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Autore: Eylis    11/08/2009    5 recensioni
La chiave era lì, come sempre… In attesa di qualcosa. In attesa di quel misterioso, magico momento. Il gatto raccolse in bocca la catenina che vi era legata e portò il monile dorato alla sua padrona, guidato da un istinto che non sapeva d’avere. Zampettò per qualche secondo su quel corpo assopito, emise un piccolo miagolio malinconico. Quando infine poggiò la chiave nella mano della vecchia signora, questa sospirò un’ultima volta ed, infine, morì.
Tessa è una bambina con una vita come quella di tante altre bambine della sua età, almeno fino a che nella sua vita non entra una persona molto speciale… Crescendo Tessa scoprirà dei sentimenti importanti per questa persona, e per questo la aspetterà per molto tempo certa del suo ritorno quando qusta sparirà senza lasciare traccia. È la prima storia che ho scritto dopo mesi in cui non scrivevo più niente, e soprattutto niente di nuovo, quindi non stupitevi se vi sembrerò un po' arrugginita...
Questa storia si è classificata quarta al contest "I tre oggetti" indetto da niobe88 sul forum di EFP
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Link al concorso: I tre oggetti





Ricordo di un sogno




Gira, gira, lascia che giri,
chiave nel petto della bambina,
scatta, scatta, scatta ingranaggio,
apri il mondo della magia…

L’anziana si alzò dalla poltrona con fatica, si diresse verso il focolare con un attizzatoio e spense gli ultimi carboni accesi soffocandoli nella cenere. Poi lentamente si incamminò verso la propria camera da letto, seguita dal gatto che, una volta che gli fu stata aperta la porta, balzò sulle coperte iniziando subito a fare le fusa.
“Così è arrivato il momento, eh, Mize?” Il micio la guardò curioso, chinano il capo da un lato. La ascoltava sempre quando lei gli parlava, anche se la donna non sapeva quanto lui potesse capirla.
“Miaou!” Lei si sedette a sua volta sul letto soffice, lo sguardo perso nel vuoto.
“Già, hai ragione… è passato così tanto tempo. Non so se ne avrò le forze, sai? Sono così vecchia ormai! Ma… se mi ha fatto aspettare avrà avuto le sue ragioni. Ho sempre avuto fiducia in lei, sempre.” Si voltò di nuovo verso il felino dal pelo scuro e questo le balzò in braccio, felice, aumentando la sonorità delle proprie fusa. Lei gli carezzò il pelo con dolcezza. “Mi è mancata così tanto… finalmente potrò rivederla. Vieni tesoro, dormi con me. È l’ultima volta, possiamo concederci questo piccolo vizio, non trovi?” Mize parve annuire col capo, e la donna, incurante del respiro leggermente affannato, si coricò sotto le coperte e lo strinse a sé per quell’ultima notte insieme. Il micio pareva aver capito la gravità della situazione, perché non mosse un muscolo fino a che l’anziana non si fu addormentata. Trascorse qualche tempo, mentre il ticchettio del vecchio orologio appeso alla parete riempiva l’aria sostituendo ogni ninna nanna. Poi, quando un leggero russare si unì a quel rumore, il felino sgusciò da sotto il braccio che lo stringeva delicato e scese dal letto.
Pochi passi per raggiungere l’antico cassettone accanto alla porta, ed un solo balzo per salirvi sopra. La chiave era lì, come sempre… In attesa di qualcosa. In attesa di quel misterioso, magico momento. Il gatto raccolse in bocca la catenina che vi era legata e portò il monile dorato alla sua padrona, guidato da un istinto che non sapeva d’avere. Zampettò per qualche secondo su quel corpo assopito, emise un piccolo miagolio malinconico. Quando infine poggiò la chiave nella mano della vecchia signora, questa sospirò un’ultima volta ed, infine, morì.

