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Autore: fortiX    23/05/2020    2 recensioni
Bassai dai é il nome di un kata del karate shotokan. Il termine vuol dire entrare nella fortezza. E cosa sono Sephiroth e Cloud se non due fortezze mai violate? Cloud sta aprendo la sua verso una nuova vita e si accorgerà presto che, nonstante le numerose sconfitte, il suo nemico mortale non é mai stato veramente conquistato. I segreti e le paure verranno mai svelati? Cloud avrà questo coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- Che intendi con ‘capacità di recupero’? –, chiedo, nel misero tentativo di stemperare l’imbarazzo.

Vincent piega la testa di lato e l’angolo destro della sua bocca fa capolino dal lungo collo del suo mantello rosso sangue, mostrando una linea neutra. La smorfia che prima rallegrava la sua espressione marmorea è scomparsa, lasciando posto a un esasperato disappunto.

- Immaginavo che non avresti chiesto spiegazioni. -, spiega con voce sconfitta, - Ma almeno insospettirti della presenza di una persona che non dovrebbe nemmeno sapere dove sei…-

No, DECISAMENTE l’imbarazzo non è andato a stemperarsi manco per niente, grazie a quel fastidioso tono da maestrina.

- Quanto siete puntigliosi, voi Valentine… -, mi lascio sfuggire a mezza voce.

- Guarda che ti sento, Cloud. E anche Lui. -, rincara il pistolero.

Mi porto le mani alla testa, grugnendo ormai esasperato, e vorrei rispondere per le rime, ma un tocco gentile sulla spalla mi astiene dallo sbottare malamente.

- Cloud, calmati. -, sussurra dolcemente Tifa, afferrandomi il braccio con l’altra mano e guardandomi dritto negli occhi. Sento la calma invadere la mia mente in subbuglio, mentre mi perdo in quelle iridi color resina.

Lei mi sorride, poco prima di rivolgersi a Vincent, con espressione dispiaciuta.

- Scusa, Vincent, so di essermi sobbarcata di questo onere, ma… sai… è passato tanto tempo… -

Le gote della pugile s’imporporano, mentre l’imbarazzo torna a colorare il suo viso d’angelo. Un sorriso spontaneo mi sorge sulle labbra, mentre la sua tenera ammissione fa breccia nel cuore di Materia dell’uomo di fronte a noi. Egli sospira con una nota paziente e scuote la testa.

- Non importa, Tifa. Anzi, scusami per essere stato così insensibile. –

La mora sorride comprensiva.

- Beh, solitamente è da te essere così franco. –, sottolinea Tifa.

Dal canto suo, Vincent distoglie lo sguardo e lo rivolge in un punto imprecisato nel corridoio.

- Già… -, ammette, distratto.

Mi permetto di osservarlo con più attenzione. La prima cosa che salta all’occhio sono impercettibili rughe avvallare la pelle degli occhi, della fronte e del naso, come se l’espressione del pistolero fosse stata più corrucciata del solito, negli ultimi tempi. I suoi occhi, solitamente così fiammeggianti, sembrano aver perso vigore e sostanza. Anche la sua postura, normalmente fiera ed eretta, sembra appesantita, come se un macigno gravasse sulle sue immortali spalle. Credevo fosse un’impressione, la prima volta che lo notai, incolpando il lungo viaggio e la mia galoppante carenza fisica; ma ora mi rendo conto che il vampiro senza età sta effettivamente… invecchiando?

- Vincent… Tutto bene? -, chiedo, d’impulso.

Egli mi rivolge un lungo sguardo. Al contrario delle altre volte, esso è vuoto. Sembra che un pesante velo impedisca alle sue emozioni di fare capolino dai suoi occhi solitamente così espressivi.

Mi si stringe il cuore. So cosa vuol dire uno sguardo del genere…

- Takara … -, Vincent prende un profondo respiro, infondendosi coraggio, - E’ scappata. –

 

 

Durante il percorso tra la stanza in cui mi sono risvegliato e la nostra meta, Vincent e Tifa hanno avuto modo di ragguagliarmi rapidamente sulla situazione. In breve, qualche ora dopo che sia io che Takara eravamo caduti in un sonno profondo, dei ricognitori avevano intercettato un convoglio nemico diretto dritti verso Yaido. In fretta e furia, il castello è stato evacuato e gli alleati avvertiti.

- Alleati? -, chiedo confuso.

Tifa mi mette una mano sulla spalla e mi rivolge uno sguardo ammiccante.

-Lo vedrai. –

Appena detto questo, infatti, l’ennesima porta di metallo si spalanca di scatto appena rileva il nostro arrivo, mettendo in mostra la stanza al di là di essa. Si tratta di una sala di controllo, molto simile a quella della Shera, ma molto più in grande. Sul ponte principale, elevato al di sopra dei computer e della grande paratia panoramica, vedo due figure discutere. Riconosco Weiss il Bianco e…

- Reeve… –

Il suddetto s’interrompe e si volta nella mia direzione, accogliendomi con la sua solita espressione bonaria.

- Ah, Cloud! Ti vedo in forma, grazie al cielo. Ne è passato di tempo! –

Non rispondo e continuo a fissarlo, mentre mi avvicino. Ripercorro rapidamente le miriadi di avventure che mi sono capitate in questo periodo, e mi sovviene che l’ultima volta che ho parlato con lui era stato con Gast. Quest’ultimo sapeva dei miei tracolli, dei mille effetti che quel maledetto libro avesse su di me e gli Esper sanno cos’altro. Tutte queste informazioni arrivavano da Reeve.

- Quindi… mi pare di capire che siete tutti una grande famiglia felice. -, commento piccato.

Weiss mi fulmina con lo sguardo, mentre Reeve prorompe in una fragorosa risata.

- Ahahahahah! Oh, Cloud! Diciamo che ci supportiamo e… sopportiamo a vicenda. –

- Sarebbe molto più facile sopportarti, se non ci lasciassi sempre all’oscuro dei tuoi intrallazzi -, rimbecca un ringhiante Weiss.

L’ilarità dell’ex-direttore si spegne rapidamente e i suoi occhi vengono rimandati al cielo, in un gesto esasperato.

- Di nuovo con quest’accusa, Weiss? -, prorompe, - Quante volte devo ripeterti che non c’entro con la ShinRa? –

- Quando finalmente mi dirai perché hai consegnato il diario a lui, anziché alla sua legittima proprietaria. -, risponde prontamente l’ex Tsviet, indicandomi con furia.

Vedo Reeve sospirare, amareggiato. Conosco quel comportamento. A quanto pare, ci sono parecchi segreti ancora da sviscerare. Dietro di me, avverto sopraggiungere Vincent, il quale richiama all’ordine con la sua consueta pacatezza.

- Finiamola. Abbiamo problemi più importanti di cui occuparci. –

Il Bianco grugnisce e, prima di andarsene, scocca uno sguardo ammonitore verso Reeve.

- Ti tengo d’occhio, scarto di ShinRa… -, sibila, puntandogli l’indice ammonitore al petto.

Appena l’ex leader di Deepground lascia la stanza, il moro si lascia scappare un brivido.

- Uff, non è gente facile con cui avere a che fare. -, commenta sconsolato, - Ma il loro aiuto è fondamentale per la WRO. –

- Reeve, -, faccio una pausa, durante la quale monopolizzo la sua attenzione, - cosa sta succedendo? Perché Takara se ne è andata? –

L’uomo sospira e si gratta il retro della testa, in visibile difficoltà; dopodiché mi si avvicina e mi fa cenno di seguirlo.

 

 

Appena la porta della sua cabina si chiude, vengo assaltato inaspettatamente dai miei compagni dell’AVALANCHE. Prima tra tutti, Yuffie.

