare solo la stoffa esterna e decorata della divisa, l’aveva slacciata sul petto, gli importò poco del portamento non convenzionale, ma ciò non bastò a lenire le sofferenze fisiche e psicologiche.
«Sbagli approccio. Dovresti stare più calmo quando premi il grilletto»
«Sono l’uomo più calmo del mondo, ma con una pistola mi viene alquanto difficile»
L’inconscio di Christian – anch’esso sfinito – aveva udito quelle parole, ma le aveva attribuite ad un essere etereo. Ottimo, pensò, inizio ad avere le allucinazioni. Sentì dei passi leggeri, furono attimi infiniti, come se il tempo si fosse fermato all’improvviso e insieme ad esso anche la guerra. Un moto di delusione si impossessò del capitano, una giovane che probabilmente non superava i vent’anni gli tese la mano con risolutezza. Il portamento della ragazza era di gran lunga più consono del suo: indossava abiti militari a macchia di leopardo dalle tonalità verdi e un berretto in tinta, i capelli biondi erano rigorosamente raccolti in uno stretto chignon.
«Posso provare?»
Christian indugiò, il soldato dai lineamenti femminili era in controluce e con difficoltà distinse i suoi tratti fisici, complice la vista affaticata; accettò infine la sfida, lui in fondo aveva già perso quella mattina autostima, grinta ed ora anche la dignità davanti ad un sottoposto, aveva almeno sperato fino in ultimo che qualcuno non stesse assistendo a quella personale sconfitta. L’ufficiale munì la pistola di un caricatore pieno sostituendo quello che aveva scaricato tutto d’un fiato. La ragazza afferrò con maestria l’arma e con entrambe le mani la puntò contro il primo bersaglio distante tre metri da loro; si concesse qualche secondo per riscoprire la concentrazione necessaria, socchiuse le palpebre per mettere a fuoco la mira e con un colpo netto raggiunse il centro esatto. Si servì della stessa identica tecnica per colpire fino all'ultimo bersaglio con successo, lasciando il tenente di stucco e ancora più demoralizzato. Non c'era la minima traccia di goffaggine in lei, era delicata, premeva il grilletto con scioltezza e leggerezza, le sue dita non arrivavano quasi a sfiorarlo.
«Devi essere fresca di accademia, insegnano quella posizione lì. Metti in pratica solo le basi, nulla di più»
«Sì, tenente, non si preoccupi, non è lei ad essere un impiastro totale»
La giovane liberò una risata genuina e gioviale; non trasparì il più piccolo accenno di malizia in lei, nelle sue iridi tinte come il colore della notte a Christian sembrò di scorgere la stessa fanciullezza di Alisia.
«Ehi, signorina, ti consiglio di moderare i termini. Per quanto possa essere un fallito, stai parlando con un tuo superiore»
L’uomo si alzò dalla sua posizione accovacciata e dall’alto del suo metro e ottanta la sovrastò accigliato. Aveva infuso alla ragazza una buona dose di soggezione; si era sentito punto nell’orgoglio, per quanto fosse umile, l’istinto maschile non tardò a risvegliarsi. Lei cercò di tornare seria nel minor tempo possibile, si era accorta tardi di avere esagerato, aveva riservato troppa confidenza ad un tenente capitano della Marina Militare; l’avevano avvertita che per i mesi a venire nella base militare ci sarebbe stato un compendio di forze armate; aveva osato rivolgersi a lui con quei toni solo perché quell’uomo sembrava essere il più cordiale della base, ma forse aveva preso un ennesimo granchio. Restituì l’arma al capitano e con rispetto gli rivolse il saluto militare. A fatica la giovane riuscì a contenere la sua naturale solarità, fu costretta a mordersi le labbra per non cedere alla tentazione di proferire qualche parola di troppo. Christian non fece trapelare alcuna emozione, ma in cuor suo la invidiava; la spensieratezza di lei doveva essere dovuta all’assenza assoluta di vincoli, vista la giovane età non era sposata e con molte probabilità non aveva nemmeno un fidanzato ad attenderla, forse solo genitori che l’amavano; era un’anima libera e se a casa c’erano mamma e papà ad aspettarla poteva ritenersi fortunata, aveva la prospettiva delle loro braccia pronte ad accogliere il suo ritorno. Christian invece crepava solo per la paura di lasciare la sua famiglia, non poteva permettersi mosse azzardate.
