-
Che intendi con ‘capacità di recupero’?
–, chiedo, nel misero
tentativo di stemperare l’imbarazzo.
Vincent
piega la testa di lato e l’angolo destro della sua bocca fa
capolino dal lungo collo del suo mantello rosso sangue, mostrando una
linea
neutra. La smorfia che prima rallegrava la sua espressione marmorea
è
scomparsa, lasciando posto a un esasperato disappunto.
-
Immaginavo che non avresti chiesto spiegazioni. -, spiega con voce
sconfitta, - Ma almeno insospettirti della presenza di una persona che
non
dovrebbe nemmeno sapere dove sei…-
No,
DECISAMENTE l’imbarazzo non è andato a stemperarsi
manco per
niente, grazie a quel fastidioso tono da maestrina.
-
Quanto siete puntigliosi, voi Valentine… -, mi lascio
sfuggire a
mezza voce.
-
Guarda che ti sento, Cloud. E anche Lui. -, rincara il pistolero.
Mi
porto le mani alla testa, grugnendo ormai esasperato, e vorrei
rispondere per le rime, ma un tocco gentile sulla spalla mi astiene
dallo
sbottare malamente.
-
Cloud, calmati. -, sussurra dolcemente Tifa, afferrandomi il braccio
con l’altra mano e guardandomi dritto negli occhi. Sento la
calma invadere la
mia mente in subbuglio, mentre mi perdo in quelle iridi color resina.
Lei
mi sorride, poco prima di rivolgersi a Vincent, con espressione
dispiaciuta.
-
Scusa, Vincent, so di essermi sobbarcata di questo onere,
ma… sai… è
passato tanto tempo… -
Le
gote della pugile s’imporporano, mentre l’imbarazzo
torna a
colorare il suo viso d’angelo. Un sorriso spontaneo mi sorge
sulle labbra,
mentre la sua tenera ammissione fa breccia nel cuore di Materia
dell’uomo di
fronte a noi. Egli sospira con una nota paziente e scuote la testa.
-
Non importa, Tifa. Anzi, scusami per essere stato così
insensibile.
–
La
mora sorride comprensiva.
-
Beh, solitamente è da te essere così franco.
–, sottolinea Tifa.
Dal
canto suo, Vincent distoglie lo sguardo e lo rivolge in un punto
imprecisato nel corridoio.
-
Già… -, ammette, distratto.
Mi
permetto di osservarlo con più attenzione. La prima cosa che
salta
all’occhio sono impercettibili rughe avvallare la pelle degli
occhi, della
fronte e del naso, come se l’espressione del pistolero fosse
stata più
corrucciata del solito, negli ultimi tempi. I suoi occhi, solitamente
così
fiammeggianti, sembrano aver perso vigore e sostanza. Anche la sua
postura,
normalmente fiera ed eretta, sembra appesantita, come se un macigno
gravasse
sulle sue immortali spalle. Credevo fosse un’impressione, la
prima volta che lo
notai, incolpando il lungo viaggio e la mia galoppante carenza fisica;
ma ora
mi rendo conto che il vampiro senza età sta
effettivamente… invecchiando?
-
Vincent… Tutto bene? -, chiedo, d’impulso.
Egli
mi rivolge un lungo sguardo. Al contrario delle altre volte, esso
è vuoto. Sembra che un pesante velo impedisca alle sue
emozioni di fare
capolino dai suoi occhi solitamente così espressivi.
Mi
si stringe il cuore. So cosa vuol dire uno sguardo del
genere…
-
Takara … -, Vincent prende un profondo
respiro, infondendosi coraggio, - E’ scappata. –
Durante
il percorso tra la stanza in cui mi sono risvegliato e la
nostra meta, Vincent e Tifa hanno avuto modo di ragguagliarmi
rapidamente sulla
situazione. In breve, qualche ora dopo che sia io che Takara eravamo
caduti in
un sonno profondo, dei ricognitori avevano intercettato un convoglio
nemico
diretto dritti verso Yaido. In fretta e furia, il castello è
stato evacuato e
gli alleati avvertiti.
-
Alleati? -, chiedo confuso.
Tifa
mi mette una mano sulla spalla e mi rivolge uno sguardo
ammiccante.
-Lo
vedrai. –
Appena
detto questo, infatti, l’ennesima porta di metallo si
spalanca
di scatto appena rileva il nostro arrivo, mettendo in mostra la stanza
al di là
di essa. Si tratta di una sala di controllo, molto simile a quella
della Shera,
ma molto più in grande. Sul ponte principale, elevato al di
sopra dei computer
e della grande paratia panoramica, vedo due figure discutere. Riconosco
Weiss
il Bianco e…
-
Reeve… –
Il
suddetto s’interrompe e si volta nella mia direzione,
accogliendomi
con la sua solita espressione bonaria.
-
Ah, Cloud! Ti vedo in forma, grazie al cielo. Ne è passato
di tempo!
–
Non
rispondo e continuo a fissarlo, mentre mi avvicino. Ripercorro
rapidamente le miriadi di avventure che mi sono capitate in questo
periodo, e
mi sovviene che l’ultima volta che ho parlato con lui era
stato con Gast.
Quest’ultimo sapeva dei miei tracolli, dei mille effetti che
quel maledetto
libro avesse su di me e gli Esper sanno cos’altro. Tutte
queste informazioni
arrivavano da Reeve.
-
Quindi… mi pare di capire che siete tutti una grande
famiglia
felice. -, commento piccato.
Weiss
mi fulmina con lo sguardo, mentre Reeve prorompe in una
fragorosa risata.
-
Ahahahahah! Oh, Cloud! Diciamo che ci supportiamo e…
sopportiamo a
vicenda. –
-
Sarebbe molto più facile sopportarti, se non ci lasciassi
sempre
all’oscuro dei tuoi intrallazzi -, rimbecca un ringhiante
Weiss.
L’ilarità
dell’ex-direttore si spegne rapidamente e i suoi occhi
vengono rimandati al cielo, in un gesto esasperato.
-
Di nuovo con quest’accusa, Weiss? -, prorompe, - Quante volte
devo
ripeterti che non c’entro con la ShinRa? –
-
Quando finalmente mi dirai perché hai consegnato il diario a
lui,
anziché alla sua legittima proprietaria. -, risponde
prontamente l’ex Tsviet,
indicandomi con furia.
Vedo
Reeve sospirare, amareggiato. Conosco quel comportamento. A
quanto pare, ci sono parecchi segreti ancora da sviscerare. Dietro di
me,
avverto sopraggiungere Vincent, il quale richiama all’ordine
con la sua
consueta pacatezza.
-
Finiamola. Abbiamo problemi più importanti di cui occuparci.
–
Il
Bianco grugnisce e, prima di andarsene, scocca uno sguardo
ammonitore verso Reeve.
-
Ti tengo d’occhio, scarto di ShinRa… -, sibila,
puntandogli l’indice
ammonitore al petto.
Appena
l’ex leader di Deepground lascia la stanza, il moro si lascia
scappare un brivido.
-
Uff, non è gente facile con cui avere a che fare. -,
commenta
sconsolato, - Ma il loro aiuto è fondamentale per la WRO.
–
-
Reeve, -, faccio una pausa, durante la quale monopolizzo la sua
attenzione, - cosa sta succedendo? Perché Takara se ne
è andata? –
L’uomo
sospira e si gratta il retro della
testa, in visibile difficoltà; dopodiché mi si
avvicina e mi fa cenno di
seguirlo.
Appena
la porta della sua cabina si chiude, vengo assaltato
inaspettatamente dai miei compagni dell’AVALANCHE. Prima tra
tutti, Yuffie.
-
CLOOOOOOUD! FINALMENTE! ERAVAMO COSÍ
PREOCCUPATI! –
La
ninja mi salta al collo e, per poco non mi fa cadere, ondeggiando
di qua e di là, come in preda a una crisi isterica. Cerco di
liberarmi, ma ho
bisogno di supporto, il quale arriva prontamente dal Capitano che la
stacca da
me con la decisione di un pescatore con un’ostica cozza.