- CLOOOOOOUD! FINALMENTE! ERAVAMO COSÍ PREOCCUPATI! –

La ninja mi salta al collo e, per poco non mi fa cadere, ondeggiando di qua e di là, come in preda a una crisi isterica. Cerco di liberarmi, ma ho bisogno di supporto, il quale arriva prontamente dal Capitano che la stacca da me con la decisione di un pescatore con un’ostica cozza.

- E lascialo in pace, mocciosa petulante! Non lo vedi che è debole come un poppante?! –

- Sei il solito bruto, vecchiaccio! -, rimbecca la principessa, dimenandosi dalla presa di Cid, con modi DECISAMENTE poco regali.

Nel frattempo, avanzano anche Barret e Red XIII.

- Sempre a invischiato in qualche casino, Spikey? Non riesci stare lontano dai guai nemmeno volendo.  –, rimprovera il capo di AVALANCHE con ben poco celato rimbecco, mentre di sferra una poderosa pacca sulla spalla con fare tra lo stizzito e l’amichevole, per poi aggiungere, - Anche se stavolta sei davvero in buona compagnia. -, rivolgendo uno sguardo accigliato nei confronti di Vincent.

- Felice di rivederti, Cloud. –, saluta, invece, Nanaki con la sua solita pacatezza e semplicità, sedendosi di fronte a me, sornione.

Io mi limito a rivolgere loro un sorriso sghembo e una grattata imbarazzata alla nuca.

- Ehi! Ma è vero che quel bastardo, psicopatico, ammazza-Wutai di Sephiroth ha avuto una figlia?! -, sbotta Yuffie, strillando dal fondo della stanza, approfittando di un piccolo punto debole nella presa del Capitano.

Imbarazzato, mi volgo alle mie spalle, dove Vincent staziona silenzioso e granitico, nella sua insondabile postura. Quando penso che non reagirà a quella sequela di insulti rivolti al figlio, egli sbotta con un sibilante e lapidario: - Taci, Yuffie. –

Il gelo avvolge la stanza. Tutti rimangono straniti dal comportamento così esposto del pistolero. Dagli sguardi attoniti, direi che nessuno capisce il motivo di quest’uscita. A quanto pare, il moro ha omesso qualche dettaglio della storia. A spazzare via la tensione, interviene Reeve.

-Ehm- ehm. Credo sia il caso che vi inizi a spiegare la situazione attuale. -, esordisce l’uomo schiarendosi la gola, - E, per la cronaca, sì, Yuffie. Avrei voluto che la conosceste, ma attualmente risulta scomparsa e, fondamentalmente, questo è il nostro problema. –

-Un momento-, interviene Cid, lasciando andare Yuffie e movendo un paio di passi in avanti, visibilmente confuso, - Io credevo che fosse una fesseria, invece, mi state dicendo che esiste DAVVERO un erede di Sephiroth? –

- E’ quello che diciamo da mezz’ora, vecchio bacucco! -, rimbecca la ninja, facendogli la lingua.

- Ascolta il tuo bello e chiudi la ciabatta, mocciosa! –

Un sorriso mi nasce sulle labbra. Dopo così tanto tempo, uno sprazzo di normalità. Non avrei mai creduto che tutto questo mi sarebbe mancato così tanto e di quanto prezioso sia anche solo un ridicolo battibecco fra amici sia. Non mi ero mai soffermato ad apprezzare questi piccoli momenti, di quanto bella sia la sensazione di essere circondato da persone che ti amano e che farebbero di tutto per te. Li osservo uno ad uno e una stretta allo stomaco mi tronca il respiro per un momento. Mi rendo conto che loro sono qui nonostante tutto. Nonostante il mio caratteraccio, nonostante i pericoli, nonostante il loro desiderio di tranquillità. I miei amici…

 

Gli ho sempre dati per scontati. Loro, c’erano sempre comunque per me.

 

Non ti hanno mai lasciato andare, Cloud.

 

Mi volto verso Tifa. Il suo sguardo corrucciato è adorabile, mentre osserva angustiata lo sciocco diverbio tra Cid e la Principessa di Wutai. Ad un certo punto, lei sembra avvertire la mia attenzione su di sé e rivolge i suoi occhi nella mia direzione. Appena ci guardiamo, il suo volto s’illumina con un rassicurante sorriso.

 

Nemmeno Tifa lo ha mai fatto, sebbene le avessi dato tutte le ragioni del mondo.

 

Ti ama davvero.

 

Ci meritiamo tutto questo?

 

Che domanda stupida, Cloud…

 

Trattengo una risata, ma una domanda sorge spontanea.

 

Cosa ti ha tenuto insieme in questi anni?

 

Il silenzio cade nella mia mente, ma non è vuoto. L’immagine del Generale intento a ponderare la domanda s’imprime nei miei pensieri.

 

Sono morto così giovane, Cloud… Mi rendo conto solo ora di quanto presto la mia vita è finita. Quando Jenova mi ha accolto, ho creduto di avere una seconda possibilità, ma quando mi ha usato per mettere a ferro e fuoco l’intero Pianeta, ho capito che non era quello che volevo… Ma era troppo tardi. Ero intrappolato in un limbo infinito, con le grinfie di Jenova chiuse attorno alla mia anima, senza uscita, senza più possibilità di scampo. Ho creduto di arrendermi e credo di averlo fatto ad un certo punto; ciononostante non sono riuscito ad accettare di rimanere impassibile quando ho visto in quale baratro ti stavi infilando per inseguire ciò che ti ossessionava. Ho rivisto me stesso in te. In coscienza, non potevo permetterlo. Sei l’uomo che mi ha ucciso. Te lo dovevo.

 

Hai uno strano modo per mostrare la gratitudine.

 

La tipica risata contenuta del Generale riecheggia nella mente. Avverto il cuore stringersi in una morsa di orgoglio, appena mi rendo conto di quanto spontanea e sincera quell’ilarità sia. Una risata che solo pochi hanno avuto il privilegio di ascoltare e di scatenare.

- Cloud? Ci sei? –

Vengo riscosso dall’ alienazione grazie alla voce rassicurante di Tifa, il cui tocco dolce e delicato si posa soave sulla mia spalla. Guardo lei e poi spazio il gruppo di fronte a me, di cui senti gli occhi studiarmi preoccupati.

- Non temere, Tifa. E’ normale. Pare che Sephiroth sia un ottimo intrattenitore. -, spiega Vincent divertito.

Ora la preoccupazione dei miei amici si trasforma in sgomento, dopo la frecciata del pistolero.

- Lo avverti ancora? -, chiede Tifa, apprensiva.

- Non credo se ne sia mai andato, direi. -, poi mi sento di aggiungere rapidamente, rivolgendomi a tutti, - Ma, non temete, è tutto sotto controllo. Lui… non ha cattive intenzioni. Stavolta. –

Le mie assicurazioni non danno l’effetto sperato, tuttavia. Ci sono varie reazioni negli occhi dei miei compagni, ma vedo per lo più delusione. Per loro, io sono sempre stato il più strenuo oppositore contro qualunque cosa spuntasse fuori dai viscidi abissi jenoviani, in particolare il mio mortale nemico. Sentirmi ora, difenderlo ed etichettalo un nostro alleato, deve sembrare così strano alle loro orecchie. Il mio sguardo si posa su Yuffie, dalla quale arriva il biasimo più mordace. Oltre me e Tifa, lei è un’altra ad avere un conto in sospeso col Generale. In Wutai, lui è ancora considerato un nemico della patria, nonostante siano passati anni dalla guerra.

- Yuffie… -, esordisco, accorato.

