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Autore: we_are_all_mad_here    25/05/2020    1 recensioni
Tutti arrivano a quell'età in cui c'è la scoperta di sé stessi, del proprio corpo... ma che effetto può avere questo su Aang, un ragazzo cresciuto tra i monaci, che condannano e demonizzano il desiderio?
Dal testo:
«Quello che tu temi tanto è una forma di amore. C’è chi la usa in maniera superficiale, chi non vede il vero significato di quella azione, chi pensa che sia un gioco… ma se sai usarlo bene, sai che così dimostri quanto tu ami quella persona. Davanti alla persona che ami ti spogli di tutto, persino dei visti, mostri tutti i tuoi difetti, le tue debolezze. Ma mostri anche il tuo cuore, mostri la tua anima… metti tutto te stesso nelle mani dell’altro.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katara | Coppie: Katara/Aang
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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«Katara! Ferma!»
Pregò Aang ridendo. Katara gli stava lanciando addosso schizzi di acqua da tutte le parti: davanti, alle orecchie, dietro… ovunque. Inizialmente era divertente, ma adesso Aang iniziava a non respirare più. Anche se sentire la sua ragazza ridere come una bambina davanti a un regalo nuovo gli faceva venire voglia di farsi soffocare per tutto il tempo che Katara avesse voluto.
Quella mattina faceva particolarmente caldo, così Aang e Katara avevano deciso di andare al lago appena dietro l’accampamento che il famoso Team Avatar aveva sistema giusto la sera prima. Aang era riuscito ad avere quasi un’intera settimana di pausa da tutti i problemi che si erano creati da che la guerra contro il signore del fuoco Ozai era terminata. Pensava che una volta sconfitto tutto sarebbe tornato esattamente come prima? Sì, ma non era stato così. Proteste e manifestazioni di violenza all’interno delle città occupate precedentemente dalla nazione del fuoco avevano mostrato il lato più difficile del dopoguerra: incredibile ma vero, c’erano persone del luogo che erano riuscite a innamorarsi di un soldato, un magistrato o qualunque altro ruolo della nazione del fuoco, creando famiglie e discendenze miste; ma dall’altra parte c’erano persone che avevano sofferto, che erano state schiacciate dalla nazione del fuoco in tutti i modi, che avevano perso un figlio, un padre o una madre, un fratello… tutto per colpa della pura, crudele violenza della nazione del fuoco. Era successo tra lui e i suoi amici, di amare e voler bene a persone che erano di nazioni diverse, perché non sarebbe dovuto succedere nel resto del mondo? Però lui non ci aveva pensato. Come incolparlo? Sì, è vero, lui è l’avatar, il suo compito è mantenere l’equilibrio nel mondo e tra il mondo degli spiriti e il mondo degli umani… ma allora aveva solo 12 anni, non era già tanto per un bambino essere costretto a crescere troppo in fretta per sconfiggere un uomo potente e che poteva essere suo padre, con una vita sicuramente più vissuta rispetto a lui? Evidentemente al mondo non importava. Aang era soltanto la carta da tirare fuori per risolvere i problemi quando necessario. In lui non vedevano un essere umano, solo uno strumento.
Ma questo non valeva per i suoi amici, ovviamente. Sokka, Toph, Suki, Zuko… loro erano il suo grande conforto, la sua tana in cui rifugiarsi quando tutto diventava troppo grande, troppo pesante… erano casa, per lui, che una casa non l’aveva più.
E dopo quasi due anni dalla fine della guerra, con tutti i problemi e le complicazioni da essa causate, finalmente Aang era riuscito a trovare un po’ di tempo libero da ogni inconveniente. Certo gli imprevisti ci sono sempre, è capitato più di una volta che ci fosse un fuori programma dietro cui doveva correre subito… per questo era andato con Appa e i suoi amici su un isolotto inabitato, lontano da tutto e da tutti, per rilassarsi un po’. “Egoista” direte. Lo aveva pensato anche Aang, ma come Sokka gli aveva fatto notare, come può aiutare il mondo se è fisicamente e mentalmente stanco? Aang aveva deciso di non pensare se Sokka avesse davvero ragione o volesse semplicemente farsi una vacanza. Insomma, cosa potrebbe mai accadere in una breve, minuscola, semplice, misera settimana…?
