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Autore: LysandraBlack    24/05/2020    2 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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Orzammar

Era del Drago, 9:35

 

 

Natia Brosca non era mai stata una tipa paziente, e quando si trattava di affari lo era anche meno.

Lanciò uno sguardo al dito mozzato posato sul tavolo, la ruvida stoffa che lo avvolgeva macchiata di sangue rappreso, continuando a masticare il fungo essiccato.

«Lo sapevi che era un azzardo.»

Sfregò nuovamente la cote sulla lama di silverite, senza voltarsi verso Leske.

«Che hai intenzione di fare, mozzare le mani a tutti?»

«Non lo so, cazzo.»

«Beh, pensaci in fretta, Keg non è stato il primo e non sarà sicuramente l'ultimo a dirti che è stato un pessimo affare, perché lo è stato.» Leske le diede una pacca sulla spalla, stringendola per un attimo. «So che sono tuoi amici, e se vuoi continuare ad aiutarli ti guardo le spalle, Salroka. Ma ci sono cose che vanno dette.»

Natia sospirò profondamente, annuendo. «Lo so.»

«Quando vuoi.»

Lo sentì uscire dalla stanza, lasciandola sola con un boccale vuoto, un pugnale che avrebbe volentieri usato più spesso e uno stupido dito mozzato.

Che razza di avvertimento, mozzare un dito a qualcuno. La scelta era stata tra quello o staccargli la testa, e per quanto Keg non usasse molto il cervello, era pur sempre uno dei suoi. Era stato uno dei più entusiasti a seguirla quando aveva preso il controllo del Carta anni prima, e ora era stata costretta a farne un esempio solo perché era abbastanza scemo da ripetere ad alta voce quello che ormai pensavano quasi tutti i suoi scagnozzi: quei maghi del cazzo stavano causando solo un mucchio di problemi.

Eppure, uno di quei maghi del cazzo era forse l'unica persona per cui Natia si sarebbe fatta travolgere da un Ogre senza pensarci un attimo, e qualcosa doveva pur contare.

Con uno sbuffo irritato, diede un'ultima passata con uno straccio al pugnale, infilandolo poi nella cintura. Sputò il fungo delle profondità in una ciotola con qualche resto di cibo e uscì dalla stanza a passo pesante, grattandosi la spessa cicatrice sul naso.

Trovò il mago in questione in una delle stanze al piano superiore, intento a fumare una pipa di legno dall'aspetto vissuto.

Quando la sentì arrivare, l'uomo si voltò appena, facendole un cenno col capo mentre gli si accomodava accanto.

«Allora, spilungone,» prese la parola, allungando il braccio ad afferrare la bottiglia mezza vuota di liquore di licheni e miele «dobbiamo parlare.»

Geralt Amell prese un'altra boccata di fumo, facendolo uscire in piccoli cerchi concentrici. «Zevran mi ha detto dell'incidente del dito.»

Natia storse la bocca. «Non è un incidente, chiamiamolo col suo nome: una cazzata che sono stata costretta a fare per non perderci ulteriormente la faccia.»

«So che ti sto costando parecchio.»

«No, non lo sai, lo immagini.» Lo rimbeccò lei, bevendo qualche sorso di liquore direttamente dalla bottiglia e schioccando la lingua, guardandolo storto. «E la tua immaginazione non è mai stata brava a contare soldi.»

«Così tanto?»

Appoggiò la bottiglia sul tavolo, allungando la mano. Lui le porse la pipa, e Natia ne aspirò il fumo avidamente. «Non sto parlando solo di denaro, e già comunque non è un problema secondario. Mi stai costando la fiducia dei miei, Geralt. E non devo ricordarti che fine fanno i capi che fanno incazzare i loro scagnozzi.»

«Pensavo che sarebbero persino caduti in cielo, per te.»

Scoppiò a ridere, prendendo un'altra boccata e ripassandogli la pipa. «Alcuni sono qui per me, sicuro, ma è il guadagno che tiene in piedi tutta questa baracca. E non prendiamoci per il culo, le belle parole arrivano fino ad un certo punto, poi hai bisogno di riempirti le tasche.»

Il mago emise un sospiro profondo, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Non volevo trascinarti a fondo con me. Mi dispiace.» Si rigirò l'oggetto tra le mani, passando l'indice su un disegno intagliato nel legno. «Partiremo il prima possibile.»

Natia sbuffò di nuovo. «Non dire stronzate, spilungone, non mi hai trascinato da nessuna parte.» Prese ancora qualche sorso, lasciandosi poi sfuggire un piccolo rutto. «E non ho intenzione di cacciarvi così di punto in bianco, avete l'intero Ordine Templare attaccato alle chiappe. Qui sotto siete al sicuro, e se osano venire a prendervi, scopriranno qualcosa sull'ospitalità nanica.»

«Scommetto che il re avrebbe qualcosa da dire, a riguardo.»