«Le porgo le mie più sincere scuse, capitano. Sono il soldato Gwendoline Ward. Il generale Flores desidera parlarle. Le chiedo di seguirmi»
A Christian non era nuovo il cognome di quella giovane recluta, gli suonava estremamente familiare, ma non riusciva a collegarlo ad alcun evento passato; forzare la mente a ricordare accentuava le sue emicranie, così decise di aspettare che i ricordi affiorassero spontaneamente. Il soldato Ward non attese di sentire i passi di Christian alle sue spalle, la ragazza era uscita dal perimetro del poligono e si era avviata con formalità verso la torre di vedetta. L’ufficio del generale Flores era situato nell’entroterra rispetto ai confini che ospitavano l’unità militare; il Navy SEAL seguì Gwendoline attraverso una porticina diversa rispetto a quella che aveva varcato al suo arrivo, era l’edificio più alto in proporzione al resto delle costruzioni circondate da filo spinato. Christian ebbe la sensazione di essere entrato nell’atrio di una torre gotica dalle pareti strette e una batteria di gradini che si estendeva verso il soffitto, del quale dal basso non si intravedeva il termine; non era un edificio diroccato come lo era la restante parte del complesso, il tenente si sentì catapultato nel passato, le mura in pietra avevano un aspetto retrò di parecchi secoli; le pareti spesse producevano una frescura nettamente in contrasto con l’afa che attanagliava in una morsa soffocante le giornate di fine agosto; di contro però alla piacevole sensazione refrigerante, l’ambiente era intriso di una forte umidità che non si accostava bene con il sudore di cui il petto e le tempie erano imperlati, un brivido gelido perciò lo percorso lungo la spina dorsale. Christian ringraziò che insieme alle sue fobie e alle emicranie non soffrisse anche di claustrofobia e vertigini, le rampe di scale erano strette, la larghezza tra una parete e l’altra era minima e come ogni torre degna di nota toccava il cielo. Il Navy SEAL lasciò il passo alla giovane, intuendo che insieme non avrebbero potuto solcare la scalinata; proseguì dietro di lei lasciandosi guidare fino all’ufficio del superiore; doveva ammettere però che quella fosse una posizione strategica per mantenere sotto controllo le mosse dei nemici, al suo pari c’era solo la torre di vedetta.
«Mi dispiace davvero per prima, capitano, non era mia intenzione prendermi gioco di lei. Volevo solo aiutarla, la vedevo in difficoltà»
La voce di Gwendoline si era trasformata in un sussurro, i suoni in quel luogo producevano un forte eco, quasi solenne, e lei desiderava che la conversazione con lui rimanesse riservata. Christian cercò di concentrarsi sulle sue parole, benché lei fosse di spalle, e impiegò lo stesso tono per risponderle.
«Aiutarmi? Mi hai inabissato»
«Sì, lo so, tendo ad essere un po’ propositiva»
«Solo un po’?»
La ragazza con un passo sbieco riuscì a voltarsi verso di lui e a dedicargli un sorriso imbarazzato. L’uomo scorse nella penombra le gote del suo sottoposto imporporarsi, non vi era più traccia nei suoi occhi della grinta mostrata davanti ai bersagli di tiro. Era giusto e sacrosanto che conservasse con cura la sua personalità, non doveva permettere all’orrore della guerra di indurire il suo cuore; provare emozione era una delle doti più genuine dell’essere umano ed era sublime ammirare quel fenomeno sul volto di una donna nel fiore degli anni. Continuava ad invidiarla; era cosciente che l’invidia non rientrasse nella moltitudine dei sentimenti puri, ma il suo cuore a vent’anni era infiammato solo da un dolore intenso e da un profondo odio verso un destino crudele; solo il tempo e le prime esperienze in battaglia offrirono l’occasione per trasformare quel rancore in solidarietà verso le sofferenze altrui, in alcuni casi più profonde delle sue. Il passato di Gwendoline doveva essere stato roseo oppure aveva solo elaborato un lutto più velocemente di quanto non fosse riuscito a fare lui. Lo incuriosiva, il cuore della recluta era un’intricata trama intrisa di mistero; se aveva deciso di iscriversi all’accademia per arruolarsi e ne era uscita con successo, aveva di sicuro avuto ragioni profonde, il suo sguardo spensierato era solo lo strato esterno e visibile agli altri.