-
E lascialo in pace, mocciosa petulante! Non lo vedi che è
debole
come un poppante?! –
-
Sei il solito bruto, vecchiaccio! -, rimbecca la principessa,
dimenandosi dalla presa di Cid, con modi DECISAMENTE poco regali.
Nel
frattempo, avanzano anche Barret e Red XIII.
-
Sempre a invischiato in qualche casino, Spikey? Non riesci stare
lontano
dai guai nemmeno volendo. –,
rimprovera
il capo di AVALANCHE con ben poco celato rimbecco, mentre di sferra una
poderosa pacca sulla spalla con fare tra lo stizzito e
l’amichevole, per poi
aggiungere, - Anche se stavolta sei davvero in buona compagnia. -,
rivolgendo
uno sguardo accigliato nei confronti di Vincent.
-
Felice di rivederti, Cloud. –, saluta, invece, Nanaki con la
sua
solita pacatezza e semplicità, sedendosi di fronte a me,
sornione.
Io
mi limito a rivolgere loro un sorriso sghembo e una grattata
imbarazzata alla nuca.
-
Ehi! Ma è vero che quel bastardo, psicopatico, ammazza-Wutai
di Sephiroth
ha avuto una figlia?! -, sbotta Yuffie, strillando dal fondo della
stanza,
approfittando di un piccolo punto debole nella presa del Capitano.
Imbarazzato,
mi volgo alle mie spalle, dove Vincent staziona
silenzioso e granitico, nella sua insondabile postura. Quando penso che
non
reagirà a quella sequela di insulti rivolti al figlio, egli
sbotta con un
sibilante e lapidario: - Taci, Yuffie. –
Il
gelo avvolge la stanza. Tutti rimangono straniti dal comportamento
così esposto del pistolero. Dagli sguardi attoniti, direi
che nessuno capisce
il motivo di quest’uscita. A quanto pare, il moro ha omesso
qualche dettaglio
della storia. A spazzare via la tensione, interviene Reeve.
-Ehm-
ehm. Credo sia il caso che vi inizi a spiegare la situazione
attuale. -, esordisce l’uomo schiarendosi la gola, - E, per
la cronaca, sì,
Yuffie. Avrei voluto che la conosceste, ma attualmente risulta
scomparsa e,
fondamentalmente, questo è il nostro problema. –
-Un
momento-, interviene Cid, lasciando andare Yuffie e movendo un
paio di passi in avanti, visibilmente confuso, - Io credevo che fosse
una
fesseria, invece, mi state dicendo che esiste DAVVERO un erede di
Sephiroth? –
-
E’ quello che diciamo da mezz’ora, vecchio bacucco!
-, rimbecca la
ninja, facendogli la lingua.
-
Ascolta il tuo bello e chiudi la ciabatta, mocciosa! –
Un
sorriso mi nasce sulle labbra. Dopo così tanto tempo, uno
sprazzo
di normalità. Non avrei mai creduto che tutto questo mi
sarebbe mancato così
tanto e di quanto prezioso sia anche solo un ridicolo battibecco fra
amici sia.
Non mi ero mai soffermato ad apprezzare questi piccoli momenti, di
quanto bella
sia la sensazione di essere circondato da persone che ti amano e che
farebbero
di tutto per te. Li osservo uno ad uno e una stretta allo stomaco mi
tronca il
respiro per un momento. Mi rendo conto che loro sono qui nonostante
tutto.
Nonostante il mio caratteraccio, nonostante i pericoli, nonostante il
loro
desiderio di tranquillità. I miei amici…
Gli ho sempre dati per scontati.
Loro, c’erano sempre comunque per me.
Non
ti hanno mai lasciato andare, Cloud.
Mi
volto verso Tifa. Il suo sguardo corrucciato è adorabile,
mentre
osserva angustiata lo sciocco diverbio tra Cid e la Principessa di
Wutai. Ad un
certo punto, lei sembra avvertire la mia attenzione su di sé
e rivolge i suoi
occhi nella mia direzione. Appena ci guardiamo, il suo volto
s’illumina con un
rassicurante sorriso.
Nemmeno Tifa lo ha mai fatto,
sebbene le avessi dato tutte le ragioni del mondo.
Ti
ama davvero.
Ci meritiamo tutto questo?
Che
domanda stupida, Cloud…
Trattengo
una risata, ma una domanda sorge spontanea.
Cosa ti ha tenuto insieme in
questi anni?
Il
silenzio cade nella mia mente, ma non è vuoto.
L’immagine del
Generale intento a ponderare la domanda s’imprime nei miei
pensieri.
Sono
morto così giovane, Cloud… Mi rendo conto solo
ora di quanto presto la mia vita
è finita. Quando Jenova mi ha accolto, ho creduto di avere
una seconda
possibilità, ma quando mi ha usato per mettere a ferro e
fuoco l’intero
Pianeta, ho capito che non era quello che volevo… Ma era
troppo tardi. Ero
intrappolato in un limbo infinito, con le grinfie di Jenova chiuse
attorno alla
mia anima, senza uscita, senza più possibilità di
scampo. Ho creduto di
arrendermi e credo di averlo fatto ad un certo punto; ciononostante non
sono
riuscito ad accettare di rimanere impassibile quando ho visto in quale
baratro
ti stavi infilando per inseguire ciò che ti ossessionava. Ho
rivisto me stesso
in te. In coscienza, non potevo permetterlo. Sei l’uomo che
mi ha ucciso. Te lo
dovevo.
Hai uno strano modo per mostrare
la gratitudine.
La
tipica risata contenuta del Generale riecheggia nella mente.
Avverto il cuore stringersi in una morsa di orgoglio, appena mi rendo
conto di
quanto spontanea e sincera quell’ilarità sia. Una
risata che solo pochi hanno
avuto il privilegio di ascoltare e di scatenare.
-
Cloud? Ci sei? –
Vengo
riscosso dall’ alienazione grazie alla voce rassicurante di
Tifa, il cui tocco dolce e delicato si posa soave sulla mia spalla.
Guardo lei
e poi spazio il gruppo di fronte a me, di cui senti gli occhi studiarmi
preoccupati.
-
Non temere, Tifa. E’ normale. Pare che Sephiroth sia un
ottimo
intrattenitore. -, spiega Vincent divertito.
Ora
la preoccupazione dei miei amici si trasforma in sgomento, dopo la
frecciata del pistolero.
-
Lo avverti ancora? -, chiede Tifa, apprensiva.
-
Non credo se ne sia mai andato, direi. -, poi mi sento di aggiungere
rapidamente, rivolgendomi a tutti, - Ma, non temete, è tutto
sotto controllo.
Lui… non ha cattive intenzioni. Stavolta. –
Le
mie assicurazioni non danno l’effetto sperato, tuttavia. Ci
sono
varie reazioni negli occhi dei miei compagni, ma vedo per lo
più delusione. Per
loro, io sono sempre stato il più strenuo oppositore contro
qualunque cosa
spuntasse fuori dai viscidi abissi jenoviani, in particolare il mio
mortale
nemico. Sentirmi ora, difenderlo ed etichettalo un nostro alleato, deve
sembrare così strano alle loro orecchie. Il mio sguardo si
posa su Yuffie,
dalla quale arriva il biasimo più mordace. Oltre me e Tifa,
lei è un’altra ad
avere un conto in sospeso col Generale. In Wutai, lui è
ancora considerato un
nemico della patria, nonostante siano passati anni dalla guerra.
-
Yuffie… -, esordisco, accorato.
-
Sì, lo so.-, m’interrompe alzando le mani, -
Vincent ce lo ha
spiegato. Però… mi è difficile
crederlo. Come mi è difficile credere che
davvero quel mostro amasse il mio Paese. -, ammette la principessa,
distogliendo lo sguardo dal mio e rivolgendolo verso
l’oblò. Studio per un
lungo istante il suo viso. Non credo di averla vista mai
così triste. Le ferite
della guerra sono più profonde di quanto la fiera e
patriottica Yuffie possa
mai ammettere con se stessa. Guarda l’esterno, conscia di
stare sorvolando la
sua beneamata terra; quella terra su cui è stato versato
tanto, tantissimo
sangue. Il tutto per cosa? Per qualche reattore mako…
-
Il vero nemico del mondo è sempre stata la
ShinRa… -, dichiaro.
