Anime & Manga > Kenshiro / Hokuto no Ken
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Autore: Redferne    27/05/2020    4 recensioni
Una storiella che considero alquanto stupida, in fondo.
Ma che forse può riuscire a strappare un sorriso.
Perché in un periodo particolare come questo dove c'é stato, c'é e ci sarà parecchio da piangere, c'é anche e soprattutto bisogno di ridere.
Una racconto dedicato a chi purtroppo non ce l'ha fatta, a chi ce la deve ancora fare, a chi ce la sta facendo o ce la sta per fare e a chi, bontà sua, ce l'ha già fatta.
E deve continuare a farcela, ad ogni costo. Ogni giorno.
In nome e in onore di chi ormai non può più farcela.
Lo dedico a loro. A noi. A tutti noi.
Genere: Comico, Demenziale, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kenshiro, Raul
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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RE SENZA CORONA (VIRUS)

 

By Redferne

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I missili armati a testate contenenti l'estratto più puro, concentrato e radioattivo di idrogeno stravecchio e d'annata avevano raggiunto e toccato il culmine della stratosfera. Il punto esatto che sta esattamente nel mezzo tra cielo e spazio. Dove ognuno dei due non é più solamente uno e sé stesso, ma non é ancora nemmeno diventato completamente l'altro.

Il punto esatto in cui qualcuno, a patto che quel qualcuno avesse potuto davvero trovarsi a quell'altezza spropositata, se avesse teso il proprio sguardo verso l'alto avrebbe come minimo visto le stelle. Persino di pieno giorno.

Ma a quel gruppo di ordigni disposti ancora in parallelo la volta celeste ed insieme stellata non interessava minimamente. Non costituiva nulla, alcun motivo di importanza.

Essi non avevano volontà, emozioni, passioni o sentimenti di sorta.

Ragionavano ed analizzavano, punto e basta. Se così li si poteva definire sulla base dei calcoli istantanei dettati dagli algoritmi elettronici che li animavano giusto per il tempo di entrare in azione, e solo ed unicamente in definizione dei bersagli su cui andare a segno per poi schiantarsi ed esplodere.

Era solo per quel motivo che quelle armi tanto terribili esistevano.

Erano ancora in fila ed in formazione come tanti bravi e diligenti soldati di un plotone ben allineato ed organizzato, ma ben presto si sarebbero divisi e ciascuno di loro avrebbe preso la propria strada, seguendo il destino che era stato già tracciato per loro. Per mano di chi li aveva progettati, costruiti e programmati.

Quei missili esistevano unicamente per raggiungere e centrare i rispettivi obiettivi, le cui cooordinate venivano inviate e costantemente corrette ed aggiornate all'interno delle loro centraline e dei loro microprocessori automatizzati da sofisticate intelligenze computerizzate ed artificiali.

Sistemi di network totalmente autonomi ed indipendenti.

Nuovi, forti, potenti ed efficienti. Interlacciati e collegati a tutto, ad ogni cosa. E programmati con un'unica direttiva.

Distruggere il nemico. Qualsiasi e qualunque nemico e tipo di nemico.

Distruggere. Con la massima precisione possibile.

Solo a quello pensavano. Sia loro che gli ordigni dotati di razzi, che in questo momento erano arrivati al punto massimo del tratto iniziale della curva da loro compiuta.

Avevano effettutato la prima parte della loro traiettoria a parabola. Ed ora, come legge fisica comandava, dovevano per forza intraprendere la fase discendente. Che li avrebbe portati a nazioni, città, basi militari, palazzi del governo ed ogni altra struttura considerata sensibile e nevralgica per la stabilità e l'equilibrio di un paese.

Si stava vivendo ormai stretti a braccetto con un livello di tecnologia avanzatissima. Tutto era in mano ai computer e alle macchine, come si era detto. Ma a dare inizio a tutto quanto ancora una volta, anche questa volta...

Anche questa volta era stato l'uomo. Lui solo e soltanto.

Erano state falangi umane a premere il pulsante. Il tipico quanto fatidico pulsante rosso, che aveva messo in moto ogni cosa.

Erano state le dita e le mani di uomini. Di generali, primi ministri, Re, presidenti, dittatori e capi di stato il cui ego, la smania di potere e di dominio, la cupidigia, l'avidità erano cresciute in modo esponenziale alla loro ricchezza, la loro potenza ed il loro prestigio. E si erano talmente ingrandite ed ingigantite che l'intero pianeta non bastava più a contenerle o confinarle. E capendo che sarebbe stato pressoché impossibile per una sola ed unica persona arrivare a possedere e stringere tutto quanto nel palmo del proprio pugno chiuso, e pur di impedire che qualcuno potesse riuscirci per davvero, prima o poi...decisero che nessuno avrebbe potuto o dovuto averlo. Mai.

Non trovarono altro modo, per appianare la questione e tutte le divergenze che ne derivavano.

Nessun altro modo che fosse intelligente, beninteso. O quantomeno che non fosse stupido.

Funzionò, certo. Ma non si trattò di certo del più pratico o furbo dei sistemi. E nemmeno di uno dei migliori.

Premere il pulsante rosso. Tanti pulsanti rossi. Tutti insieme. Uno per ogni pezzo grosso. Anche se probabilmente, a giudicare le loro gesta col senno di poi e di quelli che sarebbero venuti dopo...li si poteva definire senza ombra di dubbio dei pezzi di qualcosa d'altro, al di là di ogni ragionevole obiezione.

Un pulsante a cranio. Più o meno la medesima quantità di neuroni che dovevano liberamente circolare e girovagare nei cervelli dei pezzi grossi in questione, visto che doveva esservi un gran mucchio di spazio. E che quel giorno dovettero improvvisamente e letteralmente andare in cortocircuito, generando un emerito ed autentico capolavoro di idiozia.

Un misero, insulso pulsante per decidere il fato dell'intero resto dell'umanità, insieme al loro. E nell'arco di pochi, infinitesimali micro – secondi.

