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Autore: heliodor    24/05/2020    3 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Sei stata brava (-2)

 
Bryce lottò per non crollare davanti al colosso ridotto in pezzi. Era ancora in piedi, lo sguardo fisso sulla montagna che stava esplodendo. Qualsiasi cosa stesse accadendo, tra poco sarebbe successo anche lì.
Il vento si alzò spazzando il campo di battaglia e scompigliandole i capelli. Col vento arrivò la nuvola di detriti sollevata dall’esplosione che ricoprì ogni cosa come una nebbia fitta e impenetrabile.
L’eco della montagna che esplodeva li raggiunse insieme all’onda d’urto così forte da assordarla e minacciare di scaraventarla a terra. Strinse i denti e si inclinò in avanti per resisterle.
L’ululato del vento le ferì i timpani e quando temeva di cedere e farsi trascinare via da quella forza impetuosa, tutto cessò e tornarono il silenzio e la calma.
Aprì gli occhi ritrovandosi avvolta da una nebbia grigia che confondeva i particolari, rendendoli sfumati. La polvere si depositò e venne portata via dal vento e rivide il campo di battaglia.
Il colosso era ancora lì, disseminato lungo la spianata, ridotto in mille pezzi. Le ombre che aveva intravisto nella nebbia acquistarono una forma definita.
Vide un soldato guardarsi attorno, mentre una giovane strega tossiva e si asciugava il viso. in lontananza l’Artiglio era avvolto da una nuvola grigio scura percorsa da fulmini che si accendevano e spegnevano.
Lasciò che lo sguardo vagasse attorno a lei sul campo di battaglia, finché non incontrò una figura che avanzava verso di lei. Socchiuse gli occhi, cercando di metterla a fuoco.
Vide il corpo slanciato e i capelli biondo latino, arruffati e scompigliati dal vento e dalla battaglia, ma belli come li ricordava. Vide il mento delicato e i lineamenti dolci, compresa la bocca sottile che in quel momento aveva gli angoli piegati verso l’alto.
E infine guardò gli occhi chiari e luminosi che ricambiavano il suo sguardo e il cuore prese a batterle più forte.
Cercò di fare un passo verso la figura, ma era così stanca che temeva di stramazzare al suolo se ci avesse provato.
Fu Vyncent a correre da lei, le braccia protese in avanti, raccogliendola e sostenendola un attimo prima che crollasse.
Lei gli si aggrappò al collo, quasi trascinandolo con sé.
“Sono qui” disse Vyncent stringendola. “Sono qui.”
Bryce respirò sul suo petto, inalando l’odore di lui insieme al sapore della polvere e del sangue.
“Sei stata brava” disse accarezzandole la schiena. “Sei stata brava.”
Bryce lo strinse più forte.
Lui la sostenne aiutandola a camminare e insieme raggiunsero Elvana e gli altri. Bato e Djana l’accolsero sorridendole e lei guardò al centro del cerchio annerito che occupava quella parte della spianata.
Bardhian era seduto al centro, le gambe raccolte contro il petto. Elvana era chinata vicino a lui. Quando li vide alzò la testa.
Vyncent l’aiutò a raggiungere Bardhian, che sollevò la testa e accennò un debole sorriso.
“Grazie” disse Bryce.
“Non chiedetemi di farlo mai più” disse il principe di Malinor.
“Non ce ne sarà bisogno” disse Vyncent. “I colossi sono stati distrutti. Abbiamo vinto.”
“Quando ti ho vista attaccare il colosso” disse Elvana. “Ho pensato che fossi pazza. Ma poi mi sono ricordata che sei la strega suprema e ho smesso di preoccuparmi.”
Bryce l’abbracciò stringendola forte. Lei rispose all’abbraccio. “Su, su, c’è ancora molto da fare.”
“Anche io sono felice di saperti viva” disse Vyncent rivolto a Elvana.
Lei scosse la testa. “Sei il solito idiota, Londolin. Ti preferisco quando stai zitto.”
Soldati e mantelli si stavano radunando sulla spianata, avvicinandosi a piccoli gruppi. Guardando al campo della battaglia, vide i corpi disseminati e, in lontananza, le forze dell’orda che si stavano disperdendo.
“Scapperanno per intere Lune” disse Elvana.
“O torneranno alle loro vecchie vite” disse Bato. “Per loro la guerra è finita.”
“E anche per noi” disse Vyncent.
“Non ancora” replicò Bryce. “Non finché Malag non sarà morto. Solo allora sarà finita.”
“Chiunque si trovasse sulla montagna darà morto quando è esplosa” disse Vyncent.
La folla di curiosi si aprì in due e nel corridoio avanzarono i mantelli azzurro e oro della guardia di Valonde.
In mezzo a loro riconobbe Erix e suo padre. Al passaggio del re soldati e mantelli si inchinarono. Il re sembrò ignorarli, puntando deciso verso di loro.
Si fermò gettando prima un’occhiata a Bardhian ora in piedi anche se sofferente e poi a lei e Vyncent. Le fece un cenno con la testa e annuì deciso, le labbra serrate.
Bryce rispose con un cenno uguale.
Re Andew sollevò un braccio. “Strega dorata” gridò rivolto ai mantelli e ai soldati.