Lei
ricambia il sorriso mesto che le rivolgo, inarcando appena le
labbra all’insù, e mi rivolge uno sguardo
fiducioso.
-
D’accordo, voglio fidarmi, Cloud. In fondo, hai sempre fatto
la
scelta giusta. Inoltre, ci siamo affannati così tanto per
trovarti e sarebbe da
scemi completi (insomma come Cid) abbandonarti nel bel mezzo di una
missione.
-, dichiara, infine, la principessa sorridente, scoccandomi
un’ammiccante occhiata
d’intesa.
-
Per una volta, mocciosa, hai detto una cosa sensata e per questo
passerò sopra al fatto che mi hai dato dello scemo. -,
interviene Cid,
scoccando un’occhiataccia alla ninja, per poi rivolgermi
verso di me, - Anche
perché ti dobbiamo riportare a casa per darti dei bei calci
in c@7o per quello
che ci fai sempre passare! –
Lascio
scappare uno sbuffo divertito.
-
Severo, ma giusto, Cid. –
Abbasso
poi lo sguardo verso Nanaki, il quale mi scruta con quei suoi
ancestrali occhi dalle sfumature del fuoco.
-
Quando si tratta di Sephiroth, non ci sono Numi che tengano. Sei la
sua nemesi, l’unico in grado di annullarlo. E, a quanto pare,
di comprenderlo
meglio di chiunque altro. -, analizza l’animale, -
Te… e Vincent. -, aggiunge
volgendo il suo sguardo eloquente verso quest’ultimo.
Annuisco
sorridendogli per poi volgere la mia attenzione verso
l’ultimo rimasto: Barret. L’omone è
rimasto in silenzio ad ascoltare, ad
osservare, a valutare. La sua espressione impassibile mi mette in
agitazione. O
meglio, agita Sephiroth. Il nord-coreliano è sempre stato il
più fervente
avversario della ShinRa, raccogliendo di buon grado
l’eredità dei suoi
predecessori e potare avanti gli ideali ambientalisti
dell’AVALANCHE. Ideali in
pieno contrasto con la concezione di SOLDIER, ma dai modi molto simili.
Quante
volte si è visto affrontare ondate di agenti
d’élite dai letalissimi intenti.
Ma, appena l’uomo-mitragliatrice parla mi rendo conto che i
suoi pensieri sono
concentrati su una sola persona.
-
Io mi rivolgo a te, Sephiroth. -, esordisce, mettendo il Generale
sull’attenti, - Da padre, capirai bene che io farò
di tutto per proteggere mia
figlia. E quando dico di tutto, intendo di tutto. -,
l’uomo-mitragliatrice
s’interrompe rivolgendoci un lungo, severo, ma soprattutto,
determinato
sguardo, - Sei stato avvertito. –
La
minaccia sibilata dal capo dell’AVALANCHE mi toglie il fiato
e
sorridere comprensivo il Generale. Capisce quell’intento, oh,
Esper, se lo
capisce. E’ stato il centro della sua intera, travagliata,
avventura. Mi sento
messo da parte appena mi rendo conto di non subire lo sguardo di
Barret, ma
bensì di scambiarlo. L’intesa è
suggellata, l’accordo è stretto. Mi rendo conto
che i due non sono poi così diversi. Hanno entrambi quella
grinta, quella
determinazione, quello spirito di sacrificio degne dei grandi
comandanti. O dei
padri più amorevoli. Entrambi così dediti alle
rispettive famiglie… entrambi
pronti a gettarsi nelle fiamme dell’inferno per loro.
Alla
fine, egli usa il mio corpo per annuire solennemente. Barret
assente di rimando, secco, con la sua solita genuinità.
Avverto
un’ondata di ottimismo invadermi da cima a piedi. Credo che
il
Generale abbia allentato la tensione che gravava sul cuore, intimorito
dalla
prospettiva che il suo grido di aiuto non venisse per
l’ennesima volta
ascoltato.
Non sei più solo…
-
Bene, sono contento che abbiate accettato l’inusuale
situazione. -,
s’intromette Reeve, gioviale, - Purtroppo, il tempo a nostra
disposizione sta
rapidamente scadendo, - continua rabbuiandosi –
-
La Shinra…? -, tento, titubante, ma dentro di me conosco
perfettamente la risposta.
-
Oh no… molto peggio. -, l’ex-direttore ci rivolge
uno sguardo spaventato,
- Jenova ha trovato Takara. Entrando in contatto con te, Cloud, la
nostra ragazza
è entrata in contatto con quel mostro. Nessuno sa
esattamente cosa sia
successo. Sappiamo soltanto che probabilmente è stata
impossessata da un’idea
che non ha saputo sopprimere. Non stavolta. Credo che voglia aiutare i
suoi
genitori, però… -, un brivido di paura lo scuote
da capo a piedi, troncando il
discorso, - La Calamità farà di tutto per
corrompere la sua anima e poter
finalmente sbilanciare la guerra a suo favore. Takara è il
Dono della Dea che
tanto cita LOVELESS. Una creatura nata dalla fusione della progenie
umana delle
razze Cetra e astrale, il cui compito sarebbe quello di riportare
queste due
grandi forze in equilibrio. Una sorta di arbitro… -,
s’interrompe, sospirando
profondamente, - Se il suo giudizio venisse offuscato da sentimenti di
vendetta? Se Jenova dovesse convincerla che la causa di tutti i suoi
mali sono
gli esseri umani? Noi, coloro i quali le hanno portato via i genitori,
imprigionata, gettato questo mondo nel caos? –
Un
silenzio attonito avvolge la stanza, mentre Reeve, che ormai ha
perso la sua proverbiale bonarietà, si massaggia la fronte
con la destra, come
per scacciare via quel disturbante pensiero.
-
Per anni -, ricomincia, - ci siamo presi cura di lei, istruendola
sul suo passato, sul mondo, sulla sua natura; affinché non
rimanesse all’oscuro
di nulla. Sapete, per evitare un altro Sephiroth. -, mi scocca
un’occhiata e
poi sospira mestamente, - Genesis è quello che
più si è legato a quella
bambina. Credevo che i suoi sensi di colpa avrebbero fatto in modo di
spingerlo
verso la redenzione. Invece, ho scoperto che lui ha taciuto parecchi
segreti
sia a Takara che al resto di noi. Per esempio, il diario…
Sai chi fu a portarlo
via da Nibelheim, il giorno dell’incidente? –
Rimango
in silenzio e ricambio lo sguardo eloquente di Reeve, realizzando
di non esserne stupito affatto. In effetti, sospettavo che Genesis
avesse
tenuto d’occhio Sephiroth, fin da dopo l’efferato
omicidio della moglie; in
attesa del momento propizio per assestare alla sua deragliata mente il
colpo di
grazia.
-
Come è arrivato il diario a te, allora? –, chiedo,
dopo un momenti di
riflessione.
-
E’ una storia complicata, in effetti. Dovresti chiederlo a
lui,
anche perché nemmeno io sono al corrente di tutti i
passaggi. Quello che so è
che è riuscito a tenerlo nascosto per parecchio tempo.
–
-
E’ ancora vivo? -, chiedo, stupito.
Il
moro sospira e si passa la mano sul mento, indugiando sul pizzetto
ben delineato, scuotendo la testa di lato: - Diciamo di sì,
anche se il
processo di degradazione sta avanzando esponenzialmente, sia a causa
delle
ferite che alla mancanza di un novello afflusso di sangue S.-,
s’interrompe e
abbassa la testa, mesto, - Non gli rimane molto da vivere. –,
conclude con un
sospiro.