Un pulsante in fondo più o meno simile a come tanti altri ve ne erano sparsi per il globo. Se pur di forma, colore ed incombenze ad esso associate completamente differenti. Ma pur sempre, nient'altro che un pulsante.

Come quello premuto pochi minuti prima che venissero premuti tutti quelli rossi. Il pulsante che si trovava alla base di un microfono piazzato, montato proprio sopra ad una console da dj.

Il pulsante che venne schiacciato dallo speaker di una rinomata emittente radiofonica giapponese con la sede principale situata nel centro di Tokyo.

Nei pressi del distretto di Akihabara, per la precisione.

Il conduttore lo premette non appena vide il fonico, che di norma era l'addetto ai jingle e alle inserzioni pubblicitarie oltre che alla trasmissione dei pezzi e che come di consueto era al lavoro nella sala mixer adiacente alla sua, fargli cenno che stava provvedendo a far sfumare l'ultima canzone trasmessa in modo da favorire il suo intervento. E che da lì a poco sarebbe toccato di nuovo a lui.

Gli sarebbe toccato dire qualcosa, qualunque cosa, per ammazzare il tempo fino all'inizio della prossima e successiva hit.

Trenta secondi. Non uno di più, non uno di meno, come secondo il tipico genere di contratto stabilito e rispettato nero su bianco con tanto di firma in calce in ogni accordo scritto e stipulato dai professionisti con le principali radio commerciali.

“Eeeeed eccoci qua, ragazzi! E dopo un poco di tenerezza e languida dolcezza con il nostro ultimo successo romantico, teniamoci tutti quanti pronti per lanciare un nuovo arrivo. Una neeeeew entry! Perché noi di Japan Radio network siamo sempre...suuuuulla cresta dell'ondaaaaa! State in guardia, gente! Perché si tratta di un pezzo che vi farà SALTARE TUTTI QUANTI PER ARIA!!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come fu abbastanza prevedibile il pezzo in questione, contrariamente alle speranze di chi lo aveva realizzato e prodotto e alle promesse dello speaker che lo aveva appena lanciato, ed indipendentemente dal fatto che potesse essere gran che o meno...purtroppo non ebbe un grandissimo successo, in termini di indici di ascolto.

Cosa abbastanza scontata, visto quel che accadde all'incirca due secondi dopo l'accorato proclama. Senza contare che coloro che riuscirono a sentirlo e seguirlo per davvero e per intero, il pezzo in questione, in quel momento dovevano avere sicuramente altro per la testa.

Altro a cui pensare, di sicuro. Cose del tipo su come cavarsela ed al contempo prepararsi a svariati anni di inverno nucleare che li attendevano.

Perché, nonostante tutto...la razza umana era sopravvissuta.

Non vi era nulla di cu stupirsi particolarmente, del resto. Erano da più di duemila anni, anzi dall'alba dei tempi che gli uomini non facevano altro. Non sapevano fare altro da quando erano apparsi sulla faccia della terra.

Sopravvivenza. Ormai la si poteva considerare la sua specialità. Forse la sola.

La specialità di chi non ha ancora capito niente dalla vita in sé ed in generale. Come l'uomo, per l'appunto.

Ma se si tratta di tirarla per le lunghe e di menarla a campare...in quello non ha né eguali né rivali.

Non ne ha mai avuti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ripiegò con cura le due parti di pigiama dopo l'utilizzo notturno.

Era proprio come piaceva a lui. Lo aveva trovato nella pancia sventrata di un magazzino mezzo disastrato. Facente parte del retro di ciò che rimaneva di una piccola boutique.

Un'esplosione l'aveva semi – distrutta, almeno esteriormente. E i vari branchi di predoni che l'avevano visitata, a turno oppure tutti insieme dopo aver quasi certamente stabilito la priorità di accesso a suon di colpi di scure in testa, avevano completato l'opera dall'interno.

Era il frutto di uno dei consueti giri di ronda e di perlustrazione per le terre che componevano gli ormai sempre più estesi domini uniti sotto il suo regno.

Quella volta aveva finito con l'imbattersi in un autentico tesoro nascosto, come racchiuso da un forziere dissepolto sul fondo del mare o dell'oceano.

Un tesoro sopravvissuto senz'altro ad innumerevoli razzie. Tranne la sua. Perché non era da considerarsi saccheggio, ma legittimo e consentito esproprio.

Era un tipo di operazione che conduceva spesso.

Le amava, quella sorta di escursioni organizzate. Perché gli permettevano di stare all'aria e di respirarne gli effluvi contenenti ancora parecchi residui di particelle radioattive, così ricchi di uranio impoverito e di idrogeno ma anche di vitamina D che era così tanto preziosa e salubre per l'organismo. Lo fortificava.

Adorava quelle periodiche gite fuori porta. Anche se di fatto lo obbligavano ad assentarsi e a starsene lontano dal suo castello per intere settimane.

Con lui...si sapeva sempre quando si partiva. Ma mai quando si arrivava. Ma soprattutto...se si arrivava.

Non che avesse comunque molto da fare, dentro al suo tugurio. A parte mobilitare le truppe.

Inoltre...spesso faceva ritorno con delle autentiche chicche per le mani. Come quel pigiama, ad esempio.

Aveva visto quell'indumento da notte e se ne era invaghito sul colpo. Lo aveva raccattato al volo e da quel giorno se lo era tenuto sempre con sé. E non mancava mai di indossarlo ogni sera, tutte le sere, prima di coricarsi.

Era così bello, dal colore azzurrino confetto in stile battesimo e quei motivi a base di coniglietti bianchi e carotine arancioni con tanto di ciuffetto e di gambo verdolino in cima...ed a completare il tutto, un grazioso cappellino dello stesso colore e con i medesimi disegnini, con tanto di pon – pon in cima.