Meglio non pensarci.
Tornando al presente, Katara non aveva ascoltato la richiesta del suo ragazzo, ovviamente. Aang decise di “vendicarsi”: sparì sott’acqua, e veloce come il vento (o una corrente in questo caso) raggiunse la sua ragazza, la prese per le gambe e la fece cadere, senza farle male. Katara cadde sott’acqua, ma non passò molto prima che questa improvvisamente sparisse… si asciugò gli occhi con le dita. Non lo avesse mai fatto. Quello che vide era spaventoso. Aang aveva raccolto tutta l’acqua del lago in un’unica, grande bolla di acqua.
«Non vorrai farlo davvero… vero?»
Aang sorrise, ma non quel sorriso giocoso e felice che Katara aveva imparato a conoscere. Oh no. Era un ghigno.
«Mh, non so… insomma, tu mi hai quasi soffocato…», la stava provocando, era evidente. Ora era lui ad avere il coltello dalla parte del manico.
«Tesoro… mi faresti male, lo sai»
«Oh non lo farei mai…»
Katara non avrebbe voluto arrivare a quell’espediente, ma ehi, doveva salvarsi in qualche modo.
«Se lo fai dico a Sokka cosa è successo al tuo amico quando abbiamo giocato l’ultima volta!»
Aang si fermò, lo sguardo confuso e gli occhi che guardavano un po’ ovunque alla ricerca di un indizio che potesse orientarlo.
«Quale amico? Cosa ha fatto?» chiese alla fine, assolutamente confuso.
Katara era pentita di aver fatto quella affermazione imbarazzante. Ma forse lo aveva fatto per parlarne. Lei voleva parlarne. Rossa sulle guance, guardò altrove mentre indicava con il suo dito in basso.
Gli occhi di Aang si spalancarono e a quel punto sul suo viso si poteva vedere solo terrore puro.
«Hai sentito?!» gridò Aang. Il terrore e l’imbarazzo gli avevano fatto perdere il controllo del suo dominio sull’acqua. Katara ebbe la prontezza di proteggersi creando una cupola di acqua sopra di sé, ma Aang non fu così pronto. Si lasciò investire tranquillamente da quell’ammasso di acqua, restando paralizzato da ciò che aveva appena scoperto. Qualche giorno prima Aang e Katara erano andati a Ba sin se a trovare Hiro nella sua amata sala da tè. Si erano messi a giocare, a fare una lotta di solletico e, senza sapere bene come, si erano ritrovati per terra. Katara sotto ed Aang… sopra. Inutile dire che una posizione del genere a un ragazzo di quasi 14 anni con sotto di lui la sua ragazza, la ragazza che amava e che era così bella con i capelli scompigliati dal gioco e il fiato corto, avevano risvegliato qualcosa in lui. Non ci aveva fatto caso inizialmente, ma alla fine se ne accorse e si tirò su immediatamente, sentendosi in colpa, ma cercando di nascondere il tutto. Evidentemente non era servito, Katara aveva sentito.
Katara fece cadere con eleganza la cupola di acqua e guardò Aang. Non appena vide la sua espressione si pentì immediatamente di averlo fatto notare. Aang stava guardando nel vuoto, visibilmente pentito. Ma pentito di che cosa? Infondo era normale. Poi un pensiero la colpì come un fulmine: Aang era cresciuto tra i monaci, gli hanno insegnato che le cose terrene sono futili, che il desiderio per tutto porta a superficialità e a dolore. Katara non sapeva cosa intendessero precisamente con desiderio, poteva significare qualsiasi cosa! Denaro, fama, bellezza, talento… tutto è potenzialmente desiderabile. Ma con desiderio intendevano anche quello? La carne? Assurdo… secondo loro come nascono i nuovi dominatori dell’aria? Da una nuvola soffice? Ma effettivamente Aang non aveva mai parlato di una madre o un padre, la sua unica famiglia è sempre stata il monaco Gyatso… “Andiamo Katara” si disse, “Non essere stupida! È nato come nascono tutti i bambini!”.