Un’altra
morsa allo stomaco mi tortura le viscere. E una strana,
incombente, definitiva realizzazione di una dipartita troppo prossima
da
sopportare avvolge ogni singola cellula di me. Mi rendo conto che,
Sephiroth
prova ancora un forte sentimento di amicizia nei confronti del vecchio
compagno, seppellito sotto uno profondo strato di odio, rabbia e
rancore; ma
che, di fronte alla concreta realtà, è riemersa
come una deflagrazione. Come mi
ha confessato il Generale, infatti, egli recrimina il fatto di non
averlo
salvato, di non essere stato in grado di accogliere quel suo disperato
grido di
aiuto. Ma più di tutti, non si riesce a perdonare se stesso.
E maledice con
tutta l’anima quel giorno nella Sala Addestramenti.
I
want you
beg for forgiveness
[Chiedi
perdono. Sephiroth,
FFVII:ACC]
Devi
parlargli…
L’ordine
del Generale arriva perentorio alle mie orecchie. Quasi…
disperato. Avverto il suo dolore, il suo soverchiante dispiacere.
Avverto
impellente la sua volontà di alleggerire l’anima
dell’amico morente, perché SA
che non vi sarà un luogo pronto ad ospitarla.
-
Reeve-, evoco, - ho bisogno di parlare con Genesis, prima che sia
troppo tardi-, poi mi affretto ad aggiungere, - Magari sa qualcosa su
dove
potrebbe essersi diretta Takara. –
-
Non credo. -, risponde il diretto interessato, - Abbiamo provato ad
interrogarlo, ma è davvero troppo debole. Inoltre, non credo
nemmeno voglia
rivelarci alcunché. –
Insisti.
-
Magari non vuole rivelare niente a voi. -, dichiaro per poi apporre
la mano sul petto, - Ma forse a Sephiroth sì. –
Lascio
che la frase sfumi e dia l’effetto sperato. Reeve mi osserva
studioso e giochicchia con ciocche della barba, ponderando la proposta.
Dopodiché, annuisce e mi fa cenno di seguirlo.
La
cabina è semivuota, eccenzion fatta per la branda spartana,
un
respiratore, apposto ai piedi del letto contro la parete alle spalle di
esso, e
un comodino su cui sono allineati strumenti operatori e garze pulite.
Le
paratie metalliche sono fredde, amplificando la gelida sensazione della
morte
imminente. Un minuscolo oblò è l’unica
fonte di luce della stanza, ma getta una
tagliente ombra obliqua sul viso sofferente dell’uomo al di
sotto dello stesso.
La maschera del respiratore copre quasi totalmente le sue fattezze, ma
è
possibile notare leggere contrazioni smuovere le ombre cadute sulla sua
pelle desquamata.
Perle di sudore e gemiti soffocati svelano la profonda sofferenza e la
strenua
battaglia combattuta dall’ex Comandante. Una battaglia,
l’ennesima, cui è
destinato a perdere. Faccio spaziare l’attenzione sul suo
corpo, dove il petto
magro e ricoperto di garze zuppe di sangue spunta fuori dalla pesante
coperta.
Il respiro è affannoso, impellente…affamato.
Sembra che l’ossigeno erogato non
tenga il passo dell’ingente degradazione e la conseguente
copiosa emorragia.
Una flebile e soffocato fischio esce dalle sue labbra semi dischiuse,
mentre
vorace cerca di introiettare più aria che può.
Eppure,
nonostante le gravissime condizioni, egli mi fissa con quei
baluginanti occhi di mako blu, unico accenno di vitalità in
un altrimenti corpo
morente. Non v’è né superbia,
né rancore, né arroganza in quelle iridi. Tutto
quello che era stato Genesis in vita è scomparso, lasciando
posto a quella
parte più fragile e profonda di sé: quella
impaurita e schiacciata da una colpa
così grande da sopportare per un solo minuto di
più. Mi guarda rassegnato,
sconfitto e… stanco.
E’
uno sguardo che conosco bene, visto nei ricordi di Sephiroth, che
perfino il Generale ha vissuto in prima persona.
Rimaniamo
per minuti infiniti a fissarci reciprocamente, nel tentativo
di ritrovare quell’intesa, quella complicità
dispersa chissà dove nei recessi
di questi animi corrotti; finché un rauco articolato giunge
alle mie orecchie.
-Sephiroth…
-
A
malapena riesco a comprendere il significato di quel suono. Se i
miei sensi non fossero stati potenziati dagli esperimenti di Hojo, non
credo
che sarei in grado di sentirlo.
Come
immaginavo, Genesis sembra essere capace di percepire il suo
commilitone, o almeno ha intuito che attraverso me, lui gli
può parlare. Mi
avvicino al lato del letto e mi inginocchio al suo livello,
così che mi possa
guardare più agevolmente in faccia. Il sudore ha imperlato
ulteriormente la sua
pelle, a causa dell’enorme sforzo impresso per voltare la
testa di qualche
grado verso l’alto. Un movimento minimo, ma, nelle sue
condizioni, disumano. Mi
stringe il cuore nel vederlo in quello stato, in totale contrasto con
il
ricordo della sua fulgida potenza, puntualmente propinato da Sephiroth
stesso.
Automaticamente, senza nemmeno che me ne renda conto, la mia mano
sinistra va a
stringersi attorno a quella di Genesis, abbandonata sul panno che lo
ricopre.
La sua pelle è ruvida, scagliosa, coriacea, sembra quasi
sull’orlo di spezzarsi
al minimo strofinio. Piccoli tagli, infatti, si aprono rapidamente,
lì dove la
mia morsa si è accanita con più veemenza. Preso
dal panico, cerco di
abbandonare il palmo, ma una debole, debolissima, resistenza mi
trattiene.
Guardo Genesis, osservarmi con uno sguardo enigmatico.
-
Sephiroth… -
Il
rauco si è trasformato in guaito strozzato,
poiché la sua voce è
stata rotta da lacrime amare, che stanno abbandonando gli occhi del
SOLDIER.
Stringo
la mandibola, per reprimere l’ennesimo colpo al cuore.
-
Ti ascolta. -, rispondo, rivolgendogli l’espressione
più morbida
possibile.
-
Io…-, un respiro sibilante, - non ti ho…-, un
altro sibilo,- mai…-,
egli prende un respiro lunghissimo, emettendo un lungo fischio,-
chiesto… -, il
petto si alza ed abbassa ad un ritmo impressionante, - Scusa...-
Esausto,
si rilassa contro il materasso, emettendo un lungo, lugubre
sospiro.
Anche
se coperto dalla mascherina, è possibile apprezzare la sua
espressione totalmente, ineluttabilmente contrita, rotta da un pianto
incontrollabile, figlio di una paura ancora più viscerale.
Sa che sta per
morire, sa di aver sprecato ogni occasione di redenzione che gli si
è
presentata. Takara se ne è andata, abbandonandolo sul suo
letto di morte. E’
solo. I suoi amici lo hanno maledetto anni prima, augurandogli una
lenta
dolorosa morte, come scotto per i crimini commessi. Crimini che nessuno
sembra
essere disposto a perdonargli. Come potrebbero? Lui è un
mostro senz’anima,
senza cuore, senza pietà. Ha ucciso tante persone. Ha ucciso
i suoi
commilitoni. I suoi genitori. La madre della sua figlioccia. La moglie
del suo
idolo. Del suo rivale … Del suo migliore amico…
E
per cosa?
Per…
per…
Niente…
A
nulla sono valsi i suoi sacrifici.
La
sua Dea non l’ha voluto.
Il
suo prezioso dono non l’ha voluto.
Il
Lifestream non lo vorrà.
Morirà
senza nulla, senza che nessuno si ricordi di lui.
Ha
lasciato il buio e le fiamme dietro di sé.
Senza
passato, senza futuro.
Nulla
di lui resterà.
Piange,
disperato, conscio dell’incubo che presto lo
coglierà.
Di
quella reminiscenza di amico che sembra divorarlo con
l’attesa di
un responso. O distruggerlo col suo silenzio.
In
fondo, cosa gli disse l’ultima volta che
s’incontrarono?