«Il tuo atteggiamento è utile in guerra, ma non abusarne, potresti avere gravi conseguenze. Sii contenuta in caso di necessità»
La ragazza lesse negli occhi chiari dell’uomo i ricordi indelebili di una guerra passata, era più esperto di lei, perciò non se la sentì di dissentire; sapeva di essere l’emblema dell’impulsività, molti superiori in addestramento avevano criticato un atteggiamento così leggero e superficiale che non avrebbe giovato né alla sua incolumità né a quella dei suoi compagni. Gwendoline aveva solo imparato con il tempo a cogliere il presente sfuggevole; il passato non era stato clemente con lei, era certa di non portare i segni sul viso, lottava ogni giorno contro se stessa affinché ciò non accadesse. Combatteva per la sua vita e quella di altri esseri umani, con l’intima speranza che arrivasse presto un tempo in cui nessuno più dovesse patire le pene inferte da uomini spregiudicati. Quando il generale Flores aveva ordinato al soldato di cercare l’ultimo arrivato e di scortarlo nei pressi dell’ufficio del superiore, lei non aveva avuto alcun dubbio; il nome del Navy SEAL le era risuonato nelle orecchie per anni durante la sua adolescenza, fino a giungere al punto di considerarlo parte della sua famiglia, benché non lo avesse mai visto. Con molte probabilità era riuscita ad abbinare un volto a quel nome; non aveva ancora ricevuto la conferma, eppure aveva iniziato ad emozionarsi dall’istante in cui lo aveva osservato sparare in solitudine, era in parte dovuto a quello l’atteggiamento stupido che si era permessa di tenere al suo cospetto. Nei racconti che vedevano protagonista quell’uomo, era dipinto come un fuori classe, un soldato capace di miracoli in campo; tra le mura di casa Ward, non venivano solo trasmesse le sue gesta, spesso e volentieri emergeva anche il suo buon cuore; era certa di averlo sorpreso in un raro momento di debolezza che si era concesso lontano da occhi indiscreti, ciò non lo rendeva meno capace, solo umano; lei aveva tentato di rasserenarlo, ma era stata troppo indiscreta, aveva esagerato, in fondo lui era pur sempre uno sconosciuto circondato da un’aura familiare grazie a ricordi di altri impressi nella sua memoria. Gwendoline interruppe i suoi passi lenti e affaticati, bloccando la strada anche all’uomo; accostò la schiena al muro e incrociò infreddolita le braccia al petto, l’umidità dell’ambiente le si stava infilando nelle ossa.
«Capitano, lei è lo stesso Richardson che nove anni fa evitò un agguato proprio qui a Kabul?»
Non aveva la reale necessità di ricevere una conferma, era certa secondo dopo secondo che si trattasse davvero di lui; era stato un incontro inaspettato, ma molto emozionante, nella sua mente se lo era figurato quasi come una meta inarrivabile, le infondeva quasi soggezione, nonostante lui dal vivo sembrasse un uomo cordiale ed affabile. Christian le rivolse un lieve cenno con il capo, non avrebbe potuto sopportare altri inutili elogi; tutti si sarebbero presto ricreduti sulle sue abilità, era solo stato accompagnato in passato da una buona dose di fortuna, la stessa che non lo aveva neppure sfiorato in altre circostanze della sua vita.
«Allora conosceva mio padre. Avevo undici anni, quando combatté in Afghanistan. Mi ha parlato spesso di un giovane Christian a cui voleva bene come un figlio»
La notizia lo colpì come un fulmine, mozzandogli quel poco di fiato che il calore gli aveva risparmiato nei polmoni. La mente del tenente impiegò una frazione di secondo per collegare il cognome della ragazza al volto del primo sergente da cui ebbe avuto il piacere di ricevere ordini; lo ricordava come un uomo giusto, dal quale prendere esempio come soldato e persona. Quando la missione che avevano condiviso in Afghanistan era terminata con esito positivo, si erano a malincuore persi di vista; lo commosse scoprire a distanza di anni l’opinione che nutriva ancora nei suoi confronti, era reciproco.
«Sei la figlia di …»
«Sì, sono la figlia del sergente dell’aviazione americana Barkclay Ward. Con l’unica differenza che non so volare come lui»
L’uomo iniziava a scorgere con sempre maggiore nitidezza la somiglianza tra padre e figlia, i lineamenti del volto erano i medesimi, solo femminili e più delicati. Avrebbe voluto rivelarle la sua fobia per rincuorarla, ma gli era parso di aver già compromesso fin troppo la sua integrità, dignità e professionalità davanti a lei.