Quelli che si trovavano nelle prime file risposero facendogli eco. “Strega dorata.”
“Strega dorata” gridò Erix.
“Strega dorata” gridarono dalla folla con maggiore decisione.
Vyncent, Elvana e gli altri gridarono a loro volta. “Strega dorata.”
“Strega dorata. Strega dorata. Strega dorata” gridarono tutti insieme.
Bryce li osservò in silenzio e quando tutti tacquero, alzò il braccio al cielo. “Valonde” gridò.
 
***
Il buio, la confusione, il frastuono, il dolore e infine il silenzio, l’immobilità. La pace.
Joyce tossì cercando di liberare i polmoni dalla polvere e i detriti che aveva inalato. Distesa sulla schiena, guardò il cielo grigio che andava schiarendosi.
Non aveva più forza. Tutte le erano state prosciugate da quell’ultimo scudo magico e adesso riusciva soltanto a giacere immobile, in attesa che qualcosa accadesse.
Il tempo trascorse senza che nulla si muovesse e il mondo era un bozzolo grigio e uniforme che la avvolgeva e proteggeva, perché fuori di esso vi erano forze e persone che potevano ferirla e farle del male.
Aveva ancora negli occhi il bagliore che l’aveva avvolta e scagliata via. Aveva volteggiato nell’aria, senza sapere dove stesse andando e dove sarebbe finita.
Quando l’onda d’urto l’aveva superata, l’incantesimo di levitazione l’aveva adagiata sul terreno, lasciandola lì inerme.
Sollevò la testa per guardarsi attorno e vide file di alberi piegati da una forza brutale mai vista prima d’ora. Il terreno sconvolto recava i segni di quella potenza che si era scatenata in quei mochi attimi, travolgendo ogni cosa.
A fatica si sollevò, barcollando sulle gambe finché non la ressero. In quel grigiore uniforme poteva scorgere solo i profili degli oggetti più lontani.
Cercò l’Artiglio e la sua cima protesa verso il cielo come un dito, ma non la trovò. Al suo posto vide una massa informe ergersi ad alcune miglia di distanza.
La potenza dell’esplosione doveva averla trascinata fin laggiù assieme a interi pezzi della montagna.
E non solo quella.
Mentre camminava in direzione dell’Artiglio, trovò, sepolta nel terreno smosso, la testa del colosso. gli occhi erano aperti e privi di espressione, ma gli mancavano la bocca e il mento. Passò veloce davanti a ciò che rimaneva del mostro, temendo che potesse ravvivarsi per chissà quale prodigio.
Muovendosi a stento tra le trincee di terreno smosso e riposando di tanto in tanto, impiegò un quarto di giornata a raggiungere quello che una volta era il pendio dell’artiglio.
Dove ore prima cresceva una foresta rigogliosa, c’era solo devastazione. Il fianco della montagna era stato squarciato da una forza irresistibile, rivelandone l’interno di roccia compatta. Il resto della montagna era collassato su sé stesso, accorciandosi della metà almeno. La foresta era stata spazzata via, divelta alle radici, insieme alle rocce e al terreno. Molto era ricaduto per miglia tutto intorno, ma qualcosa sembrava aver resistito a quella tremenda forza.
Si aggirò tra i resti della montagna, chiedendosi se Gladia o Robern fossero sopravvissuti. Se il nodo era stato attivato, voleva dire che in qualche modo erano penetrati nell’Artiglio e che avevano avuto successo.
Si appoggiò a una pietra rovesciata per riposare. La polvere si stava depositando, lasciando intravedere i particolari della devastazione. Gli alberi erano stati scagliati via, atterrando su una vasta zona attorno alla montagna. La forza del nodo aveva sollevato il terreno creando spaccature simili a cicatrici che correvano allontanandosi dalla montagna.
Sono stata fortunata a non cadere in una di quelle, pensò.
Si rimise in piedi e riprese a camminare girando intorno alla base della montagna. A quella velocità avrebbe impiegato un’altra giornata per fare il giro completo, ma sperava di trovare qualcuno vivo prima di allora.
Forse troverò Persym, si disse. O Malag.
Sperava che almeno uno dei due fosse morto, se non entrambi. Se così non fosse stato, lei avrebbe dovuto portare a termine quel piano.
In fondo era stato lei a idearlo e sua era la responsabilità.
Invece trovò Eryen. La ragazza giaceva ai piedi di una lastra di pietra, il corpo adagiato per terra e la testa girata di lato.
Joyce si avvicinò quasi in punta di piedi, come per non svegliarla. La ragazza girò la testa verso di lei ed emise un gemito.
Aveva ferite e lividi in tutto il corpo. La gamba destra era sparita, strappata via sotto al ginocchio. Entrambe le braccia erano girate in una posa innaturale e dall’addome le spuntava ciò che restava di un ramo.
“Eryen?” sussurrò.
Lei spalancò gli occhi ed aspirò l’aria come se stesse soffocando. Tossì un paio di volte, il corpo squassato dai brividi.
“Fa male” disse.
Joyce si chinò verso di lei. “Non parlare e non muoverti” disse. “Troverò un guaritore. Ti aiuterà.”
“Rimani qui” disse Eryen. “Non voglio restare sola.”
Joyce esitò.
Eryen si agitò. “Il colosso?”
“Non pensare a quello.”