«Aang…»
Non fece in tempo a dire ciò che non sapeva dire. Cosa? Come? Non importava. Aang sparì, corse tra gli alberi, senza dire nulla, senza girarsi indietro, senza nemmeno asciugarsi o rivestirsi.
«Aang aspetta!»
Ma lui non aspettò.

Trovò un posto isolato, una splendida roccia colpita da qualche raggio di sole. Decise di stare lì, da solo, a pensare, a meditare. Si sentiva incredibilmente in colpa… i monaci gli avevano insegnato a non farsi trasportare dal desiderio per le cose terrene, ma lui li aveva delusi. In realtà non si era neanche accorto inizialmente di cosa fosse successo, infondo non lo aveva fatto consapevolmente. Però era successo.
«Non so mantenere il controllo!» si disperò.
La sua miglior medicina era la meditazione e questo fece. Cercò di concentrarsi, ma come poteva? Gli veniva da piangere da quanto sentiva di aver tradito la sua tradizione, i suoi maestri, il suo tutore e amico Gyatso…
«Gyatso!» una lampadina si accese dentro lui. Gli mancava, gli mancava da morire, ma fino a quel momento non gli era mai venuto in mente che lui, l’avatar, il ponte fra il mondo degli spiriti e il mondo dei mortali, potesse cercare non solo le sue vite precedenti… ma anche il suo amico Gyatso. Non ci aveva effettivamente mai provato, ma provar non nuoce. Trovò la forza di concentrarsi, ci provò davvero con il cuore. Aveva disperatamente bisogno di parlare con qualcuno, qualcuno che avesse avuto i suoi stessi insegnamenti, che potesse capirlo e dirgli cosa fare per davvero.
«Ciao Aang»
Era la sua voce. Era davvero la sua voce! Aang aprì gli occhi e vide il suo amico davanti a sé. Era davvero lì, ci era riuscito!
«Gyatso! Mi sei mancato tanto!» si mosse per saltargli addosso e abbracciarlo, ma si bloccò non appena lo investì la paura che così facendo potesse farlo svanire.
«Speravo che mi chiamassi prima Aang»
Non lo stava sgridando, la sua voce era calma e gentile, come sempre. Ma Aang si sentì comunque in colpa.
«Io… credevo che non ci sarei riuscito, non sapevo nemmeno se potessi farlo. Mi dispiace Gyatso, mi sei mancato molto… mi manchi molto.»
«Anche tu Aang, è bello vedere quanto sei cresciuto.» Gyatso, o per lo meno il suo spirito, sorrise, quel sorriso caldo che Aang era così abituato a vedere e che gli era mancato così tanto.
«Ma non mi hai fatto venire qui per dirmi quanto mi vuoi bene, vero?»
Gyatso sapeva sempre cosa c’era che non andava, sapeva leggere nella mente di Aang, più di chiunque altro, persino più di Katara.
«No, infatti… Vi ho traditi Gyatso, ho tradito i vostri insegnamenti. Non l’ho fatto di proposito, è semplicemente successo! Ma non riesco a perdonarmelo.» Aang abbassò il capo. Non aveva il diritto di guardarlo negli occhi, né il coraggio di vedere l’espressione delusa, o peggio indignata, schifata, del suo amico più caro.
Fino a che non sentì ridere. Una risata calda, non fragorosa. Una risata gentile, di quelle che i genitori fanno quando il loro bimbo combina un pasticcio e trova le scuse più assurde e divertenti per giustificarsi.
«Aang, noi non possiamo controllare la natura, possiamo controllare solo noi stessi e decidere come approcciarci ad essa.»
«Ma… voi mi avete insegnato che-»
«Noi ti abbiamo insegnato molte cose Aang, ma sta a te decidere come interpretarle.»