You’ll
rot
[Tu
marcirai, Sephiroth,
FFVII:CC]
A
ragione… Gli aveva portato via tutto. Era la causa maxima
della
sofferenza dell’altro. Della disperazione di una figlia
privata della madre e costretta
a vivere lontano dal padre. O impaurita da esso. Difficilmente
può dimenticare
l’espressione della bambina, osservare agghiacciata la
terribile palla di fuoco
infiammare il cielo senza pietà.
Cosa
aveva fatto?
Lui
aveva portato quell’uomo sulla strada intrapresa. Una strada
che
egli aveva cercato di evitare tutta la vita. Lo sapeva…
Eppure, ce lo ha
guidato senza un briciolo di rancore.
Senza
pensare alle conseguenze.
In
fondo, sei sempre stato così, Genesis.
Hanno
provato tante volte a cambiarti, ma non ci sono mai riusciti;
anzi sono sempre stati gli altri a cambiare per te. Ma il Pianeta non
segue le
tue regole.
Tu
odiavi le regole. Le sfidavi con tutta la tua forza, eppure sei
arrivato a un punto, dove certe regole non potevano essere infrante,
altrimenti
il costo sarebbe stato troppo alto.
Oh,
ma tu l’hai pagato quel conto… Oh, se
l’hai pagato!
Il
prezzo della libertà. O presunta tale…
Nessuna
fanfara di gloria per te, angelo caduto… Solo silenzio,
disprezzo
e solitudine.
E
ora, nei tuoi ultimi istanti, piangi dolente, incapace di respirare,
incapace di far valere le tue ragioni.
La tua ultima
occasione…
- Even if the future
is barren of promises, nothing shall forestall my return. [Anche
se il futuro
è arido di promesse. Niente ostacolerà il mio
ritorno. Atto III, LOVELESS] -.
La
voce di Sephiroth soppianta la mia, mentre egli accompagna quelle
parole fuori dalle mie labbra. Quella frase che per il rosso
è sempre stata
caricata di scherno ed arroganza, ora, dalla voce calma e pacifica del
Generale, risuona in modo totalmente differente.
C’è una sottintesa aura
rassicurante che accarezza ogni singola sillaba, simile a quella usata
da un
padre che cerca di confortare il proprio spaventato figliolo. Come
volevasi
dimostrare, il Comandante rilascia la tensione dei muscoli e sprofonda
tra le
coltri morbide ed accoglienti del suo capezzale. Le palpebre si
serrano,
rilassate, per un momento, mentre un profondo e lungo sospiro sibila
attraverso
la mascherina. Quando le risolleva, quella luce spaventata e colpevole
è
totalmente sparita dai suoi occhi; soppiantata da uno sguardo pieno di
riconoscenza. Un flebile sorriso viene appena intraveduto spiccare al
di sotto
della plastica semi-trasparente, contemporaneamente i lineamenti del
banoriano
vengono definitivamente distesi, in un’espressione di pura
pace. Sephiroth
risponde, inducendo i lati delle mie labbra a sollevarsi appena, in un
sincero
arco di compassione. I due amici si sono riappacificati, stavolta per
davvero,
senza rabbia e rancore, senza alieni e morte. Solo loro. Due uomini,
due
soldati, due amici.
Le
forze di Genesis iniziano a venire a meno, come dimostra la
difficoltà di questi a continuare a sostenere il nostro
sguardo. Le palpebre si
fanno pesanti, gli occhi si velano, il respiro si fa sempre
più affannoso.
Avverto
la mia mano sinistra venire stretta con più veemenza a
quella
dell’altro, in un guizzo deciso e rassicurante. Debolmente,
il rosso risponde,
avvolgendo le sue decadenti dita attorno le mie, con una forza
inaspettata.
Disperata. Sephiroth capisce quell’infido terrore che si
avviluppa in ogni
cellula; così come quella disarmante e ineluttabile
realizzazione. E’ una
sensazione disarmante, invalicabile, al di là di ogni
comprensione. Soprattutto,
per loro. Sono dei reietti il cui posto sul Pianeta non era stato
nemmeno
concepito; così come non esiste un aldilà pronta
ad accoglierli, ma solo un
vuoto, infinito, solitario limbo. Fa paura, ma, con quel guizzo,
Sephiroth
imprime al compagno un messaggio ben preciso: la loro agonia non
durerà ancora
a lungo e, forse, ad aspettarli ci sarà un radioso
futuro…
Lo
sguardo vacuo del Comandante si è fissato al soffitto, dove
le
ombre svolazzano e ondeggiano, ogni qualvolta una nuvola passa davanti
alla
luce sanguigna del giorno morente. Il ritmo respiratorio è
calato drasticamente.
Ma, poco prima di andarsene, immagini e visioni rapide invadono la mia
mente.
Dapprima, d’istinto, combatto contro quell’assalto
inaspettato, ma la voce
rotta del Generale si eleva contro la mia resistenza.
-Lascialo
entrare… -
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
-Il tuo corpo si sta avviando
verso un procedimento di decadimento tissutale che noi chiamiamo
‘degradazione’.
Il mako penetrato nel tuo corpo sta inducendo le tue cellule ad avviare
una
sorta di apoptosi indotta che… –
Smetto di ascoltare. Mi sento
uno stupido. Non capisco una singola parola proferita da
quell’uomo. Di solito,
sono un tipo sveglio e anni passati a leggere romanzi epici dai termini
altisonanti e arcaici hanno sortito l’effetto di armarmi di
un linguaggio
forbito ed articolato. E allora, perché non riesco a capire
una sola dannata
parola di quella frase, dal suono così simile a una
condanna? Forse la troppa
perdita di sangue ha annebbiato le mie abilità o la
vicinanza a quel
sempliciotto di Angeal ha irrimediabilmente compromesso le mie
facoltà mentali.
Il pensiero sciocco non sortisce l’effetto sperato e permango
immobile e
fissare il professore con aria assente.
- Hai capito, Genesis, quello
che voglio dire? –
NO, MALEDIZIONE! Avverto la
rabbia esplodere nel petto, ma ha solo l’effetto di spossarmi
ancora di più. La
testa mi gira avverto il sudore imperlare la fronte e il respiro
annasparsi.
- Non ti sforzare. Ancora non ti
sei ripreso. Ci vorranno altre trasfusioni prima di riuscire ad alzarti
ancora.
–
Assottiglio gli occhi, mentre
quella frase mi colpisce dritto nell’orgoglio. Sono
così schifosamente debole…
e per di più, devo pure dipendere da loro…
Chissà quanto se la stia ridendo
Sephiroth per avermi ridotto in questo stato.
- Quando potrò farlo allora? Non
ne posso più di stare sdraiato qui… –
La frase mi esce dalle labbra di
getto, rivelando una voce meno vibrante e incisiva del normale. Il
cuore perde
un battito, mentre mi porto la mano alla gola.
- Il processo di degradazione
riguarderà ogni aspetto della tua vita. E’
inesorabile. Tutto quello che
possiamo fare è rallentarlo con trasfusioni e cure adatte.
Per un po’, almeno. –
Questo l’ho capito. Ora il cuore
si ferma veramente. Un groppo ha strinto la mia gola, rendendo il
respiro
ancora più difficoltoso. Mio malgrado, cerco di deglutire.
- Volete dire… che
…morirò? –
Il professor Hollander si volta
verso di me e mi guarda veramente da quando è entrato nella
stanza. Con occhi
spietati e distanti, mi fissa a lungo. Fatico ad individuare
l’emozione che dà
vita alla sua espressione truce e congestionata.
- Sì. –
Un
brivido mi attraversa la schiena dall’alto in basso. Rimango
gelato come una
statua di marmo a fissare quell’uomo, chiedendogli
disperatamente aiuto. Ma
nulla arriva da lui, solo silenzio, spietatezza e… biasimo.
Ecco, cos’era…
biasimo.
- Ci dovevi essere, Genesis! Non
credo di aver mai visto il Presidente così incazzato!
