Serie TV > Peaky Blinders
Ricorda la storia  |      
Autore: Vavi_14    24/05/2020    4 recensioni
[...] C’era solo nebbia, e vuoto, e buio, e ancora mille sensi di colpa che sentiva premere sulla cassa toracica inibendogli le principali funzioni vitali. Mangiare, bere, dormire, perfino respirare sembrava a volte costituire un ostacolo insormontabile e quelle bombe tonanti che per così tanto tempo lo avevano tormentato ora sembravano quasi bisbigliare silenti al cospetto di un’assordante autodistruzione. [...]
____________________________
Collocabile nella terza stagione, subito dopo la morte di Grace (riferimenti all'episodio 3x03).
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Thomas Shelby
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Louder than bombs

(I break)




 
A butterfly913, amica e fedele compagna di scleri.
 








Alabastri di fumo vorticano verso l’alto, danzando con le ceneri scoppiettanti di una fiamma che, per quanto rovente, non riuscirà mai a scaldarlo. Vi guarda attraverso, con gli avambracci sulle ginocchia, in una posizione che spera lo aiuti a capire. Il tabacco della sigaretta che stringe tra indice e medio si riversa vicino alla legna arsa, confondendosi nella nebbia tossica che lo avvolge: un automatismo quasi inconscio come l’atto di respirare, ma a questo, per ironia, diametralmente opposto. Le ombre del fuoco si estendono a macchia d’olio intorno a lui e Thomas le guarda riflettersi sulle molteplici facce dello zaffiro che rigira tra le falangi, come aspettandosi che da un momento all’altro possa fornirgli le risposte alle domande che cerca; come sfidando una maledizione inesistente a prendere anche lui. Lo osserva con disprezzo e smarrimento, si appiglia ad ogni accenno di sentimento che possa indurlo a provare rabbia, ad ottenere vendetta, perché in questo non ha mai sbagliato: Thomas Shelby era l’ultima persona della lista alla quale si poteva pensare di fare un torto senza sperare di essere caritatevolmente ricambiati, col doppio degli interessi.
Una logica semplice e inconfutabile, ottenuta in cambio di fatiche e rinunce, ma pur sempre certezza in una vita che, da tempo, aveva dimenticato il significato di spensieratezza e libertà, una vita che necessitava di punti fermi affinché non vi fossero sbavature di sorta o deviazioni non programmate. Una cornice in cui Thomas aveva trovato il suo posto, una realtà in cui anche specchiarsi la mattina e ritrovare due aloni neri sotto gli occhi, simbolo di orribili e inconsci giochi notturni, non era più così doloroso e impossibile da sopportare. Il pericolo e l’adrenalina facevano parte del pacchetto, gli ricordavano che era davvero vivo, che respirava e che il suo corpo recepiva ancora gli impulsi nervosi relativi alla sofferenza fisica. Aveva dovuto ridefinire i contorni di emozioni dimenticate, come il divertimento e la felicità, disegnando nuovi significati che potessero andar bene per la persona che era diventato, qualcosa che anche gli altri riuscissero ad accettare senza fare troppe domande. E tutto sommato ci era riuscito.

Gli occhi cominciano a bruciargli per l’aria rarefatta, ma non osa spostarsi di un centimetro. Inspira un’altra boccata di nicotina, bramando un conforto che fatica ad arrivare, nonostante le carezze del fumo sul palato si facciano sempre più insistenti. Si schiarisce la gola, per poi tornare ad accanirsi su quel filtro dal quale pare voler sottrarre anche l’anima, quasi nella speranza che possa, in un certo senso, andare ad incastrarsi tra i pezzi dilaniati della propria, incollarli tra loro in una brutta copia di un puzzle. La testa ha iniziato a girargli. Eppure l’idea di far forza sulle ginocchia ed allontanarsi da lì sembra sul momento un’impresa titanica.