«Io non capisco…»
«Perché sei ancora giovane e questo è un argomento delicato, con molte regole, ma altrettante eccezioni. Ma proverò a rendertelo il più semplice possibile. A volte ci sono cose che possono essere desiderio e amore allo stesso tempo. Pensa a un bambino. Una madre e un padre desiderano un bambino, non perché lo vedono come un gioco, ma perché vorrebbero trasmettere tutto il loro amore in qualcosa che li completi in qualche modo. Così potrebbe sembrare che un bambino sia solo un mezzo per rendere la vita di altri più felice. Ed è così, ma un bambino non è uno strumento, è l’amore di due persone unito in un unico essere vivente. In una nuova vita Aang. Quello che tu temi tanto è una forma di amore. C’è chi la usa in maniera superficiale, chi non vede il vero significato di quella azione, chi pensa che sia un gioco… ma se sai usarlo bene, sai che così dimostri quanto tu ami quella persona. Davanti alla persona che ami ti spogli di tutto, persino dei visti, mostri tutti i tuoi difetti, le tue debolezze. Ma mostri anche il tuo cuore, mostri la tua anima… metti tutto te stesso nelle mani dell’altro.»
Aang ascoltò con attenzione. Non sapeva se avesse davvero capito, ma di una cosa era certo: Gyatso gli stava dicendo che non aveva sbagliato e questo già bastava.
«Quindi se succede di nuovo…»
«È la natura Aang, non puoi fermarla. Ma puoi fermare te stesso se pensi che non sia giusto… oppure che non sia ancora il momento giusto.»
Ci fu un attimo di silenzio in cui Aang si beò ancora per un attimo la vista di quel viso così famigliare, che sapeva di casa, prima di decidersi che era arrivato il momento di salutarlo – per ora –.
«Grazie per i tuoi consigli Gyatso. Sei la mia guida.»
«Un’ultima cosa Aang. Spero di non darti un compito troppo grande dicendoti questo: tu hai un dovere verso il mondo, devi ristabilire l’equilibrio. Gli elementi sono quattro e quattro devono rimanere. Ciò significa che tu hai un compito che le tue vite precedenti non hanno avuto: devi riportare nel mondo i dominatori dell’aria, altrimenti ci sarà eterno squilibrio. Tu sei la nostra ultima e unica speranza di far tornare le cose come erano prima, almeno in parte. Ma non penso che questo compito sia per te una costrizione, al contrario, penso che ti piacerà molto.»
Aang aveva capito e anche se era solo un ragazzo, la sola idea lo rendeva tanto felice.

Tornò al campo verso sera, quando il sole stava ormai tramontando. L’ultima volta che aveva mangiato era stato al mattino e aveva davvero tanta fame. Ma non gli sarebbe stato concesso mangiare, non prima che tutti gli saltassero addosso, chi per abbracciarlo e chi per fargli una lavata di capo. «Allora sei vivo piedi rapidi!»
«Aang! Dov’eri finito!» Suki gli corse incontro per abbracciarlo.
«AAAAAAAAAAAAAAAANNNNNNNNNNGGGGGGGGGG!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!»
Questo era decisamente Sokka.
«Mia sorella mi ha raccontato cosa è successo! Prima di tutto dove cavolo ti eri andato a cacciare! Secondo di tutto come ti permetti di lasciare che il tuo amico -»
«SOKKA!!!» Gridarono tutti.
«Che c’è? Io sono il fratello maggiore, è mio dovere arrabbiarmi per cose del genere, anche se mi aspettavo che prima o poi sarebbe successo.»
«Aang…» Katara. Aveva lo sguardo in pena, come se fosse stata lei a farlo soffrire.
«Aang mi dispiace, davvero! Sono stata egoista… volevo parlarne, ma non ho pensato che tu potes-» le sue labbra vennero sigillate da quelle di Aang, che l’aveva zittita con un bacio. Era un bacio delicato, non passionale, ma pieno, stracolmo di amore, era un bacio protettivo, con la mano che le carezzava la guancia.