«Lascia stare Sua Altezzosità, qui dentro comando io e voi quattro siete miei ospiti, non mi interessa quante mani devo tagliare per farlo entrare in quelle teste dure.» Si frugò nelle tasche, estraendone un altro pezzetto di fungo delle profondità e cacciandoselo in bocca, masticandolo fino a ridurlo in poltiglia e ficcandoselo tra il labbro inferiore e gli incisivi. «Parlerò chiaramente: ho fatto un investimento, su di te e la tua rivoluzione, e non sta andando come speravamo. Hai fallito nel far cadere i templari a Kirkwall, e non sei riuscito a prendere il controllo di quel demone. E non solo, è chiaro anche ai sassi che il Carta stia aiutando la Resistenza, e già girano troppe voci sui Risolutori, maghi del sangue e altro.» Sollevò un dito, per evitare che l'altro la interrompesse. «Normalmente non me ne fregerebbe un cazzo, ma il Carta non fa affari solo con quattro maghi con le pezze al culo e manie di grandezza, la metà dei nostri traffici si basa sulla concorrenza, la dipendenza dei templari dal lyrium è la nostra punta di diamante.» Lanciò uno sguardo irritato al mago, che le stava rivolgendo un'occhiata astiosa. «Lo so che non approvi, ma io in qualche modo devo fare i soldi, e voi non siete esattamente i miei migliori clienti. Ti ho praticamente regalato nani, contatti e lyrium per anni, Geralt. E sta diventando sempre più difficile nasconderlo.»

«Non ti ho mai chiesto di-»

«Oh, certo, potevo semplicemente dire “stracci, questo spilungone è il mio migliore amico, quindi lavorerete per lui senza ricevere un bronzo, perché ve lo dico io”.» Sputò un po' di saliva azzurrognola per terra, piccata. «Dicevo, se i Templari smettono di fidarsi di noi, e se qualcuno dei miei nani decide che non gli faccio più così paura e si mette in proprio, rischio di perdere una grossa fetta di traffici. E non posso permettermelo, se devo pure continuare a tenervi in vita.»

Geralt aggrottò le sopracciglia, sorpreso. «Pensavo tutto questo discorso servisse a dirmi che non avresti più supportato la causa.»

Natia si grattò il naso, passandosi la lingua nel buco tra i due incisivi. «Non appoggio la tua dannata causa, ma te. Però non ho intenzione di rimetterci il posto perché tu sei più cocciuto di un bronto, quindi ho cercato un modo per evitare di sbattere via i miei soldi.»

Il mago si lasciò sfuggire una risatina, appoggiando il gomito sul bracciolo della sedia e sorreggendosi il mento con il dorso della mano. «Sentiamo, che proponi per salvarti quella faccia da stronza che hai così meticolosamente costruito?»

Natia schioccò la lingua. «Quello costruito sei te, io sono più genuina dell'oro.» Afferrò la bottiglia, portandola alle labbra e inclinandola per berne il fondo che restava. «Kal-Sharok si è messa in contatto con Sua Altezzosità, il mese scorso, e nel frattempo ho ricevuto una bella visita da parte di un piccolo gruppo di teste di pietra che pensa di poter fare la voce grossa e propormi un affare svantaggioso come se fossi l'ultima arrivata.»

«Kal-Sharok, nelle Anderfels? Che-» Geralt si interruppe, realizzando un attimo dopo cosa volesse intendere. «Ah, immagino ti abbiano proposto qualcosa col Tevinter.»

«La proposta è stata la testa mozzata di uno dei miei, che avevo inviato a Nessum a tastare la roccia.» La rabbia ancora le faceva prudere le dita, ma non era il caso di perdere la calma. «E un caldo invito ad accontentarmi di un venti percento del loro profitto se gli lasciavo usare la nostra via per Ghislain, sparando qualche stronzata sul fatto che non avrei potuto comunque impedirglielo.» Sorrise serafica, ripensando a come Ghislain era stata ripulita da ogni singolo stronzo pallido con quell'accento di merda. «Dovrebbero aver imparato a non minacciarmi in quel modo, ma il Tevinter mi risulta ancora... difficile da raggiungere.»

«E immagino che mandare qualcuno che possa direttamente dialogare con i Tev possa renderti le cose più facili?»

Annuì. «Non ci sono Templari, e sono il mercato più ricco non controllato dalla Chiesa. Forse il più grosso in assoluto, conto sul fatto che siano assetati di potere come li descrivono in superficie e più che contenti di avere altro lyrium per uccidersi a vicenda. Orzammar e la casta dei minatori ne spediscono già un po', e il resto se lo contendono con Kal-Sharok. Un gruppo indipendente legato alla Casta dei Mercanti di superficie gestisce la maggior parte dei traffici sottobanco, ma ho intenzione di portargli un'offerta vantaggiosa per entrambi.»

Geralt portò la pipa alle labbra, inspirando pensoso. «Continua.»

«Ho un piccolo gruppo a Caimen Brea. Voi li raggiungete, e assieme fate un giretto a Nessum a portare notizie del Carta di Orzammar a quei bastardi montati di Kal-Sharok. Le mie condizioni sono che se vogliono restare nel Tevinter, mi spetta il 30 percento dei traffici che hanno con l'Imperium, entro un anno, in cambio gli permetterò di utilizzare alcune delle mie rotte per Orlais, se mi daranno il 50 percento dei guadagni. Altrimenti avviso i gruppi di Orlais, Liberi Confini e Nevarra che finalmente potranno divertirsi un po' con qualche culo pallido, e non potranno uscire dalle Anderfels nemmeno se scoppia un sesto Flagello. E non gli piacerà affatto, ne hanno già avuto un assaggio a Ghislain.»

«Hai intenzione di scatenare una guerra con Kal-Sharok, Natia?» Le chiese sollevando un sopracciglio, ammirato. «Parecchio ambizioso, persino per te.»