Embé? Anche i sovrani avevano avevano i loro vizietti. E nemmeno il Grande Re Conquistatore della Fine del Secolo faceva eccezione.

Nemmeno lui ne era immune. Nonostante fosse il più eccelso e magnifico dei monarca.

Di tutti e tra tutti. Di ieri, di oggi e di domani.

Ma guai, se qualcuno tra i suoi sottoposti lo fosse venuto a sapere. Il Grande Re doveva avere sempre e comunque una facciata di rispettabilità, riverenza e timore da mantenere. Ed a cui non poteva in alcun modo venir meno.

Mai, nella maniera più assoluta. Pena la totale perdita del sempiterno senso di soggezione che tanto andava di moda ed in voga tra tutti i suoi uomini. Quello che gli permetteva di continuare ad esercitare il controllo sul suo intero esercito. Oltre alla sua incredibile forza, ovviamente.

Ma una simile rivelazione...lo avrebbe fatto scadere totalmente nel ridicolo.

Non poteva proprio permetterselo.

L'ultima volta che uno dei suoi lacché aveva scoperto quell'abito si era ritrovato costretto a prendere una decisione a dir poco estrema.

Lo aveva dovuto nominare generale. Per poi farlo impiccare per direttissima con l'accusa di alto tradimento ed appropriazione indebita. Oppotunamente inventata ad arte.

Una vera seccatura. Quel verme se la cavava magnificamente, a pulire i gabinetti. E non aveva più rimediato uno che fosse anche solo lontaneamente alla sua altezza.

Ripose con cura il completo da nanna nell'enorme baule situato in un angolo della stanza da letto e lo chiuse a quadrupla mandata, girando e rigirando su sé stessa la chiave di ottone nell'apposita serratura. Poi ripose quest'ultima sul petto rimettendosi al collo la sottile catenina con ciondolo alla quale si trovava ben assicurata, nascondendola e mettendola così al riparo da eventuali occhi e sguardi indiscreti.

Sorrise. Il gesto che aveva appena effettuato era in tutto e per tutto identico ad uno che aveva compiuto tanto, tantissimo tempo addietro.

Tale e quale. E pertanto glielo aveva fatto subitaneamente riaffiorare dal profondo dell'inconscio e della memoria.

Quando lui e suo fratello avevano sistemato le loro due uniformi da Kenpouka dentro ad una piccola nicchia ricavata da una parete di roccia, insieme ad alcune armi tradizionali usate di solito in allenamento. Giusto un attimo prima che piombasse lì un invasato arrivato da chissà dove, che per prima cosa li aveva spediti a fare un tour ravvicinato del burrone a strapiombo che si trovava dietro di loro ed alle loro spalle. Dopo avergli fatto franare addosso mezza montagna con un solo calcio.

Fu proprio una bella giornatina, quella. Davvero una di quelle memorabili.

Prima un blitz da parte di una forza nemica con successiva invasione ed assoggettamento del paese natio. Poi un viaggio in gommone da incubo e da mal di mare assicurato, con tanto di naufragio finale. Ed infine...quello.

E poi si dice che uno si alza con la luna e l'umore storti per, che so...il resto della propria esistenza.

A voler dare retta a certi presagi...vi era da pensare che sin da piccolo la vita che gli stava di fronte e che lo attendeva era paragonabile ad un mucchio di sterco fumante.

Ma mai accettare in toto di nefaste previsioni o di uccelli del malaugurio assortiti. Non del tutto, almeno.

Se si impara a resistere e pazientare...il meglio, il bello, prima o poi arriva.

Non si fidava particolarmente dei saggi e degli indovini, a differenza di molti altri sovrani.

Tutti quelli che si presentavano e che si erano presentati annunciandosi e spacciandosi come tali avevano sempre fatto una brutta, bruttissima fine.

L'ultimo esponente di quel branco di fessi patentati ce l'aveva ancora ben presente.

 

“I miei omaggi, Vostra Maestà. Io sono un veggente. Un profeta viaggiante. Le posso predire il futuro. Il suo futuro.”

“Ah si? E allora vediamo se riesci a prevedermi questo!!”

E alle parole aveva fatto seguire e partire un pugno terrificante che lo aveva letteralmente sapccato in due. Come una zucca o un popone maturo esposti al sole cocente di Mezzogiorno, col sangue che sprizzava tutt'intorno.

Fu un pomeriggio davvero indimenticabile, almeno per gli addetti alle pulizie. Che a suon di stracci, secchi ed olio di gomito a momenti finirono per arrivare a spaccarseli sul serio, i gomiti. Insieme alle ginocchia.

Un duro giorno di lavoro per una misera giornata di paga. Era così che lui la vedeva.

Forse quel grandissimo pezzo di imbecille avrebbe fatto molto ad apprendere il modo di prevedere il proprio di futuro, prima di mettersi ad impicciarsi di quello degli altri. Almeno avrebbe evitato di farsi ammazzare come un cane bastardo e rognoso.

Che burlone, che era. Sapeva essere davvero una gran sagoma, quando ci si metteva.

E comunque, oggi come oggi, quella minuscola divisa gli avrebbe a malapena coperto un avambraccio o un polpaccio, o giù di lì.

Ma era decisamente tempo di dire basta, coi ricordi. E di mettere qualcosa di più adatto all'uopo ed al suo rango.

Raggiunse l'angolo diametralmente opposto a quello dove era posizionato il baule.

Vi si trovava un mezzo busto, rivestito dalle componenti di un'armatura di metallo e oro. Nell'ordine copri – spalle, bracciali e cintura.

A lato, messi uno sopra l'altro, una coppia di ginocchiere con i rispettivi schinieri. Dall'altro lato, invece, vi si trovava un battista con sopra un vestito nero ripiegato. E alla base di esso, su di un'apposita pedana, vi si trovava un elmo composto dal medesimo materiale delle altre parti, con un corno sia sulla parte destra che sulla parte sinistra. E una triplice cresta puntuta sulla cima, circondata da un nutrito gruppo di aculei meno lunghi ma egualmente aguzzi.