Balla, balla, chiave che balli,
porta il ricordo fino a quel mondo,
suona, suona, vecchio mistero,
fascino antico della magia…

“Dove mi trovo?”
“Non lo sai?” Quella voce antica e bambina allo stesso tempo la scosse. Sapeva a chi apparteneva, da tanto tempo attendeva di poterla risentire!
“Sei… sei davvero tu?”
“Io chi?” La donna si sforzò di aprire gli occhi per vedere il volto di colei che le si stava rivolgendo, ma senza successo. Nonostante le sue palpebre si fossero alzate, le sue pupille parevano oscurate da un velo nero come la notte più scura. Allungò le mani, sfiorando il vuoto.
“Io… non ricordo il tuo nome. È passato così tanto tempo…” Un sospiro, leggero.
“Se non ricordi non potrai vedermi… e io non potrò tornare da te.” Improvvisamente un vento impetuoso fece perdere l’equilibrio alla donna, che si accorse così di essere in piedi. Era ancora viva? Eppure le sue mani non erano più rugose come le ricordava, e pur senza vederli sapeva che i suoi capelli erano tornati castani e morbidi come un tempo. Quel tempo, quando condivideva ancora la propria vita con Lei. Colta dalla disperazione cadde sulle proprie ginocchia e si portò le mani al volto, lasciando che il pianto salisse dal profondo del suo cuore.
“E così ti ho persa? Non ti rivedrò, nemmeno dopo aver atteso tanto?” Ma la risposta non venne. La voce si era allontanata, senza che lei se ne accorgesse, e seppe d’averla perduta.

Trascorsero delle ore, o forse dei giorni, non avrebbe saputo dirlo. Pian piano quelle lacrime che le erano sgorgate dall’anima avevano lavato i suoi occhi permettendole di riacquistare la vista, e si era guardata attorno. Si era accorta però che in quello strano luogo non c’era nulla, se non il vento che sembrava volerle fare compagnia. A volte piccoli banchi di nuvole bianche come la pura aria che la circondava si muovevano a formare strane figure, ma al di fuori di quel curioso fenomeno non vide altro. Decise così di raccontare proprio a loro la sua storia, nella speranza che questo potesse riportarle il ricordo di quel nome tanto importante che per qualche strano motivo il suo cuore aveva rinchiuso dentro di sé.



“Ero solo una bambina, quando l’ho incontrata per la prima volta. Stavo correndo per le strade del mio paese e lei era lì, seduta su un muretto che circondava un campo abbandonato, mi guardava sorridente. A pensarci ora è una cosa ben strana, non l’avevo mai vista prima e quando ne ho parlato con i miei genitori non hanno saputo dirmi chi fosse. Eppure io le ho sorriso e sono andata da lei, felice perché ero certa d’aver trovato una compagna di giochi. Forse se fossi stata un’adulta non mi sarei mai avvicinata a lei e tutto questo non sarebbe successo… O forse, più probabilmente, avrebbe in ogni caso trovato il modo di raggiungermi.”

“Ho saputo fin da subito che lei non era come le altre bambine. Aveva qualcosa di speciale, di… magico, credo. Aveva un sogno, voleva creare un mondo tutto suo, incantato, e condivideva sempre con me queste fantasie. Tutte le volte che me ne parlava le brillavano così tanto gli occhi che io ne ero affascinata, e pendevo dalle sue labbra supplicandola di non fermarsi ogni volta che si bloccava per riprendere fiato. Solo una volta l’ho interrotta io, per chiederle come avrebbe fatto a creare quel mondo tanto speciale di cui mi raccontava. Lei allora mi aveva guardata con grande serietà, prima di rispondermi, e quando aveva parlato l’aveva fatto bisbigliandomi all’orecchio.
- È un segreto, Arcanta, ma a te lo posso dire. - Il mio nome in verità non era Arcanta, quello era solo il soprannome che lei mi aveva dato, i miei genitori mi avevano chiamata Tessa. Ma devo ammettere che il mio nuovo battesimo mi piaceva molto di più! Così mi ero concentrata con tutte le mie forze per sentire quel segreto. - Devo trovare la Bambola Rotta, è lei la chiave di tutto! - ”

“Ricordo che a quelle parole ero rimasta molto perplessa. Nella mia ingenuità di bambina avevo creduto che stesse parlando di un giocattolo qualsiasi, ed il giorno dopo le avevo portato di corsa la mia bambola preferita che, purtroppo, si era rotta pochi giorni prima. Ma nel vedermi lei… lei era scoppiata a ridere, così tanto da doversi tenere la pancia! Inutile dire che subito aveva contagiato anche me, e la mia bambola fu presto dimenticata per lasciare il posto a giochi e scherzi di ogni tipo.”