Si strinse nelle spalle. «Che ci vuoi fare, mi piacciono i rischi, lo sai.»

«Pensavo ti bastasse aver ricattato mezza casta dei minatori a pagarti una percentuale, ma non sono poi così stupito.» Si grattò la barba, giocherellando con una delle trecce naniche che si divertiva a portare. «I Mercanti ti hanno già dato un contatto o due, immagino.»

«Alcuni. Tra cui un paio nel Magisterium, perché mi piace puntare direttamente in alto, una è legata pure ad un amico di tuo cugino.»

Geralt storse la bocca, in un'espressione che non gli donava affatto. «Non nominarmi quel verme.»

«Pensala come vuoi sul nuovo campione di Kirkwall, però i Tethras sono affidabili. E in ogni caso, penso che troverai Magister Tilani una donna interessante.»

«E avrei un'ottima scusa per girovagare indisturbato per l'Imperium...»

«Esattamente. Tu aiuti me, io aiuto lei, lei aiuta te. Ma soprattutto, tu ti levi finalmente dai coglioni, che se devo sopportare un altro mese di quella faccia scura ti ficco una bomba di lyrium nel culo solo per vederti cambiare espressione. Sembri un nug in trappola.»

Il mago sbuffò infastidito. «Odio stare sottoterra, lo sai.»

«Sono sopravvissuta a mesi di campeggio all'aria aperta, non mi sembra di essere morta.»

«Ti sei lamentata ad ogni singolo passo, barilotta.»

Gli rivolse un sorriso tutto denti storti. «Allora, che ne dici?»

Geralt si portò nuovamente la pipa alle labbra, annuendo. Espirò il fumo, lentamente, prima di parlare di nuovo. «Ti devo un altro favore, Natia.»

«Vedi di ripagarlo in Sovrane, d'accordo?»

Lo vide rigirarsi la piccola pipa di legno tra le mani. «Tranquilla, non ho intenzione di lasciare altri debiti insoluti.»

La nana sospirò. «Quante volte dovrò dirti che non potevi fare nient'altro?»

«Non è quello il punto.»

«Lo so, il punto è che siamo due stronzi.» Si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lui e mettendogli una mano sul braccio. «Ma non abbastanza stronzi da non affezionarci a nessuno.» Si concesse un ghigno soddisfatto, notando di avergli strappato un sorriso. «E Sua Altezzosità sarà contento di non rischiare una Santa Marcia.»

«Leliana ci è andata giù abbastanza pesante, in effetti.»

«Hanno appena eletto una nuova Divina, non credo la vogliano morta così presto, no?» Gli diede le spalle, aveva qualche preparativo da ultimare prima della partenza dell'amico.






Geralt sospirò pesantemente mentre si avventurava all'aperto, se così si poteva definire l'uscire da un edificio per ritrovarsi in una stramaledetta caverna sotterranea.

Odiava sentirsi rinchiuso, aveva giurato che nessuno l'avrebbe più tenuto confinato da qualche parte come era stato per quasi vent'anni alla torre del Circolo, e invece era finito per barricarsi sottoterra di propria volontà. Più o meno.

Scese verso il quartiere comune, la piazza del mercato gremita di nani che contrattavano sui prezzi della merce esposta. Incrociò un piccolo gruppo di guardie che lo fissarono sospettosi, ma si limitarono a salutarlo cortesemente: per quanto non fosse ospite esattamente gradito, era pur sempre uno dei vecchi compagni dell'attuale Re di Orzammar. I nani comunque sembravano essere più abituati alla presenza di un umano, perché oltre a qualche occhiata in tralice e borbottii sull'essere troppo alto, non sentiva più l'astio e l'aperta diffidenza che li avevano colpiti la prima volta che erano scesi là sotto, durante il Flagello. Il commercio con la superficie era aumentato, e ormai non era così inusuale trovare dei mercanti umani che si spingevano fin là sotto, anche se sempre sotto stretto controllo nanico.

Si diresse a passo spedito verso un vicolo laterale, trovando il fabbro che cercava. La forgia era piccola rispetto a quelle più frequentate dai nani in cerca di armi con cui spazzare via la Prole Oscura, ma sui pochi scaffali la merce in esposizione era di tutt'altro valore: piccoli pugnali rilucevano nella penombra, una grossa spada a due mani aveva tutta una serie di rune incise nel piatto della lama, una balestra dall'aria letale riposava appesa alla parete.

Il nano dietro il bancone non alzò nemmeno lo sguardo, limitandosi a salutarlo con un cenno, concentrato nell'incastrare un piccolo pezzo di metallo in quello che sembrava un complesso sistema di ingranaggi che muoveva della polvere di lyrium, rinchiuso in una boccia di vetro. Quando esso si sistemò nella sua posizione con un sonoro “click”, il nano emise un grugnito soddisfatto. La polvere di lyrium si mischiò a qualcosa di grigiastro, e Geralt poteva quasi avvertirne da un paio di metri di distanza il potere distruttivo.

«Bella bomba.»

Il nano sollevò finalmente lo sguardo, esibendosi in un ghigno tutto denti storti. «Niente male, eh? Certo, poi dovrò fargli un contenitore più resistente...» La pelata riluceva leggermente sudata, i tatuaggi al lato del viso si collegavano a quelli che aveva sulle spalle e lungo le braccia scoperte, in un intrico di rune. «Questa farebbe un botto ancora più grosso di quella che hai visto, l'importante è che una volta unito il lyrium al salnitro, carbone e zolfo, non smettano mai di essere miscelate. Altrimenti, boom. E in ogni caso, non lo conserverei nella tasca dei pantaloni.» Lanciò un'occhiata divertita alla veste del mago, ridacchiando tra sé e sé.