Mise il vestito, e subito dopo si infilò un pezzo dopo l'altro della corazza partendo dai piedi per poi da lì risalire. E per ultimo si tenne l'elmo, afferrandolo e mettendolo sotto braccio.

Era da stupidi mettersi cappelli, berretti e copricapi dentro casa. Inoltre, dicevano che portasse scalogna. Ed era l'ultima cosa di cui aveva bisogno, anche se personalmente non ci credeva.

Come con gli indovini.

Era pronto ad incominciare, dunque. Ma prima, una buona, robusta e sana quanto corroborante colazione. E per quello, non voleva nessuno intorno.

Ci teneva ancora a prepararsele da solo, certe cose. Anche se disponeva di un nutrito stuolo di accondiscendenti servetti e schiavetti vari pronti a soddisfare seduta stante qualunque suo subitaneo desiderio e improvviso capriccio o ghiribizzo.

L'intenso ed insistente borbottare della cuccuma sul piccolo fornello, ricavato dai resti di un vecchio becco Bunsen proveniente da qualche laboratorio scientifico o aula di chimica, diventava sempre più continuo ed uniforme col passare dei secondi e gli stava dando da capire con una certa insistenza e sollecitudine che era pronto. E che avrebbe dovuto levarlo dalla fiamma con solerzia e il più in fretta possibile onde evitare di bruciare tutto. Contenuto e bricco compreso.

Come già accennato in precedenza, aveva alle proprie dipendenze una servitù pressoché sterminata.

E sempre come detto prima, certe cose preferiva continuare a farsele da solo. Tipo prepararsi il primo caffé della giornata. O sedare nel sangue un'eventuale rivolta o ribellione. Per via dell'odore.

Quanto amava l'aroma ed il profumo della moka e del sangue, la mattina presto. Almeno quanto un vecchio colonnello sosteneva di adorare la fragranza del napalm mentre incendiavano i boschi e i villaggi durante i raid e le incursioni a sorpresa.

Erano piccoli piaceri quotidiani che intendeva riservarsi ancora per sé stesso, senza l'ausilio o l'intrusione di nessun altro.

Prese la caffettiera e ne versò il liquido racchiuso e appena sgorgato nella tazza lì vicino.

Tutta l'aria circostante si riempì di un effluvio...hm. Più o meno ottimo, via.

Odore di inizio giornata . E di allettanti promesse che ne conseguivano, che la si metta così.

In fin dei conti, si dice che se non é l'artefice stesso della giornata a crederci per primo e a prescindere...nessun altro lo farà.

Portò la tazza alla bocca reggendola per il manico e prese a soreseggiare lentamente e ripetutamente, assaporando col palato ed emettendo pure una noterella di lavandino sturato dal gargarozzo. Ed ignorando bellamente il fatto che fosse ancora bollente.

Ustionante, a volerla dir tutta.

D'altra parte il Grande Re doveva avere corpo d'acciaio, volontà di ferro e stomaco di amianto.

E del resto, come sosteneva un proverbio che andava in voga e per la maggiore a quei tempi...

 

PER SOPRAVVIVER ALLE RADIAZIONI...BISOGNA AVERE UN BEL PAIO DI POLMONI, DI RENI E DI COGLIONI.

 

Degli ultimi se ne trovavano un tanto al chilo, di recente. Un po' meno di gente che avesse i primi due requisiti, purtroppo. Che erano proprio quelli che lui cercava, e di cui aveva un disperato bisogno. Insieme al fegato.

Per quanto setacciasse...continuava a trovare troppi coglioni e pochi fegatacci. Ancor meno sogni. Ecco la grande tragedia di fine secolo. Altro che particelle radioattive e uranio impoverito.

Ok. meglio soprassedere. Che tanto ci si é capiti senza bisogno di scadere eccessivamente nel volgare.

Lo mandò giù tutto. Per poi tentare di risputarlo convulsamente un istante dopo.

Era rovente, ma di questo se n'era già accorto. E come ribadito in precedenza, per uno come lui e le sue budella rivestite di uno stato di kevlar naturale la cosa non costituiva certo un problema.

Era in grado di prendere le pietre infuocate e roventi dai bracieri e di ridurle in frantumi con la sola stretta delle proprie mani. Quindi, che cosa mai avrebbe potuto essere un caffé che scottava, per uno così?

Il vero problema, se mai...era un altro.

Il caffé.

Faceva schifo. Schifo al cazzo e ai vermi. Quello, era il problema.

Un altro fallimento. Un altro ancora. Dopo il catrame, la cicoria, la mandragola, la belladonna e lo stramonio.

Dunque, le ossa macinate e tostate dei morti non costituivano un valido ingrediente. E neanche una valida alternativa, ai neri chicchi che di solito andavano usati per realizzare la rinomata bevanda.

Un altro passo falso nella spasmodica ricerca di un possibile surrogato del caffé che si dimostrasse sufficientemente valido da poterlo adeguatamente rimpiazzare e sostituire.

Del resto il caffé, quello vero, era diventato fin troppo raro e difficile da recuperare.

La prese bene, comunque. Si limitò a lanciare la tazza ancora mezza piena contro al muro opposto, dall'altra parte della stanza, mandandola in frantumi. Poi afferrò la caffettiera con entrambe le grosse mani, totalmente incurante del fatto che fosse ancora bella incandescente e la accartocciò schiacciandola tra le palme fino a ridurla alle dimensioni e allo spessore di una monetina d'argento.

Infine agguantò il becco Bunsen, lo gettò a terra vicino a sé e cominciò a saltraci ripetutamente sopra distruggendolo in mille pezzi.

Si riteneva uno sportivo, in fondo. Sapeva perdere. Ma aveva giusto quel leggero difettuccio di nervi e di brutto carattere. Insieme a quell'altro piccolissimo problema di gestione della rabbia.

