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Autore: fool_dynosaur    25/05/2020    0 recensioni
Felix è un ragazzo affetto da una rara sindrome che lo obbliga ad auto-isolarsi dalla società dopo la tragedia della sua famiglia. Tutta la bella vita che il ragazzo si era creato la stava calpestato da solo.
Molly è una ragazza universitaria dalla stanza incasinata e il cuore puro. Ciò che aveva cambiato la sua vita era uno strambo tipo taciturno.
Un giorno per puro caso, la solita curiosità della ragazza la spinge ad avventurarsi nel mondo offuscato del ragazzo, cercando di tirarlo fuori dall'annegare nei suoi stessi rimpianti.
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( Questa è un’opera di fantasia, qualsiasi referenza al mondo reale è puramente causale. )
Genere: Romantico, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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C a p i t o l o
Q u a t t r o

 

 

Blood, Sweat & Tears

 


 

 

Fissò in modo minaccioso una crepa sul muro accanto al disegno di un bambino. Aveva vent’uno anni, stringeva nel palmo della mano il portachiavi a forma di pesce e si sentiva totalmente fuori posto.

Non era malato, lui era sanissimo.

Pensava con la sua testa, riusciva a camminare e parlare, ci vedeva benissimo. Cosa aveva di così sbagliato da trovarsi lì? Alzò gli occhi al cielo di nuovo, forse per la decima volta quella mattina. Molly lo guardò senza dire nulla, era un po’ spaventata dal fatto che se avesse detto qualcosa Felix le avrebbe abbaiato contro come un cane. Provò a trattenersi dal ridere nel pensarci. Tossì per riprendersi, tornando a guardare le crepe sul muro mentre aspettavano.

Era stato un miracolo – l’ennesimo per Ben – appena sentì che il figlio sarebbe andato di volontà propria ad un gruppo di sostegno.

Andrò a quel gruppo di sostegno, ma scordati lo psicologo.”

Felix già odiava quel posto. Si chiese perché non fosse stato chiuso per pericolo di crollo date tutte quelle crepe coperte da disegni stupidi. Sbatteva il piede per terra nervoso e spazientito. Quel venerdì mattina erano arrivati per primi, la sala era vuota e le sedie impolverate come se qualcuno non ci avesse messo piede lì da mesi. In America, le malattie mentali non erano un grande tabù, ed avere aperto un gruppo di sostegno per i bisognosi a Savannah aveva fatto tirare un sospiro di sollievo agli abitanti.

Il secondo ad arrivare fu un ragazzo dalla carnagione chiarissima e i capelli castani chiari. La cosa che lo distingueva erano le sue occhiaie e lo sguardo stanco; Molly lo conosceva di vista, l’aveva spesso visto al supermercato in centro, lavorava come cassiere. Non si sarebbe mai aspettata di vederlo lì. Sorrise notando i due.

“Siete nuovi, eh?” - chiese nascondendo le mani nelle tasche della felpa rossa.

Felix non disse nulla, rimanendo a fissarlo a braccia incrociate. Lei sorrise leggermente.

“Sì, io sono Molly Davis, e lui Felix Allen.”

Il castano poggiò il viso stanco sul palmo della mano, lasciando che il braccio fosse retto dal ginocchio.

“Ciao, io sono Will. Perché siete qui?”

“Fatti miei.” - rispose Felix, spostando lo sguardo sull’unica finestra del posto.

L’amica gli diede una gomitata, rivolgendogli un broncio prima di riportare l’attenzione al ragazzo seduto di fronte a loro.

“Beh, per aiutarlo. E’ l’unico gruppo di sostegno della città; tu?”

Will annuì.

“Anche.” - sussurrò chiudendo per un attimo gli occhi, riaprendoli subito dopo con sguardo spaventato.

Poco dopo arrivò una ragazza, guardando chi ci fosse dentro la camera rimanendo sulla porta. Prese un respiro profondo ed entrò, sedendosi accanto al cassiere. Notò i visi nuovi e sorrise un po’ timida.

“Siete nuovi vero? Non si vedono quasi mai facce nuove. Piacere, sono Abbey Silver.”

Molly sorrise presentandosi. La stanza iniziò a riempirsi di persone che guardarono i due nuovi arrivati con facce stranite. Il cerchio si riempì presto, formato da sei ragazzi e dieci ragazze. La castana si sentì quasi fuori posto, non aveva nulla a che fare con loro o il gruppo, eppure era seduta lì per sostenere l’amico. Fece una smorfia; non era sicura del fatto che fossero amici. Qualche volta Felix aveva degli strani atteggiamenti o reazioni aggressive, ma le andava bene finché ammetteva la colpa e si scusava. Lo psicologo Park entrò nella stanza richiudendo la porta dietro di sé, salutando tutti. Guardò i presenti e vide due facce nuove. Sorrise facendo un gesto loro per alzarsi. Molly lo fece subito sorridendo in maniera quasi innaturale.

“Mi chiamo Molly Davis, ho vent’anni e sono qui per accompagnare Felix, il mio amico.”

Il nominato rimase seduto, fulminando con lo sguardo lo psicologo del gruppo.

“Felix mh? Vuoi presentarti al gruppo?”

Rimase impassibile, e non mosse un solo muscolo. Per lui, era già uno sforzo enorme essere lì. Non si sentiva come loro, non era malato come tutti gli dicevano.

“Vede lui-” - il professore fermò la castana con un gesto della mano.

Lei sospirò risedendosi mentre Will quasi se la rise. D’altro canto per Hanna era una cosa nuova, era sempre stata circondata da persone solari ed educate. Felix si alzò non appena vide il viso triste dell’amica e sospirò.