“L’ho distrutto?”
Joyce annuì. “Ho visto ciò che ne rimane.”
Eryen sorrise. Un sorriso genuino, forse il primo che le vedeva fare da quando la conosceva. Tossì di nuovo e un rivolo di sangue le scese dall’angolo della bocca. “Sono stata brava?”
“Sì. Sei stata brava.”
“Più brava di te?”
“Molto di più” rispose accennando a un timido sorriso. “Io so solo scappare. È la cosa che mi riesce meglio.”
Eryen inspirò con la bocca e gemette. “Fa molto male.”
“Mi spiace. Non so che cosa fare.”
“Hai ancora da parte quell’incantesimo?”
Joyce fece per rispondere, ma ci ripensò. “Io non lo so.”
“Per favore. Da strega a strega.”
Raddrizzò la schiena e fece un paio di passi indietro, distogliendo lo sguardo da Eryen. Respirò a fondo, cercando di sgombrare la mente da ogni pensiero.
Tornò da lei e si chinò. “Il mio nome è Joyce” disse. “E sono una maga.”
Eryen la fissò in silenzio per qualche istante. “Credo che a questo punto non faccia alcuna differenza.”
Joyce annuì e si raddrizzò. Evocò un dardo magico e glielo puntò contro il viso.
“Cerca solo di non sbagliare” disse Eryen sorridendo. “Hai una mira pessima.”
Joyce cercò di dominare la mano che le tremava. “Da questa distanza non ti mancherò.”
Eryen chiuse gli occhi e il suo viso si rasserenò.
 
***
Trovò i segni che aveva lasciato sul tronco dell’albero e vi si appoggiò con la schiena, lasciandosi andare. Scivolò fino a sedersi sul letto di erba e foglie che si era accumulato ai piedi del tronco. Portò le ginocchia al petto e le cinse con le braccia, chinando la testa.
Aveva camminato per quasi un giorno intero prima di ritrovare quel posto. Lì aveva nascosto la sua borsa con il compendio, promettendosi di recuperarlo in seguito.
Quel momento era giunto e adesso si sentiva esausta e svuotata, senza alcuna forza. Cercò di non pensare al viso di Eryen e ai suoi ultimi istanti, sovrapponendovi quelli di Bryce, di Oren, di Vyncent. Di sua madre e suo padre.
Sentì una mano poggiarsi sulla testa e trasalì. Alzò gli occhi, incrociando lo sguardo di Robern, gli occhi vividi di lui erano fissi nei suoi.
Joyce tirò su col naso come una bambina. “È morto?”
Robern annuì. “Malag si è” esitò. “Sacrificato, in un certo senso.”
“Quindi è lui l’eroe?” chiese con tono ironico.
“Ci sono tanti tipi di eroe e nessuno è veramente tale.”
Joyce sospirò. “Sono stanca” disse, le lacrime che le sgorgavano senza che riuscisse a fermarle. “Sono così stanca.” Scosse la testa. “Non voglio più stare qui. Voglio tornare a Valonde. A casa.”
Robern le accarezzò la testa. “Vai a riposare, Joyce. Te lo sei meritato. Forse non dovevo darti questo fardello, ma eri l’unica che avesse il diritto di portarlo.”
Joyce nascose la testa tra le ginocchia, il corpo squassato dai singhiozzi. Trascorsero alcuni minuti, non seppe quanti, prima di rialzare gli occhi.
Robern era sparito.
Si rimise in piedi e guardò dentro l’albero. C’era ancora la borsa e al suo interno c’era tutto, tranne il compendio.
Tirò su col naso e prese il vestito che aveva portato da Nazdur.
Un’ora dopo, aveva buttato via i vecchi e laceri vestiti e indossato quelli nuovi, compresi gli scarponi di riserva. Aveva trovato un ruscello che scorreva lì vicino e si era lavata il viso, cercando di cancellare lo sporco che si era accumulato in quei giorni.
Aveva fissato a lungo il suo viso, quello della vecchia Joyce, la ragazza dai capelli rossi e arruffati, le orecchie che sporgevano un po’ e le labbra imbronciate.
Per le ferite e i lividi poteva fare poco, se non tenerli nascosti sotto i vestiti e pensare a una buona scusa nel caso avesse dovuto mostrarli.
Prese uno dei sentieri che portavano verso occidente, dove sapeva che avrebbe trovato il campo dell’alleanza, se esisteva ancora.
Non aveva pensato di chiedere a Robern notizie della battaglia, ma non le importava. Qualunque fosse stato l’esito, lei avrebbe fatto ritorno a Valonde.
La costa era lontana centinaia di miglia, ma era abituata a camminare e in quelle Lune aveva imparato che poteva arrivare ovunque, se lo voleva.
Assaporò il silenzio e la calma che regnavano attorno a lei. Il sentiero procedeva dritto tra alberi dal fusto imponente e le chiome appena accese di rosso per la stagione delle piogge che si avvicinava.
Il battere ritmico sul terreno degli zoccoli la mise in allarme. Si voltò di scatto e vide due cavalieri avanzare al trotto lungo il sentiero, diretti verso di lei. Venivano da oriente, quindi potevano essere solo dell’orda.
Si gettò nella boscaglia, appiattendosi contro il tronco di un albero. Avrebbe atteso che passassero prima di tornare sul sentiero.