- Sì, lo so.-, m’interrompe alzando le mani, - Vincent ce lo ha spiegato. Però… mi è difficile crederlo. Come mi è difficile credere che davvero quel mostro amasse il mio Paese. -, ammette la principessa, distogliendo lo sguardo dal mio e rivolgendolo verso l’oblò. Studio per un lungo istante il suo viso. Non credo di averla vista mai così triste. Le ferite della guerra sono più profonde di quanto la fiera e patriottica Yuffie possa mai ammettere con se stessa. Guarda l’esterno, conscia di stare sorvolando la sua beneamata terra; quella terra su cui è stato versato tanto, tantissimo sangue. Il tutto per cosa? Per qualche reattore mako…

- Il vero nemico del mondo è sempre stata la ShinRa… -, dichiaro.

Lei ricambia il sorriso mesto che le rivolgo, inarcando appena le labbra all’insù, e mi rivolge uno sguardo fiducioso.

- D’accordo, voglio fidarmi, Cloud. In fondo, hai sempre fatto la scelta giusta. Inoltre, ci siamo affannati così tanto per trovarti e sarebbe da scemi completi (insomma come Cid) abbandonarti nel bel mezzo di una missione. -, dichiara, infine, la principessa sorridente, scoccandomi un’ammiccante occhiata d’intesa.

- Per una volta, mocciosa, hai detto una cosa sensata e per questo passerò sopra al fatto che mi hai dato dello scemo. -, interviene Cid, scoccando un’occhiataccia alla ninja, per poi rivolgermi verso di me, - Anche perché ti dobbiamo riportare a casa per darti dei bei calci in c@7o per quello che ci fai sempre passare! –

Lascio scappare uno sbuffo divertito.

- Severo, ma giusto, Cid. –

Abbasso poi lo sguardo verso Nanaki, il quale mi scruta con quei suoi ancestrali occhi dalle sfumature del fuoco.

- Quando si tratta di Sephiroth, non ci sono Numi che tengano. Sei la sua nemesi, l’unico in grado di annullarlo. E, a quanto pare, di comprenderlo meglio di chiunque altro. -, analizza l’animale, - Te… e Vincent. -, aggiunge volgendo il suo sguardo eloquente verso quest’ultimo.

Annuisco sorridendogli per poi volgere la mia attenzione verso l’ultimo rimasto: Barret. L’omone è rimasto in silenzio ad ascoltare, ad osservare, a valutare. La sua espressione impassibile mi mette in agitazione. O meglio, agita Sephiroth. Il nord-coreliano è sempre stato il più fervente avversario della ShinRa, raccogliendo di buon grado l’eredità dei suoi predecessori e potare avanti gli ideali ambientalisti dell’AVALANCHE. Ideali in pieno contrasto con la concezione di SOLDIER, ma dai modi molto simili. Quante volte si è visto affrontare ondate di agenti d’élite dai letalissimi intenti. Ma, appena l’uomo-mitragliatrice parla mi rendo conto che i suoi pensieri sono concentrati su una sola persona.

- Io mi rivolgo a te, Sephiroth. -, esordisce, mettendo il Generale sull’attenti, - Da padre, capirai bene che io farò di tutto per proteggere mia figlia. E quando dico di tutto, intendo di tutto. -, l’uomo-mitragliatrice s’interrompe rivolgendoci un lungo, severo, ma soprattutto, determinato sguardo, - Sei stato avvertito. –

La minaccia sibilata dal capo dell’AVALANCHE mi toglie il fiato e sorridere comprensivo il Generale. Capisce quell’intento, oh, Esper, se lo capisce. E’ stato il centro della sua intera, travagliata, avventura. Mi sento messo da parte appena mi rendo conto di non subire lo sguardo di Barret, ma bensì di scambiarlo. L’intesa è suggellata, l’accordo è stretto. Mi rendo conto che i due non sono poi così diversi. Hanno entrambi quella grinta, quella determinazione, quello spirito di sacrificio degne dei grandi comandanti. O dei padri più amorevoli. Entrambi così dediti alle rispettive famiglie… entrambi pronti a gettarsi nelle fiamme dell’inferno per loro.

Alla fine, egli usa il mio corpo per annuire solennemente. Barret assente di rimando, secco, con la sua solita genuinità.

Avverto un’ondata di ottimismo invadermi da cima a piedi. Credo che il Generale abbia allentato la tensione che gravava sul cuore, intimorito dalla prospettiva che il suo grido di aiuto non venisse per l’ennesima volta ascoltato.

Non sei più solo…

- Bene, sono contento che abbiate accettato l’inusuale situazione. -, s’intromette Reeve, gioviale, - Purtroppo, il tempo a nostra disposizione sta rapidamente scadendo, - continua rabbuiandosi –

- La Shinra…? -, tento, titubante, ma dentro di me conosco perfettamente la risposta.

- Oh no… molto peggio. -, l’ex-direttore ci rivolge uno sguardo spaventato, - Jenova ha trovato Takara. Entrando in contatto con te, Cloud, la nostra ragazza è entrata in contatto con quel mostro. Nessuno sa esattamente cosa sia successo. Sappiamo soltanto che probabilmente è stata impossessata da un’idea che non ha saputo sopprimere. Non stavolta. Credo che voglia aiutare i suoi genitori, però… -, un brivido di paura lo scuote da capo a piedi, troncando il discorso, - La Calamità farà di tutto per corrompere la sua anima e poter finalmente sbilanciare la guerra a suo favore. Takara è il Dono della Dea che tanto cita LOVELESS. Una creatura nata dalla fusione della progenie umana delle razze Cetra e astrale, il cui compito sarebbe quello di riportare queste due grandi forze in equilibrio. Una sorta di arbitro… -, s’interrompe, sospirando profondamente, - Se il suo giudizio venisse offuscato da sentimenti di vendetta? Se Jenova dovesse convincerla che la causa di tutti i suoi mali sono gli esseri umani? Noi, coloro i quali le hanno portato via i genitori, imprigionata, gettato questo mondo nel caos? –

Un silenzio attonito avvolge la stanza, mentre Reeve, che ormai ha perso la sua proverbiale bonarietà, si massaggia la fronte con la destra, come per scacciare via quel disturbante pensiero.

- Per anni -, ricomincia, - ci siamo presi cura di lei, istruendola sul suo passato, sul mondo, sulla sua natura; affinché non rimanesse all’oscuro di nulla. Sapete, per evitare un altro Sephiroth. -, mi scocca un’occhiata e poi sospira mestamente, - Genesis è quello che più si è legato a quella bambina. Credevo che i suoi sensi di colpa avrebbero fatto in modo di spingerlo verso la redenzione. Invece, ho scoperto che lui ha taciuto parecchi segreti sia a Takara che al resto di noi. Per esempio, il diario… Sai chi fu a portarlo via da Nibelheim, il giorno dell’incidente? –

Rimango in silenzio e ricambio lo sguardo eloquente di Reeve, realizzando di non esserne stupito affatto. In effetti, sospettavo che Genesis avesse tenuto d’occhio Sephiroth, fin da dopo l’efferato omicidio della moglie; in attesa del momento propizio per assestare alla sua deragliata mente il colpo di grazia.

- Come è arrivato il diario a te, allora? –, chiedo, dopo un momenti di riflessione.

- E’ una storia complicata, in effetti. Dovresti chiederlo a lui, anche perché nemmeno io sono al corrente di tutti i passaggi. Quello che so è che è riuscito a tenerlo nascosto per parecchio tempo. –

- E’ ancora vivo? -, chiedo, stupito.

Il moro sospira e si passa la mano sul mento, indugiando sul pizzetto ben delineato, scuotendo la testa di lato: - Diciamo di sì, anche se il processo di degradazione sta avanzando esponenzialmente, sia a causa delle ferite che alla mancanza di un novello afflusso di sangue S.-, s’interrompe e abbassa la testa, mesto, - Non gli rimane molto da vivere. –, conclude con un sospiro.