“Sono Felix Allen, ho vent’uno anni e non so cosa ci faccio qui.”

Park annuì.

“Da cosa dicono che sei affetto Allen?”

“Sindrome del pesce rosso.”

Ci furono alcuni sospiri sorpresi, Park semplicemente alzò le sopracciglia.

“Tranquillo ragazzo, non sempre quello che dicono è vero.”

Molly aprì la bocca per parlare ma Abbey mosse le mani per farle capire di rimanere in silenzio.

“Adesso ragazzi, come in ogni seduta, presentatevi voi.”

La prima in ordine, Abbey, si alzò mantenendo lo sguardo un po’ basso.

“Mi chiamo Abbey Silver, ho sedici anni e sono thanatofobica. Ho paura di morire. Oggi mi sento molto meglio rispetto alla settimana scorsa.”

Fece una risatina imbarazzata, risedendosi quando tutti la salutarono. Will sbuffò con un occhio chiuso e si alzò. Si chinò leggermente, sbadigliando dopo.

“Will Anderson, diciotto anni, clinofobico. Ho paura di dormire in poche parole… sono molto stanco. Non ho ancora preso le pillole perché la fobia è stata più forte di me.”

Hanna guardò il compagno sedersi e spostò lo sguardo sullo psicologo Park. Trovava sempre difficoltà nell’esprimere il suo problema perché non aveva nessuno che la capisse. Per un attimo i suoi occhi si puntarono su Felix, intento a giocherellare con le dita di Molly. Aggrottò leggermente la fronte, alzandosi dalla sedia.

“Sono Lee Hana, ho ventitré anni e soffro della sindrome di Pinocchio. Non riesco a mentire. Oggi sto così così.”

Dopo di lei Leo si alzò lentamente, mettendo un piede verso il centro del cerchio e l’altro verso sinistra, formando una strana L.

“Salve, sono Leo Crue, L per gli amici perché soffro del disturbo ossessivo compulsivo. Sono ossessionato dalla lettera L.”

 

“Liu, posso parlarti un attimo?”

La ragazza rassicurò Felix, tornando nella stanza. Gli sorrise, portando le mani dietro la schiena.

“Mi dica signor Park.”

“Penso che lei debba non venire più agli incontri.”

Arrossì per l’imbarazzo, sentendosi colpevole.

“Mi dispiace, ma per convincerlo a venire ho dovuto. Felix è un tipo difficile.”

“Infatti, per aiutarlo è forse meglio se la strada la facesse da solo. Al massimo puoi accompagnarlo fino all’entrata, va bene?”

La ragazza annuì poco convinta, tornando sui suoi passi. Felix non disse nulla, iniziando a incamminarsi verso casa. Sulla strada passarono accanto alla macchinette dell’edifico, da cui Hanna, Will e Leo avevano presso il caffè. La ragazza era poggiata alla macchinetta, mentre il clinofobico socchiudeva lentamente gli occhi girando il cucchiaino di plastica nel bicchiere e L sussurrava qualcosa che nessuno riusciva a sentire. Molly li salutò con la mano, sorridendo felice di avergli incontrati. I due ragazzi ricambiarono il saluto, mentre la bionda rimase in silenzio, abbassando lo sguardo sul suo caffè. Felix la fissò per qualche attimo, uscendo subito dopo dall’edificio.

Hanna si sentiva messa in soggezione di fronte allo sguardo sottile e pungente di quel ragazzo. Sentì un brivido freddo lungo la schiena, e si allontanò dalla macchinetta per dare spazio ad Abbey, che a mano tremante mise la banconota nel foro apposito e aspettò.

“A me il nuovo arrivato piace.” - iniziò Will, buttando il bicchiere vuoto nel cestino accanto alla porta.

“Felix Allen? - la più piccola annuì sorridendo leggermente. - Anche a me. L’ultimo, Lucas, dopo un mese si è trasferito.”

Hanna sospirò. A lei Lucas era piaciuto tantissimo, era simpatico e comprendeva i suoi problemi essendo uguale a lei; Felix invece sembrava antipatico da come si era atteggiato. Ma non poteva mai saperlo, il professor Park diceva di non giudicare nessuno. Non voleva giudicare, ma era più forte di lei.

Ben sorrise appena vide i due uscire dal cancello del vecchio ospedale. Molly nascose il uso disappunto di poco fa dietro un sorriso.

“Com’è andato il primo giorno?”

Felix alzò le spalle.

“Sono tutti strani.”

“Ma gentili e simpatici.” - aggiunse la ragazza, dandogli una gomitata leggera.

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.

“Come vuoi tu.”

Anche se avesse avuto l’opportunità di andare indietro nel tempo, forse il castano non avrebbe modificato nulla. Non capiva ancora come la ragazza fosse entrata nella sua vita o perché trovasse qualcosa in lui da stargli accanto. La guardò per un attimo, mentre si toccava la testa appena sbattuta contro il tettuccio della macchina.

“Mi scusi signor Allen, ma ha la macchina davvero bassa.”

“Ma se sei tu. Hai sbattuto contro il tettuccio cinque volte in una settimana e sei più bassa di me di quasi venti centimetri, mentre a me non è mai capitato in vent’uno anni.”

Il signore rise, scuotendo la testa. Anche l’amica lo fece, e ciò fece sgranare leggermente gli occhi di Felix. Perché sentiva una stretta quasi dolorosa al cuore? Scosse la testa, provando a pensare a qualcos’altro. Sul cruscotto c’era ancora un elastico per capelli di Adele, dimenticato lì da tempo. Lo prese e lo rigirò tra le dita, notando la polvere che lo ricopriva. Dopo l’incidente suo padre non aveva più guidato molto come una volta, perché non c’erano più le occasioni.