I due cavalieri rallentarono e giunti alla sua altezza si fermarono del tutto. Udì delle voci attutite dal denso fogliame e rumore di passi che si avvicinavano.
“Mi hai sentito?” chiese una voce maschile. “Vieni fuori e non ti faremo del male.”
Joyce trasalì. Aveva già udito quella voce prima di allora. Si staccò dall’albero e fece un passo verso la boscaglia.
 
***
“Se tu vai” disse Shani piazzandosi di fronte a lui. “Verrò anche io.”
Oren cercò di scansarla. “È pericoloso.”
“Più pericoloso dei colossi?” chiese la ragazza.
Lui sospirò affranto. “È pericoloso e inutile. Non è giusto che anche tu debba rischiare la vita.”
Oren la superò diretto al cavallo. L’aveva ottenuto senza difficoltà. Dopo la battaglia ne erano rimasti tanti senza un padrone. Alcuni, feriti o troppo vecchi, erano stati uccisi per essere trasformati in carne da usare per il viaggio di ritorno.
Il campo era in piena attività dopo la battaglia di due giorni prima. I guaritori si stavano occupando dei feriti, anche di quelli dell’orda di Malag. Nimlothien, ferita a sua volta, era stata curata e poi fatta prigioniera per essere rinchiusa in una cella. La stessa sorte era toccata agli altri comandanti dell’orda.
A soldati e mantelli sopravvissuti era stato offerto il perdono se fossero rimasti o l’esilio se avessero scelto di andare via.
La maggior parte aveva deciso di ripartire, disperdendosi nella foresta. L’orda di Persym si era dispersa a sua volta, dividendosi in piccoli gruppi.
“Continueranno a razziare queste terre per intere Lune” aveva detto Erix. “Ma non è più un problema nostro, ma di chi abita questa parte di continente.”
Era stata lei a suggerire di inviare qualcuno all’Artiglio. “A quest’ora Persym o Malag sarebbero dovuti tornare, in qualche modo.”
“Sono morti” aveva detto Gladia l’inquisitrice. Anche lei era tornata dall’Artiglio. Da sola.
Oren aveva trovato il coraggio di parlarle sono il secondo giorno.
“Lo so cosa stai per chiedermi” aveva detto lei scura in volto. “Non so se è sopravvissuta. E in tutta sincerità, nemmeno mi importa.”
Gladia era ripartita poche ore dopo senza dire a nessuno dove fosse diretta.
Erix aveva cercato volontari per esplorare l’Artiglio e Oren si era fatto avanti.
“Ci andrò io” aveva dichiarato.
Erix lo aveva guardato con compassione. “Preferirei mandare qualcun altro, ragazzo.”
“Credo di aver meritato questa possibilità” rispose.
La notizia del loro combattimento con Privel aveva fatto il giro del campo, destando incredulità e un po’ di ammirazione.
La loro azione non aveva eliminato i colossi, ma li aveva strappati al controllo dell’orda.
“Non ci avete dato un vantaggio” aveva detto re Andew. “Ma almeno avete riportato in equilibrio la battaglia.”
“Ho rischiato la vita per rimanere con te” disse Shani. “E voglio rischiarla ancora, Oren di Pelyon. Non ti sto chiedendo di portarmi con te. Io voglio ritrovare Sibyl quanto lo vuoi tu.”
“Perché?”
“Perché smetterai di tormentarti” disse Shani. “Se la troveremo. Se troveremo il suo” esitò. “Hai capito cosa intendo, no? Hai bisogno di vederla, o il suo fantasma di perseguiterà per il resto della tua vita.”
“Lei non è morta.”
“Si trovava sull’artiglio quando la montagna è esplosa. Tutti l’hanno visto. Anche tu.”
Oren aveva visto il bagliore accendersi all’improvviso e divenire accecante prima che la montagna si gonfiasse ed esplodesse. Era accaduto sul finire della battaglia, quando entrambi i colossi erano a terra, distrutti. Era stato un segnale che quella guerra era finita e che presto la pace avrebbe regnato di nuovo.
Non per lui. Non se Sibyl era ancora viva, forse ferita o intrappolata senza poter tornare indietro. Se quello fosse stato il caso, lui l’avrebbe aiutata, come lei aveva fatto con lui.
E se fosse morta su quella montagna, il pensiero del suo corpo abbandonato in un crepaccio sarebbe stato insopportabile.
Assicurò la sella sulla schiena del cavallo e vi montò sopra con un gesto agile, la spada che gli batteva su fianco.
Shani lo seguì fuori dal campo, dove incrociarono Bryce ed Elvana. La principessa fece loro cenno di fermarsi.
“Quindi hai deciso di andare?”
Oren annuì deciso.
“Sai bene che non troverai niente di buono” disse la principessa.
“Se non vado non avrò pace.”
“Verrei con voi se potessi” disse Elvana. “Ma qui al campo ci sono troppe cose da fare. Ora che siamo comandanti, dobbiamo organizzare tutto per la partenza.”
“Mio padre vuole partire entro tre o quattro giorni al massimo, prima che inizino le piogge” spiegò Bryce. “Tornate prima di allora o dovrete viaggiare da soli.”
“Torneremo” disse Oren sicuro. Diede un colpo deciso alle redini e galoppò verso oriente.