Niente che non potesse benissimo amministrare da solo e con e proprie forze, comunque.

Il Grande Re sapeva ammettere e riconoscere la sconfitta, quando gli veniva inferta. E non si arrendeva né si abbatteva mai, nonostante lo smacco subito.

Di sicuro era cominciata senz'altro in salita, la giornata. Ma mai disperare.

Dopotutto si era solo al principio. Avrebbe sempre potuto migliorare.

Quasi sicuramente, lo avrebbe fatto. Perché in caso contrario...

Perché altrimenti, in caso contrario, avrebbe provveduto lui a farla migliorare.

A modo suo.

Terminata la colazione, almeno il tentativo di farla, la tabella prevedeva prima di tutto l'incontro con gli inferiori per eventuali segnalazioni di problemi e rimostranze varie. In modo da poter discutere e mettere giù una soluzione che fosse efficace ma soprattutto applicabile.

Soffocarla in un bagno di sangue, tanto per fare un esempio.

Nel qual caso non vi fossero state udienze o conciliaboli vari e di sorta, anche se era ben raro che capitasse...beh, in quel tal caso ma solo ed esclusivamente in quello specifico caso avrebbe pur sempre potuto partire col far mobilitare da subito e direttamente le truppe.

Ma anche quella volta le cose furono destinate a non andare certo in maniera differente dal solito e dal consueto.

Proprio come aveva immaginato. E temuto.

Non aveva neanche fatto a tempo a sedersi sul trono a far rinfrancare le muscolose ma già di prima mattina dolenti natiche che da prima di subito avevano iniziato a fioccare i guai.

E del tipo super, anche.

 

Mannaggia...

Me lo diceva il cuore, STRAPORCA DI QUELLA ZOZZA.

 

Questo era ciò che aveva pensato, mentre udiva già i primi strepiti e passi provenire dal fondo del lungo corridoio.

Strepiti che, mano a mano che l'artefice di essi si faceva sempre più vicino e a portata di orecchio, da suoni indefiniti e cacofonici che erano diventarono ben presto parole e frasi dal senso compiuto e ben preciso.

 

“Vostra maestà! Vostra maestà! E' successa una cosa tremenda!!”

 

E ci risiamo. Arieccoli.

Un altro facente parte della massa di bestie adibite e destinate al personale specializzato e selezionato per i lavori di bassa manovalanza. E un altro che aveva deciso di uscirsene fuori con un bell'ennesimo attacco di TERRIBILITE ACUTA. E congenita.

Ai suoi occhi gli sembravano tutti quanti innumerevoli copie e versioni di un mocciosetto viziato e frignone. Vestito in maniera assurda e con un paio di occhiali da miope con lenti spesse e grandi come finestre, che teneva perennemente calati davanti alla sua faccia da schiaffi. E sull'espressione da ebete perennemente stampata sul muso.

Proprio i classici dettagli che da soli bastavano ed avanzavano per venire considerati malissimo, dai coetanei. E per tirarseli proprio addosso, gli schiaffi prima menzionati. Specie da quelli più prepotenti e maneschi.

Non che l'imbranato secchione in questione potesse fare realmente qualcosa, per opporsi a tale sorte. Col fisichino gracile e rachitico da lanciatore di coriandoli che si ritrovava non poteva proprio arrecare danno, fastidio o noia a nessuno.

A parte le mosche. Forse.

Era giusto buono di tornarsene a casa sua scornato e con la bua a scocciare un grosso gattone dal pelo azzurrino e bianco. E dotato di un testone a dir poco assurdo, un naso rosso e a palla e persino una sorta di indefinita via di mezzo tra una tasca, una bisaccia ed un marsupio nel pancione da cui ne tirava fuori di ogni. Adatte a tutte le occasioni. E con cui finivano irrimediabilmente per incasinare tutto dato che il suo padroncino oltre che secchione, imbranato e vigliacco, era pure un impedito da competizione.

Una roba veramente da decerebrati, ripensandoci oggi col senno di un adulto. Eppure...

Eppure quanto adorava quello stupido ed insulso cartone, da piccolo.

Non se ne perdeva una sola puntata, ogni volta che si imbatteva od incappava nell'ennesima replica, tra un allenamento e l'altro.

Lo aiutava a spezzare ed allentare sia la tensione che la monotonia degli addestramenti a base di botte per pranzo, cinghiate a colazione e bastonate a merenda. Tutto questo fino a che suo padre non ebbe la bella trovata di abbracciare la fede buddhista e di fare voto di rinuncia ad ogni lusso e tentazione. E la televisione rientrava proprio in quella categoria, anche se in fin dei conti altro non era che un vecchio scatolone a tubo catodico in bianco e nero e con i bordi in bachelite.

Aveva dovuto disfarsene. E di conseguenza avevano dovuto farne a meno pure lui e gli altri che erano suoi figli. Anche senza che li avesse nemmeno interpellati, in tal merito.

Via. Abolito. Insieme al mascarpone con la nutella settimanale, di cui era particolarmente ghiotto.

E lì si può dire che avessero iniziato lievemente a girargli. Ma leggerissimamente, giusto come le file di polli disposti in orizzontale sullo spiedo del girarrosto di una rosticceria ambulante.

Sbuffò.

“Alé” sentenziò, con aria annoiata. “Iniziamo la giornata, và.”

“Avanti” aggiunse, rivolgendosi al nuovo arrivato. “Parla, che sono tutt'orecchi.”

L'inferiore gli si avvicinò con circospezione.

Naturalmente era un soldato. E naturalmente era vestito e agghindato secondo le ultime disposizioni sull'abbigliamento.

Era rigorosamente a torso nudo, con pantaloni e lacci in pelle. E una nutrita quantità di borchie a coprire il resto. E completamente rasato fatta eccezione per la parte centrale della capigliatura, che era composta e acconciata come la parte finale di una ramazza o di uno spazzolone ma messi al contrario.