La prima sera che aveva lasciato l’Arrow House, era stata l’unica in cui si era trovato a dover sostenere forzatamente lo sguardo di qualcun altro su di sé. Aveva fatto attenzione affinché le proprie iridi permanessero basse in un imposto silenzio, ma le labbra si erano schiuse per poter rispondere ad una richiesta che già sapeva sarebbe arrivata. Nonostante se l’aspettasse, la nota di costernazione ed infinita tristezza – o qualunque cazzo di altra emozione fosse – che aveva percepito in quel semplice
«Signor Shelby, dove..?» pronunciato da Frances e mai finito, prima che potesse varcare la soglia di casa, gli aveva fatto salire la nausea. Dopo qualche misero e inutile tentativo in cui aveva provato respingere giù per l’esofago quella morsa stretta attorno alle le corde vocali, si era riscoperto in grado di attingere ad una forza di cui ignorava l’origine. «Charlie», era stato il risultato di quella lotta contro sé stesso, l’unico vocabolo che gli era premuto arrivasse nitidamente alle orecchie della governante. «Per favore» aveva aggiunto, incurante dell’instabilità percepibile dal suo timbro vocale, e in attesa di un velato «Ma certo, signor Shelby»
arrivatogli come un eco indistinto prima di scendere i gradini e montare sul suo cavallo senza voltarsi indietro.

Un atto di vigliaccheria, forse, dettato dallo smarrimento e dalla disperazione; dal desiderio di sottrarsi al simulacro di ricordi che quella casa pareva esser diventata in un battito di ciglia, così inaspettatamente presto che nemmeno gli pareva di averli vissuti davvero; dagli inevitabili giudizi ai quali non voleva in alcun modo sottoporsi, dalla compassione e dalla pietà che già gli pareva di sentir bruciare sulla pelle ad ogni apparizione pubblica; dall’indicibile odio che provava verso sé stesso quando udiva Charlie chiamarla tra i singhiozzi e desiderava solo di riuscire a farlo smettere. Da quel ruolo di padre che lo aspettava riflesso nel blu di due vispe iridi, così simili alle sue, un ruolo che sapeva non sarebbe mai stato all’altezza di ricoprire.

Con lei accanto aveva riscritto un destino che pareva già inciso a caratteri di fuoco sul libro della sua esistenza, si era riscoperto capace di fare un passo indietro senza temere di impazzire, di farne due, tre, quattro, fino a ritrovare quella parte di sé che credeva svanita, disintegrata assieme agli scoppi di dinamite, nei tunnel delle trincee. Ma ora, il capitano di quella nave che dolcemente gli aveva teso la mano, accompagnandolo verso una nuova e impensata meta, lo aveva lasciato in mare aperto senza alcun tipo di preavviso, completamente alla deriva e in balia di onde che minacciavano di soffocarlo nei suoi stessi, maledettissimi sensi di colpa. Non gli aveva dato il tempo di imparare a remare e ad orientarsi da solo in quell’oceano nuovo e sconfinato. Se alzava lo sguardo verso il cielo, nessuna stella brillava per lui suggerendogli la rotta, non c’era più un sentiero tracciato da percorrere o un’isola da ritrovare. C’era solo nebbia, e vuoto, e buio, e ancora mille sensi di colpa che sentiva premere sulla cassa toracica inibendogli le principali funzioni vitali. Mangiare, bere, dormire, perfino respirare sembrava a volte costituire un ostacolo insormontabile e quelle bombe tonanti che per così tanto tempo lo avevano tormentato ora sembravano quasi bisbigliare silenti al cospetto di un’assordante autodistruzione.

Ma allora perché ostinarsi a voler continuare una guerra già persa in partenza, a raccogliere frammenti ormai divenuti poco più che granelli di sabbia?

Getta la sigaretta a terra e cerca di allontanarsi da quella fonte di calore che, sebbene all’aria aperta, sembra avergli riempito le narici e il petto di monossido letale. Il ciondolo con lo zaffiro cade a terra, mentre Thomas barcolla lottando per rimanere in piedi, stordito dalla mancanza di ossigeno, dai pensieri e dal fumo grigio che gli sta inumidendo gli occhi. Trova nel tronco di un albero il supporto momentaneo ad un crollo fisico e psicologico che non è più in grado di sostenere da solo. Lì accanto, il suo fedele purosangue nero indietreggia disorientato, emettendo nitriti di protesta e rispecchiando la stessa inquietudine del suo padrone. Thomas arranca fino ad aggrapparsi ai lacci della briglia, con i quali tenta di domare l’indole irrequieta del cavallo, sussurrando qualche lieve parola di conforto a contatto con il muso color pece della bestia, sul quale adagia la propria guancia, una volta che questa sembra aver ritrovato la quiete. Lo sente emettere qualche sbuffo mentre cerca in silenzio, con le palpebre serrate, di raggiungere anch’egli una frequenza di respirazione regolare.