Giunsero alla montagna la mattina del giorno seguente. Il sole batteva sulle rocce messe a nudo dalla forza spaventosa del nodo. Nell’aria c’era ancora del pulviscolo che rendeva difficile respirare, ma la visibilità era buona. Salirono su di uno sperone di roccia dal quale poterono osservare la devastazione ai loro piedi.
La montagna era stata sventrata dall’interno, come se un gigante avesse scavato nelle sue profondità per venirne fuori. L’artiglio che le dava il nome era scomparso e al suo posto vi era una montagnola che a malapena sembrava poter reggere il suo stesso peso.
Oren fissò a lungo quella desolazione fatta di alberi divelti, rocce scagliate a miglia di distanza e pietre grigie disseminate ovunque.
Shani rimase in silenzio al suo fianco. Solo dopo un tempo che gli sembrò molto lungo gli poggiò una mano sulla spalla. “È andata, Oren. Non può essere sopravvissuta a tutto questo. Non ce l’ha fatta un colosso e tu hai visto quanto erano resistenti.”
Oren scosse la testa. “Speravo che qualcosa di lei fosse rimasto.”
“Mi spiace” disse lei allontanandosi di qualche passo.
Rimase a fissare le macerie dell’artiglio per qualche minuto, poi si voltò e la raggiunse. Ripresero i cavalli e galopparono fino alla foresta, scegliendo il sentiero che portava a oriente.
“E adesso?” chiese Shani. “Che cosa farai?”
Oren scrollò le spalle. “Resterò qui.”
“Sul continente?”
Annuì deciso.
“Posso chiederti il perché?”
Oren le rivolse un’occhiata sorpresa. “Non lo immagini da sola?”
Shani scosse la testa. “Speravo che il motivo fosse un altro. Resti per cercare lei. L’altro fantasma che ti tormenta.”
“È viva.”
“Oren” fece Shani con tono esasperato. “Se lasci che i fantasmi del passato ti perseguitino, diventeranno dei demoni prima che tu te ne accorga. Lascia perdere la principessa perduta. Non è meno morta della strega rossa.”
“Devo essere sicuro che lo sia” disse accelerando il passo. All’improvviso aveva fretta di tornare al campo e rimettersi alla ricerca di Joyce.
Della principessa Joyce.
Shani lo affiancò. “Se vai a cercarla, verrò anche io.”
Oren le sorrise. “Niente ti scoraggia, vero?”
Lei gli sorrise di rimando. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la richiuse subito. I suoi occhi puntarono verso il sentiero, riducendosi a due sottili fessure. “C’è qualcuno che ci precede. A piedi.”
“Dove?”
“Proprio davanti a noi.”
“Non lo vedo.”
“È lì, fidati. È il kah che me lo dice.”
Dopo un paio di minuti videro una figura che si muoveva lungo il sentiero, ed era a piedi.
“Sarà un soldato sbandato” disse Oren.
Shani accarezzò l’elsa della spada. “O un rinnegato che tenta una sortita. Qui attorno ne sarà pieno.”
Si scambiarono una rapida occhiata e accelerarono il passo.
La figura lasciò il sentiero e scomparve nella macchia.
“Sta scappando” disse Shani lanciandosi al galoppo.
Oren tenne il passo finché non si fermarono davanti al punto dove la figura era scomparsa. Saltò giù con un gesto agile e fece cenno a Shani di restare dov’era. “Coprimi le spalle.”
“Sii prudente” disse lei slegando la balestra al fianco della sella.
Oren sentì il dardo che veniva caricato e avanzò sicuro verso la macchia di alberi. Lì la boscaglia diventava più fitta ed era impossibile vedere che cosa ci fosse oltre.
È un ottimo punto per un agguato, si disse mettendo mano alla spada.
“So che ti sei nascosto qui dietro” disse.
Nessuna risposta.
 “Mi hai sentito?” chiese estraendo la spada. “Vieni fuori e non ti faremo del male.”
Le fronde si agitarono e udì il rumore di arbusti che venivano calpestati. Serrò la stretta sull’elsa della spada, pronto a reagire.
“Sto venendo fuori” disse una voce dall’altra parte.
Oren si accigliò. L’aveva già sentita prima di allora.
“Sono io.” Dalla boscaglia emerse una figura minuta, coperta da una semplice tunica con pantaloni e scarponi. Alla vista di quel viso rotondo incorniciato da capelli rossi e spettinati ebbe un tuffo al cuore.
“Joyce” disse con un filo di voce.
Lasciò cadere la spada e si lanciò in avanti, raggiungendola con un solo balzo. L’avrebbe travolta se non si fosse fermato un attimo prima per accoglierla nel suo abbraccio e stringerla a sé.
Joyce gli cinse le spalle con le braccia e affondò il viso nella sua spalla.
“Ti ho trovata” disse con voce rotta dall’emozione.
La strinse forte, quasi temesse che le sfuggisse di mano e sparisse di nuovo, perdendosi tra i sentieri di quella foresta.
Per un lungo istante tutto scomparve. Le fatiche e le privazioni affrontate in quelle Lune, il difficile viaggio verso il continente antico, la maledizione, i rianimati e la battaglia contro i Colossi.
Niente aveva davvero importanza e tutto adesso aveva un senso.