“Papà, puoi lasciarci al Bubble Bar?”

Ben rimase un po’ sorpreso ma annuì; suo figlio stava cambiando in meglio, in poche aspettative ma lo stava facendo. Non si rintanava più in casa come prima, stava pian piano superando la paura delle folle di persone e la sua insicurezza in se stesso pareva un ricordo sempre più lontano. Così come i pensieri e ricordi di Lisa e Adele nella sua testa. Certo, non se le sarebbe mai dimenticate, ma iniziava a capire le parole di Molly. Non doveva pensare costantemente a loro per tenere il ricordo vivo.
 

Lanciò anche i libri per terra, asciugandosi le lacrime con i pugni serrati. Ben aveva quasi paura di suo figlio in quel momento.

A che tieni tutta questa roba se non torneranno più, mh?”

Per un attimo al padre tornarono in mente le parole del dottore. Era vero che Felix stesse diventando pericoloso? Sospirò quando sentì il vecchio salvadanaio di Adele in pezzi. Non poteva fare nulla non perché non voleva, ma perché non se la sentiva in nome di padre. Non aveva mai affrontato situazioni del genere. Chi mai avrebbe potuto sapere se non Dio, che suo figlio fosse così… diverso. Per Ben non era malato come dicevano gli altri. Non lo sarebbe mai stato, nemmeno quando in preda ai singhiozzi e le crisi avrebbe potuto fare un passo falso. Forse troppo falso per rimediare. Chi meglio di lui non poteva capirlo? Aveva perso una moglie fantastica e fedele, una figlia solare e dolce; qualcosa che chiunque avrebbe chiesto nella vita. Sentiva che se avesse fermato suo figlio, sarebbe stato come fermare se stesso. Era un pessimo genitore, si sarebbe rimproverato fino al giorno del proprio funerale per certo. Voleva lasciare suo figlio, darlo in mani che potevano davvero aiutarlo ad affrontare quella maledetta sindrome. Fece un mezzo sorriso quasi malinconico al pensarci; la sindrome del pesce rosso, che cavolo di malattia era se non auto distruttiva? E se Lisa e Adele non fossero morte? Felix sarebbe mai rimasta traumatizzato, avrebbero mai scoperto quella malattia?

Il campanello di casa suonò e si affrettò ad andare a rispondere per cacciare chiunque fosse venuto. Sicuramente sarebbero stati i vicini di nuovo a lamentarsi, ma non di certo poteva aspettarsi Molly che non riuscì nemmeno a salutare. Un botto più forte degli altri fece sussultare le due persone. Felix non aveva di certo intenzione di lanciare contro di loro quella statuetta raffigurante la statua della libertà. Si ruppe in mille pezzi anche l’ultimo ricordo della gita a New York, così come il cuore del ragazzo. Aveva realizzato per la millesima volta che nessuna delle due sarebbe tornata a casa nonostante i suoi lamenti, ma che erano soltanto seppellite in un comune cimitero della città. Ogni volta faceva più male, come se la stretta attorno al collo che sentiva da due anni si stesse stringendo sempre di più. Sapeva che fosse il suo senso di commiserazione. Si sarebbe ucciso con le sue stesse mani così come quella malattia stava facendo con la su anima, ma Felix non aveva tutto quel coraggio. Era un po’ codardo, e si derideva anche per quello. Quanta pena a se stesso poteva fare? Non era sicuro di poterlo descrivere in parole o emozioni.

Molly si avvicinò, salendo lentamente le scale finché non si trovò davanti al ragazzo rannicchiato su stesso. Sembrava più un bambino che cercava di difendersi da una creatura invisibile; almeno per gli occhi di lei lo era, ma non il sangue sulla mano. Si inginocchiò di fronte al ragazzo e provò a toccarlo ma la spinse via nonostante il dolore. La maglia della castana si sporcò di rosso scuro.

Vattene! Andatevene tutti.” - urlò con voce strozzata.

Tossì coprendosi la bocca con la mano sporca. Molly sospirò e d’impulso gli diede uno schiaffo di cui si pentì subito dopo.

Qualunque cosa tu abbai ricordato smettila di tormentarti! Vorrai mai capirlo che non hai colpe Fì!”

A Ben sfuggì una lacrima, ma non la asciugò. Il ragazzo mosse lentamente gli occhi verso la ragazza, sentendo il bruciore sulla guancia diventare più forte di quello della mano. Era quasi buio se non fosse per la luce accesa nella vecchia camera di Adele, eppure gli occhi della castana brillavano come se vivessero di luce propria. Felix era un po’ invidioso dal modo in cui lei prendeva gli avvenimenti della vita; in modo troppo leggero e sorridente per i suoi gusti. Anche Bea l’aveva detto un tempo. Se lo ricordava bene, come si lamentava del fatto che lui fosse sempre così solare e energico anche di prima mattina mentre gli altri appena rimanevano in piedi dalla stanchezza. Sarebbe mai tornato in quella maniera? Avrebbe mai ritrovato quella luce negli occhi che aveva anche Molly? Felix rimase fermo con il palmo ferito poggiato sulla guancia, lasciando che la ragazza lo abbracciasse così come un tempo aveva fatto lui.

Dicevano che gli abbracci regalavo sensazioni mai provate, benessere e conforto. Adele amava gli abbracci, ci era quasi cresciuta con loro. Qualsiasi cosa accadesse, buona o meno, pretendeva sempre un abbraccio. Forse l’avevano cresciuta un po’ viziata, ma a lui poco importava in quel momento, perché era come se stesse rivivendo quei momenti di gioia in un solo abbraccio. Si sentì meglio e protetto che mai, e quello era grazia a Molly. Infondo, non la odiava per davvero, non quanto le sensazioni che la sua presenza provocavano.

