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Autore: _happy_04    25/05/2020    1 recensioni
[ Black Star/Death the Kid | modern!AU | slice of life, con una buona dose di amarognolo nelle backstories ]
παλιγγενεσία (palinghenesìa): in filosofia, rinascita; concezione della realtà come eterno divenire, introduce anche quella di una ricorrente rinascita, di un "eterno ritorno" delle cose e della trasmigrazione delle anime.
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A volte, nella vita, bisogna allargare i propri orizzonti. Succede, per esempio, quando il figlio di un giudice e un ex-criminale appena uscito di prigione vanno a vivere insieme. Quando due mondi completamente diversi si scontrano, ma la collisione porta alla creazione, invece che alla distruzione.
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{linguaggio leggermente scurrile; menzioni di potenziali triggers; note e avvertimenti potrebbero cambiare nel corso della storia}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Black Star, Death the Kid, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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colori di petali

«Grazie, Kid, sono felice che sia voluto venire anche tu!» Dal posto del passeggero, Maka si girò verso Kid, seduto dal lato sinistro dei sedili posteriori. Da quello del guidatore, Soul sorrise a sua volta, i denti aguzzi appena visibili nello specchietto retrovisore. «Già, se ci avessi lasciati da soli avremmo speso secoli a metterci d’accordo.»
La ragazza fece per ribattere, forse cogliendo un riferimento alla sua pignoleria nelle parole del fidanzato, ma Kid estirpò il conflitto sul nascere, liquidando i ringraziamenti con un gesto della mano. «Ah, di nulla! Mi fa piacere darvi una mano. E poi, potremmo anche trovare qualcosa che possa piacere a Black Star per decorare un po’ la sua camera. Anche se è provvisoria.»
«Però ci si sta bene.» ribatté il diretto interessato, le mani intrecciate dietro la nuca. «E se ci dividiamo le spese e rimango?» propose, senza nessun apparente pudore.
Il viso di Kid assunse almeno tre diverse tonalità di colore, preso dalla confusione. «Come, scusa?» si limitò a gracidare. Non sapeva se lo turbasse di più l’inesistente ritegno con cui aveva avanzato il suggerimento o il fatto che intendesse davvero quello che diceva.
L’imbarazzo fu spezzato dalla fragorosa risata di Soul. «Beh, a convenire conviene! Tu, amico, sei uno forte!» L’albino lanciò un’occhiata al ragazzo, gli occhi cremisi che si giravano appena nello specchietto retrovisore. «Come hai detto che ti chiami?»
L’azzurro non sembrava aspettare altro. Si buttò di lato, schiacciando Kid contro il finestrino, così da piazzarsi al centro del sedile, e se l’automobile non fosse stata in movimento probabilmente avrebbe spiccato un balzo per mettersi in piedi. «Sono Black Star, l’unico e inimitabile, più grande di un dio!»
Il corvino cercò di spingerlo nuovamente al suo posto, tornato nel pieno controllo delle proprie facoltà. «Andiamo, placa i bollenti spiriti, ricorda che questa macchina non è tua, non puoi farci quello che vuoi! Cretino!» lo rimproverò, ricorrendo forse involontariamente a quell’insulto che per gran parte dell’infanzia lo aveva accompagnato grazie alle cure di Excailbur. Un tipo un po’ eccentrico, ma niente male come zio.
Maka incrociò le braccia, e Kid non fu in grado di capire se fosse infastidita o divertita – forse entrambi. «A quanto pare ora abbiamo due infanti a cui badare, eh?»
«Non me ne parlare!»
«Dovrei sentirmi offeso, per caso?» Soul si riprese dalle risate incontrollabili che gli aveva strappato Black Star, sghignazzando la domanda retorica che aveva posto a Maka.
«Valuta un po’ tu.»
«Eddai, te la sei presa?» A Soul non sfuggì il tono (forse) forzatamente rigido della ragazza, e le accarezzò teneramente la coscia, nel tentativo di addolcirla. «Dai, non mi mettere il muso. Sembri una bambina scema quando fai così.» sogghignò, beccandosi come conseguenza un pugno sulla spalla. «Ahia!»
La mano di Maka non tornò indietro, procedendo a dargli pizzichi dall’aria vagamente dolorosa sulle guance. Aveva il viso leggermente girato, permettendo di intravedere le gote gonfiate d’aria e un pochino arrossate.
Soul le spostò appena le dita, lasciandole piccoli baci sulle nocche. «Mi faceva ridere. E tu te la prendi per nulla.»