Ahahahahahah! –
Angeal per poco non si ribalta
dalla sedia e Sephiroth, dal canto suo, allarga appena un po’
di più il suo
ghigno, sempre in modo odiosamente pacato. Non si sbilancia mai, lui.
Nonostante
tutti i miei sforzi, non sono mai riuscito a capire cosa lo porta a
trattenersi
così tanto, a non lasciarsi andare. E’ un mistero
che rimarrà tale, temo. Il
pensiero mi rabbuia appena un momento, ma abbastanza a lungo da
permettere a
Sephiroth di accorgersene. Ovviamente.
- Gen. Tutto bene? -
Ricaccio indietro il languore e
sfodero la maschera più insolente presente nel mio
repertorio.
- Ovviamente sì. Presto potrò
calcare di nuovo la ribalta e mi riprenderò
l’agognata rivincita. Non credere
che quella scaramuccia dell’altro giorno me la sia scordata!
–
I nostri sguardi s’incatenano
l’uno all’altro, ma per un istante tragicamente
breve. Sephiroth, infatti,
sembra quasi trattenere il respiro, mentre i suoi occhi rifuggono i
miei,
ricolmi di senso di colpa.
- Io e te non ci sfideremo più.
-, sentenzia alla fine.
- E questo cosa vorrebbe dire? –
L’onta subita mi accende
all’istante, tant’è che
l’impulso di afferrargli il bavero e scuoterlo diventa
preponderante. Mi abbandono all’istinto, ma la
realtà mi ricorda che certi
colpi di testa sono ormai al di fuori della mia portata. Un forte
giramento di
testa. Nausea. Spossatezza. I sintomi del degrado… Il
richiamo della morte.
Crollo a metà del gesto, col sudore freddo che
s’infila fin dentro i pori della
pelle. Rabbrividisco da capo a piedi e le forze vengono a meno. La mano
scivola
dalla presa sul bordo del letto e mi sento cadere, oltre che svenire. I
fumi dell’incoscienza
alterano i miei sensi, trasformando il pavimento in un famelico,
profondo, spaventoso
abisso. Il senso di vuoto mi artiglia lo stomaco già in
subbuglio e per poco
non ne rigetto tutto il contenuto. Mi sbilancio troppo in avanti e
troppo velocemente,
la pressione sanguigna crolla e il buio mi fa affacciare un attimo
nell’incoscienza. Un unico, allucinante attimo. Flash
sconclusionati e
incomprensibili di eventi confusi e incerti, voci distorte, per lo
più urla,
sapore e odore di sangue e fumo. Le mie mani intrise di liquido rosso
brillante, come quello che corona il corpo di una donna stesa sul
pavimento.
Non riesco a carpirne i dettagli, poiché la mia attenzione
viene attirata su
un’altra figura che si staglia sull’uscio
infiammato, viso rivolto verso
l’inferno di fiamme che impazza all’esterno. Il
dettaglio che mi attira sono i
lunghi capelli svolazzanti che le cingono le spalle strette e il fisico
longilineo. Il movimento voluttuoso di quelle chiome mi ricorda
Sephiroth, ma
il fisico fin troppo minuto mi suggerisce che si tratta di
un’altra persona, ma
molto affine a lui. La conferma mi viene data nell’istante
dopo, quando ella si
gira. E’ una ragazza giovane e bellissima. Non rimembro di
averla mai
incontrata, ma sento di conoscerla; tant’è che mi
ferisce il modo in cui quegli
occhi di mako gelido mi trafiggono con rabbia e la sua congestionata
espressione di furia. Non riesco a sostenere quello sguardo, sentendomi
sporco,
sbagliato. Un inutile, gretto, miserabile scarto di uomo. Ella alza il
dito
accusatore nella mia direzione. Mi sento impotente di fronte a lei e mi
rendo
conto di aver perso ogni volontà di combattere. Non contro
di lei… Io lo
merito. Merito il castigo che sta per calare sulla mia testa,
più spietata
della mannaia di un boia. Da quella ragazza… quella ragazza
a cui ho fatto un
torto così grave. A quella ragazza innocente…
Dove l’ho già vista?
-
Genesis… -
Evoca il mio nome. Io non ho il
coraggio di guardarla…
-Genesis…
-
Mi chiama ancora… Non
posso…
-
Guardami…-
Esito, ma non posso fare a meno
di eseguire quell’ordine.
Appena alzo lo sguardo, il viso
della ragazza trasfigura in quello di Sephiroth, combaciando
perfettamente.
- Genesis! –, chiama il Generale
con tono angosciato.
Rimango qualche secondo a
fissarlo, confuso. Quella ragazza così simile a
lui…
Egli mi scuote e mi accorgo che
i miei due amici mi stanno entrambi sostenendo a mezz’aria.
Sui loro visi è
dipinta genuina preoccupazione. Il mio stordimento è passato
e mi rendo conto
dell’insopportabile situazione di debolezza in cui mi trovo.
Con stizza, faccio
leva sul braccio di Sephiroth e mi spingo all’indietro,
ricadendo sul letto.
Sono esausto, ma la paura di mostrare la mia debolezza richiama forze
residue.
- Colpa di queste dannate flebo.
Mi hanno bloccato a metà del gesto… -, mi
giustifico rapidamente, fingendo di
esaminare le condizioni degli aghi infilati nella pelle.
- Certo. Le flebo… -, commenta
Sephiroth, acido.
-Sephiroth… -, lo redarguisce
Angeal.
L’ammonimento del mio vecchio
amico cade nel vuoto, scontrandosi contro il disinteresse del Generale.
O per
meglio dire, eccessivo interesse.
- Perché tutto questo mistero?
Perché
non ci dici le cose come stanno? Perché ci tagli fuori?
–
-Uh, da che pulpito… -, ribatto,
caustico, voltandomi verso di lui.
- Non cambiare argomento… -,
minaccia, bisbigliando pericolosamente.
- Frustante, nevvero? Sentire
che c’è qualcosa di sbagliato, ma ricevere
soltanto silenzio, o resistenza. -,
mi piego infidamente in avanti, rivolgendogli un sorriso beffardo, -
Ora sai
come mi sento… -, concludo, mimando il suo tono sibilante.
Lo vedo irrigidirsi da capo a
piedi e stringere i pugni così forte che se non avesse i
guanti probabilmente
si ferirebbe i palmi. Mi fissa come un predatore farebbe con la preda
designata
e so che la sua mente gli sta già urlando di tirarmi un
pugno in pieno viso. Ma
so che non lo farà. Il suo autocontrollo è enorme
almeno quanto il mio ego.
Anche se in questo momento, un cazzotto ben assestato per mettere fine
alle mie
sofferenze lo gradirei…
Desiderare
di morire, mentre LEI mi giudica…
La bambina non fa altro che
fissarmi incessantemente da quando ci siamo seduti per mangiare.
Nemmeno per
guardare il cibo ha mai distolto lo sguardo dalla mia figura. Non che
mi
infastidisca stare al centro dell’attenzione, ma avere quei
fari in particolare
puntati addosso mi fa sentire giudicato fin dentro il profondo. Per
quanto ci
stia provando, proprio non riesco ad ignorare la sensazione che sia
Sephiroth
stesso o sua moglie a guadarmi in questo momento. O meglio a
giudicarmi. Con
biasimo e disprezzo, probabilmente. Quegli occhi sono la sintesi
perfetta tra
tratti Cetra e Jenova. E’ sorprendente quanto LEI e LORO si
siano armonizzati
per dar vita a un essere totalmente nuovo. La definirei quasi la prima
di una
nuova razza di umano… Chissà che farebbe un certo
scienziato di mia conoscenza
se ce l’avesse tra le mani.
Un brivido di raccapriccio mi
scuote da capo a piedi.