“Gli anni passavano, e con il tempo il mio rapporto con quella bambina, diventata una ragazza come me, era lentamente cambiato. Erano finiti i giorni trascorsi a correre e giocare in tutto il paese, ormai eravamo delle signorine e come tali dovevamo comportarci. Ma devo dire che la cosa non mi dispiaceva più di quel tanto. Grazie al fatto che la nostra ingenuità si era dileguata ci eravamo impercettibilmente avvicinate, giorno dopo giorno, rinchiudendoci al mondo per creare qualcosa di speciale ed inestricabilmente profondo. Ho impiegato del tempo a capire d’aver scoperto il significato della parola Amore, ma… quando me ne sono resa conto ho scoperto cos’era la vera felicità. E poi… e poi è arrivata quella notte. Speciale, splendida… e terribile.”



Tessa interruppe il proprio racconto, presa dai ricordi e da quelle emozioni ancora così indelebilmente stampate nella sua mente e nel suo cuore. In tutti quegli anni aveva cercato di non pensare troppo a lei, per il dolore che quella perdita le faceva provare ogni volta, ma in fondo sapeva bene che aveva vissuto ogni attimo della sua lunga vita in attesa di rivederla. Ogni giorno aveva percorso la strada che costeggiava il muretto ormai decadente nella speranza di vederla sbucare come quella prima volta, ed ogni notte aveva pregato di poter sfiorare ancora quel volto. Ma tutto ciò che le era rimasto di lei era quella chiave, che quando si era svegliata in quel mondo bianco aveva trovato appesa al proprio collo. Gliel’aveva lasciata lei quando era scomparsa, dopo che i loro sentimenti erano stati rivelati nella notte. Tessa l’aveva conservata come un grande tesoro ed ogni giorno si era procurata di lucidarla a fondo perché non perdesse quella lucentezza che le ricordava il brillio degli occhi di lei. Non aveva mai aperto nulla con quella chiave, poiché non sapeva a quale serratura appartenesse. D’un tratto, mentre rifletteva, udì di nuovo uscire dal suo cuore quella canzone che l’aveva accompagnata nel suo lungo viaggio.

Dormi, dormi, bambola in pezzi,
presto la notte arriverà a te,
sogna, sogna, donna incantata,
ricorda il volto della magia…

Per un qualche strano motivo sapeva di conoscere quella melodia, eppure non riusciva ad afferrarne le note, che sembravano galleggiare nell’aria pochi centimetri al di fuori della sua portata per non permetterle di cantarle. Anche quella melodia era un segreto da svelare? O si trattava solo di una canzone che era affiorata da vecchi ricordi sopiti e che in qualche modo aveva inconsciamente collegato a Lei? Era tempo di continuare il suo racconto, nella speranza che questo servisse a ricordare.



“Quella notte c’era un temporale, terribile, e io sapevo che lei temeva i tuoni ed i fulmini. Molto probabilmente, nonostante l’età adulta, era a casa nascosta sotto le coperte nel tentativo di non sentire e non vedere. Quanto a me, trovavo al contrario quel fenomeno atmosferico eccitante e coinvolgente. Così ebbi presto deciso il da farsi, quasi come se qualcuno me l’avesse ordinato, ed impugnato un ombrello che ben poco mi riparava sono andata da lei. Quell’aria elettrica sembrava parlarmi, facendo volare i capelli che avevo lasciato sciolti, e sentivo che sarebbe successo qualcosa di molto, molto importante. Avevo vent’anni…”

“Sono arrivata da lei e sono stata accolta da un viso sorpreso quanto felice. Ormai ero folle di lei, e l’idea di trascorrere una notte insieme era una prospettiva davvero allettante… Non era mai successo nulla tra di noi, se non si considerano le occhiate profonde e cariche di sentimenti e desideri che ci scambiavamo ogni giorno, e per questo le mie gambe tremavano mentre lei mi accompagnava verso la sua camera da letto.”