Si allontanò leggermente asciugandoli le guance bagnate. Felix socchiuse gli occhi spostando lo sguardo sulla mano ferita, quasi imbarazzato e mortificato dalla situazione. Il padre arrivò con la cassetta del pronto soccorso.

Scusami.” - sussurrò.

 

Felix ha davvero un problema che va affrontato prima che diventi pericoloso. E’ mai scappato di casa? Ha mai aggredito verbalmente qualcuno? E’ stato aggressivo durante gli attacchi di panico?”

 

“Duecentocinquantacinque.”

Molly continuò ad ondeggiare le gambe finché Felix non si sedette accanto a lei. Scosse la testa un po’ sconsolato.

“Non posso credere che tu abbia buttato il pesciolino in mare.”

Il senso di colpa della ragazza aumentò.

“Ah, quando finirai di farmi sentire in colpa? Sai che l’ho fatto per salvarlo.”

“Mh, come vuoi.”

Rimasero in silenzio per un po’, mentre il vento mattutino batteva leggero e il sole da poco sorto si innalzava lentamente.

“Quando sei scappato, ho temuto di non vederti più.” - confessò poco convinta di dirlo.

Felix guardò per terra, togliendo dalla tasca la piccola sfera che teneva da quando l’aveva raccolta da terra nella camera di Adele, quasi due settimane fa. La tenne nella mano destra, tra loro due, e Molly la osservò con curiosità.

Il ragazzo non agiva d’istinto da molto. Da quel passo falso che Dio aveva fatto, togliendogli Lisa e Adele, il ragazzo era diventato quasi fin troppo riflessivo. Non si muoveva di casa se non ci rifletteva sù venti volte, eppure in quel momento il suo cuore aveva agito da solo, e lui non aveva fatto nulla per fermarlo. Perché sapeva che fosse giusto.

La ragazza non parlò per non rovinare il momento anche se aveva un milione di domande da fare. Perché quell’oggetto? Cosa poteva significare per lui da mostrarla?

“E’ la sfera che si è staccata alla palla di neve che hanno regalato a mia sorella da piccola. Era una delle cose che custodiva gelosamente.”

Molly strinse il legno del ponte tra le dita, osservando prima il ragazzo e poi la sfera. Aveva una tenera e piccola cassetta delle montagne in legno dal tetto grande e coperto da neve candida. Felix la scosse leggermente, facendo muovere i fiocchi bianchi intorno alla casa come se fosse in piena tempesta. La ragazza ne rimase affascinata; gli oggetti di quel genere costavano tantissimo a Savannah. Si chiese se la famiglia di Felix fosse ricca, la sua di certo non lo era e non poteva nemmeno sapere che sì, la famiglia del ragazzo stava bene economicamente, ma al ragazzo poco importava e nemmeno piaceva parlarne.

“So che ti stai chiedendo. Non vorrei darla se fosse davvero per me… ma Adele disse che se avessi mai trovato qualcuno degno di quel bene e protezione, avrei dovuto darla. Tieni.”

Molly non capì bene a causa dell’emozione ma allungò il braccio destro, sfiorando con le dita della sua mano fredda quelle calde di Felix. Arrossì e prese la sfera in mano, mettendola di fronte alla luce del sole grazie alla quale si illuminò il vetro, riflettendola. Il ragazzo guardò la sfera senza pentimenti.

Il cuore di Molly perse un battito rendendosi conto di ciò che era appena successo: Felix aveva detto che le voleva bene?

Non riusciva più a capirlo, aveva un milione di domande in testa e voleva assolutamente risposte. Ma valeva la pena soddisfare la sua curiosità a costo di far star male ancora un suo amico?

Lei fece una piccola smorfia. Non ne era sicura se fosse veramente un amico. Loreen lo era, Bea lo stava diventando, ma mai aveva provato le stesse cose che provava vicino a lui. Deglutì e sorrise di nuovo decidendo di non pensarci.

“Ah, grazie.” - squittì stringendola al petto.

Pensava di metterla sulla scrivania accanto al pc, almeno avrebbe avuto un suo ricordo anche mentre studiava. Sgranò gli occhi, inclinando la testa verso la spalla destra. Perché mai avrebbe voluto avere un suo ricordo allora? O meglio, anche allora. Felix non si chiese cosa stesse pensando, semplicemente si voltò verso il mare calmo e mattutino di quella giornata, continuando ad ondeggiare le gambe a qualche centimetro dalle onde.

 

La situazione era di una calma quasi inverosimile. Il ragazzo andava al gruppo di sostegno, mentre Molly aspettava fuori seduta sulle scalinate del vecchio ospedale. Guardava ogni volta quella sfera, scuotendola per vedere la casa sommersa da quella finta neve che la faceva sorridere. Il sindrome del pesce rosso era diventato meno pungente nei confronti dei ragazzi, e a Hanna piaceva. Il modo in cui si stava atteggiando era meno scontroso, qualche volta addirittura le sembrava che gli stesse sorridendo. Si sentiva lusingata; che forse gli piacesse? Hanna non aveva mai incontrato qualcuno che si fosse infatuato di lei, ciò le dava una scarica che non aveva mai provato. Si voltò lentamente per non farsi vedere, osservando il ragazzo di sottecchi. I suoi occhi semi chiusi erano concentrati sul dottore Park che spiegava quanto il proprio cuore prendesse spesso le decisioni. Felix avrebbe voluto alzare la mano, e aspettare che l’anziano gli desse la parola per chiedergli una semplice, a dire, domanda: E se, il proprio cuore fosse ferito, farebbe scelte giuste?