«Come sta tuo padre? Non lo vedo e non lo sento da una vita. Immagino si stia godendo la pensione, l’aeronautica militare ne starà soffrendo, ha perso la sua punta di diamante»
L’aviazione aveva perso sul serio uno dei suoi migliori uomini e il miglior superiore che avesse attraversato i ranghi di quella forza armata. Gwendoline rivolse lo sguardo al suolo nel magro tentativo di celare il nodo che dallo stomaco si era incastrato nella gola, fu immane lo sforzo di ingoiarlo, come se fosse un boccone più amaro del fiele.
«È morto due anni fa, un infarto me lo ha portato via»
L’entusiasmo iniziale di Christian si dissolse, era risultato inopportuno, ma lui non poteva immaginare; la voce del tenente risultò strozzata, non più sussurrata per necessità; fu un duro colpo per lui sapere che un uomo da cui era stimato e che stimava aveva lasciato la vita terrena.
«Vedo che hai seguito le sue orme, ora capisco da chi hai ereditato l’abilità con la pistola. Era un uomo in gamba tuo padre. Buona parte di ciò che so è merito suo»
Sapeva che la moglie del sergente Ward era morta nell’attentato al World Trade Center di New York, ciò lo aveva spinto a prendere parte a quella guerra, ma non aveva mai menzionato ad una figlia poco più che bambina; ciò fece pensare a Christian che qualcosa si fosse rotto in lui dopo la morte della consorte, il suo cuore non vedeva altro che la vittoria delle truppe americane su chi gli aveva strappato la donna che amava e il tenente era a conoscenza del profondo amore che il sergente provasse per lei. Gwendoline era rimasta orfana come lui in giovane età; il capitano comprendeva bene la sensazione di rimanere soli così giovani, ma lei la stava prendendo con uno spirito diverso, amava la vita, lottava per essa, forse era davvero più forte di lui e non solo con le armi.
«Ho deciso di onorarlo arruolandomi, sì, voglio portare a termine la sua missione»
Era infervorata da un profondo senso di giustizia, per la prima volta Christian lo lesse sul suo volto; non c’era nulla di male, purché, al pari del padre, non perdesse di vista la realtà. Non riusciva però a criticarla apertamente, conosceva sulla pelle la sofferenza, perciò non voleva essere indiscreto.
«Le avrà parlato di mia madre, suppongo. Avevo solo due anni il giorno in cui morì, non ricordo praticamente nulla, ho ricostruito i ricordi grazie a mio padre ed ora non c’è più nemmeno lui. Mi scusi. Sono felice che lo abbia conosciuto ed io sono lieta di aver dato un volto al famoso Christian. Desiderava tanto un figlio maschio, mia madre è morta prima di darglielo e lui non ha voluto più alcuna donna»
Barkclay non aveva mai confessato a Christian ciò che rappresentasse per lui, ma era convinto che tra loro ci fosse sempre stato un implicito rapporto filiale, era strasicuro che si fossero lasciati come buoni amici. Forse era stato meglio che i suoi genitori fossero morti insieme, dall’esperienza del sergente, non sapeva da vedovi come avrebbero potuto reagire alla perdita del consorte. Gwendoline, in preda alla malinconia, completò la sua missione conducendo Christian davanti alla porta dell’unico ufficio presente lì dentro. La ragazza fece fatica ad alzare lo sguardo su di lui dopo aver rivelato le sue origini e dopo la loro breve e intensa conversazione.
«Ok, capitano, la lascio al generale Flores. Le auguro buona fortuna»
Seguì con lo sguardo i passi della giovane mentre riscendeva le scale e quando scomparve oltre le pareti, Christian tornò a concentrarsi sul luogo in cui lo aveva lasciato; l’augurio di buona sorte prima di affrontare un colloquio con un superiore non era affatto di buon auspicio; non conosceva quel generale per poter azzardare giudizi su di lui, gli era solo sembrato un uomo di polso, ma ciò poteva voler dire tutto come niente. Il tenente era certo volesse parlare del nosocomio, era una questione delicata ed era logico volesse essere messo al corrente dei progressi sul piano d’azione. Prese un lungo respiro, non aveva ancora la soluzione in tasca, solo qualche idea, ma comunque non sufficiente per muovere una spedizione in sicurezza dal fuoco nemico e con ogni previsione a loro favore. Socchiuse la porta ruotando delicatamente la maniglia; non vide la necessità di bussare, lo stava aspettando e questa era la sua unica certezza.
«Generale?»
«Entri, tenente»
L’ufficiale veterano stava spiando il mondo esterno da una finestrella dotata di sbarre, tipica delle prigioni d’altri tempi; non considerò subito l’arrivo del suo ospite, lo accolse con indifferenza e freddezza, benché fosse stato lui a convocarlo con una certa urgenza.