Un’altra morsa allo stomaco mi tortura le viscere. E una strana, incombente, definitiva realizzazione di una dipartita troppo prossima da sopportare avvolge ogni singola cellula di me. Mi rendo conto che, Sephiroth prova ancora un forte sentimento di amicizia nei confronti del vecchio compagno, seppellito sotto uno profondo strato di odio, rabbia e rancore; ma che, di fronte alla concreta realtà, è riemersa come una deflagrazione. Come mi ha confessato il Generale, infatti, egli recrimina il fatto di non averlo salvato, di non essere stato in grado di accogliere quel suo disperato grido di aiuto. Ma più di tutti, non si riesce a perdonare se stesso. E maledice con tutta l’anima quel giorno nella Sala Addestramenti.

 

I want you beg for forgiveness

[Chiedi perdono. Sephiroth, FFVII:ACC]

 

Devi parlargli…

 

L’ordine del Generale arriva perentorio alle mie orecchie. Quasi… disperato. Avverto il suo dolore, il suo soverchiante dispiacere. Avverto impellente la sua volontà di alleggerire l’anima dell’amico morente, perché SA che non vi sarà un luogo pronto ad ospitarla.

- Reeve-, evoco, - ho bisogno di parlare con Genesis, prima che sia troppo tardi-, poi mi affretto ad aggiungere, - Magari sa qualcosa su dove potrebbe essersi diretta Takara. –

- Non credo. -, risponde il diretto interessato, - Abbiamo provato ad interrogarlo, ma è davvero troppo debole. Inoltre, non credo nemmeno voglia rivelarci alcunché. –

 

Insisti.

 

- Magari non vuole rivelare niente a voi. -, dichiaro per poi apporre la mano sul petto, - Ma forse a Sephiroth sì. –

Lascio che la frase sfumi e dia l’effetto sperato. Reeve mi osserva studioso e giochicchia con ciocche della barba, ponderando la proposta. Dopodiché, annuisce e mi fa cenno di seguirlo.

 

 

La cabina è semivuota, eccenzion fatta per la branda spartana, un respiratore, apposto ai piedi del letto contro la parete alle spalle di esso, e un comodino su cui sono allineati strumenti operatori e garze pulite. Le paratie metalliche sono fredde, amplificando la gelida sensazione della morte imminente. Un minuscolo oblò è l’unica fonte di luce della stanza, ma getta una tagliente ombra obliqua sul viso sofferente dell’uomo al di sotto dello stesso. La maschera del respiratore copre quasi totalmente le sue fattezze, ma è possibile notare leggere contrazioni smuovere le ombre cadute sulla sua pelle desquamata. Perle di sudore e gemiti soffocati svelano la profonda sofferenza e la strenua battaglia combattuta dall’ex Comandante. Una battaglia, l’ennesima, cui è destinato a perdere. Faccio spaziare l’attenzione sul suo corpo, dove il petto magro e ricoperto di garze zuppe di sangue spunta fuori dalla pesante coperta. Il respiro è affannoso, impellente…affamato. Sembra che l’ossigeno erogato non tenga il passo dell’ingente degradazione e la conseguente copiosa emorragia. Una flebile e soffocato fischio esce dalle sue labbra semi dischiuse, mentre vorace cerca di introiettare più aria che può.

Eppure, nonostante le gravissime condizioni, egli mi fissa con quei baluginanti occhi di mako blu, unico accenno di vitalità in un altrimenti corpo morente. Non v’è né superbia, né rancore, né arroganza in quelle iridi. Tutto quello che era stato Genesis in vita è scomparso, lasciando posto a quella parte più fragile e profonda di sé: quella impaurita e schiacciata da una colpa così grande da sopportare per un solo minuto di più. Mi guarda rassegnato, sconfitto e… stanco.

E’ uno sguardo che conosco bene, visto nei ricordi di Sephiroth, che perfino il Generale ha vissuto in prima persona.

Rimaniamo per minuti infiniti a fissarci reciprocamente, nel tentativo di ritrovare quell’intesa, quella complicità dispersa chissà dove nei recessi di questi animi corrotti; finché un rauco articolato giunge alle mie orecchie.

-Sephiroth… -

A malapena riesco a comprendere il significato di quel suono. Se i miei sensi non fossero stati potenziati dagli esperimenti di Hojo, non credo che sarei in grado di sentirlo.

Come immaginavo, Genesis sembra essere capace di percepire il suo commilitone, o almeno ha intuito che attraverso me, lui gli può parlare. Mi avvicino al lato del letto e mi inginocchio al suo livello, così che mi possa guardare più agevolmente in faccia. Il sudore ha imperlato ulteriormente la sua pelle, a causa dell’enorme sforzo impresso per voltare la testa di qualche grado verso l’alto. Un movimento minimo, ma, nelle sue condizioni, disumano. Mi stringe il cuore nel vederlo in quello stato, in totale contrasto con il ricordo della sua fulgida potenza, puntualmente propinato da Sephiroth stesso. Automaticamente, senza nemmeno che me ne renda conto, la mia mano sinistra va a stringersi attorno a quella di Genesis, abbandonata sul panno che lo ricopre. La sua pelle è ruvida, scagliosa, coriacea, sembra quasi sull’orlo di spezzarsi al minimo strofinio. Piccoli tagli, infatti, si aprono rapidamente, lì dove la mia morsa si è accanita con più veemenza. Preso dal panico, cerco di abbandonare il palmo, ma una debole, debolissima, resistenza mi trattiene. Guardo Genesis, osservarmi con uno sguardo enigmatico.

- Sephiroth… -

Il rauco si è trasformato in guaito strozzato, poiché la sua voce è stata rotta da lacrime amare, che stanno abbandonando gli occhi del SOLDIER.

Stringo la mandibola, per reprimere l’ennesimo colpo al cuore.

- Ti ascolta. -, rispondo, rivolgendogli l’espressione più morbida possibile.

- Io…-, un respiro sibilante, - non ti ho…-, un altro sibilo,- mai…-, egli prende un respiro lunghissimo, emettendo un lungo fischio,- chiesto… -, il petto si alza ed abbassa ad un ritmo impressionante, - Scusa...-

Esausto, si rilassa contro il materasso, emettendo un lungo, lugubre sospiro.

Anche se coperto dalla mascherina, è possibile apprezzare la sua espressione totalmente, ineluttabilmente contrita, rotta da un pianto incontrollabile, figlio di una paura ancora più viscerale. Sa che sta per morire, sa di aver sprecato ogni occasione di redenzione che gli si è presentata. Takara se ne è andata, abbandonandolo sul suo letto di morte. E’ solo. I suoi amici lo hanno maledetto anni prima, augurandogli una lenta dolorosa morte, come scotto per i crimini commessi. Crimini che nessuno sembra essere disposto a perdonargli. Come potrebbero? Lui è un mostro senz’anima, senza cuore, senza pietà. Ha ucciso tante persone. Ha ucciso i suoi commilitoni. I suoi genitori. La madre della sua figlioccia. La moglie del suo idolo. Del suo rivale … Del suo migliore amico…

E per cosa?

Per… per…

Niente…

A nulla sono valsi i suoi sacrifici.

La sua Dea non l’ha voluto.

Il suo prezioso dono non l’ha voluto.

Il Lifestream non lo vorrà.

Morirà senza nulla, senza che nessuno si ricordi di lui.

Ha lasciato il buio e le fiamme dietro di sé.

Senza passato, senza futuro.

Nulla di lui resterà.

Piange, disperato, conscio dell’incubo che presto lo coglierà.