Il colore della capigliatura in questione era a piacere del possessore e portatore. Trovava giusto stimolare adeguatamente la fantasia, l'estro e la creatività dei suoi uomini fornendogli un certo margine di libera scelta, se pur ristretto e settoriale.

Aveva scoperto che mantenere un certo grado di individualità aiutava a svolgere meglio il proprio lavoro. Uccidevano, trucidavano e torturavano con più lena e voglia, in questo modo.

Nel frattempo, il soldato si era inginocchiato e prostrato ai suoi piedi.

“Chiedo una parola, Vostra Maestà” annunciò.

“Ne hai già dette cinque” lo corresse il Re, già visibilmente irritato. “Ma procedi pure.”

“Chiedo venia per aver guastato la beatitudine del vostro momento di raccoglimento mattutino, ma...un nefasto contrattempo incombe. L'ora é alquanto critica, e...”

Ma tu guarda. Uno che pareva aver studiato, tra uno squartamento e pure l'altro.

“Alt” lo interruppe di nuovo il sovrano. “A sentirti parlare sembra che ti sei ingoiato un vocabolario, per la miseria. D'accordo che ho preteso un minimo di cultura, tra voi pezzenti e buzzurri. Ma a tutto c'é un limite. A me servono dei guerrieri, non degli scribacchini. Parla come mangi, plebaglia.”

“Come...come desiderate, Vostra maestà. Dunque...si era lì in cinque, no? Io, il Takeshi, l' Harada. Il Kashigajima e il Gambamatta, quando...”

“...Gambamatta?” Domandò il Re, quasi incuriosito. “Che bizzarro nomignolo.”

“Ehm...lo so, Vostra Maestà” gli spiegò il soldato. “Noi lo si soprannomina così perché una delle sue due gambe gli é rimasta più corta. Una volta ci ha raccontato che suo padre da piccolo lo picchiava forte in testa e sulla schiena con la bicicletta blindata e corazzata.”

“E che sua madre gli cucinava pure il minestrone bollente di carogna essiccata al quindici di Agosto.” buttò lì, subito dopo.

“Mmh...e suppongo che la causa sia da attribuire al minestrone bollente in piena Estate, dico bene?” Osservò il Grande Re.

“Beh...v – veramente, V – Vostra Maestà...”

“E' senz'altro così” proclamò il suo sovrano, senza neanche dargli l'opportunità di terminare la sua spiegazione. “E basta discutere.”

“C – come...come volete, Vostra Maestà.”

“E adesso avanti” lo esortò quest'ultimo. “Che già stanno iniziando a raggrinzirmisi, a furia di starti a sentire.”

“C – che...che cosa, Sire?”

“Lo puoi ben immaginare cosa, razza di imbecille. E non c'é affatto bisogno che lo spieghi. E adesso spicciati, una buona volta.

“C – come desiderate, o Grande Re” ripeté l'altro, con tono alquanto incerto ed esitante. “A – ai...ai vostri ordini. Dunque, come vi stavo dicendo...si era lì in quattro, no? Io, il Takeshi, l' Harada, il Kashigajima e il Gambamatta, no? E stavano provvedendo al maltrattamento con stupro di gruppo incorporato di una bella combriccola di giovani e piacenti figliole, quando...”

“Hmm...solo maltrattamento e stupro, hai detto?”

“Oops...quasi mi dimenticavo, Vostra Maestà. Dopo averle fustigate e frustate ben bene e a dovere, s'intende.”

“Ah, ecco. Volevo ben dire. Lo sai che ci tengo. Le procedure si rispettano. Vanno eseguite alla perfezione e alla lettera, altrimenti é il caos. Prima di ogni abuso bisogna sempre far precedere l'atto da una buona dose di vigorose e seche nerbate. So di per certo che i preliminari piacciono molto, alle femmine. E poi...é nel pianto che la donna gode. E' risaputo anche dai sassi.”

“Avete...avete ragione in pieno, Vostra Maestà.”

“Lo so. Io ho SEMPRE RAGIONE. Non c'é bisogno che tu me lo dica. Non sopporto gli adulatori. Torna ai fatti, ora. E datti una mossa, che ho già perso la pazienza.”

“Oh, si. C – certamente, Vostra Maestà. Dunque...vi dicevo che si era in cinque, no? Io, il Takeshi, l'Harada, il Kashigajima e il Gambamatta, e si stava provvedendo allo stupro di una bella combriccola di di giovani figliole dagli occhioni acquosi e languidi come cerbiatte, quando...AAAGGH!!”

Il soldato emise una sorta di grugnito che lo costrinse di nuovo a bloccarsi.

“Ugh...uugghhll...coff! Coff!!”

Cominciò quindi a tossire convulsamente, esibendosi in una serie di accesi spasmi che avevano improvvisamente deciso di sceglierlo come preda. Infine, dopo aver sputato un'abbondante boccata di sangue, si accasciò a terra esanime.

Il Grande Re, da impassibile quale era rimasto fino a quel momento, senza fare una sola ed assoluta piega a parte qualche lieve accenno di reazione e di smorfia per via del soprannome curioso che gli aveva confidato il suo sottoposto...sembrò farsi scuro in volto.

Arrivò persino ad inarcare un sopracciglio, per poi ripiegarlo verso il basso assieme al gemello che gli stava a fianco.

Si alzò e raggiunse il soldato, mettendosi su di un ginocchio vicino a lui ad osservarlo meglio.

“M – maestà...” lo implorò il moribondo con un filo di voce, rianimandosi per un istante. “V – vi prego...v – voi...voi conoscete i punti di...v – voi conoscete i punti di pressione, o c – come...o come diavolo si chiamano...s – se ne p – premete uno...se me p – premete uno f – forse potete ancora salvarmi...f – forse mi p – potete ancora s – salvare la vita...v – vi scongiuro...p – per favore...”