Sciolse l’abbraccio e le rivolse una lunga occhiata.
“Chiedo perdono” disse imbarazzato.
“Anche io sono felice di rivederti” disse Joyce.
Le porse il braccio che lei accettò e la guidò verso i cavalli.
Shani li attendeva con sguardo accigliato. “Chi sarebbe lei? Una delle tue tante fidanzate?”
Oren arrossì. “Lei” disse con tono solenne. “È la principessa Joyce di Valonde.”
Shani sgranò gli occhi. “La principessa morta? Voglio dire, perduta. Insomma, è proprio lei?”
Oren sorrise e annuì.
“Piacere di conoscerti” disse Joyce. “Tu chi sei?”
“Lei è Shan Li Po” disse Oren. “Ma noi la chiamiamo Shani.” Afferrò le redini del cavallo. “Sarai stanca. Userai il mio cavallo.”
“Bene” disse Shani riprendendosi un poco. “Perché il mio è già occupato e in due staremmo stretti.”
Joyce accettò l’aiuto di Oren per montare in sella e afferrò le redini.
“Cosa ci fai qui?” le chiese Shani. “Come hai fatto a sopravvivere per tutto questo tempo? Secondo Oren non sei molto abile nel cavartela da sola.”
Oren le rivolse un’occhiataccia.
Shani si strinse nelle spalle. “Sono solo curiosa.”
“Lascia in pace la principessa” disse. “Sarà stanca per il viaggio.”
“In effetti” disse Joyce. “Cammino da molti giorni. Ero lontana diverse miglia quando ho visto la montagna esplodere.”
“E ti sei diretta qui?” chiese Shani.
“Non sapevo dove andare” rispose la principessa. “Avevo sentito dire che il campo dell’alleanza era a nord, ma non sapevo esattamente dove. Ho preso un sentiero a caso dopo essermi messa in viaggio.”
“Da sola?” chiese Oren. “Sei venuta fin qui da sola?”
“È stato un lungo viaggio” si lamentò la principessa. “E la stanchezza potrebbe aver confuso i miei ricordi.”
“Al campo ti riposerai.”
“Ditemi, si è poi svolta la famosa battaglia di cui tutti parlavano? E chi ha vinto? Spero l’alleanza.”
Oren sorrise. “Shani e io ti racconteremo tutto. Eravamo presenti, sai? Alla battaglia, intendo.”
“Oren ha anche ucciso Privel” disse Shani. “In duello.”
Joyce sgranò gli occhi. “Dite sul serio? Come nei romanzi d’avventura?”
Oren arrossì. “È stato un colpo di fortuna.”
“Dovete raccontarmi tutto nei dettagli.”
 
***
“Puoi entrare” disse Erix indicando l’ingresso della tenda. Roge tirò un sospiro e scostò il velo, entrando.
Al centro della tenda, dietro il tavolo di legno retto dai cavalletti, c’erano tre figure.
Quella al centro apparteneva a suo padre. Re Andew di Valonde lo accolse con l’espressione severa, le mani dietro la schiena.
Alla sua destra, Bryce. E alla sinistra, Vyncent.
Dietro di lui, Erix gli diede un colpetto alla schiena. “La sentenza ti deve essere comunicata mentre sei in piedi davanti alla corte. È la tradizione.”
“Davvero?” Roge si finse stupito. “L’ultima volta non avete seguito la tradizione.”
Erix si strinse nelle spalle. Si spostò di lato, piazzandosi con le mani conserte.
“Vieni avanti, Roge” disse suo padre.
Sospirò e avanzò fino a trovarsi davanti ai tre giudici.
Il re sembrò soppesarlo con un’occhiata. Roge cercò di reggere il suo sguardo fissandolo negli occhi con le spalle dritte e le mani dietro la schiena.
“Eri stato condannato all’esilio” disse suo padre con tono grave. “Ti era stato intimato di non fare ritorno. Era una pena mite per quello che avevi fatto, ma sei voluto tornare lo stesso.”
Roge fece per dire qualcosa ma lui gli fece un cenno deciso con la mano.
“Non aggravare la tua posizione” disse re Andew.
Come può diventare più grave di così? Si chiese.
“Sai qual è la pena per i condannati all’esilio che tornano indietro?”
“Un altro esilio?” chiese.
“La morte” disse Bryce grave. “Non l’esilio a Krikor.”
“Dal quale sei già fuggito” disse re Andew. “Per tornare qui la prima volta.”
Roge si strinse nelle spalle.
“O sei pazzo o sei stupido” disse suo padre. “Al posto tuo, chiunque altro sarebbe fuggito il più lontano possibile da questo campo. E dalla battaglia.” La sua espressione sembrò addolcirsi. “Ma tu sei un Valonde, anche se stupido e ingenuo come pochi. Non sei riuscito a stare lontano dalla battaglia, nonostante la minaccia. E sei tornato qui per cosa? Darci una mano?”
“Volevo fare la mia parte” disse.
Re Andew annuì. “E hai rapito tua sorella usandola come esca.”
“Tu la vendesti a Taloras per qualche mantello e delle lance.”
Suo padre lo fissò torvo.
Bryce si lasciò sfuggire un mezzo sorriso e scosse la testa. Vyncent sospirò allargando le braccia. “Non ha tutti i torti” disse rivolto al re.