Felix aveva fatto tanti sbagli di cuore anche se non fosse ferito. Che qualcosa in lui non andasse? Mise il broncio corrucciando la fronte, sembrando così tenero agli occhi di Hanna che perse un battito e il suo respiro si bloccò a quella vista. Alla fine della seduta Will propose al nuovo arrivato di uscire qualche volta per conoscersi meglio. Sembrò diffidente, e lo guardò un po’ contrariato. Ma il pensiero del viso di Molly felice nel dirgli che sarebbe uscito con qualcuno per amicizia, lo fece accettare. Hanna si intromise nella conversazione dei due.

“Io… Posso unirmi?”

Il moro le sorrise scombinandole i capelli biondi tinti e corti con una mano.

“Ma certo Hanna!”

Felix ne rimase indifferente, mentre il clinofobico tornò a guardarlo.

“Facciamo dopo la prossima seduta, al Bubble Bar?”

Annuì assieme alla ragazza, lasciando la stanza subito dopo.

Molly si alzò dai gradini nascondendo la sfera nella tasca della sua felpa. Felix era sempre il primo ad uscire da quel posto quasi cadente. Come ogni settimana, da più di un mese, facevano la stessa strada fino a casa della ragazza.

“Oggi il sole tramonta prima. - La ragazza annuì di fronte a quella affermazione, guardando il cielo imbrunirsi. - Quando finisci il penultimo anno?”

“Tra quasi due mesi. Ma faccio le lezioni mattutine solo fino alle undici, poi di pomeriggio. Quindi, ehm, pensavo...”

Felix si voltò verso il profilo della ragazza che camminava in equilibrio sul bordo del marciapiede alto. Il suo peso andò troppo sulla sinistra, rischiando di cadere. Il ragazzo le afferrò d’istinto la mano, impedendole di fare qualche altra figuraccia quel giorno. Molly gli rivolse un sorriso, continuando a camminare un po’ squilibrata.

“Ti aspetterò.”

Mancò il bordo totalmente, sbattendo il piede sull’asfalto della strada. Rimase un po’ scombussolata dalla frase del ragazzo che dal dolore al piede. Annuì guardando per terra, poi si rese conto di star ancora stringendo la mano di Felix e arrossì allontanandosi.

“E-eh?”

Lui alzò le spalle.

“Ti aspetterò all’uscita e poi andremo al porto assieme.”

“Oh… - si guardò un po’ attorno e poi sorrise, annuendo alla sua risposta. - Va bene, grazie!”

Molly bussò alla porta di casa, salutando il ragazzo prima di entrare. Il Bubble Bar, dopo le cinque del pomeriggio d’autunno era semi deserto. Ethan appena lo vide fece un sospiro di sollievo.

“Ah, Felix, meno male che sei venuto.”

Scavalcò il bancone con un salto e si avvicinò al ragazzo che mise le mani nelle tasche del giubbotto per riscaldarsi un pochino.

“Sediamoci.”

A passi svelti andò verso la porta del locale e cambiò il cartellino dell’apertura, negando l’acceso a nuovi clienti. Spense anche le luci dell’entrata e si sedette al tavolo di fronte l’amico. Il ragazzo poggiò un braccio sul tavolo da poco pulito, guardandosi in giro.

“Bea?”

Ethan chiuse per un attimo gli occhi, mettendo i gomiti sul tavolo.

“Aveva il giorno libero e sono rimasto solo io a pulire perché Cloud aveva un appuntamento e mi ha pregato di andarsene prima. Però ascolta, il punto è un altro. Ho bisogno del tuo aiuto.”

Felix alzò le sopracciglia un po’ preoccupato.

“Cris, mio cugino, te lo ricordi no? Verrà qui per una settimana. Ha detto che vorrebbe trasferirsi qui se trova un lavoro, e da cretino che sono ho detto che al bar in cui lavoro ci sarebbe un posto. L’ho detto d’istinto e adesso non so che fare. Sai che l’ultima volta che è venuto, qualche anno fa, ci ha provato con Bea ed ha una cotta per lei. E poi è un pessimo cameriere, non ha equilibrio. Aiutaci.”

Unì le mani in preghiera e fece scivolare i gomiti verso il ragazzo.

“Che cosa c’entro io scusa?”

“Fingi di lavorare di nuovo qui, per favore.”

Il castano spalancò la bocca, guardando male l’amico.

“Sei pazzo? Non se ne parla.”

“Perché? Ci hai già lavorato, hai esperienza, ti amano tutti, Bea ha detto che quando vuoi sei il benvenuto. Felix, per favore, fino a quando non se ne va Cris, dopo puoi decidere. Fallo per la nostra amicizia.”

Ethan sporse il labbro provando ad allargare gli occhi per fare il dolce. Felix fece una smorfia, poi sospirò arrendendosi.

“Andata, ma voglio i dolci gratis.”

Il moro alzò le braccia al soffitto urlando. Si buttò addosso all’amico da sopra il tavolo, provando a stringerlo nonostante l’altro si dimenasse.

“Fino a quando tuo cugino non se ne va. Non di più.”

“E non di meno.” - aggiunse il barista con un occhiolino.

La mattina dopo Felix era già sul posto, seduto sul bancone a dondolare le gambe mentre Bea lo guardava sorridendo in modo quasi inquietante. Ethan sbadigliò entrando nella sala dalla porta della cucina.