Di quella reminiscenza di amico che sembra divorarlo con l’attesa di un responso. O distruggerlo col suo silenzio.

In fondo, cosa gli disse l’ultima volta che s’incontrarono?

 

You’ll rot

[Tu marcirai, Sephiroth, FFVII:CC]

 

A ragione… Gli aveva portato via tutto. Era la causa maxima della sofferenza dell’altro. Della disperazione di una figlia privata della madre e costretta a vivere lontano dal padre. O impaurita da esso. Difficilmente può dimenticare l’espressione della bambina, osservare agghiacciata la terribile palla di fuoco infiammare il cielo senza pietà.

Cosa aveva fatto?

Lui aveva portato quell’uomo sulla strada intrapresa. Una strada che egli aveva cercato di evitare tutta la vita. Lo sapeva… Eppure, ce lo ha guidato senza un briciolo di rancore.

Senza pensare alle conseguenze.

In fondo, sei sempre stato così, Genesis.

Hanno provato tante volte a cambiarti, ma non ci sono mai riusciti; anzi sono sempre stati gli altri a cambiare per te. Ma il Pianeta non segue le tue regole.

Tu odiavi le regole. Le sfidavi con tutta la tua forza, eppure sei arrivato a un punto, dove certe regole non potevano essere infrante, altrimenti il costo sarebbe stato troppo alto.

Oh, ma tu l’hai pagato quel conto… Oh, se l’hai pagato!

Il prezzo della libertà. O presunta tale…

Nessuna fanfara di gloria per te, angelo caduto… Solo silenzio, disprezzo e solitudine.

E ora, nei tuoi ultimi istanti, piangi dolente, incapace di respirare, incapace di far valere le tue ragioni.

La tua ultima occasione…

- Even if the future is barren of promises, nothing shall forestall my return. [Anche se il futuro è arido di promesse. Niente ostacolerà il mio ritorno. Atto III, LOVELESS] -.

La voce di Sephiroth soppianta la mia, mentre egli accompagna quelle parole fuori dalle mie labbra. Quella frase che per il rosso è sempre stata caricata di scherno ed arroganza, ora, dalla voce calma e pacifica del Generale, risuona in modo totalmente differente. C’è una sottintesa aura rassicurante che accarezza ogni singola sillaba, simile a quella usata da un padre che cerca di confortare il proprio spaventato figliolo. Come volevasi dimostrare, il Comandante rilascia la tensione dei muscoli e sprofonda tra le coltri morbide ed accoglienti del suo capezzale. Le palpebre si serrano, rilassate, per un momento, mentre un profondo e lungo sospiro sibila attraverso la mascherina. Quando le risolleva, quella luce spaventata e colpevole è totalmente sparita dai suoi occhi; soppiantata da uno sguardo pieno di riconoscenza. Un flebile sorriso viene appena intraveduto spiccare al di sotto della plastica semi-trasparente, contemporaneamente i lineamenti del banoriano vengono definitivamente distesi, in un’espressione di pura pace. Sephiroth risponde, inducendo i lati delle mie labbra a sollevarsi appena, in un sincero arco di compassione. I due amici si sono riappacificati, stavolta per davvero, senza rabbia e rancore, senza alieni e morte. Solo loro. Due uomini, due soldati, due amici.

Le forze di Genesis iniziano a venire a meno, come dimostra la difficoltà di questi a continuare a sostenere il nostro sguardo. Le palpebre si fanno pesanti, gli occhi si velano, il respiro si fa sempre più affannoso.

Avverto la mia mano sinistra venire stretta con più veemenza a quella dell’altro, in un guizzo deciso e rassicurante. Debolmente, il rosso risponde, avvolgendo le sue decadenti dita attorno le mie, con una forza inaspettata. Disperata. Sephiroth capisce quell’infido terrore che si avviluppa in ogni cellula; così come quella disarmante e ineluttabile realizzazione. E’ una sensazione disarmante, invalicabile, al di là di ogni comprensione. Soprattutto, per loro. Sono dei reietti il cui posto sul Pianeta non era stato nemmeno concepito; così come non esiste un aldilà pronta ad accoglierli, ma solo un vuoto, infinito, solitario limbo. Fa paura, ma, con quel guizzo, Sephiroth imprime al compagno un messaggio ben preciso: la loro agonia non durerà ancora a lungo e, forse, ad aspettarli ci sarà un radioso futuro…

Lo sguardo vacuo del Comandante si è fissato al soffitto, dove le ombre svolazzano e ondeggiano, ogni qualvolta una nuvola passa davanti alla luce sanguigna del giorno morente. Il ritmo respiratorio è calato drasticamente. Ma, poco prima di andarsene, immagini e visioni rapide invadono la mia mente. Dapprima, d’istinto, combatto contro quell’assalto inaspettato, ma la voce rotta del Generale si eleva contro la mia resistenza.

-Lascialo entrare… -

 

/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////

 

-Il tuo corpo si sta avviando verso un procedimento di decadimento tissutale che noi chiamiamo ‘degradazione’. Il mako penetrato nel tuo corpo sta inducendo le tue cellule ad avviare una sorta di apoptosi indotta che… –

Smetto di ascoltare. Mi sento uno stupido. Non capisco una singola parola proferita da quell’uomo. Di solito, sono un tipo sveglio e anni passati a leggere romanzi epici dai termini altisonanti e arcaici hanno sortito l’effetto di armarmi di un linguaggio forbito ed articolato. E allora, perché non riesco a capire una sola dannata parola di quella frase, dal suono così simile a una condanna? Forse la troppa perdita di sangue ha annebbiato le mie abilità o la vicinanza a quel sempliciotto di Angeal ha irrimediabilmente compromesso le mie facoltà mentali. Il pensiero sciocco non sortisce l’effetto sperato e permango immobile e fissare il professore con aria assente.

- Hai capito, Genesis, quello che voglio dire? –

NO, MALEDIZIONE! Avverto la rabbia esplodere nel petto, ma ha solo l’effetto di spossarmi ancora di più. La testa mi gira avverto il sudore imperlare la fronte e il respiro annasparsi.

- Non ti sforzare. Ancora non ti sei ripreso. Ci vorranno altre trasfusioni prima di riuscire ad alzarti ancora. –

Assottiglio gli occhi, mentre quella frase mi colpisce dritto nell’orgoglio. Sono così schifosamente debole… e per di più, devo pure dipendere da loro… Chissà quanto se la stia ridendo Sephiroth per avermi ridotto in questo stato.

- Quando potrò farlo allora? Non ne posso più di stare sdraiato qui… –

La frase mi esce dalle labbra di getto, rivelando una voce meno vibrante e incisiva del normale. Il cuore perde un battito, mentre mi porto la mano alla gola.

- Il processo di degradazione riguarderà ogni aspetto della tua vita. E’ inesorabile. Tutto quello che possiamo fare è rallentarlo con trasfusioni e cure adatte. Per un po’, almeno. –

Questo l’ho capito. Ora il cuore si ferma veramente. Un groppo ha strinto la mia gola, rendendo il respiro ancora più difficoltoso. Mio malgrado, cerco di deglutire.

- Volete dire… che …morirò? –

Il professor Hollander si volta verso di me e mi guarda veramente da quando è entrato nella stanza. Con occhi spietati e distanti, mi fissa a lungo. Fatico ad individuare l’emozione che dà vita alla sua espressione truce e congestionata.

- Sì. –

Un brivido mi attraversa la schiena dall’alto in basso. Rimango gelato come una statua di marmo a fissare quell’uomo, chiedendogli disperatamente aiuto. Ma nulla arriva da lui, solo silenzio, spietatezza e… biasimo. Ecco, cos’era… biasimo.