Combattendo contro l’insistenza
di quegli occhi, mi alzo e inizio a raccogliere i rimasugli della
nostra cena,
per poi iniziare a prepararle il sacco. La piccola, naturalmente, non
si fa
sfuggire nemmeno una mossa del mio operato. Mi mette terribilmente in
soggezione il modo in cui mi studia, instancabile, nonostante
l’ora della
buonanotte sia passata da un pezzo. Inoltre m’inquieta il
fatto che non si
lamenti mai. L’ho rapita in piena notte da quella specie di
orfanotrofio, in
cui Lazard l’aveva scaricata, l’ho portata nel bel
mezzo del bosco, al buio,
con mostri in ogni angolo; eppure non ha mai emesso una singola parola
di obiezione,
nemmeno un flebile lamento. Se ne sta qua accanto a me a fissarmi,
apparentemente tranquilla. Non so nemmeno se comprende la situazione
che sta
vivendo. Sospiro e mi passo la mano fra i capelli, mentre inizio a
srotolare il
suo sacco a pelo.
E’
una cosina così piccola….
Poco più di un anno e già
conosce
così tanta sofferenza… Causata da me…
Stringo con rabbia la stoffa, mentre il
senso di colpa torna di nuovo a tormentarmi. Con un grugnito di stizza,
mi dico
di smetterla di indulgere in questi scrupoli. Ne va del
destino di tutti
noi, mi ripeto per l’ennesima volta.
Perso nelle mie elucubrazioni,
non mi accorgo che la bambina si è avvicinata a me. Per poco
non mi prende un
colpo, quando entra nel mio campo visivo.
- Wow, mi ha spaventato,
piccola. –, esclamo, cercando di dare alle mie parole
un’inflessione il più
possibile rassicurante, ma non mi sfugge sicuramente qualche nota
infastidita.
Non ci ha mai saputo fare con i
bambini…
Dal canto suo, lei continua a
studiarmi, chiusa nel suo innaturale silenzio, con la testa leggermente
inclinata di lato e l’espressione concentrata.
Sviando il suo sguardo per
l’ennesima volta, roteo gli occhi, amareggiato, e le chiedo,
attingendo a
quella dimenticata memoria che ho del wutaniano:
- Cosa c’è? –
La mia espressione è venuta
fuori più truce di quanto volessi, ma quel suo comportamento
mi sta davvero
dando i nervi. Non ne posso più di questo tribunale. E il
senso di colpa mi sta
letteralmente rivoltando lo stomaco.
Senza rispondermi, fa sbucare,
fuori dalla coperta che tiene sulle spalle, una manina minuscola e la
allunga
nella direzione del mio viso. Le ditina sono protese nella mia
direzione,
tremolanti e incerte. Sorpreso, permango immobile, osservandola
confuso. Il
calore della sua mano sembra un balsamo per la mia pelle degradata. Per
quanto
lo desideri non mi è più possibile rifuggire
quegli occhi, i quali mi osservano
con un’intensità tale da renderli magnetici. Lei
si avvicina ulteriormente,
facendo cadere la coperta dalla spalle, ma non se ne cura. E’
talmente
concentrata ad analizzare ogni singolo dettaglio del mio viso da non
considerare null’altro che esuli da quel preciso intento.
Improvvisamente,
sembra che una folgorazione la colpisca e si apre in un dolcissimo
sorriso.
Ogni mio dubbio svanisce appena
lei dà fiato alla sua conclusione. E il sangue mi si gela
nelle vene.
- Papà! –
-Genesis…? –
- Mh…? –, rispondo
distrattamente,
intento ad affilare il filo della mia cara vecchia Rapier, unica,
inseparabile
compagna di vita.
- Mio padre avrebbe voluto che
imparassi a combattere? –
Mi blocco a metà del gesto e
volgo l’attenzione su di lei. Sta colpendo i fili
d’erba con la sua spada di
legno, mentre ciondola in giro. Non mi sta guardando, ma so che sta
aspettando.
Fa sempre tante domande su suo padre. Sembra che le mie risposte non
siano mai
abbastanza. Mi si stringe lo stomaco al pensiero di quanto si senti
sola, per
quanto, comunque, non lo dia a vedere. Come Sephiroth. Mi scappa uno
sbuffo
malinconico, generato dal tenero ricordo della miriade di scontri nati
tra noi
proprio su quel punto. Tanto tempo fa… Il languore,
tuttavia, non raggiunge il
mio viso e, ritornando alle mie mansioni, liquido la domanda della
ragazza con
un’alzata di spalle e una risposta sbrigativa.
- Non credo… -
- Oh… -
Alzo di nuovo l’attenzione su di
lei e vedo che si rigira la spada di legno fra le dita con
l’espressione
corrucciata e lo sguardo basso.
- DEVI imparare a difenderti.
Per quanto l’idea non gli sarebbe piaciuta, anche lui avrebbe
convenuto con me…
-
- Se lui avesse convenuto, non
ci sarebbe nemmeno stato bisogno di insegnarmi a combattere…
-, ribatte lei.
Le rivolgo uno sguardo
ammonitore, il quale s’infrange contro
un’espressione determinata e
pretenziosa.
Rilascio il fiato e scuoto la
testa, sconsolato.
- Già, ma lui non
c’è. –,
ribatto con tono lugubre.
Permaniamo in silenzio per
qualche istante, rotto solo dal suono graffiante della pietra che passa
sopra
l’acciaio.
- Ma ci sei tu… -
Mi fermo di nuovo e le rivolgo
un lungo, doloroso sguardo. Purtroppo…
Sospiro e appoggio a terra spada
e pietra.
- Takara. -, esordisco,
passandomi la mano destra sulla spalla sinistra, - Lo sai che io sto
morendo… -
Carpisco, con la coda
nell’occhio, la sua espressione farsi dolente e la sua testa
amaramente
annuire.
- Per questo devi imparare a
combattere. Non ti potrò proteggere per sempre. –
Detto questo, mi alzo e la
raggiungo. Le poso le mani sulle sue spalle strette e gliele stringo
dolcemente. Lei si umetta le labbra, chiude gli occhi e sospira,
trattenendo un
gemito. Giungo i palmi sotto il suo mento e, applicando una leggera
pressione,
la induco a guardarmi. Quegli occhi tristi, verdi come il mako; quelle
indomabili ciocche ombrarle il viso, quelle labbra dischiuse e serrate
verso il
basso… ogni singolo dettaglio evoca suo padre. E, ogni anno
che passa, lei gli
assomiglia sempre di più. E ogni anno è un
affondo sempre più profondo al
cuore. Ma da un lato, questo mi rallegra; conscio che qualcosa di lui
sia
rimasto tra noi miseri mortali. Rivolgo un sorriso sincero alla
ragazzina di
fronte a me e le scosto dolcemente le ciocche dal viso.
- Ma finché avrò respiro, io
ti
proteggerò… mia Principessa. –
A quelle vuote rassicurazioni,
lei mi rivolge uno dei suoi solari e meravigliosi sorrisi, per poi
stingersi a
me, avvolgendo le sue gracili braccia ai miei fianchi e affondando il
viso nel
mio petto.
- E io avrò cura di te… -
Perso nei fumi della morfina,
riesco a malapena a distinguere la sua figura. Il suo giovane viso
è
congestionato da un’espressione indurita. Vuole sembrare
fredda, ma la conosco
troppo bene e so perfettamente che nel suo cuore sta impazzando un
inferno di
sentimenti, dubbi e sensi di colpa. Lo comprova quella sua fastidiosa,
ossessiva mania di lisciarsi le pieghe del vestito, anche quando
è palese che
non ce ne sia bisogno. Dopo poco, tuttavia, addossa stancamente la
schiena alla
parete accanto alla finestra, ponendo entrambe le braccia dietro di
sé. Emette
un sonoro sospiro, poi, come se avesse sentito qualcosa, alza la testa
e
appunta il suo sguardo al di fuori della finestra, lontano, verso Nord.
Concentro tutte le mie forze per metterla a fuoco. Adocchio il capo
sollevato
fieramente, il portamento elegantemente impeccabile, lo sguardo
meditabondo,
concentrato… sognatore.
Perfetta…
- Ti raggiugerò… -,
bisbiglia,
dopo un lungo silenzio, senza distogliere lo sguardo
dall’obiettivo. Muovo
appena la testa, volgendomi verso di lei.