“Mi ero dimenticato… - fece una pausa per un altro sbadiglio, sistemandosi poi i capelli ancora non pettinati per il risveglio improvviso. - Che con Felix il locale si apriva alle sei.”

Gli rivolse un’occhiataccia che l’altro ignorò.

“Tu mi hai voluto qui.”

Il barista posò la testa contro uno dei tavoli del locale, buttandosi a peso morto su una sedia.

“Oh, qualcuno mi dica perché sbaglio così tanto ultimamente.”

Bea gli sorrise accarezzandogli la schiena, capendo a cosa si riferisse.

“Nulla Ethannie, ma adesso alza quel culo e vai ad aiutare Cloud in cucina.”

I primi clienti arrivarono quasi un’ora dopo. Una dei loro clienti più abituali e frequenti era la signora Clark, che appena vide il cameriere quasi ebbe un colpo.

“Oh, per tutti i santi! Che cosa vedono i miei occhi? Allen Felix?”

Il nominato rimase indifferente, continuando a pulire dietro il bancone dove Cloud aveva fatto cadere il latte. La signora si sedette su uno degli sgabelli lì di fronte e sorrise come un tempo faceva quando entrava lì per ordinare il solito mattutino bubble the alla pesca con crepe. Ed il ricordo era rimasto anche nella memoria del ragazzo, tanto che iniziò subito a preparare il the senza nemmeno che la cliente glielo chiedesse. Fece un piccolo sorriso; un po’ quelle abitudini gli erano mancate. La signora poggiò i gomiti sul tavolo, aspettando il suo ordine. Da lì a mezzora metà del vecchio quartiere sapeva che Felix fosse tornato al lavoro; era una cosa assurda ma il locale quella mattina era più pieno di quanto se lo ricordasse Bea. E Felix si sentiva già male e irritato. Alcune persone gli chiesero perché fosse tornato, altre come stesse suo padre. Alcuni addirittura si erano permessi di parlare della tragedia dell’Arcadia, nominando Lisa ed Adele. Prese il vassoio con i muffin e le bibite del tavolo sette e si incamminò strisciando i piedi per terra verso la destinazione. Quasi buttò il vassoio sul tavolo, spaventando le studentesse. Il ragazzo alzò un sopracciglio con sguardo sottile, senza guardare nemmeno una delle ragazze negli occhi. Le tre studentesse lo guardarono con occhietti dolci mentre posava i piattini sul tavolo. Una delle tre gli sorrise e prese coraggio.

“Fì, sei tornato per sempre?”

Felix guardò la ragazza, che ebbe un brivido di paura appena incrociò lo sguardo con quello del cameriere. Deglutì spaventata, così come le altre, prendendo il suo piattino senza più fiatare. Il ragazzo era tornato anche se per poco tempo, ma sembrava tutt’altra persona. Prima sarebbe rimasto al gioco, avrebbe sorriso alla ragazza, gli avrebbe scombinato i capelli con giocosità per poi offrire qualche dolcetto.

Prese il blocchetto e si avvicinò al nuovo tavolo.

“Felix!” - canticchiò la ragazza.

Il cameriere alzò lo sguardo e notò Molly sorridergli. Deglutì per l’improvviso caldo che sentiva, muovendo il peso da una gamba all’altra. La ragazza si guardò in giro, un po’ sorpresa di tutta quella confusione.

“Cosa prendi?” - chiese inclinando la testa.

La castana guardò per un attimo il menù, soffiando poi sulla ciocca bionda.

“Non so, scegli tu. Hai gusti nettamente migliori dei miei.”

Molly lo guardò dal basso con un mezzo sorriso, e Felix si ritrovò a sbuffare a causa del cuore accelerato. Non capiva cosa gli fosse presso tutto d’un colpo. Che stesse per avere un infarto? Poco probabile, era molto giovane per un infarto, no?

“Fì, tutto okay? Sei diventato rosso.”

Si passò la mano un po’ sudata sulla guancia, alzando gli occhi al cielo.

“Fatti gli affari tuoi.”

Si allontano dal tavolo, scrivendo sul blocchetto.

 

Si massaggiò le gambe dolenti, con un sospiro di sollievo per aver da poco finito di sparecchiare l’ultimo tavolo. Fuori pioveva a dirotto, accompagnato dal suono dei tuoni che ogni volta facevano sussultare Bea dallo spavento. Sembrava che da un momento all’altro il cielo si sarebbe aperto in due. Non era la prima tempesta di quell’anno, ma teneva comunque in allerta tutti gli abitanti del vecchio quartiere. Ethan guardò fuori dalla vetrina, allontanandosi di un passo quando un fulmine illuminò tutto il cielo come se fosse giorno.

“Purtroppo mio padre è in riunione, stasera non verrà a prenderci.”

Felix alzò lo sguardo sulla cassiera, poco preoccupato dalla situazione. Aveva corso sotto piogge peggiori, sperando ogni volta che su quella barca di sopravvissuti ci fossero anche sua madre e sua sorella. Un ombrello color lilla passò a gran velocità, cercando di entrare nel locale senza notare la porta chiusa. Molly sbatté contro la porta di vetro del bar, cadendo sul marciapiede bagnato subito dopo. Starnutì rabbrividendo per il freddo, dandosi subito della stupida. Felix sgranò i suoi occhi sottili appena la riconobbe, e corse verso la porta d’entrata, precipitandosi fuori. Ethan e Bea rimasero a guardare da dentro un po’ stupiti. Il cameriere si inginocchiò di fronte a lei sotto l’ombrello che stringeva ancora tra le mani. Le diede uno schiaffo sulla testa, facendo arrabbiare la ragazza.