 

 

- Ci dovevi essere, Genesis! Non credo di aver mai visto il Presidente così incazzato! Ahahahahahah! –

Angeal per poco non si ribalta dalla sedia e Sephiroth, dal canto suo, allarga appena un po’ di più il suo ghigno, sempre in modo odiosamente pacato. Non si sbilancia mai, lui. Nonostante tutti i miei sforzi, non sono mai riuscito a capire cosa lo porta a trattenersi così tanto, a non lasciarsi andare. E’ un mistero che rimarrà tale, temo. Il pensiero mi rabbuia appena un momento, ma abbastanza a lungo da permettere a Sephiroth di accorgersene. Ovviamente.

- Gen. Tutto bene? -

Ricaccio indietro il languore e sfodero la maschera più insolente presente nel mio repertorio.

- Ovviamente sì. Presto potrò calcare di nuovo la ribalta e mi riprenderò l’agognata rivincita. Non credere che quella scaramuccia dell’altro giorno me la sia scordata! –

I nostri sguardi s’incatenano l’uno all’altro, ma per un istante tragicamente breve. Sephiroth, infatti, sembra quasi trattenere il respiro, mentre i suoi occhi rifuggono i miei, ricolmi di senso di colpa.

- Io e te non ci sfideremo più. -, sentenzia alla fine.

- E questo cosa vorrebbe dire? –

L’onta subita mi accende all’istante, tant’è che l’impulso di afferrargli il bavero e scuoterlo diventa preponderante. Mi abbandono all’istinto, ma la realtà mi ricorda che certi colpi di testa sono ormai al di fuori della mia portata. Un forte giramento di testa. Nausea. Spossatezza. I sintomi del degrado… Il richiamo della morte. Crollo a metà del gesto, col sudore freddo che s’infila fin dentro i pori della pelle. Rabbrividisco da capo a piedi e le forze vengono a meno. La mano scivola dalla presa sul bordo del letto e mi sento cadere, oltre che svenire. I fumi dell’incoscienza alterano i miei sensi, trasformando il pavimento in un famelico, profondo, spaventoso abisso. Il senso di vuoto mi artiglia lo stomaco già in subbuglio e per poco non ne rigetto tutto il contenuto. Mi sbilancio troppo in avanti e troppo velocemente, la pressione sanguigna crolla e il buio mi fa affacciare un attimo nell’incoscienza. Un unico, allucinante attimo. Flash sconclusionati e incomprensibili di eventi confusi e incerti, voci distorte, per lo più urla, sapore e odore di sangue e fumo. Le mie mani intrise di liquido rosso brillante, come quello che corona il corpo di una donna stesa sul pavimento. Non riesco a carpirne i dettagli, poiché la mia attenzione viene attirata su un’altra figura che si staglia sull’uscio infiammato, viso rivolto verso l’inferno di fiamme che impazza all’esterno. Il dettaglio che mi attira sono i lunghi capelli svolazzanti che le cingono le spalle strette e il fisico longilineo. Il movimento voluttuoso di quelle chiome mi ricorda Sephiroth, ma il fisico fin troppo minuto mi suggerisce che si tratta di un’altra persona, ma molto affine a lui. La conferma mi viene data nell’istante dopo, quando ella si gira. E’ una ragazza giovane e bellissima. Non rimembro di averla mai incontrata, ma sento di conoscerla; tant’è che mi ferisce il modo in cui quegli occhi di mako gelido mi trafiggono con rabbia e la sua congestionata espressione di furia. Non riesco a sostenere quello sguardo, sentendomi sporco, sbagliato. Un inutile, gretto, miserabile scarto di uomo. Ella alza il dito accusatore nella mia direzione. Mi sento impotente di fronte a lei e mi rendo conto di aver perso ogni volontà di combattere. Non contro di lei… Io lo merito. Merito il castigo che sta per calare sulla mia testa, più spietata della mannaia di un boia. Da quella ragazza… quella ragazza a cui ho fatto un torto così grave. A quella ragazza innocente… Dove l’ho già vista?

- Genesis… -

Evoca il mio nome. Io non ho il coraggio di guardarla…

-Genesis… -

Mi chiama ancora… Non posso…

- Guardami…-

Esito, ma non posso fare a meno di eseguire quell’ordine.

Appena alzo lo sguardo, il viso della ragazza trasfigura in quello di Sephiroth, combaciando perfettamente.

- Genesis! –, chiama il Generale con tono angosciato.

Rimango qualche secondo a fissarlo, confuso. Quella ragazza così simile a lui…

Egli mi scuote e mi accorgo che i miei due amici mi stanno entrambi sostenendo a mezz’aria. Sui loro visi è dipinta genuina preoccupazione. Il mio stordimento è passato e mi rendo conto dell’insopportabile situazione di debolezza in cui mi trovo. Con stizza, faccio leva sul braccio di Sephiroth e mi spingo all’indietro, ricadendo sul letto. Sono esausto, ma la paura di mostrare la mia debolezza richiama forze residue.

- Colpa di queste dannate flebo. Mi hanno bloccato a metà del gesto… -, mi giustifico rapidamente, fingendo di esaminare le condizioni degli aghi infilati nella pelle.

- Certo. Le flebo… -, commenta Sephiroth, acido.

-Sephiroth… -, lo redarguisce Angeal.

L’ammonimento del mio vecchio amico cade nel vuoto, scontrandosi contro il disinteresse del Generale. O per meglio dire, eccessivo interesse.

- Perché tutto questo mistero? Perché non ci dici le cose come stanno? Perché ci tagli fuori? –

-Uh, da che pulpito… -, ribatto, caustico, voltandomi verso di lui.

- Non cambiare argomento… -, minaccia, bisbigliando pericolosamente.

- Frustante, nevvero? Sentire che c’è qualcosa di sbagliato, ma ricevere soltanto silenzio, o resistenza. -, mi piego infidamente in avanti, rivolgendogli un sorriso beffardo, - Ora sai come mi sento… -, concludo, mimando il suo tono sibilante.

Lo vedo irrigidirsi da capo a piedi e stringere i pugni così forte che se non avesse i guanti probabilmente si ferirebbe i palmi. Mi fissa come un predatore farebbe con la preda designata e so che la sua mente gli sta già urlando di tirarmi un pugno in pieno viso. Ma so che non lo farà. Il suo autocontrollo è enorme almeno quanto il mio ego. Anche se in questo momento, un cazzotto ben assestato per mettere fine alle mie sofferenze lo gradirei…

Desiderare di morire, mentre LEI mi giudica…

 

 

La bambina non fa altro che fissarmi incessantemente da quando ci siamo seduti per mangiare. Nemmeno per guardare il cibo ha mai distolto lo sguardo dalla mia figura. Non che mi infastidisca stare al centro dell’attenzione, ma avere quei fari in particolare puntati addosso mi fa sentire giudicato fin dentro il profondo. Per quanto ci stia provando, proprio non riesco ad ignorare la sensazione che sia Sephiroth stesso o sua moglie a guadarmi in questo momento. O meglio a giudicarmi. Con biasimo e disprezzo, probabilmente. Quegli occhi sono la sintesi perfetta tra tratti Cetra e Jenova. E’ sorprendente quanto LEI e LORO si siano armonizzati per dar vita a un essere totalmente nuovo. La definirei quasi la prima di una nuova razza di umano… Chissà che farebbe un certo scienziato di mia conoscenza se ce l’avesse tra le mani.

Un brivido di raccapriccio mi scuote da capo a piedi.