«Hanno deciso di farlo davanti a noi?» sussurrò Toph.
Non appena le sentirono porre questa domanda provocatoria, si staccarono, Katara rossa come un pomodoro, Aang solo divertito.
«Ahahahah no Toph, volevo solo tranquillizzarla» si girò verso Katara «e dirle quanto le voglio bene con un bacio».
Katara continuò ad arrossire, ma non per l’imbarazzo. Aang era sempre così genuino.
«Ho parlato con il monaco Gyatso»
«Davvero?» si intromise Sokka,
«Lo puoi fare?»
«Così sembra»
«Ti ha detto qualcosa di importante? Sta per iniziare un’altra guerra? Dobbiamo salvare il mondo un’altra volta?»
«No, niente del genere Sokka… solo un consiglio da un amico».
«Quindi… adesso stai bene?» chiese preoccupata Katara, ancora con qualche traccia di senso di colpa.
«Sto bene, Gyatso mi ha dato un ottimo consiglio, un saggio insegnamento e un compito importante.»
«Che compito?!» chiese emozionato Sokka, con il suo boomerang già pronto.
Aang lo guardò con un ghigno, intanto che si avvicinava al fuoco al centro delle tende.
«Devo riportare i dominatori dell’aria nel mondo.» Sokka lo guardò confuso.
«Ma come? Sono spariti da più di cento anni!» Chiese Suki al posto del suo ragazzo.
Aang non rispose, guardò semplicemente verso Katara. La ragazza inizialmente lo guardò confusa, ma quando lo vide sorriderle affettuosamente, sorrise anche lei. Aveva capito. Anche gli altri videro i loro sguardi e capirono. Sokka, che Aang si aspettava avrebbe dato fuori di matto, sorrise, capendo. Decisero di lasciare cadere il discorso, d’altronde erano tutti ragazzi, non era ancora il momento di fare progetti. Anche Toph aveva capito da quel silenzio, senza vedere Aang e Katara.
«Allora, cosa mangiamo stasera? Sto morendo dalla fame!» esclamò Sokka.
Lo stomacò di Aang brontolò improvvisamente, soprattutto rumorosamente.
«Anch’io…»
«Allora forza, prepariamo da mangiare!» intervenne Suki.
«Sì mangiaaaaaa!!!» gridò Toph.
Katara si avvicinò ad Aang. Non si dissero nulla, si presero semplicemente per mano. È bello avere accanto qualcuno che ti capisce con lo sguardo, senza dover dire nulla.

AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Aang sentì gridare. Cercò di capire da direzione provenissero le grida, ma era tutto bianco, non c’erano ombre, non c’erano superfici… nulla.
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!
Di nuovo. Era Katara.
«Katara… Katara!» Aang iniziò a correre, ma non sapeva dove andare e nemmeno dove stesse andando. Un altro grido. Vide finalmente una tenda blu. Lì c’era Katara, lo sentiva. Corse verso la tenda e non appena entrò sentì il pianto di un bambino. Davanti lui c’era la sua Katara, sudata, con i capelli in disordine. E con un bambino fra le braccia. Le sorrise.
«Aang, vieni a vedere!»
Aang aprì gli occhi e vide il cielo stellato dell’isolotto dove erano andati per la piccola vacanza. Sotto di lui sentiva il pelo morbido di Appa. Si alzò di colpo e corse verso la tenda di Katara. Era lì che dormiva, tranquilla, immersa nei suoi sogni, la coperta che si era mossa e non la teneva bene al caldo. Aang si avvicinò per coprirla meglio e quando vide il suo viso tranquillo, gli venne spontaneo accarezzarla, cercando di fare il più delicatamente possibile per non svegliarla. Decise di dormire con lei. Si infilò sotto la coperta e la abbracciò forte.
«Ti amerò con tutto me stesso Katara. Amerò te e la nostra famiglia, te lo prometto.»
Le diede un bacio sui capelli folti e si addormentò così, abbracciato alla sua dolce Katara.
   
 
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