Lui gli rivolse un’occhiataccia. “Ho già chiesto perdono per quello spiacevole episodio” disse. “E ho promesso di non commettere di nuovo lo stesso errore. A differenza di Roge, che sembra ricadere sempre negli stessi sbagli.”
“Volevo vincere la guerra, come tutti voi” disse Roge. “Ero disposto a tutto.”
“L’ho visto” disse re Andew divenendo triste. “E tutti siamo stati costretti a fare cose che ci tormenteranno per il resto dei nostri giorni. La guerra richiedeva dei sacrifici e noi li abbiamo fatti. Compresi i nostri alleati. Re Alion è morto per bloccare l’arma del colosso divoratore e Lionore di Taloras ha dato la sua vita insieme a migliaia dei suoi per difendere Bryce e Bardhian. Riporterò io stesso il corpo della principessa a re Hagar e piangerò con lui, se me lo consentirà. Tu quale sacrificio hai fatto, Roge?”
Fece per dire qualcosa, esitò, poi disse: “Ho perso il tuo rispetto. E quello dei miei confratelli. Sono diventato un rinnegato e ho usato la stregoneria proibita.” Scosse la testa. “Non ho scuse per questo.”
Re Andew annuì solenne. “Rifaresti gli stessi errori, se in futuro si dovesse presentare una nuova o più grave minaccia al regno, alla tua famiglia o ai tuoi confratelli?”
Roge non aveva alcun dubbio. “Sì” rispose sicuro.
Suo padre grugnì qualcosa e annuì. “Sei proprio stupido, Roge.” Sul suo viso apparve un mezzo sorriso. “Proprio come lo ero io quando avevo la tua età e nemmeno pensavo di diventare re. Fu quella responsabilità a farmi crescere, insegnandomi che non esiste solo il coraggio come misura del valore di uno stregone.”
Roge si accigliò.
“E oggi come allora, anche se avvenne non in una tenda, ma nello studio che era di mio padre, fu quella consapevolezza a fare di me ciò che sono ora.” Fece un cenno con la testa a Erix.
La strega avanzò di un passo verso di lui. “Roge di Valonde, inginocchiati di fronte al tuo re.”
Roge appoggiò il ginocchio destro a terra e piegò la testa in avanti.
“Questo tribunale ha deciso di assolverti da ogni accusa” disse Erix.
Il cuore di Roge prese a battere più forte.
“E dimenticare la condanna precedente” proseguì Erix. “Anche se un’azione onorevole non può cancellare una disonorevole, non possiamo ignorare il tuo contributo alla vittoria finale. Se tu non fossi tornato, sfidando la nostra autorità e tutte le leggi conosciute, forse oggi non saremmo qui a celebrare questo processo. Adesso rialzati, principe Roge.” Erix fece un passo indietro.
Roge si raddrizzò. “Adesso sono di nuovo un principe?” chiese. “Posso riavere il mio mantello?”
Suo padre tornò serio. “Adesso sei più di un principe. Sei l’erede al trono di Valonde. E se gli Dei vorranno, un giorno dovrai portare una corona su quella testa vuota.”
 
***
“Come erede al trono” disse Bryce con tono allegro. “Non potevamo farti morire.”
Roge camminava guardandosi attorno con espressione straniata.
“Tutto bene?” gli chiese Vyncent. Il principe non aveva parlato da quando avevano lasciato la tenda del re.
Gli avevano dato un mantello di cui ogni tanto sistemava i risvolti. Come quello che era stato dato a Bryce, era un semplice pezzo di stoffa azzurra senza fregi o ricami.
Persino quello di Vyncent appariva prezioso al confronto.
“Sei sicura che non ti dispiaccia?” chiese Roge alla sorella. “Se io fossi stato condannato, saresti stata tu l’erede.”
“Non mi interessa la corona” disse Bryce. “E, se devo essere sincera, è Galef il vero erede. Quando lo troveremo, lo convinceremo a tornare a Valonde per prendersi le sue responsabilità.”
Roge sembrò sollevato. “Lo spero proprio, perché io non mi sento pronto per essere re.”
“Per ora sei solo il principe ereditario” lo corresse Vyncent.
“Quello che è.” Trasse un profondo respiro.
Poco lontano dalla tenda, Elvana, Bato, Djana e Bardhian erano in attesa.
Il principe di Malinor era ancora debole e si stava riprendendo. Non riusciva a evocare nemmeno una lumosfera.
“Forse ho perso i poteri” aveva detto poco dopo la battaglia.
“Vedrai che torneranno” lo rassicurò Vyncent.
“E se non accadesse? Non potrei tornare a Malinor privo di poteri.”
La morte eroica di re Alion era stata celebrata in maniera solenne dai mantelli neri con tre giorni di lutto.
Klarisa aveva approfittato della confusione al campo per fuggire, aiutata da alcuni suoi fedelissimi che erano scomparsi con lei.
“Poco male” aveva detto Bardhian. “Non credo che si farà vedere molto presto.”
Con la scomparsa di Ronnet, la corona era stata offerta a Bardhian. E lui aveva accettato, ma a una condizione.
“La terrò come reggente finché non troverò i miei fratelli” aveva dichiarato solenne.
“Come è andata?” chiese Elvana.