Maka borbottò un sommesso «Idiota», ma non ritrasse la mano fino a che non fu il fidanzato a lasciarla cadere nuovamente lungo i fianchi della ragazza.
Kid non riuscì a trattener un sorriso, davanti a un altro di quei battibecchi che li faceva tanto somigliare ai diciassettenni che erano quando si erano messi insieme, anni addietro. Con il senno di poi, un risvolto del genere era prevedibile fin dalla prima volta che li aveva visti insieme. Poggiò il viso alla mano, un sorriso nostalgico invocato dai ricordi che riaffioravano a pensarci. Era impossibile dimenticare tutte le volte che una frustratissima Maka di quattordici anni si catapultava ovunque Kid fosse durante la pausa pranzo e spendeva almeno cinque minuti buoni a lamentarsi della stupidità del nuovo arrivato. «È insopportabile!» diceva ogni volta, gesticolando fino all’esagerazione. «Non vedo l’ora di vederlo di nuovo per dirgliene quattro!»
E ricordava anche come quell’espressione vuota e cinica che caratterizzava allora l’albino spariva, lasciando posto ad un beffardo ghigno, quando si trattava di bisticciare con la bionda. Era inevitabile, in fondo, che avrebbero finito per attrarsi e avvicinarsi fino a quel punto. Ed era incredibile pensare come non ci fosse arrivato subito.
Si rese conto dello sguardo interrogativo di Black Star, che lo fissava perplesso. Kid sbatté le palpebre e scosse appena la testa, a chiedergli cosa ci fosse di strano; l’azzurro fece per rispondere, ma la macchina si fermò, così che tutti scesero nel parcheggio del grande negozio di arredamenti.
Maka uscì per prima, e, sistemandosi il vestitino giallo limone, si avviò verso l’entrata, aspettando a malapena che Soul chiudesse l’automobile. Il ragazzo le rivolse uno sguardo, strabuzzando gli occhi, ma non fece altro che alzare il viso al cielo, esclamare uno strascicato «Che pazienza!» e raggiungere la ragazza con uno scatto di corsa.
 
Maka emise uno schiocco di lingua soddisfatto, disattivando la tastiera sullo schermo dello smartphone. «C’è tutto. Ora possiamo anche andare a fare l’ordinazione. Non sono bellissime le librerie di ciliegio?»
Soul si grattò appena il retro del collo, con un leggero verso seccato gutturale. «Belle son belle, ma dovremo richiedere tutto in massa. E dire come venire, come portare tutto, e calcolare i prezzi…»
La fidanzata annuì, procurandogli un altro colpo, stavolta sul gomito. «Sì, mettiti l’animo in pace! Lo sapevi che sarebbe arrivata questa parte!»
«E sì che lo sapevo!» Il ragazzo si passò le mani sul volto, per poi emettere uno sbuffo e cercare di recuperare un contegno. «Beh, grazie, ragazzi. Vi lasciamo per un po’ a voi. Fate con calma… Il fatto sarà lungo. Che palle, che ho detto stavolta?»
Maka fece seguire un’espressione innocente mentre faceva scivolare le proprie dita tra quelle di Soul, dopo che gli aveva afferrato il polso con forse un po’ troppa energia. «Nulla, ma forse dovremmo darci una mossa, invece di lamentarci e basta.»
«Che celestiale angelo.» commentò il ragazzo, a metà tra il sincero e il sarcastico, seguendola verso un commesso intento a guardare annoiato gli alti scaffali.
Kid li guardò allontanarsi, ridacchiando, dopodiché si voltò verso Black Star; anche lui li guardava con un sorriso sghembo. «Sembrano due fottuti adolescenti. Così maledettamente allegri e spensierati.»
Il corvino non poté che trovarsi d’accordo, ma per qualche motivo si rese conto di qualcosa che non aveva ancora davvero considerato – Black Star non aveva mai vissuto quell’adolescenza. A quattordici anni era già in carcere, ed era stato appurato che aveva trascorso per le strade non più di un anno, prima di essere arrestato. Quelli che avrebbero dovuto essere gli anni più sfrenati della sua vita erano stati bruciati dietro delle sbarre, trascorsi a custodire la propria integrità fisica ed emotiva da altre mani, appartenenti a chissà quale corpo di chissà quale persona.
Per recuperarli era tardi. Ma forse poteva godersi un po’ di quella vita adesso, con la compagnia amica che gli era mancata tanto a lungo.
«Vuoi vedere qualcosa per la tua camera?» propose, cercando di alleggerire l’aria.
L’azzurro fece scrocchiare le nocche delle dita, ignaro delle considerazioni del compagno. «Ma sì, aspettavo solo questo!»