Geralt roteò gli occhi al soffitto. «Vieni al punto, Roget, non sono dell'umore giusto.»

Il nano scosse il capo, sospirando. «Voi della superficie avete davvero un carattere peggio dell'aria che respirate, eh... l'ho finito, vado a prenderlo.» Sparì nel retrobottega, tornando poco dopo con un involto alto quasi il doppio di lui. Quando lo appoggiò sul bancone, Geralt allungò istintivamente la mano sopra di esso. Un'aura rossastra si propagò tutto intorno a loro, mentre scostava la spessa pelle di bronto a rivelare un bastone magico nuovo di zecca: l'oro vulcanico, scurito al punto che sembrava assorbire la fioca luce del negozio, terminava con due affilate lame di silverite a forma di mezzelune, una più alta e una più piccola. Tra di esse, incastonata in un intrico di rovi metallici cosparsi di minuscole e brillanti rune di lyrium, riluceva la gemma scarlatta che aveva recuperato a Kirkwall, così potente che poteva sentirne l'energia fluire verso di lui e far tremolare il Velo alla minima interazione.

Troncò il flusso magico, le rune si spensero e il flusso si interruppe.

Sorrise, afferrando il bastone e soppesandone il peso, facendolo roteare in aria un paio di volte. L'estremità inferiore terminava con una piccola punta, anch'essa in silverite, quasi fosse una lancia, rendendolo atto a ferire da entrambi i lati nel caso si fosse avvicinato qualche templare o avesse la necessità di non ricorrere alla magia. Il manico presentava anch'esso tre rune differenti, ora sopite.

«Roget Dural, dovrebbero farti Campione.»

L'altro scoppiò a ridere. «Mettici una buona parola col Re, allora.»

«Sicuro che non ti devo nulla?»

Il nano scoppiò a ridere. «Più di quanto tu possa accumulare in una vita, ma mi sono già accordato con la nostra amica. Non preoccuparti, spilungone.»

Geralt chinò leggermente il capo, mentre azionava il meccanismo che faceva rientrare il manico del bastone in sé stesso, riducendolo ad un ingombro di mezzo braccio, abbastanza da essere nascosto in uno zaino all'occorrenza. Lo ricompose rapidamente con un solo gesto della mano. Non vedeva l'ora di provarlo, magari su qualche Templare.

Uscì salutando un'ultima volta il nano, soddisfatto oltre ogni aspettativa. Quella pietra era risultata instabile, e ancora non riusciva a sfruttarne le piene potenzialità, ma era certo che nel Tevinter avrebbe trovato le risposte che cercava.

Tornò al Distretto dei Diamanti, estraendo la pipa e accendendo con un cenno della mano il lichene e le foglie di radice elfica, aspirandone il fumo denso e amarognolo, sfregando il polpastrello sulla scanalatura del legno. Osservò il piccolo oggetto, le corna di halla sul cannello ormai appena visibili.

Gli mancava.

Sospirò, prendendo un'altra boccata e guardando il soffitto dell'enorme caverna, illuminato dalle torce e dalle colate di lava che scorrevano attorno alla città. Anche lei aveva odiato restare sottoterra, eppure aveva stretto i denti ed era andata avanti, come sempre d'altronde. Cocciuta come un mulo, e col caratteraccio di un drago. Era stata la prima persona che aveva visto sfidare apertamente un Templare, un Comandante in persona, senza battere ciglio.

«Mi daresti del bastardo traditore, se mi vedessi chiedere aiuto al Tevinter?» Chiese, la voce appena un sussurro. «Ho fatto la mia scelta, come l'hai fatta tu.» Scosse la testa, inspirando altro fumo e chiudendo gli occhi. «Mi andrebbe bene essere ricoperto di insulti, se solo potessi dirti che...»

Si voltò verso la balaustra da dove, anni prima, si erano affacciati lui, Natia, Zevran, Leliana e Kallian dopo una serata di allegria e alcol, un nodo alla gola. Natia gli era rimasta al fianco, Zevran li aveva aiutati a mettere in piedi la Resistenza nonostante non fosse nemmeno un mago... estrasse dalla tasca la lettera di Leliana, dove la donna gli intimava di smetterla con i suoi attacchi sovversivi e chiedeva di darle fiducia, giurando di star lavorando assieme alla nuova Divina per una soluzione congeniale sia ai maghi che alla Chiesa. La stinse nel pugno, stropicciandola ulteriormente. Non c'era alcuna possibilità che si giungesse ad un accordo pacifico, quel ponte era saltato da parecchi secoli. Soffiò del fumo, guardandolo salire verso la volta di pietra.

Nessuno li avrebbe più rinchiusi per essere colpevoli di avere il Dono, strappati alle loro famiglie e costretti a subire ogni genere di abusi e torture. Avesse dovuto trascinare nel sangue l'intero Thedas meridionale per fargli capire come ci si sentisse ad avere paura ogni singolo giorno della propria vita, avrebbe vinto quella guerra.

«Mi dispiace.»

Diede fuco alla lettera, lasciandola cadere a terra e schiacciandola sotto le suole, tornando alla residenza della Casata Brosca.