Nel frattempo, un accenno d’alba fa capolino al di là delle colline, annunciando che il tempo per biasimare sé stessi è giunto al termine. Anche stavolta senza risultati, anche questa volta dolorosamente devastante, inutile, fottutamente stupido.

Thomas interrompe il contatto col muso caldo del purosangue, mentre un’orribile sensazione di vuoto allo stomaco sembra gridargli che è il momento di tornare alla realtà: una dimensione permeata ancora di enormi voragini e punti interrogativi lo attende al di là di quella dimora, ora talmente vasta e spaventosamente vuota da portevisi perdere. Con il timido annuncio dei primi raggi solari, però, un altro pensiero torna a popolare la mente confusionaria e disastrata di Tommy, una scia argentea sempre presente ma troppe volte oscurata da altri mille serpenti bramosi di divorare ogni più piccolo barlume di lucidità: è il suono familiare di un vocalizzo infantile, la stretta delicata e spontanea di piccole dita attorno alle proprie, la bellezza di uno sguardo e di un sorriso ancora puro e apparentemente inviolabile.

Thomas non sa se questo è abbastanza; forse, ormai, non c’è più niente che possa davvero esserlo.

E allora, senza nulla da perdere, è disposto ad accettare qualunque compromesso, pur di allentare la stretta dolorosissima di quella corda che, per qualche assurdo scherzo del destino, sembrava volerlo tenere ancora imbrigliato alla terraferma; anche un’irrisoria presa in giro, pur che si offra di spartire con lui quel peso che gli grava sul cuore – e riponendo lo zaffiro in una tasca della giacca, promette che l’accetterà, per quanto vergognosa ed egoista possa apparire, nel mentre sussurra insensate scuse a Grace per non esser riuscito ad ottenere di meglio da se stesso.
Intanto si strofina il volto con i palmi delle mani, aggiusta il berretto e recupera l’accendino per avviare un’altra sigaretta prima di montare a cavallo e fare ritorno a casa. Accoglie il fresco del mattino lasciandolo scorrere sulle palpebre, mentre il lento clop degli zoccoli lo accompagna di nuovo in quel luogo che comincia a stargli stretto.

Ma adesso sa cosa deve fare, e la sua mente sta lentamente riscrivendo il cammino, passo dopo passo, un gradino alla volta, assaporando il ritorno di un precario equilibrio ottenuto a caro, carissimo costo: quale sarà la parte di te stesso che venderai al diavolo, adesso, Tommy? Quale quella che darai in cambio per poter tornare di nuovo alla tua vita, ai tuoi affari? Cosa c’è rimasto ancora, dentro quel corpo apparentemente indistruttibile?


Niente, Grace. Credo non vi sia rimasto più niente.












____________
Buonsalve!
Non so se qualcuno vaga ancora per la landa desolata di questo splendido fandom. Nel dubbio, qualora vi fosse qualcuno così coraggioso da essersi addentrato in questo flusso di pensieri ed esser arrivato fin qui, volevo spendere giusto due parole.
Innanzitutto, GRAZIE! Per aver aperto questa one shot ed avergli dato una possibilità.
Thomas Shelby è un personaggio così complesso che mi spaventa. Credo che entrare nella sua testa sia possibile solo per Cillian, che lo interpreta brillantamente: tuttavia mi sono voluta cimentare lo stesso a buttare giù quelli che, molto liberamente, ho ipotizzato potessero essere i tormenti di Thomas davanti al fuoco, dopo la morte di Grace e prima di andare a cercare risposte riguardo a quel maledetto zaffiro. Chiedo venia per eventuali incongruenze, nel suo caso non so seriamente cosa possa essere considerato IC o OOC.
Ma è davvero un personaggio profondo che mi affascina molto e ho voluto tentare quest'impresa.
Perciò, ancora grazie per aver letto e, qualora vi andasse di lasciarmi una traccia del vostro passaggio, ne sarei davvero molto, molto felice.

Ps. Louder than bombs è il titolo di una bellissima canzone dei BTS prodotta assieme a Troye Sivan e mi è sembrato molto calzante con le tematiche della one shot.


Vavi

 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Peaky Blinders / Vai alla pagina dell'autore: Vavi_14