“E' fuori discussione” gli rispose secco il Re. “Neanche per sogno. Fino ai tuoi ultimi istanti di vita a questo mondo, avrò modo di poter ossservare cosa ti sta uccidendo. E di cavarne fuori informazioni assai preziose. Quindi...fammi il sacrosanto piacere di rimanertene lì ad agonizzare fino alla fine.”

“E in silenzio, grazie” aggiunse. “Che devo riflettere.”

“M – ma...ma V – Vostra Maestà...i – io...”

“Levami una curiosità, feccia. Tu disponi forse di nozioni di medicina o di farmacologia, per caso? Rispondimi.”

“M – ma...”

“Ti risulta forse che qui nei dintorni o nelle vicinanze vi sia qualche pronto soccorso oppure un centro ospedaliero?”

“N – no, M – Maestà. M – ma...”

“E ti risulta forse che dentro al mio castello ci sia un ambulatorio o un'infermeria, secondo te?”

“V – vostra M – maestà, i – io...”

“Rispondi, ho detto. E' un ordine!!”

N – no, Maestà. N – non...non mi risulta.”

“Ecco. Per l'appunto. E lo credo bene. Non ci sono ambulatori o infermerie di sorta, perché gli uomini del glorioso esercito del Grande Re Conquistatore del Cielo non hanno il tempo di sanguinare. Non hanno nemmeno il permesso di morire, se io non glielo concedo! E perciò...non potendo rimanere feriti o colpiti mortalmente se io non lo voglio...non hanno affatto bisogno di farsi curare, sono stato chiaro?!”

“N – noi...noi no...M – ma f – forse...forse VOI SI, M – maestà...”

“...Che cosa hai detto?!”

“N – no, n – niente. P – perdonatemi, V – Vostra Maestà...stavo solamente delirando.”

“Ah, ecco. Meglio così. E meglio per te. Il Grande Re, per la cronaca e per tua informazione, sta benissimo. Ho giusto quel piccolo problemino di perdita di memoria a breve termine, ma conto di risolverlo da qui a poco.”

“Ho giusto quel piccolo problemino di perdita di memoria a breve termine, ma conto di risolverlo da qui a poco” ripeté meccanicamente, senza nemmeno rendersi conto di averlo fatto. “Come ti dicevo, qui non ci sono ambulatori o infermerie per il semplice fatto che agli uomini del mio esercito non do nemmeno il tempo di poter versare sangue. Nemmeno una goccia. Non gli do nemmeno il tempo di farsi causare le ferite da cui può prendere a sgorgare, capito?”

“S – si, V – Vostra Maestà. M – ma...”

“Perciò” gli spiegò il sovrano, zittendolo un'altra volta, “dato che non c'é un ospedale nelle vicinanze, non sai nulla di primo soccorso né di come si cura una persona ed in più qui dentro non ci sono medici...tanto vale che inizi pure a pregare e cominci a raccomandare la tua anima.”

“E...e a v – voi, M -Maestà...” gli disse il soldato, con un ultimo anelito di fiato residuo. “...I – in quanto a v – voi...t – tanto vale c – che...c – con t – tutto il r – rispetto...t – tanto v – vale che andate a p – pigliarvela d – dritta i – in c – cu...”

Prima che potesse terminare l'insulto ebbe un fremito, ed un successivo brivido lo scosse. E poi se ne rimase lì dov'era, non muovendosi più.

Morto. Stecchito. Sul colpo.

Nel giro di una manciata di istanti, il Re si rialzò in piedi.

“Desolato” commentò, mentre si rimetteva in posizione eretta. “Ma mi vedo costretto a rifiutare il tuo caloroso ed accorato invito. Pertanto...dopo di te, prego.”

Già. Prima vi era un grosso enigma, da chiarire.

Rimase ad osservarlo ancora per un po'.

Un tipo di morte repentina quanto cruenta, non vi era alcun dubbio. Ma questa volta la Divina Arte di Hokuto c'entrava come i cavoli a merenda. Peccato solo che i cavoli fossero un genere di verdura piuttosto difficile da coltivare in periodi come quello, con la terra e le falde acquifere piene zeppe di veleni com'erano. E peccato che gli facessero pure schifo, a dirla tutta.

No. Qui la tecnica che lui praticava e di cui era assoluto maestro non c'entrava proprio nulla, almeno in quest'occasione. La piena colpa di quanto era appena avvenuto non era da attribuire a quel minchione del più piccolo tra i suoi fratelli.

Quello perennemente ingrugnato, depresso ed intristito cronico. Che pure gliene aveva già schiantati tanti, tra le sue fila.

E nemmeno dell'altro suo fratello minore. Appartenente al suo stesso sangue e alla sua stessa discendenza, questa volta.

Quello sempre malaticcio, mezzo moribondo e con più di un piede nella fossa, che dava sempre l'impressione di dover crepare da un momento all'altro.

Proprio come quel pazzoide di suo padre adottivo. Con l'unica differenza che suo fratello le cuoia non si decideva mai a volerle tirare, una buona volta che fosse una. Ed era sempre qui.

No. Quei due non c'entravano nulla. C'era qualcosa di diverso. Di decisamente diverso.

C'era qualcosa di più, su cui urgeva decisamente indagare.

Dal tipo di corazza che indossava aveva già compreso da dove potesse provenire l'inferiore che si era presentato al suo cospetto, ed a cui aveva concesso udienza. E pure dai tatuaggi che portava sui centimetri di pelle esposta.

Sull'acconciatura e sul colore della capigliatura aveva lasciato totale libertà. Ma non su tutto quanto il resto.

Sia l'uniforme che i tatuaggi dovevano servire da riconoscimento. A stabilire il territorio a cui si veniva asseganti, e a cui si apparteneva. Ad ognuno il suo.

Era necessario, assolutamente necessario stabilire delle opportune linee guida, come si era detto. Altrimenti sarebbe stato il caos.