Bussò alla porta della stanza una sola volta, aprendo il battente di pietra e scivolando all'interno.

Jowan gli corse incontro, allungando la mano ed afferrando il bastone magico appena ritirato, gli occhi scuri che brillavano di eccitazione. «È un capolavoro.»

Sorrise, sciogliendosi i capelli che aveva tenuto legati in una crocchia sulla nuca. «Ha fatto un ottimo lavoro, anche se ci ha messo un po' alla fine ne è valsa la pena.» Andò a sedersi pesantemente sul grande letto al centro della stanza, stendendosi su di esso e chiudendo gli occhi. «Ho delle novità.»

Sentì il compagno raggiungerlo, il materasso che si piegava sotto il suo peso. «Dimmi che ce ne andiamo, finalmente.»

Lo guardò dal basso, divertito. «Non eri tu che dicevi che un po' di tranquillità ci avrebbe fatto solo bene?» Sollevò la mano fino ad accarezzargli la corta barba curata, dandogli un buffetto.

«Era sei mesi fa, ora sto impazzendo. Mi manca la luce del sole, l'aria aperta... persino la pioggia, e sai quanto detesti il fango e il freddo.» Si stese accanto a lui, poggiando il capo contro la sua spalla. «Apprezzo quello che stanno facendo Natia e il re, ovviamente, però...»

Geralt gli lanciò un sorriso smagliante. «Sei fortunato allora, perché stiamo per partire verso climi più caldi, e ci aspettano settimane di viaggio all'aria aperta. In piena primavera, quindi di pioggia ne incontreremo in abbondanza.»

Jowan scoppiò a ridere. «So già che dopo due giorni mi rimangerò tutto, ma non vedo l'ora.»

«Andiamo nel Tevinter.»

Scese il silenzio per qualche attimo.

«Abbiamo sempre voluto andarci, no?» Gli chiese il compagno, stringendoglisi contro. «Magia ovunque, libertà di fare quello che più ci piace, niente Templari...»

«Un paradiso, non fosse per gli schiavi e le manie di grandezza.»

Jowan gli lanciò un'occhiata divertita. «Sarà una bella sorpresa conoscere qualcuno con un ego più grosso del tuo.»

Geralt rispose con un sorriso sornione. «Vedremo.» Lo baciò sulle labbra, assaporando quell'angolo di mondo in cui poteva sentirsi sereno, accarezzandogli i capelli neri e accompagnandolo sopra di sé mentre approfondiva il contatto. «Mi mancherà avere una stanza tutta nostra, in viaggio.»

«Posso proporre una nave?»

«Renderebbe tutto molto più agevole, in effetti, pirati a parte.» Gli prese il viso tra le mani, guardandolo negli occhi. «Ti amo.»

«Ogni volta che me lo ripeti, sembra che tu abbia paura che io possa sparire da un momento all'altro...» Jowan scosse la testa, appoggiando una mano sulla sua mentre con il gomito dell'altro braccio si puntellava sul materasso. «Ti amo anch'io, lo sai. Qualsiasi cosa troveremo, la affronteremo insieme.»

Qualcuno bussò alla porta, facendogli sfuggire un grugnito infastidito mentre stringeva a sè il compagno per qualche secondo, sperando che chiunque fosse desistesse dal disturbarli.

«Se avete intenzione di sfruttare questi ultimi giorni di reclusione per appartarvi là dentro, almeno non fatelo prima di cena!» Li chiamò Zevran dall'esterno, tamburellando con le nocche sulla pietra.

Geralt stava per rispondergli a tono, quando Jowan gli posò un bacio sulle labbra, sussurrandogli un «riprendiamo più tardi» e staccandosi da lui, lasciandolo solo sul letto. «Arriviamo!»

Si passò una mano tra i capelli rossi, lanciando un'occhiata allo specchio sul muro. Aveva sempre portato la barba lunga, prima di partire per il nord forse era il caso darci un taglio.

«Allora, ci farete recitare la parte degli schiavi obbedienti?» Chiese loro Zevran, appoggiandosi all'uscio. «Non credo sarà la mia migliore interpretazione, parlo troppo.»

Geralt e Jowan lanciarono uno sguardo corrucciato in direzione dell'Antivano, per poi soffermarsi su Vanya, che teneva le braccia incrociate al petto e un'espressione astiosa sul volto.

«Io non mi faccio mettere in catene per fare bella figura.» Decretò la maga, le orecchie a punta che fremevano a sottolineare il suo pensiero.

Sospirò, scuotendo il capo. «Forse è troppo rischioso per voi seguirci, sarà già abbastanza complicato così...»

Zevran gli puntò un dito contro, premendoglielo sul petto e guardandolo fisso. «Se vuoi che veniamo con voi, diccelo e troveremo il modo. Vi ho detto che vi avrei seguito, e non intendo rimangiarmi la parola. Tuttavia,» si scostò una ciocca di capelli dal viso, allontanandosi un poco «dal poco che so del Tevinter, attirereste solo altra attenzione non richiesta se non ci trattate da schiavi. E penso sia l'ultima cosa di cui abbiate bisogno.»

«Poi avremo bisogno di qualcuno che coordini la Resistenza e i Risolutori, senza di noi.» Aggiunse Jowan, sovrappensiero. «Vanya, possiamo lasciarti al comando?»

L'elfa gli lanciò uno dei suoi sorrisi feroci. «Lasciate fare a noi, voi preoccupatevi di scoprire come utilizzare l'Occhio.»