“È ancora vivo” disse Bryce indicando il fratello. “Finché non farà qualcosa di stupido.”
“È un tratto di famiglia” rispose la strega.
Bryce abbozzò un sorriso ironico.
Camminarono allontanandosi dalla tenda, diretti ai recinti dei cavalli vicino all’entrata orientale.
“Ho preso una decisione” disse Bryce dopo un lungo silenzio, gli occhi che fissavano il terreno.
Vyncent attese che proseguisse.
“Non mi chiedi riguardo a cosa?” chiese alzando la testa e rivolgendogli un sorriso sincero.
“Ho paura di sentire la risposta.”
“Paura, tu? Dopo aver affrontato i colossi, non possiamo più concederci di aver paura.” Guardò verso l’entrata del campo, uno spiazzo chiuso da un cancello ad arco costruito con i tronchi degli alberi tagliati dalla foresta.
Due torri di uguale altezza sorvegliavano la spianata, in quel momento percorsa da decine di cavalieri e carri che andavano e venivano. Stavano portando rifornimenti per i sodati e i mantelli che dovevano rimettersi in marcia per il ritorno a casa.
Casa, si disse Vyncent. Quella parola aveva un suono strano ora che anche lui aveva preso una decisione.
“Cos’hai deciso di fare, Bryce di Valonde?” le chiese fissandola negli occhi.
“Resto qui” rispose.
Vyncent si accigliò. “Non c’è niente per te, qui. Il tuo posto è a Valonde.”
“Il mio posto è qui. Finché non l’avrò ritrovata.”
Vyncent fece per dire qualcosa, ma ci ripensò.
“A volte” disse Bryce guardando verso l’ingresso del campo. “Ho per un attimo l’impressione di scorgerla nella folla venire verso di me, ma non appena chiudo gli occhi e li riapro, è sparita, come un fantasma. La visione è così chiara che sono tentata di andarle incontro.” Scosse la testa. “Dimmi che non sono pazza.”
“Non lo sei. Anche io la sento, a volte, ma cerco di resistere per non farmi travolgere dal dolore.”
Bryce tornò a guardare verso l’ingresso. “È così reale che a volte” esitò, accigliata.
Elvana si avvicinò. “Non voglio interrompervi, ma pare che Erix abbia indetto una riunione urgente per discutere del viaggio di ritorno.”
Vyncent annuì. “Veniamo subito.”
Bryce continuò a guardare verso l’ingresso, l’espressione turbata.
“C’è qualcosa che non va?” le chiese.
Bryce scosse la testa. “No, io, non” Si allontanò di qualche passo, avanzando incerta.
“Che ha? Sta male?” chiese Elvana preoccupata.
“Non lo so” disse. “Stavamo solo parlando.”
Bryce si lanciò di corsa verso l’ingresso del campo, spinse di lato un soldato mandandolo quasi a terra e sfiorò un cavaliere che quasi la travolse.
“Ma che succede?” chiese Elvana correndole dietro.
Vyncent si unì a lei.
Bryce girò attorno a un carretto e si fermò all’improvviso. La udì gridare qualcosa e poi riprendere a correre.
Vyncent la seguì con lo sguardo, cercando di capire dove stesse andando. A una ventina di passi vide due cavalli tenuti per le redini da due cavalieri, Oren e la guerriera di nome Shani.
Sorridevano, come se qualcosa li stesse divertendo.
Poco davanti a loro, una terza figura correva verso Bryce, le braccia spalancate. Ebbe una fugace visione di capelli rossi e pettinati alla rinfusa, prima che le due figure si scontrassero, finendo in un abbraccio che le fece crollare entrambe al suolo.
Le raggiunse correndo, il fiato che gli usciva a fatica e gli occhi che gli pizzicavano. Bryce aveva afferrato Joyce per il collo e le spalle e la stringeva a sé come se volesse soffocarla. Avevano entrambe gli occhi gonfi di lacrime.
Vyncent non ebbe il coraggio di avvicinarsi o parlare, ma quando Joyce sollevò gli occhi e lei gli rivolse un sorriso, non poté far altro che crollare in ginocchio e piangere a sua volta.
Fu Joyce ad andare da lui dopo aver sciolto l’abbraccio con la sorella. Vyncent la strinse a sé, stringendola al petto e lei affondò il viso nella sua spalla.
Bryce si gettò su Oren e gli schioccò una mezza dozzina di baci sul collo e la fronte, facendolo diventare rosso.
Elvana si avvicinò con passo leggero, sorridendo al ragazzo. “Come dicono da queste parti, che io sia dannata se me lo aspettavo. Stavolta mi hai davvero sorpresa.”
Oren abbozzò un timido sorriso.
“Tutti a complimentarsi con Oren” disse Shani con tono polemico. “Ma di fatto l’ho trovata io la principessa perduta. Oren non l’aveva nemmeno vista.”
“È vero” disse Oren. “Il merito è anche di Shani.”
“Non è quello che ho detto io” disse la ragazza imbronciata.
“Grazie anche a te” disse Bryce con voce rotta.
Joyce si allontanò di qualche passo. “È stato merito di entrambi” disse.
Shani scrollò le spalle.
Bryce circondò le spalle di Joyce con il braccio. “Andiamo da nostro padre.”

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