“Ciò che accompagna sempre i miei ricordi di quella notte è la luce delle decine di candele che avevamo acceso. La finestra era stata sbarrata, la porta chiusa a chiave… Eravamo al buio, solo quelle piccole fiammelle ci illuminavano. Eravamo giovani, ma non così tanto da non riconoscere l’eccezionalità della situazione! Per molte ore però ci siamo limitate a parlare, di ogni cosa, dall’argomento più banale a quello più profondo che però non sfiorasse la parola “noi”. E poi… poi le ho chiesto di raccontarmi ancora di quel mondo che avrebbe creato, e di come lo avrebbe riempito di colori. Non so se credessi davvero a quelle storie, ma non mi importava, tutto ciò che mi premeva era di vedere sul suo viso quell’espressione estatica e meravigliosa. Ma quella volta, quell’unica volta lei non mi accontentò.”

“Invece di rispondere alla mia domanda si volse verso di me di scatto, sorprendendomi, e con una strana espressione mi prese il viso fra le mani. La sua voce era così profonda e sottile nel medesimo tempo…
- Arcanta, devo chiederti una cosa. -
- Che cosa? - Lei aveva preso un grosso respiro e mi aveva osservata solennemente.
- Cosa provi per me? -
- Io… cosa vuoi dire? -
- Mi ami, Arcanta? - La sua voce si era fatta così dolce da farmi rabbrividire. Ho annuito, piano, incapace di fare altro… Come avrei potuto negarlo? Credo in ogni caso che mi si leggesse chiaramente in faccia. Ma non mi aspettavo la domanda seguente… - Mi ami anche se me ne andrò, anche se dovrai aspettarmi per molto tempo? -
- Te ne andrai?! Perché? Non puoi! - Un sospiro, triste.
- Ricordi? Il mio mondo… -
- Non posso venire con te? Ti prego! - Lei aveva scosso il capo mesta. Allora era tutto vero, aveva trovato il modo di creare quel mondo magico e stava per andarsene. Non l’avrei più rivista.
- Dimmi che mi aspetterai, ti prego… Ho bisogno di te, Arcanta. - Quando le lacrime erano sgorgate dai suoi occhi già sapevo qual’era la mia risposta, ma non avrei mai pensato che vederla piangere per me mi avrebbe provocato emozioni tanto intense.
- Sempre… - ”

“Mi baciò, per la prima volta, e per la prima volta facemmo l’amore. Non ho mai provato simili sensazioni in tutto il resto della mia vita, forse proprio per questo le ricordo così bene. Le lenzuola candide del suo letto avvolgevano i nostri corpi con dolcezza, e lei era così delicata nello sfiorarmi ogni centimetro della mia pelle che ero scossa da brividi sottili. Le sue labbra, la sua bocca, la sua mente… tutto mi apparteneva ed io mi sentivo in Paradiso. Davvero, credevo di essere giunta alla fine della mia vita e che quella fosse una sorta di ricompensa ultraterrena per aver vissuto con onestà per tutti quegli anni. Ovviamente questa era una sciocchezza, in realtà stavo semplicemente provando le gioie del piacere fisico… Ma poiché queste erano per me inscindibili dall’amore per provavo per Lei, che era penetrato in me fin dal primo giorno in cui l’avevo conosciuta, mi pareva di trovarmi fra le braccia di un angelo. Forse lo era davvero, un angelo, non l’ho mai saputo…”