Geralt annuì. «Non possiamo fallire.»





 

Duran Aeducan si tolse con un sospiro la pesante corona dal capo, riponendola accanto allo scranno reale. Si sollevò in piedi, cercando di non dare a vedere la sua stanchezza mentre stirava la schiena indolenzita dallo stare tante ore scomodamente seduto ad ascoltare i nobili bisticciare per ore ed ore come una mandria di bronto insofferenti. Sembravano bambini capricciosi, troppo attaccati ai soldi, alla casta o ad un blasone familiare per rendersi conto che o Orzammar si fosse decisa ad aprirsi alla superficie, oppure non sarebbe stata la Prole Oscura a spazzarli via dal Thedas.

Accanto a lui Piotin Aeducan, il suo secondo, scosse il capo sbuffando, scrocchiando il collo e portando la grossa ascia da guerra su una spalla. «Sembra quasi che abbiano le orecchie di pietra.»

Annuì, mentre si lasciavano la sala del trono alle spalle. «Se devo subirmi un'altra invettiva di Vollney sui senzacasta nel quartiere comune, potrei marchiarlo seduta stante solo per farlo tacere.»

Il cugino scoppiò a ridere. «Oh, i Meino non aspettano altro.»

Duran si massaggiò le tempie, cercando di alleviare il mal di testa. «Non capisco, davvero. Stiamo facendo progressi, strappando ai Prole Oscura più Thaig di quanti non ne avremmo ripresi in cinquant'anni, e tutto ciò che fanno è dire che abbiamo armato i senzacasta.»

«Come se non girassero armati ben prima della tua riforma...»

Intercettò lo sguardo dell'altro, e gli rispose con un'occhiataccia. «Almeno ora hanno meno motivi per creare disordini. Non muoiono di fame tra la polvere, non sono spinti a derubare e uccidere onesti mercanti, e fanno il loro dovere per la città combattendo nell'esercito. Io questo lo chiamo un miglioramento, ma a qualcuno rode semplicemente il fatto che i propri figli, che magari sono nati proprio grazie ad una marchiata, combattano fianco a fianco con degli stracci.» Evitò di accennare al Carta, che sotto Natia si era fatto decisamente più baldanzoso, eppure anche lì la situazione era migliorata: nessuna lotta per il potere, nessun incidente fuori controllo. Brosca aveva una gran faccia tosta a pensare di fargliela sotto il naso, ma doveva ammettere che senza di lei il Carta avrebbe prosperato comunque, come aveva sempre fatto. Almeno con lei poteva fidarsi di chi ne era a capo.

«E che gli tocchi pure salvarsi la vita a vicenda, magari.» Sbuffò di nuovo Piotin, grattandosi sopra la tunica di cuoio una spessa cicatrice slabbrata sul petto, regalo di un Prole Oscura: non fosse stato per una delle nuove aggiunte all'esercito di Orzammar, sarebbe tornato alla Pietra prima del tempo.

«Papà!» Un grido eccitato li fece voltare entrambi, in tempo per vedere i due gemelli ruzzolare l'uno sull'altra stringendo in mano qualcosa.

La bambina schizzò in avanti, correndo tra le braccia del padre. «Annika, che cos'hai lì?» Le chiese, stringendola e dimenticandosi improvvisamente di tutte le scocciature della giornata.

Gli mostrò un piccolo mabari di legno, i dettagli della pelliccia intagliati con grande precisione, gli occhi due minuscole gemme. Era stato anche dipinto con la pittura che usavano nel Ferelden, di un bel rosso scuro che spiccava sul legno chiaro.

«Ah, vedo che qualcuno vi ha dato in anticipo i regali.» Si sforzò di metter su un'espressione di rimprovero, ma capitolò quasi subito nel vedere la figlia stringere il piccolo mabari al petto.

«Ma il nostro compleanno è oggi!» Rispose lei, gonfiando le guance e aggrottando le sopracciglia. «Tu non c'eri.»

Le accarezzò le trecce castane, pizzicandole dolcemente una guancia. «Mi dispiace, avrei voluto passare tutta la giornata con voi...» Foral, che li aveva raggiunti, lo guardava a braccia conserte, anche lui con un mabari di legno in mano. «Mi potete perdonare?»

Il bambino si scambiò uno sguardo corrucciato con la sorella, prima di annuire e tendere le braccia verso di lui. Duran si mise sulle spalle Foral, che scoppiò in un altro gridolino deliziato, e prese in braccio Annika, per poi dirigersi verso la sala da pranzo, Piotin che li seguiva divertito.

Quando entrarono, vennero investiti da una serie di profumi, il lungo tavolo di pietra già imbandito a festa. Adal lo salutò con un sorriso, venendogli incontro e prendendogli Annika dalle braccia.

«Non sono riuscita a tenerla ferma, ha praticamente investito il messo reale...»

«Sono troppo sollevato che Re Alistair e la Regina Elissa non ci abbiano mandato un mabari vero, per riuscire a sgridarla.» Sfiorò le labbra della moglie in un bacio leggero, scatenando versi di disgusto da parte dei bambini, e sollevò Foral dalle spalle per metterlo seduto al suo posto.

«L'anno prossimo voglio vedere il cielo!» Strillò Annika, seguita a ruota dal fratello, altrettanto entusiasta all'idea.