Combattendo contro l’insistenza di quegli occhi, mi alzo e inizio a raccogliere i rimasugli della nostra cena, per poi iniziare a prepararle il sacco. La piccola, naturalmente, non si fa sfuggire nemmeno una mossa del mio operato. Mi mette terribilmente in soggezione il modo in cui mi studia, instancabile, nonostante l’ora della buonanotte sia passata da un pezzo. Inoltre m’inquieta il fatto che non si lamenti mai. L’ho rapita in piena notte da quella specie di orfanotrofio, in cui Lazard l’aveva scaricata, l’ho portata nel bel mezzo del bosco, al buio, con mostri in ogni angolo; eppure non ha mai emesso una singola parola di obiezione, nemmeno un flebile lamento. Se ne sta qua accanto a me a fissarmi, apparentemente tranquilla. Non so nemmeno se comprende la situazione che sta vivendo. Sospiro e mi passo la mano fra i capelli, mentre inizio a srotolare il suo sacco a pelo.

E’ una cosina così piccola….

Poco più di un anno e già conosce così tanta sofferenza… Causata da me… Stringo con rabbia la stoffa, mentre il senso di colpa torna di nuovo a tormentarmi. Con un grugnito di stizza, mi dico di smetterla di indulgere in questi scrupoli. Ne va del destino di tutti noi, mi ripeto per l’ennesima volta.

Perso nelle mie elucubrazioni, non mi accorgo che la bambina si è avvicinata a me. Per poco non mi prende un colpo, quando entra nel mio campo visivo.

- Wow, mi ha spaventato, piccola. –, esclamo, cercando di dare alle mie parole un’inflessione il più possibile rassicurante, ma non mi sfugge sicuramente qualche nota infastidita.

Non ci ha mai saputo fare con i bambini…

Dal canto suo, lei continua a studiarmi, chiusa nel suo innaturale silenzio, con la testa leggermente inclinata di lato e l’espressione concentrata.

Sviando il suo sguardo per l’ennesima volta, roteo gli occhi, amareggiato, e le chiedo, attingendo a quella dimenticata memoria che ho del wutaniano:

- Cosa c’è? –

La mia espressione è venuta fuori più truce di quanto volessi, ma quel suo comportamento mi sta davvero dando i nervi. Non ne posso più di questo tribunale. E il senso di colpa mi sta letteralmente rivoltando lo stomaco.

Senza rispondermi, fa sbucare, fuori dalla coperta che tiene sulle spalle, una manina minuscola e la allunga nella direzione del mio viso. Le ditina sono protese nella mia direzione, tremolanti e incerte. Sorpreso, permango immobile, osservandola confuso. Il calore della sua mano sembra un balsamo per la mia pelle degradata. Per quanto lo desideri non mi è più possibile rifuggire quegli occhi, i quali mi osservano con un’intensità tale da renderli magnetici. Lei si avvicina ulteriormente, facendo cadere la coperta dalla spalle, ma non se ne cura. E’ talmente concentrata ad analizzare ogni singolo dettaglio del mio viso da non considerare null’altro che esuli da quel preciso intento. Improvvisamente, sembra che una folgorazione la colpisca e si apre in un dolcissimo sorriso.

Ogni mio dubbio svanisce appena lei dà fiato alla sua conclusione. E il sangue mi si gela nelle vene.

- Papà! –

 

 

-Genesis…? –

- Mh…? –, rispondo distrattamente, intento ad affilare il filo della mia cara vecchia Rapier, unica, inseparabile compagna di vita.

- Mio padre avrebbe voluto che imparassi a combattere? –

Mi blocco a metà del gesto e volgo l’attenzione su di lei. Sta colpendo i fili d’erba con la sua spada di legno, mentre ciondola in giro. Non mi sta guardando, ma so che sta aspettando. Fa sempre tante domande su suo padre. Sembra che le mie risposte non siano mai abbastanza. Mi si stringe lo stomaco al pensiero di quanto si senti sola, per quanto, comunque, non lo dia a vedere. Come Sephiroth. Mi scappa uno sbuffo malinconico, generato dal tenero ricordo della miriade di scontri nati tra noi proprio su quel punto. Tanto tempo fa… Il languore, tuttavia, non raggiunge il mio viso e, ritornando alle mie mansioni, liquido la domanda della ragazza con un’alzata di spalle e una risposta sbrigativa.

- Non credo… -

- Oh… -

Alzo di nuovo l’attenzione su di lei e vedo che si rigira la spada di legno fra le dita con l’espressione corrucciata e lo sguardo basso.

- DEVI imparare a difenderti. Per quanto l’idea non gli sarebbe piaciuta, anche lui avrebbe convenuto con me… -

- Se lui avesse convenuto, non ci sarebbe nemmeno stato bisogno di insegnarmi a combattere… -, ribatte lei.

Le rivolgo uno sguardo ammonitore, il quale s’infrange contro un’espressione determinata e pretenziosa.

Rilascio il fiato e scuoto la testa, sconsolato.

- Già, ma lui non c’è. –, ribatto con tono lugubre.

Permaniamo in silenzio per qualche istante, rotto solo dal suono graffiante della pietra che passa sopra l’acciaio.

- Ma ci sei tu… -

Mi fermo di nuovo e le rivolgo un lungo, doloroso sguardo. Purtroppo…

Sospiro e appoggio a terra spada e pietra.

- Takara. -, esordisco, passandomi la mano destra sulla spalla sinistra, - Lo sai che io sto morendo… -

Carpisco, con la coda nell’occhio, la sua espressione farsi dolente e la sua testa amaramente annuire.

- Per questo devi imparare a combattere. Non ti potrò proteggere per sempre. –

Detto questo, mi alzo e la raggiungo. Le poso le mani sulle sue spalle strette e gliele stringo dolcemente. Lei si umetta le labbra, chiude gli occhi e sospira, trattenendo un gemito. Giungo i palmi sotto il suo mento e, applicando una leggera pressione, la induco a guardarmi. Quegli occhi tristi, verdi come il mako; quelle indomabili ciocche ombrarle il viso, quelle labbra dischiuse e serrate verso il basso… ogni singolo dettaglio evoca suo padre. E, ogni anno che passa, lei gli assomiglia sempre di più. E ogni anno è un affondo sempre più profondo al cuore. Ma da un lato, questo mi rallegra; conscio che qualcosa di lui sia rimasto tra noi miseri mortali. Rivolgo un sorriso sincero alla ragazzina di fronte a me e le scosto dolcemente le ciocche dal viso.

- Ma finché avrò respiro, io ti proteggerò… mia Principessa. –

A quelle vuote rassicurazioni, lei mi rivolge uno dei suoi solari e meravigliosi sorrisi, per poi stingersi a me, avvolgendo le sue gracili braccia ai miei fianchi e affondando il viso nel mio petto.

- E io avrò cura di te… -

 

 

Perso nei fumi della morfina, riesco a malapena a distinguere la sua figura. Il suo giovane viso è congestionato da un’espressione indurita. Vuole sembrare fredda, ma la conosco troppo bene e so perfettamente che nel suo cuore sta impazzando un inferno di sentimenti, dubbi e sensi di colpa. Lo comprova quella sua fastidiosa, ossessiva mania di lisciarsi le pieghe del vestito, anche quando è palese che non ce ne sia bisogno. Dopo poco, tuttavia, addossa stancamente la schiena alla parete accanto alla finestra, ponendo entrambe le braccia dietro di sé. Emette un sonoro sospiro, poi, come se avesse sentito qualcosa, alza la testa e appunta il suo sguardo al di fuori della finestra, lontano, verso Nord. Concentro tutte le mie forze per metterla a fuoco. Adocchio il capo sollevato fieramente, il portamento elegantemente impeccabile, lo sguardo meditabondo, concentrato… sognatore.

Perfetta…

- Ti raggiugerò… -, bisbiglia, dopo un lungo silenzio, senza distogliere lo sguardo dall’obiettivo. Muovo appena la testa, volgendomi verso di lei.