“E questo perché?!”

“Sei una scema, cosa ci fai qui con questa tempesta?”

“Sono venuta a prenderti no? Sapevo che non avessi l’ombrello o con chi tornare.”

Il ragazzo inclinò leggermente la testa, sentendo le stesse sensazioni di qualche ora prima. Perché il suo cuore aveva ripreso a battere forte? Perché aveva il respiro corto come se avesse appena finito una maratona. Sbuffò prendendole l’ombrello dalla mano.

“Muoviti ed entra dentro.”

Obbedì alzandosi per poi iniziare a sfregare le mani sul sedere dove c’era la macchia d’acqua. Felix sorrise scuotendo la testa. Entrò dentro seguita poco dopo dal ragazzo che chiuse l’ombrello. Gli diede un colpo leggero in testa anche con quello. Molly sbuffò dal naso, voltandosi.

“Hey! Smettila.”

Ethan fece un passo verso Bea, avvicinando il viso.

“Ma quei due?” - sussurrò con un cenno della testa.

La mora alzò le spalle con un piccolo sorriso, decidendo di non parlare. A lei, sembrava che per Felix, la ragazza imbranata fosse molto più importante di quanto lo desse a vedere. Dalla sua comparsa nel locale, il suo umore sembrava migliorato, senza spargere più sguardi omicidi ovunque. Quando Molly era intorno, sembrava un po’ il ragazzo che Bea aveva conosciuto, e ciò non poteva far altro che garbarle. Forse nessuno dei due si accorgeva dell'elettricità che si creava tra di loro ma andava comunque bene.

“L’ultima volta era stata la studentessa del tavolo dodici, ricordi?” - chiese sotto voce la mora, sorridendo al ricordo di quel Felix da poco diciannovenne e innamorato di una sconosciuta.

Da quando quel pomeriggio di primavera, che una ragazza dai lunghi capelli castani intrecciati e i libri pesanti era entrata lì sedendo sempre al solito tavolo davanti alla vetrata, Felix sembrava quasi perso e tra le nuvole. La guardava spesso sospirando, le offriva il caffè e le sorrideva quando ringraziava. Sembrava un bimbo alla prima cotta, ma non riusciva a chiederle nemmeno il nome per quanto si sentisse in imbarazzo. Alla fine, dopo quasi due mesi, non venne più e scoprì da Cloud che era una studentessa europea, arrivata lì grazie ai scambi interculturali. Mise il broncio per un mese, ma non disse nulla. Eppure Bea ed Ethan se ne erano accorti, così come in quel momento, quando Felix fece un mezzo sorriso di fronte al discorso senza senso di Molly sulle piogge. Non era semplice che qualcuno piacesse a un tipo come Felix. Doveva essere qualcuno di speciale, fuori dal comune, che avesse quel particolare che lui notava subito, ma gli altri no.

“Vedi? Si è fermata un po’. Possiamo andare adesso?” - chiese prendendogli la mano.

Il ragazzo arrossì di colpo, scostandosi per allontanarsi.

“No. Devo finire di pulire qui.”

Le parole quasi glaciali del ragazzo fecero inclinare la testa ai due colleghi. Non capivano perché il cambio repentino del ragazzo. Che la sindrome comprendesse la bipolarità? Non potevano saperlo, loro non ne sapevano quanto Molly o Ben.

“Ma-”

La ragazza si fermò quando vide lo sguardo che Felix le fece.

“Posso almeno aiutare?”

Ethan le sorrise tornando al bancone.

“Stai tranquilla, finiamo subito ora che c’è il broncione.”

Prese il ragazzo per le spalle, abbracciandolo stretto come una volta. Ma rispetto a prima, Felix non ricambiava facendo urlare Bea che fossero gay fino al midollo. Non se la ridevano insieme insultandosi a vicenda. Il ragazzo provò ad allontanarsi, spingendo l’amico dalle spalle. Tossì a causa della stretta del collega che gli mozzò il respiro, poi sbuffò.

“E se fosse per te, non finiremmo mai.”

Gli occhi del barista brillarono.

“Vedi quanto mi conosce?” - chiese voltandosi verso la castana che sorrise alla vista di quella scena.

Alla fine Bea chiuse a chiave la porta del locale un po’ con difficoltà dato che sotto l’ombrello lilla di Molly erano in cinque. Si girò verso gli altri quattro cercando di non bagnarsi troppo.

“Bene, chi accompagniamo per primo?”

“Sei seria?” - chiese l’altra un po’ scioccata.

Tutti guardarono la mora un po’ stanchi. Cloud sospirò.

“Provo a chiamare mio zio, forse rimediamo un passaggio nonostante l’ora.”

 

Uno starnuto fece sussultare Ben, ma quella volta non era Molly dato che se la stava ridendo. Felix tirò su con il naso, sentendo un gran mal di testa. Fece dei versi di dolore finché il padre non gli portò il the caldo. La ragazza scosse la testa, continuando a strofinare l’asciugamano tra i capelli umidi del raffreddato.

“Mi dispiace, non l’ho fatta apposta-”

Un tuonò seguì subito dopo, bloccando Molly dal discorso di scuse. Ben guardò fuori dalla finestra, sistemando la tenda subito dopo.

“Molly, puoi telefonare a tua madre e chiederle se puoi fermarti qui? Fuori la tempesta impedisce di uscire di casa.”

La ragazza annuì provando ad allontanarsi ma Felix le prese il braccio, tirandola al posto di prima.

“Usa il mio.” - rispose guardando per terra, tirando fuori il cellulare.