«Dov'è che abbiamo sbagliato...» Si ritrovò a bofonchiare Duran, lanciandosi uno sguardo preoccupato con Adal, che si strinse nelle spalle.

«Troppi racconti della superficie, ecco cosa.» Rispose semplicemente lei.

La porta si spalancò rumorosamente. Endrin era tutto intento ad ascoltare qualsiasi cosa gli stesse raccontando la zia, a cui Leske sembrava dare manforte, mentre Rica Brosca chinò rispettosamente il capo nella loro direzione, salutandoli cortesemente mentre prendeva posto.

Natia fece un gesto che lasciava poco spazio per equivocare di cosa stessero parlando, affondando la mano e ruotando il polso, prima di dare una stoccata finale all'aria. «E poi, devi sempre ricordarti di non voltare mai le spalle al nemico, perchè-»

«Natia, ti ricordi quello che avevamo detto sul non picchiare la pietra finché è fragile?» La rimproverò Duran.

L'altra si esibì in un sorriso tutto denti storti. «Il discorso sul “niente coltelli ai bambini” o quello sul vocabolario da usare in famiglia? Oppure ancora quello sul non fare le gare di sputi...?»

Tutti e tre i bambini scoppiarono a ridere fragorosamente. Natia, nonostante le occhiatacce dei rispettivi genitori, si sedette soddisfatta al tavolo, afferrando senza troppi complimenti uno spiedino di nug al miele e cacciandoselo in bocca. «E comunque stavo solo impartendo delle utili lezioni, vero?» Bofonchiò mentre masticava, deglutendo rumorosamente.

Endrin, per confermare, afferrò il coltello accanto al piatto con l'aria di chi sta impugnando un'arma affilata, annuendo fiero. «Così potrò usare il pugnale che mi ha regalato la zia!»

Vide Piotin nascondere una risata dietro un colpo di tosse, facendo spazio a Leske per sedersi accanto a lui. «I nostri ospiti fuori taglia?»

«Arrivano, staranno troppo impegnati a-»

«Eccoli!» Alzò la voce Adal, lanciando un'occhiata assassina ai due nani e salutando gli ultimi quattro invitati a quella piccola festicciola in famiglia.

«Scusate il ritardo, stavamo organizzando una sorpresa...» spiegò Zevran, mentre faceva sedere cortesemente Vanya accanto a lui prima di accomodarsi.

Geralt prese posto accanto a Natia, e Jowan si piazzò accanto all'elfa.

Duran si chiese cosa diamine avessero in mente, ma cercò di autoconvincersi che la sua apprensione fosse superflua. Aveva messo bene in chiaro che gli stavano dando già abbastanza grattacapi, no? Il ghigno divertito di Natia non presagiva nulla di buono. Stava per domandare di cosa si trattasse, quando Adal mise la mano sulla sua. «Non è nulla di grave, tranquillo, ci ho già pensato io.»

Le rivolse un sorriso riconoscente. «Sei la mia roccia.»

La nana scrollò le spalle. «Lo so bene.»

La cena proseguì più o meno tranquilla, e quando fu il momento di mangiare il dolce, un insieme di strati uno più zuccherino dell'altro preparato secondo una ricetta antivana che aveva passato Zevran ai cuochi del palazzo, i bambini quasi si lanciarono sul vassoio, dimentichi delle posate.

«Questa è la tua influenza, Brosca.» Commentò sconfitto il re, guardando i tre leccarsi le dita piene di panna e crema.

«Quanto siete pesante, Vostra Altezzosità...» lo condì via Natia con un gesto della mano, prima di infilare anche lei un dito nella torta e cacciarselo in bocca. «Mfh, che buono!» Esclamò succhiando rumorosamente.

Duran intercettò lo sguardo disgustato di Geralt, che cercò di salvare almeno metà del dolce sollevando magicamente il vassoio fuori dalla portata delle quattro pesti. Jowan lo aiutò a riempire i piatti, e quel piccolo spettacolo di magia servì ad ipnotizzare abbastanza i bambini perché si ripristinasse un minimo d'ordine.

Dopo, si alzarono dal tavolo e si spostarono nella stanza adiacente, gli adulti che chiacchieravano del più e del meno mentre i gemelli scartavano i loro regali.

Quando fu il suo turno, Duran si alzò a recuperare i piccoli involti di stoffa fermati con un fiocco colorato, porgendoli ai figli. «Tanti auguri, miei diamanti.»

Annika e Foral scartarono estasiati i due golem di metallo, gli ingranaggi meccanici che si muovevano magicamente per farli camminare avanti e indietro, sgranando gli occhi quando i minuscoli cristalli sul dorso si illuminarono di una luce intensa. Lo abbracciarono di nuovo, stringendolo per qualche attimo per poi tornare ai loro giochi, testando quanto velocemente potessero muoversi.

Endrin li guardava con una punta di invidia.

Duran gli si avvicinò, sedendosi accanto a lui. «Ne vuoi uno anche tu?»

Il bambino, dall'alto dei suoi quattro anni e mezzo, scosse ostinatamente il capo. «Non è il mio compleanno.»

Annuì, facendo un cenno a Piotin, che si avvicinò loro senza che il bambino lo notasse. «Capisco... quindi questo posso dartelo tra qualche mese?» Prese il pacchetto dalle mani del cugino, consegnandolo ad Endrin con un gran sorriso.

Quello lo fissò sorpreso. «Ma...?»