Lei indirizza il suo sguardo verso di me e mi sorride tristemente.

E’ un gesto che dura molto poco, le labbra, infatti, tornano neutre, mentre lei di distacca dalla parete e si avvicina al mio capezzale. Una volta giunta, ella si piega su di me e appunta le sue mani lateralmente alla mia testa. I suoi capelli bruni le scivolano in avanti, fluidamente, accarezzandole maliziosamente le spalle, il collo, le guance. Scruta ogni singolo angolo delle mie fattezze morenti e degradate con quegli occhi capaci di brillare anche nell’esigua luce della sua ombra. Mai come prima d’ora mi sono sentito così terribilmente scoperto. E vulnerabile. L’ultima volta è stata… quando suo padre è impazzito.

Il mio battito cardiaco inizia ad incrementare e l’adrenalina scatenatosi mi permette di contrastare per un breve momento i calmanti che mi somministrano.

Vedo i suoi occhi ruotare verso l’elettrocardiogramma e un largo sorriso si estende sul suo viso.

- Non ti agitare, Genesis. -, dice con tono rassicurante, passandomi anche la mano tra i capelli, - So tutto. Ho visto tutto. – precisa, continuando ad accarezzarmi, - E ho capito. –

Dolcemente, appoggia le sue mani ai lati della mia testa, facendo attenzione a non stringere troppo. La sua espressione si fa contrita anche se cerca di nascondersi dietro a una serenità che non le appartiene.

- Avevi paura. -, constata con una semplicità disarmante, mentre il mio orgoglio si contrae in un ultimo, debole spasmo di superbia, - Paura di essere dimenticato. Paura di morire. E… e volevi che ti ascoltassero, che rimanessero con te. Gli hai chiesto aiuto, nel tuo contorto e strano modo. -, ride teneramente, mentre il mio cuore si scioglie, - Sei davvero impossibile. –

La sua maschera si frantuma, lasciando andare le lacrime. Il suo corpo si accascia e le sue mani scivolano lungo le mie spalle, il busto, il braccio destro, fino a ricongiungersi con la mano inerme al termine di quest’ultimo. Cerca di darsi un contegno questa bambina, rivolgendomi qualche sorriso e pulendosi le lacrime dal viso. Debolmente, stringo la sua mano.

- Sì, lo so. Non devo piagnucolare. -, interpreta, con la voce rotta.

Inspira ed espira, rispondendo alla mia stretta, ricercando in quel misero e patetico gesto un po’ di conforto.

Mi dispiace, mia principessa.

- Ho promesso che mi prenderò cura di te. -, dichiara, infine, guardandomi dritto negli occhi. Quegli occhi pieni di feroce determinazione… - Metterò fine a tutto questo. Sono stanca di questa sofferenza, di queste lotte, di questo odio… -

Lascia sfumare il discorso e si alza, abbandonandomi, senza però lasciare un’ultima carezza alla mia mano. Ritorna alla finestra e torna ad appuntare il suo sguardo verso Nord.

- Andrò al Northen Crater ad affrontare la fonte di tutto. A compiere il mio destino… -

Si tormente le mani e abbassa lo sguardo su di esse, nel vano tentativo di reprimere un brivido di paura.

L’istinto mi urla di alzarmi e confortarla, di stringerla a me, dissuaderla dal partire, proporle un’alternativa, consigliarle di mandare qualcun altro. Ma, sarebbe inutile, questa volta. Sebbene sia spaventata, la sua decisione è stata presa e non c’è modo di dissuaderla dal compito prefissato.

E’ giunto il momento che tanto temevo…

Il mio prezioso Dono…

La mia amata Principessa…

Lacrime iniziano a scendere lungo le mie guance, mentre una morsa di dispiacere mi attanaglia il cuore. Ho dato tutto per quella bambina. E’ cresciuta così tanto… Il solo pensiero di non rivederla mai più mi devasta. Mi rendo conto di averla amata come mai ho amato nessuno e di come lei abbia trasformato la mia inutile egoistica esistenza in una vita votata al sacrificio e al benessere altrui. Lei mi ha insegnato molte più cose di quanto io ne abbia trasmesse a lei. E le sono grato per questo…

In tutto questo, Takara non si accorge del mio turbamento, poiché il suo sguardo è rivolto verso la sua meta ultima.La fissa rabbiosa, ma anche caparbia, accogliendo di buon grado la sfida.

 

- When the war of the beasts brings about the world’s end, the goddess descend from the sky.

Wings of light and dark spread afar her gift everlasting –

[Quando la Guerra delle bestie porterà alla fine del mondo la Dea discenderà dal cielo.

Ali di luce e oscurità spargeranno lontano il suo dono eterno]

 

 

La realtà ritorna, delicatamente, mentre il sogno rapidamente sfuma, così come la coscienza del Comandante che, lestamente, scivola via, esausta, ma alleggerita. Avverto una morsa al cuore, appena realizzo il significato di quelle sensazioni e ritrovo conferma nella figura del rosso.

Genesis, infatti, non ci guarda nemmeno più…

Il respiro è sempre più lento, sempre più esiguo. Fino a che…

Un lungo, lento, inequivocabile, definitivo, lugubre spiro abbandona le labbra semi dischiuse del Comandante.

Per secondi infiniti, permango immobile. La mia mano stretta a un palmo senza più padrone. Freddo. Freddissimo. Mi sembra così innaturale questo gelo che si inerpica in ogni cellula del mio corpo, come un attagliante senso d’impotenza. Mi paralizza, sembra quasi che la morte abbia messo in pausa il mondo intero. Poi, improvvisamente, una lacrima abbandona i miei occhi, mentre una nascente sensazione di oppressione cala sul mio petto. Sospiro profondamente per cercare di sciogliere quel peso pendente sul cuore. Nel frattempo, la mia attenzione viene catturata dagli occhi ancora sbarrati del Comandante. Inconsciamente, alzo la mano destra e, solennemente, passo il palmo sul suo viso, chiudendogli le palpebre. Rimango un lungo istante ad osservarlo, mentre il peso diventa sempre più pesante da sostenere. La sua espressione è così distesa, tranquilla… in pace. Una leggera contrazione al lato destro della bocca ne alza il lato, dipingendo un sorriso mesto.

- Grazie di tutto… amico mio. –

 

Buonasera popolo di EFP! Grandi ritorni questa epidemia sta facendo tornare! Prima Manila con un capitolo delle (Dis)avventure e ora io, con il caro Bassai dai. Speravate di esservi liberati di me? Eh no! Nonostante gli impegni, sono finalmente riuscita a completare anche questo capitolo e, per l’ennesima volta, ritardare la chiusura di questa storia -.-‘ Ma vi assicuro che siamo agli sgoccioli, finalmente ho trovato il modo di rendere sensato il finale!!! (Chissà di che morte ci tocca ririmorire ndVinny&Seph). Questo capitolo è un po’ più lungo degli altri e ho voluto soffermarmi un po’ sul personaggio di Genesis. Io non lo amo particolarmente, ma in questo capitolo ho voluto dargli una sorta di redenzione e una buona uscita onorevole e dignitosa. Se ne è andato in pace, sapendo di aver fatto qualcosa di buono nella vita, come crescere Takara; ma soprattutto è riuscito a riappacificarsi con la sua vittima preferita: Sephiroth.  E’ una giusta coronazione a al suo personaggio, secondo me. Poi ditemi che ne pensate con una recensione!

Ora scappo e spero di non dover far passare altri anni prima di postare un nuovo capitolo! Devo finirlo assolutamente!

Grazie a tutti!

 

A presto!

 

Besos

   
 
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