“L’avevo vista fin da quando ero entrata nella camera, seduta sul comodino, ma avevo finto di non essermi accorta di nulla. Era come se l’ammettere la sua presenza avrebbe realizzato ciò che temevo di più, mentre il mentire alla mia mente avrebbe potuto risolvere ogni cosa. Ovviamente non era così. Quando mi svegliai, la mattina seguente, Lei era sparita con quell’oggetto. E sul comodino era rimasto solo una piccola chiave dorata, che ho preso con me guidata da un istinto misterioso. La Bambola Rotta che la sera precedente riposava su quel comodino se l’era portata via… aveva portato via la mia…”



“Ora ricordo! Il tuo nome… il tuo nome è Mizeria!” Un sorriso, luminoso, penetrò nel suo cuore. Che sciocca era stata a non ricordare che lei stessa si era creata un indizio chiamando Mize il gatto che aveva accolto con lei da qualche anno… Ma forse era giusto che avesse dimenticato nonostante tutto, perché questo le era servito ad estrarre dalla propria memoria quella storia, le sue emozioni… il suo Amore. Chiuse gli occhi con dolcezza, e quando li riaprì vide i suoi occhi. Luminosi, esattamente come li ricordava… Quello che non ricordava era quel corpo di porcellana.
“Arcanta…” La donna spalancò gli occhi. Cosa diavolo era successo?
“Tu… tu sei una bambola!” Quel piccolo corpo quasi infantile annuì, leggero, e Mizeria si alzò in piedi permettendo a Tessa di ammirare, involontariamente, quel vestito di velluto verde cupo che unito ai capelli d’un nero profondo le donava un aspetto nobile e sincero allo stesso tempo.
“La Bambola Rotta… lei mi ha permesso di creare le basi del mondo di cui ti parlavo sempre.” Incredula, Tessa scosse il capo.
“Ma ti ha intrappolata dentro di sé! Io ti ho aspettata tanto… Perché è successo questo?” Allora la bambola sorrise, e piano allungò una manina ad accarezzare il volto dell’amata. L’arto era tiepido, nonostante la sua natura di terra.
“Non sono stata intrappolata, ho scelto io questo corpo. E non solo perché era l’unico mezzo che avevo per entrare nel mio mondo, ma perché così facendo avrei potuto aspettarti per tutto il tempo necessario. Senza di te non posso dare i colori a questa terra… Sei tu la loro essenza, sei tu che hai donato l’arcobaleno alla mia esistenza.”
“Quindi non sei stata tu a decidere quando ci saremmo incontrate di nuovo?” Ancora una volta Mizeria le sorrise dolcemente, poi scosse il capo.
“No Arcanta… sei stata tu. Avevi una vita da vivere prima di poter tornare al mio fianco… Ora è trascorsa, e per questo hai saputo che era giunto il momento.” Tessa si coprì il volto con le mani, mentre le lacrime iniziavano a bagnare la sua pelle.
“Ho aspettato così tanto… ho pensato a te ogni giorno, anche se avevo dimenticato il tuo nome…” La bambola le si sedette in grembo, abbracciandola con le sue corte braccine.
“Lo so. Anch’io ti ho aspettata tanto, sai?”
“Ed ora… ora non potremo stare assieme, perché tu sei una bambola!” A quelle parole Mizeria assunse un’espressione misteriosa, e le fece cenno di avvicinarsi ancor di più a lei.
“Hai la chiave?”

La chiave… la chiave che aveva conservato in tutti quegli anni! Nello svegliarsi in quel mondo si era subito accorta che era appesa al suo collo, nonostante ignorasse come avesse potuto portarla con sé dato che ricordava d’averla lasciata sul vecchio cassettone. Ora la felicità la invase come un’onda, nell’aprire il fermaglio della catenina per porgere il piccolo monile alla bambola.
“Eccola! Questa ti farà tornare umana?” Le sembrava di essere tornata una bambina per l’ingenua speranza con la quale aveva pronunciato quella frase. Ma Mizeria scosse il capo.
“No, questa aprirà il mio cuore.” Tessa la fissò, perplessa.
“Cosa intendi? Cosa devo fare?” Allora la bambola le mostrò un piccolo cuore dorato sul suo petto. Inizialmente Tessa aveva creduto che fosse un semplice ciondolo, ma ora si accorse che in realtà l’oggetto penetrava il vestito per conficcarsi nel corpo di Mizeria. E lì, proprio al centro del cuore, c’era una minuscola serratura. Guardò gli occhi della bambola incredula. “Devo… aprirti?” Mizeria annuì, piano.
“Ma non ti farà del male?” La bambola questa volta ebbe un gesto di diniego, poi la invitò con un cenno della mano verso di sé. Allora con cautela Tessa infilò la chiave nel piccolo buco nero e la girò, lentamente. Udì un leggero “click” mentre la serratura scattava… Poi una luce potente la abbagliò.