“Ma-”

Le soffiò sul viso, distraendola da quello che stava per dire. Balbettò sbloccando il cellulare. Quando vide lo sfondo non riuscì a non sorridere.

“Era il tuo diploma, vero? Eri molto carino.”

Forse era la prima volta che Molly vedeva Adele e Lisa in viso, anche se nella foto, ed erano davvero carine come il ragazzo le aveva descritte. Il sorriso della sorella sembrava davvero contagioso, contornato da quel biondo tinto e le ciocche arancioni. Gli occhi di Lisa erano molto grandi e belli, quasi fossero sorpresi della telecamera. Strinse in mano il telefono, componendo il numero di sua madre. Per la ragazza la situazione si stava trasformando in qualcosa di davvero imbarazzante dato che non sapeva che dire o fare.

“Pronto?” - rispose la signora Davis, sbadigliando subito dopo.

“Mamma, sono io. Ascolta, ti ho chiamato per avvisarti che stasera dormo fuori.”

“Eh?! Dove?”

La figlia arrossì alzando gli occhi al cielo.

“Da Felix” - sussurrò come se fosse qualcosa che non potesse dire.

Crystal sembrò pensarci su, anche perché di quel ragazzo poco e nulla sapeva. Sospirò poco convinta.

“Hai vent’anni figlia mia, puoi fare quello che vuoi. Basta che avvisi.”

Sorrise facendo un piccolo inchino nonostante la madre non la potesse vedere.

“Grazie mami. A domani.”

Restituì il cellulare al proprietario, rimanendo a sguardo basso. Era la prima volta che si sentiva così a disagio e fuori posto in quel modo. Si alzò di scatto, prendendosi anche l’asciugamano e allontanandosi dalla sala, mentre Felix rimase un po’ confuso dal suo allontanamento.

 

“Se hai bisogno, anche se lo sai, il bagno è sopra, prima porta. Spero dormirai bene.”

Molly sorrise portandosi la ciocca chiara dietro l’orecchio.

“Grazie signor Allen, non si preoccupi.”

Allungò le mani per distendersi e diede la buonanotte. Il pigiama di Adele le stava un po’ lungo, forse perché la ragazzina era più alta di Molly nonostante fosse più piccola d’età, ma le andava comunque bene ed il divano-letto era altrettanto morbido.

Eppure non riusciva a chiudere occhio; non capiva se fosse per il fatto che fosse in una casa che poco conosceva o l’abitudine di dormire nel suo letto scomodo. Si rigirò un paio di volte, poi allontanò le coperte per il caldo. Rimase a pancia all’aria per un po’, contando le pecore. Alla centoventitreesima sentì un rumore; ma a causa del buio non capiva da dove fosse. Si spaventò e rotolò fin sotto le coperte, mostrando di poco il viso; per un attimo pensò che fossero i ladri, anche se era davvero poco probabile vista la tranquillità del vecchio quartiere. Felix si fermò davanti al divano, alzando un sopracciglio appena vide il groviglio di coperte.

“Chi va là?” - chiese in un sussurrò la ragazza, stringendo la presa sulle morbide coperte.

Il castano fece qualche passo indietro, accendendo poi la luce della sala. L’impatto con essa fece mugolare Molly per il dolore agli occhi.

“Non riesco a dormire.”

Alzò le coperte appena riconobbe la sua voce e lo guardò con un occhio chiuso.

“Parliamo come tutte le sere?”

Felix annuì cercando di nascondere l’imbarazzo. Aveva sempre parlato con lei attraverso un cellulare, e per lui era risultato quasi più semplice. Si sedette sul divano-letto e aspettò qualche attimo. Molly arrossì, facendo una finta tosse.

“E’ casa tua, puoi stenderti se vuoi.”

“Mi è sempre piaciuto questo divano. - iniziò come se non avesse ascoltato il consiglio della ragazza. - L’ho rotto tre volte.”

Molly posò velocemente una mano sulla bocca per non ridere. Aveva capito perché scricchiolava così tanto nonostante sembrasse nuovo e mai usato. Per lei Felix aveva diverse sfumature, che pian piano le mostrava quasi senza farla apposta. Aveva visto il suo lato indifferente, quello arrabbiato, dispiaciuto, nostalgico, stanco, ansioso e quello bambino. Nulla di tutto quello l’aveva resa molto felice, erano sfumature piuttosto negative rispetto a come tutti raccontavano il vecchio Felix. Bea spesso le raccontava le giornate di lavoro prima di quella tragedia, e pareva quasi un universo parallelo. Lo aveva detto prima e lo avrebbe confermato, odiava la sindrome del pesce rosso e chiunque l’avrebbe odiata se avessero visto le conseguenze. Di cosa stava vivendo Felix se non rimorsi e pentimenti infondati?

“Ma l’ho fatto apposta solo la terza volta per evitare il test di chimica. Mio padre portava tutta la famiglia a Philadelphia per ripararlo dato che lì c’era un vecchio amico di scuola di cui si fidava. Tutte quelle ore di viaggio, i lamenti di Adele, i panini fatti dalla mamma. Gli ho vomitati quasi sempre; soffro molto i viaggi lunghi in macchina.”

“Io non ho mai fatto viaggi molto lunghi, i miei lavoravano molto.”

“Forse un giorno dovremmo farlo.”

“Mh?”

Felix si sdraiò accanto a lei, guardando il soffitto con disinteresse.

“Un viaggio. Un giorno potremmo farlo.”

“Oh, vedi, io e mia madre d’inverno lavoriamo molto. Per noi fare un viaggio è quasi impossibile, magari per te e tuo padre è più semplice, anche se-”

“Intendevo noi due Molly.”

  

 

 

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