Lei indirizza il suo sguardo
verso di me e mi sorride tristemente.
E’ un gesto che dura molto poco,
le labbra, infatti, tornano neutre, mentre lei di distacca dalla parete
e si
avvicina al mio capezzale. Una volta giunta, ella si piega su di me e
appunta
le sue mani lateralmente alla mia testa. I suoi capelli bruni le
scivolano in
avanti, fluidamente, accarezzandole maliziosamente le spalle, il collo,
le
guance. Scruta ogni singolo angolo delle mie fattezze morenti e
degradate con
quegli occhi capaci di brillare anche nell’esigua luce della
sua ombra. Mai
come prima d’ora mi sono sentito così
terribilmente scoperto. E vulnerabile. L’ultima
volta è stata… quando suo padre è
impazzito.
Il mio battito cardiaco inizia
ad incrementare e l’adrenalina scatenatosi mi permette di
contrastare per un
breve momento i calmanti che mi somministrano.
Vedo i suoi occhi ruotare verso
l’elettrocardiogramma e un largo sorriso si estende sul suo
viso.
- Non ti agitare, Genesis. -,
dice con tono rassicurante, passandomi anche la mano tra i capelli, -
So tutto.
Ho visto tutto. – precisa, continuando ad accarezzarmi, - E
ho capito. –
Dolcemente, appoggia le sue mani
ai lati della mia testa, facendo attenzione a non stringere troppo. La
sua
espressione si fa contrita anche se cerca di nascondersi dietro a una
serenità
che non le appartiene.
- Avevi paura. -, constata con
una semplicità disarmante, mentre il mio orgoglio si contrae
in un ultimo,
debole spasmo di superbia, - Paura di essere dimenticato. Paura di
morire. E… e
volevi che ti ascoltassero, che rimanessero con te. Gli hai chiesto
aiuto, nel
tuo contorto e strano modo. -, ride teneramente, mentre il mio cuore si
scioglie, - Sei davvero impossibile. –
La sua maschera si frantuma,
lasciando andare le lacrime. Il suo corpo si accascia e le sue mani
scivolano
lungo le mie spalle, il busto, il braccio destro, fino a ricongiungersi
con la
mano inerme al termine di quest’ultimo. Cerca di darsi un
contegno questa
bambina, rivolgendomi qualche sorriso e pulendosi le lacrime dal viso.
Debolmente, stringo la sua mano.
- Sì, lo so. Non devo
piagnucolare. -, interpreta, con la voce rotta.
Inspira ed espira, rispondendo
alla mia stretta, ricercando in quel misero e patetico gesto un
po’ di
conforto.
Mi
dispiace, mia principessa.
- Ho promesso che mi prenderò
cura di te. -, dichiara, infine, guardandomi dritto negli occhi. Quegli
occhi
pieni di feroce determinazione… - Metterò fine a
tutto questo. Sono stanca di
questa sofferenza, di queste lotte, di questo odio… -
Lascia sfumare il discorso e si
alza, abbandonandomi, senza però lasciare
un’ultima carezza alla mia mano.
Ritorna alla finestra e torna ad appuntare il suo sguardo verso Nord.
- Andrò al Northen Crater ad
affrontare la fonte di tutto. A compiere il mio destino… -
Si tormente le mani e abbassa lo
sguardo su di esse, nel vano tentativo di reprimere un brivido di
paura.
L’istinto mi urla di alzarmi e
confortarla,
di stringerla a me, dissuaderla dal partire, proporle
un’alternativa,
consigliarle di mandare qualcun altro. Ma, sarebbe inutile, questa
volta.
Sebbene sia spaventata, la sua decisione è stata presa e non
c’è modo di
dissuaderla dal compito prefissato.
E’ giunto il momento che tanto
temevo…
Il mio prezioso Dono…
La mia amata Principessa…
Lacrime iniziano a scendere
lungo le mie guance, mentre una morsa di dispiacere mi attanaglia il
cuore. Ho
dato tutto per quella bambina. E’ cresciuta così
tanto… Il solo pensiero di non
rivederla mai più mi devasta. Mi rendo conto di averla amata
come mai ho amato
nessuno e di come lei abbia trasformato la mia inutile egoistica
esistenza in
una vita votata al sacrificio e al benessere altrui. Lei mi ha
insegnato molte
più cose di quanto io ne abbia trasmesse a lei. E le sono
grato per questo…
In tutto questo, Takara non si
accorge del mio turbamento, poiché il suo sguardo
è rivolto verso la sua meta
ultima.La fissa rabbiosa, ma anche caparbia, accogliendo di buon grado
la
sfida.
-
When the
war of the beasts brings about the world’s end, the goddess
descend from the
sky.
Wings
of
light and dark spread afar her gift everlasting –
[Quando la
Guerra delle bestie porterà
alla fine del mondo la Dea discenderà dal cielo.
Ali di luce e
oscurità spargeranno
lontano il suo dono eterno]
La
realtà ritorna, delicatamente, mentre il sogno rapidamente
sfuma,
così come la coscienza del Comandante che, lestamente,
scivola via, esausta, ma
alleggerita. Avverto una morsa al cuore, appena realizzo il significato
di
quelle sensazioni e ritrovo conferma nella figura del rosso.
Genesis,
infatti, non ci guarda nemmeno più…
Il
respiro è sempre più lento, sempre più
esiguo. Fino a che…
Un
lungo, lento, inequivocabile, definitivo, lugubre spiro abbandona
le labbra semi dischiuse del Comandante.
Per
secondi infiniti, permango immobile. La mia mano stretta a un
palmo senza più padrone. Freddo. Freddissimo. Mi sembra
così innaturale questo
gelo che si inerpica in ogni cellula del mio corpo, come un attagliante
senso
d’impotenza. Mi paralizza, sembra quasi che la morte abbia
messo in pausa il
mondo intero. Poi, improvvisamente, una lacrima abbandona i miei occhi,
mentre
una nascente sensazione di oppressione cala sul mio petto. Sospiro
profondamente per cercare di sciogliere quel peso pendente sul cuore.
Nel
frattempo, la mia attenzione viene catturata dagli occhi ancora
sbarrati del
Comandante. Inconsciamente, alzo la mano destra e, solennemente, passo
il palmo
sul suo viso, chiudendogli le palpebre. Rimango un lungo istante ad
osservarlo,
mentre il peso diventa sempre più pesante da sostenere. La
sua espressione è
così distesa, tranquilla… in pace. Una leggera
contrazione al lato destro della
bocca ne alza il lato, dipingendo un sorriso mesto.
- Grazie di
tutto…
amico mio. –
Buonasera popolo di EFP! Grandi ritorni
questa epidemia sta facendo tornare! Prima Manila con un capitolo delle
(Dis)avventure e ora io, con il caro Bassai dai. Speravate di esservi
liberati
di me? Eh no! Nonostante gli impegni, sono finalmente riuscita a
completare
anche questo capitolo e, per l’ennesima volta, ritardare la
chiusura di questa
storia -.-‘ Ma vi assicuro che siamo agli sgoccioli,
finalmente ho trovato il
modo di rendere sensato il finale!!! (Chissà di che morte ci
tocca ririmorire
ndVinny&Seph). Questo capitolo è un po’
più lungo degli altri e ho voluto
soffermarmi un po’ sul personaggio di Genesis. Io non lo amo
particolarmente,
ma in questo capitolo ho voluto dargli una sorta di redenzione e una
buona
uscita onorevole e dignitosa. Se ne è andato in pace,
sapendo di aver fatto
qualcosa di buono nella vita, come crescere Takara; ma soprattutto
è riuscito a
riappacificarsi con la sua vittima preferita: Sephiroth. E’ una giusta
coronazione a al suo
personaggio, secondo me. Poi ditemi che ne pensate con una recensione!
Ora scappo e spero di non dover far passare
altri anni prima di postare un nuovo capitolo! Devo finirlo
assolutamente!
Grazie a tutti!
A presto!
Besos