La Bambola Rotta si era sollevata in aria, inondata di fasci di luce ed ombra, gli occhi chiusi mentre l’incantesimo si compiva. Schermandosi il viso con una mano Tessa riuscì a vedere un piccolo oggetto uscire dal petto dell’amata, ed incurante del pericolo si allungò verso di lei per afferrarlo.
“L’ho preso!” Le sue dita stringevano quel complesso ingranaggio, e lei lo sollevò vittoriosa. Nel medesimo istante la bambola ricadde a terra e si ruppe, inespressiva. “Mizeria!” Tessa urlò quel nome con angoscia, mentre il terrore d’aver causato la morte dell’unica persona che davvero aveva amato con tutta sé stessa le attanagliava il cuore.
Ma la disperazione non le impedì di sentire quella melodia. Quella canzone… l’aveva accompagnata in molti momenti, ed ora usciva, senza parole, dalle sue mani. Lentamente aprì la stretta per osservare l’oggetto che aveva catturato l’istante prima, e con meraviglia si accorse che si trattava di un piccolo carillon. Le rotelline minuscole che lo componevano si erano messe in funzione grazie al calore delle sue emozioni, ed ora diffondevano nell’aria note sempre più alte. Mentre un inspiegabile sorriso le colorava il volto Tessa iniziò a cantare, accompagnata dalla melodia cristallina dello strumento.

Torna, torna, torna da me,
piccolo cuore, dolce amore,
vieni, vieni, vieni con me…

“…vivremo assieme nella magia…” Il cuore di Tessa ebbe un balzo nel sentire la voce di Mizeria concludere la strofa della canzone. Non osava guardare, per timore d’aver sognato ogni cosa. Ma poco dopo le dita delicate della donna che tanto amava sfiorarono il suo volto e si vide costretta ad aprire gli occhi. Mizeria era lì, di fronte a lei. Sorridente come non mai. “Benvenuta nel mio mondo, amore mio.” Arcanta la abbracciò, di slancio.
“Finalmente!”

Dopo tanti anni di lunga attesa Arcanta e Mizeria finalmente si ritrovarono, e mano nella mano diedero vita a quel mondo incantato dove ogni cosa era perfetta, perché l’avevano immaginata assieme ed era quindi sgorgata dal loro sentimento.
Tessa era morta, ormai vecchia, nel suo letto. Ma questo aveva permesso ad una nuova vita di nascere, quella di Arcanta, la donna tanto attesa da Mizeria, regnante di quel mondo magico. Essenza materializzata di quel sentimento universale.
“Ora saremo sempre assieme?”
“Certo.”
“Sono felice…”

Un sorriso.



Allora, che dire. Era tantissimo tempo che non scrivevo più qualcosa di nuovo e scrivendo questa storia me ne sono resa conto, mi sentivo davvero molto arrugginita. In effetti sono arrivata quarta (a parimerito con Harriet) al concorso al quale ho partecipato con questo racconto. E devo dire che mi aspettavo anche peggio... Spero comunque che queste righe vi siano piaciute, almeno un pochino! Se volete lasciarmi un commento mi farà sicuramente piacere! Prossimamente poi quando usciranno i risultati degli altri contest pubblicherò altri scritti, in varie sezioni. Intanto... un sorriso a tutti!
Eylis

Ringrazio di cuore Dubhe, hacky87, Onigiri e skry per aver recensito questa storia e Onigiri per averla messa fra i preferiti!

  
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