La prima cosa che Kid notò, guardandosi intorno, furono i fiori. Ce n’erano di finti e di veri, di tutti i colori possibili, disposti in perfetto ordine su espositori disposti a formare un rettangolo; non era mai stato un appassionato di giardinaggio, ma se pure lo fosse stato non sarebbe stato in grado di denominare tutte le forme e i colori di quella massa di morbidi petali. Al centro, un commesso armeggiava più o meno continuamente con gli steli dei fiori veri, cambiando le boccette d’acqua in cui le estremità erano bloccate.
Li accarezzò tutti con lo sguardo, beandosi di quel misto di profumi dalle diverse intensità che in qualche modo si compensavano armonicamente tra loro. «Ne vedi qualcuno in particolare, Black Star?» Si avvicinò ad un insieme di eleganti fiori dai larghi petali di un rosso brillante. «Tipo, le camelie?»
Quella parola ebbe un aspetto completamente inaspettato su Black Star – il ragazzo spalancò gli occhi, il fiato sospeso, e si avvicinò come ad un fantasma. «Lo tsubaki, la camelia giapponese…» mormorò, accarezzando i petali con i polpastrelli; li sfiorava appena, come se temesse di romperli, di vederli infrangersi e sanguinare sulle piastrelle di plastica sotto i suoi piedi. «Sembra senza profumo, spesso, simile esteticamente a tanti altri fiori. Probabilmente se te lo trovassi accanto sul marciapiede a malapena lo guarderesti. Ma se ti fermi a guardarlo, capisci che tra i petali di quel rosso così vivo è nascosto un profumo eguagliabile da pochissimi. Sarebbe bello se gli tsubaki sopravvivessero a lungo.»
Kid lo fissò, mille domande sulla punta della lingua. Ecco un altro Black Star, ancora diverso da quelli con cui aveva avuto a che fare finora; gli occhi parevano spenti, dentro le sue mani forti la paura di perdere qualcosa tra le dita. Persino le larghe spalle sembravano fiacche, appena protese in avanti, a proteggere un invisibile tesoro. Provò a chiedere, a bassa voce: «Ma le camelie non vivono molto a lungo? Voglio dire, anche tanti anni…»
L’azzurro serrò le labbra, il viso intero contratto in un’ancestrale sofferenza, fatta di rabbia, di rimorsi, di mancanza. Tutte le cicatrici visibili sembrarono farsi più profonde, come se stessero penetrando nelle sue carni. «Non la camelia che conoscevo io.» Allontanando le mani dal fiore, scosse la testa, cercando di svegliarsi dall’incubo in cui era caduto. «No, niente camelie. Meglio una bocca di leone.»
Anche se le dita tremavano ancora un po’, sollevò un grande fiore bianco, un sorriso che da lieve che era si allargò sul suo volto sfregiato, illuminandolo come da suo solito. «Perché è quello che sono – sono un leone, cazzo! Sono il re della savana, no, il re di tutto!» Liberò una fragorosa risata. Non sembrava forzata, o finta, e poteva sembrare strano, vista la scena a cui aveva appena assistito Kid. Non era stupido, aveva capito che dietro quel fiore rosso c’era qualcos’altro – qualcosa che gli faceva male, che lo bruciava, lo tagliava, come quel tratto sbiadito che spezzava in due la stella sulla sua spalla. Ma non gli era dovuto saperlo, del resto.
Si ritrovò a balbettare appena, ma si schiarì la gola. «In che settore vuoi andare adesso?»
L’azzurro considerò per un attimo la sua domanda, poi guardò il fiore che stringeva tra le mani, come a chiedere silenziosamente a lui la risposta, ma scosse la testa, deciso. «Va bene questo! Mi basta e mi avanza!»
Kid sollevò le spalle, un piccolo sorriso sollevato. «Oh, ok. Andiamo a pagare e poi vediamo che fanno Soul e Maka, mh?»
L’altro annuì, entusiasta per il grande acquisto e seguendo il compagno verso le casse, canticchiando sottovoce. «I am a lion and I want to be free, do you see a lion when you look inside of me?»
Inutile dire che, man mano che camminavano, quel mormorio si trasformò in un concerto in piena regola, e Kid dovette sbattergli una paletta in testa e tirarlo via per l’orecchio, sotto gli sguardi di tutti i presenti.

 
angolino dell'autrice ||
Buonsalve a chi fosse giunto fin qui!
Biscottino a chi ha riconosciuto la canzone che canta Black Star, ihih!! 
E no, non credo sarò mai in grado di pubblicare a intervalli regolari, duh-
_choco
   
 
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