«Si accomodi»
Christian eseguì l’ordine tormentato dal distacco con cui continuava a rivolgersi a lui. Il comandate dell’unità della base militare americana situata a Nord/Est di Kabul era in quella stanza con il Navy SEAL, ma la sua mente era altrove.
«Generale, se l’argomento di questa conversazione è la missione, ho bisogno di altro tempo, sto studiando le vie limitrofe all’ospedale e …»
Gli sembrava di essere tornato sui banchi di scuola, quando si faceva piccolo piccolo sotto i riflettori dello sguardo severo del suo docente di latino; ora come allora si sentiva sotto accusa come se non stesse svolgendo con sufficiente impegno il suo compito.
«Credevo che lei fosse il migliore sul campo e di aver riposto la mia fiducia nella persona giusta. Credevo che lei fosse lo stesso uomo di nove anni fa»
Una nota di delusione trasparì nella profonda e matura voce del generale; quell’uomo si era voltato verso Christian e aveva puntato gli occhi di ghiaccio su di lui; al più giovane non rimase che tentare di giustificarsi.
«Generale, mi creda, capisco il rischio che stanno correndo civili e soldati, ma io sono solo un uomo che sta cercando di salvare migliaia di vite umane, è un’operazione delicata»
Il superiore sbatté un foglio sulla scrivania davanti a Christian facendolo trasalire, la conversazione aveva impregnato l’aria di tensione; quest’ultimo afferrò serio il foglio di carta bianca e lo lesse intimorito, si sentì sotto accusa senza capire dove avesse peccato.
«Se non si distraesse, tenente, sarebbe tutto molto più semplice»
Era una lista di turni giornalieri e notturni, nel quale più volte compariva il suo nome e sempre alla stessa ora. Christian non sollevò lo sguardo nemmeno quando l’uomo riprese a rimproverarlo posando le mani sul ripiano della scrivania e sbraitando infastidito a pochi centimetri da lui.
«Pensa forse di prendermi in giro in un modo così infantile? Si è arrogato il diritto di scegliere i turni notturni per poter sentire la sua famiglia, senza considerare che il riposo sia essenziale anche per lei, se vuole portare a termine con successo quella missione e vuole tornare dalla sua famiglia. Credevo di collaborare con un professionista, non con un uomo qualsiasi che si lascia vincere dai sentimentalismi»
«Tante cose sono cambiate dalla mia ultima missione»
«La guerra non è cambiata»
«Ma la mia vita sì! È nata mia figlia e lei non può pretendere che trascorra mesi senza sentirla. Non ho intenzione di esimermi dai miei doveri, le chiedo solo di considerare che oltre ad essere un soldato sono anche un padre»
Christian si infervorò per la prima volta; aveva sbraitato in faccia ad un suo superiore, forse il generale aveva ragione, più invecchiava e più non riusciva a contenere i propri sentimenti; si permetteva di fare la predica al soldato Ward, ma lui non era meno impulsivo di lei. Il generale lo aveva lasciato sfogare ed infine si rivolse a lui con una calma ferma e inquietante.
«Mi dia il telefono»
«Come?»
«Il cellulare, capitano Richardson. Ora. Alternerà i turni esattamente come tutti noi. Non mi importa dei suoi gradi, questa è la mia unità e lei sta alle mie regole»
Il Navy SEAL indugiò rimanendo basito; non si era mai guadagnato una punizione in anni di carriera, lo rassicurava solo il fatto di averla ricevuta in nome di Alisia. Non poté fare altro che cedere, recuperò il telefono dalla tasca interna della divisa sbottonata, che non si era nemmeno premurato di chiudere in occasione di quel confronto formale, e lo aveva posato sul legno della scrivania con un sonoro tonfo.
«Prego. Spieghi lei a mia moglie perché non le sia consentito sentirmi»
Non rivolse più lo sguardo al generale, non lo riteneva degno di considerazione; un uomo che non era in grado di capire i timori più intimi dei suoi uomini, non era un buon comandante, Christian stesso lo era con il suo plotone nel Coronado e mai si sarebbe permesso di esercitare un simile comando sui soldati che guidava nelle missioni attraverso l’oceano. Il tenente si alzò con slancio e grinta, uscì sbattendo la porta e proprio insieme a quel rumore intenso, che impedì a Christian di sentire altri suoni, sullo schermo del suo cellulare uscì il nome Kathe, lasciando Flores incerto sul da farsi.