«Non ho certo bisogno di avere un motivo per fare un regalo al mio nipote preferito.» Rispose, il cuore che gli si scaldava a vederlo scartare l'involto, trovando anche lui un piccolo golem personale.

Endrin se lo rigirò tra le mani, passando le dita sui cristalli verdi e blu. «Vedrò anche io un golem, zio? Come quello che ha combattuto nelle Prove per te?»

Duran sorrise. Shale aveva fatto una grande impressione su tutti, e ancora qualcuno si divertiva a raccontare di quella volta che il re era sceso nell'Arena a combattere per ripristinare il proprio onore, aiutato da due Custodi Grigi e un gigantesco golem assassino. «Shale è parecchio lontana, da quello che so, ma con un po' di pazienza e fortuna potremmo chiederle di scendere qui sotto per un saluto. Anche se non vorrei farla tornare a combattere, ci tengo ai miei guerrieri.»

Gli occhi del bambino brillavano, mentre stringeva al petto il regalo.

«Sai che i golem hanno una paura fottuta degli uccelli?» Si intromise Natia, sporgendosi sopra di loro e scompigliando i capelli di Endrin con la mano. «Un vero terrore, volevo dire.» Cercò di correggersi all'occhiataccia di Duran.

«Perchè?»

«Perchè corrono velocissimi nell'aria, sopra le nostre teste, lanciando bombe di cacca su tutti quelli che hanno sotto.»

Il bambino rimase per un attimo ad immaginare la scena, per poi scoppiare a ridere a crepapelle. «Bombe di cacca!»

Natia gli fece il verso, facendo finta di lanciare un'immaginaria bomba contro Leske, Rica e Adal. Leske appoggiò immediatamente il boccale che teneva in mano, buttandosi a terra e rotolando sul pavimento, tenendosi il naso tra le dita. Le due nane, dopo un attimo di smarrimento, finsero di svenire sulle sedie. Endrin schizzò via ridendo dai cugini, attirati dal rumore, iniziando a rincorrersi.

Duran si grattò il mento, lanciando un'occhiata divertita all'amica. «Sei tremenda.»

Natia gli fece una linguaccia. «Dillo a Shale, è lei che ha paura della cacca.» Lo superò con una scrollata di spalle, andando ad importunare “gli spilungoni”, come li chiamava lei.

«È questo che manca a quelle teste di pietra.» Gli disse Piotin, affiancandoglisi e facendo un cenno col capo al gruppo variegato che avevano di fronte. «Non riescono a capirlo.»

Il re sospirò. Dove lui vedeva degli amici, una famiglia, la maggior parte dei nani vedevano un imperdonabile insulto alla Pietra e alle loro antiche tradizioni. «Vorrei solo che ci provassero.»

Il cugino gli mise una mano sulla spalla. «Se ci sei riuscito con me, c'è speranza.»

Sorrise, voleva credere che avesse ragione. Persino lui ci aveva messo del tempo per cambiare idea, e aveva dovuto trovarsi in circostanze davvero fuori dall'ordinario per ritrovarsi a pensare a dei senzacasta come a parte della famiglia. Eppure, ora non riusciva ad immaginare diversamente.

Dopo qualche tempo, i maghi li convinsero ad uscire all'esterno, percorrendo tutto il tragitto dal palazzo alla balconata del Distretto dei Diamanti, che si affacciava sul resto della città.

«Pronti?» Chiese loro Jowan, posizionandosi alla loro destra. Geralt, sul lato opposto rispose affermativamente, e Vanya sollevò le mani, puntandole verso il soffitto della gigantesca grotta che ospitava la capitale.

Dopo un attimo di trepidante attesa, la caverna si riempì di luci multicolori, miriadi di fiammelle di ogni forma e dimensione che si intrecciavano, univano ed esplodevano nuovamente in un vortice scoppiettante. I tre bambini gridarono eccitati, e persino gli adulti rimasero ad osservare lo spettacolo con un certo interesse, mentre tutto attorno a loro si levavano esclamazioni di sorpresa, meraviglia e, comprensibilmente, un po' di paura. Quando però le guardie attorno a loro si misero a tranquillizzare gli abitanti del Distretto, e tutti iniziarono a pensare che fosse stato il re in persona ad organizzare quello spettacolo, la folla agitata iniziò a rilassarsi, godendosi semplicemente la vista.

Sentì Adal afferrargli la mano, stringendola.

Ricambiò il gesto, lo sguardo puntato verso Orzammar, sotto di loro, illuminata come non l'aveva mai vista. Il compito che si era posto davanti era arduo, eppure in quel momento nulla gli sembrava impossibile.






























Note dell'Autrice: questo piccolo spazio dedicato ai personaggi di "Dragged into the Blight" ci voleva, mi mancavano moltissimo. Geralt è cambiato parecchio nel giro di qualche anno, però alcune cose sono rimaste le stesse, si è solo prefissato degli obbiettivi difficili da raggiungere ma dettati da ciò che ha visto e subito, come tutti gli altri. Natia si ritrova a dover confrontarsi con il suo non essere così tanto stronza, come dice qui, ma avere a cuore i suoi amici e la sua famiglia persino più dell'oro che ama tanto. Duran, infine, nonostante tutto non ha mai perso la fiducia che ha nella sua famiglia, ha solo allargato la definizione a dei componenti un po' improbabili, e ora deve far aprire un po' gli occhi al resto dei nobili di Orzammar... una cosa da niente, no? 

  
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