Il Navy SEAL si precipitò all’esterno della torre, non aveva perso la rabbia nei confronti del superiore, anzi gli ostacoli che quell’uomo aveva posto lungo la sua strada avevano peggiorato le sue condizioni psicofisiche. Aveva percorso in discesa la lunga scalinata con passo celere per scaricare il più possibile l’agitazione accumulata, desiderava solo cercare lo sguardo della ragazza che aveva appena conosciuto, aveva un disperato bisogno di lei e non credeva che una recluta per lui potesse diventare tanto essenziale; lei però non era un soldato semplice qualunque, aveva avuto un modello stimato che era stato per molti, non solo per lui, una garanzia.
«Gwendoline»
La trovò seduta sopra una banca di legno a pochi metri di distanza da lui; era chiaro a Christian che si fosse abbandonata ad uno dei rari momenti di demoralizzazione e ipotizzò fosse stato stimolato dalla loro recente conversazione, parlare di suo padre doveva averla sconfortata. Christian non aveva il tempo di consolarla, aveva un’importante richiesta per lei; non le era ancora abbastanza vicino, eppure la ragazza udì forte e chiaro il tono elevato dell’uomo che richiamava con risolutezza la sua attenzione.
«Gwen. Ho bisogno che mi insegni quella tecnica»
«Quale tecnica, capitano?»
«Andiamo, sono sicuro che quella maestria sia frutto di una tecnica che l'ufficiale Ward ti abbia insegnato»
La giovane si concesse qualche secondo per riprendersi e tornare ad essere reattiva, come era giusto che fosse in tempo di guerra; tanti ricordi si frapposero nella sua mente, non solo quelli in cui suo padre le aveva insegnato a sparare, una moltitudine di momenti che rimpiangeva, erano stati troppo pochi, le era stata strappata l’unica àncora che le consentiva di sopravvivere. Con fare paterno, Christian si inginocchiò ai suoi piedi.
«Per favore, stavolta non posso permettermi di rimanere sul campo di battaglia. Devo portare a termine questa missione, salvare quell'ospedale e riunire la mia famiglia. Ho sulle spalle la responsabilità di troppe vite umane»
Gwendoline lesse una fiamma viva negli occhi del tenente, suo padre l'aveva, lei vi aspirava solo, ma era comunque suggestiva anche sul volto di un perfetto sconosciuto che le sembrava di conoscere da sempre grazie ai racconti di guerra del sergente Ward. Christian era esattamente come se l'era immaginato, tenace, non sapeva cosa fosse successo tra lui e il generale Flores, ma quel breve scambio di opinione gli aveva infuso una grinta sorprendente.
«Mio padre chiamava quella tecnica il tocco dell'angelo. Diceva che la pistola doveva essere resa mansueta per chi la impugnava, doveva essere letale solo per il bersaglio, ma sparare con eleganza e delicatezza. Ciò secondo lui garantiva una traiettoria di tiro perfetta»
Christian sorrise immaginando il suo vecchio superiore mentre pronunciava le stesse parole alla figlia, lo rivedeva in lei. Era un uomo assolutamente elegante, non ammazzava mai per il gusto di farlo, ma quando era costretto a farlo, non c'era mai crudeltà in lui, solo legittima difesa.
«Torniamo al poligono, ti va?»
Le rivolse l’invito sorridendole con dolcezza. Il soldato Ward non aveva alcun amico in un mondo di uomini, la base era stracolma di militari che diffidavano di una donna e lei era sola contro tutti, nonostante dimostrasse ogni giorno di essere all’altezza di molti di loro, se non superiore ad alcuni. Dai racconti di suo padre, Christian sembrava essere il candidato perfetto per stringere una solida amicizia, si sarebbero aiutati e supportati a vicenda, Gwendoline ci sperava.


 
Ciao ragazzi!
 
Sono un mostro, lo so e il genere drammatico non mi legittima ad esserlo. Per giunta spuntano personaggi come funghi via via che la trama progredisce ... ^^". Sono stata estremamente crudele in questo capitolo, mi dispiace. Ho esagerato anche sulla lunghezza, ammetto di essermi lasciata prendere troppo ^^”.
Grazie davvero di cuore per continuare a leggere questa storia, io non ci scommetterei mai un centesimo. In particolare ringrazio, uno per uno, tutti coloro che mi supportano con parole stupende e inaspettate <3
 
Alla prossima!
Un grande abbraccio
-Vale
   
 
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