Abbandonò la mica tanto povera salma, almeno per lui, nel bel mezzo del salone privandola della sua compagnia controvoglia. A pulire dalla spazzatura ci avrebbe senz'altro pensato qualcuno dei suoi fidati lacché.

Sarebbe stato meglio per loro, pensarci. Molto meglio per tutti loro.

Ed in fretta, pure. Il castello del Grande Re doveva restare bello pulito e sgombro dai rifiuti, mirabile esempio di ordine e di decoro urbano.

Oltrepassò il trono e raggiunse la grande ed ampia balconata che si trovava dietro.

Buttò un'occhiata di sotto.

Niente. Nessuna traccia. Quel vagabondo doveva essere nelle stalle alle prese con qualche florida e grassa giumenta da montare. Tanto per cambiare.

Ne erano arrivate di nuove e fresche, negli ultimi giorni. E con tutta probabilità non doveva aver visto l'ora di potersele ripassare tutte quante, una dopo l'altra.

Da una parte avrebbe garantito una fornitura perenne ed adeguata di destrieri a tutti i più valenti elementi tra i generali che comandavano le sue armate.

Tutti campioni di razza, certo. Roba di cui c'era da essere orgogliosi, specie se ne si era il padrone.

D'altro canto, ci si sarebbe ritrovati alle prese con una bella, folta e nutrita prole rognosa da accudire e sfamare. Una miriade di puledri che avrebbero consumato biada a quantità industriali, se avessero preso e se fossero somigliati anche soltanto alla metà del loro sciagurato padre. E che avrebbero riempito i fienili di letame nero, asfissiante e puzzolente. E lì, invece, c'era da stare un pochino meno contenti e allegri. Specie se si era il proprietario che doveva tirare avanti le fila di tutta quanta la baracca.

Si portò pollice ed indice alla bocca, ripiegati fino a formare una sorta di miniatura di una ciambella. Ed emise un sonoro fischio che rieccheggiò per tutta quanta la zona circostante e per la vallata.

“Re Nero!!” Urlò. “Mio fidato compagno! Dove sei, nell'ora del bisogno? Dove ti trovi, mentre il tuo comandante, fratello ed amico ti chiama? Vieni subito!!”

Si udì un lungo nitrito di soddisfazione provenire da lontano. Dalle stalle prima menzionate, con tutta probabilità.

Se non altro...almeno sul VENIRE SUBITO lo aveva di sicuro preso in parola, anche se non era certo quel che intendeva.

Rifischiò di nuovo, questa volta facendo durare il sibilo più a lungo.

“Re Nero!!” Gridò ancora, spazientito. “Recati qui immediatamente! E' un ordine! E' il tuo sovrano, che te lo richiede! Muoviti!!”

Si udì un altro nitrito, questa volta più breve e seccato. Persino piccato, sarebbe venuto da dire.

Il suo ultimo richiamo doveva essere arrivato proprio al momento meno opportuno, rovinandogli l'ultima sgroppata di lombi.

Pazienza. Poco gli importava. Quando il Re chiama, tutti devono accorrere senza storie, scuse o giustificazioni.

Tutti, nessuno escluso.

Poco dopo cominciò un rimbombo alternato e sincopato che si propagò tutt'intorno come l'onda d'urto e sonora di un terremoto di almeno terzo grado, valutato secondo la scala sismica convenuta e più utilizzata.

Quella sorta di boato fece tremare i decadenti ed ormai in rovina palazzi vicini. Persino lo stesso castello ne fu scosso, sulla superficie delle proprie mura.

Nell'istante successivo irruppe sulla scena un gigantesco e poderoso cavallo dal manto nero come la notte, lanciato al galoppo più sfenato. Ad ogni falcata faceva letteralmente tremare la terra.

Sopra al vasto dorso portava una sella intarsiata d'oro, e foderata nella sezione centrale con un finissimo e pregiato panno turchese e carminio, sicuramente opera di qualche artigiano d'eccezione che magari nemmeno esisteva più.

Il Re era uno che pagava sempre, per i servizi richiesti. Ma spesso i suoi sottoposti finivano per liquidare colui che dovevano pagare. In senso fisico, s'intende. Per poi intascarsi la somma pattuita al suo posto oppure fare la mezza o più parti ancora con eventuali complici coinvolti.

Ma il Grande Re era uno che manteneva sempre le promesse e la parola data. Lui, anche se lo stesso non si poteva dire di chi gli stava sotto. Dopotutto, bastava che quello che stava sopra non lo scoprisse o lo venisse eventualmente a sapere...

Il sovrano guardò di sfuggita nel mezzo delle sue gigantesche zampe posteriori ancora in preda allo slancio, con i muscoli delle cosce e dei garretti contratti e tirati fino allo spasimo. E non solamente quelli.

Voleva a tutti i costi soddisfare e fugare un certo qual dubbio, anche se piccolo. E non gli ci vollero che pochi secondi, per comprendere che era proprio come aveva pensato.

Sembrava che nel sottopancia dell'animale vi fosse un arto inferiore in più, a giudicare da quanto era ancora gonfio e turgido.

Da quando aveva a disposizione un nuovo ed intero harem non aveva certo perso tempo a mettere in azione il suo vecchio arnese, quel gran porco di un mandrillo. Anche se non apparteneva certo né alla prima né alla seconda delle specie appena menzionate, visto che era per l'appunto un cavallo.

Il quadrupede con una gamba momentaneamente in più, anche se ancora non era arrivata a toccare terra seppur vi mancasse poco, arrivò proprio sotto il palazzo ed a meno di un mezzo metro di distanza dalla balconata. Almeno in linea d'aria.

Sbuffò rumorosamente dalle sue voluminose narici e si fermò, rimanendo come in attesa di qualcosa.

“Ecco, bravo” gli fece il suo padrone. “Non ti muovere da lì. Arrivo subito.”

E non appena ebbe detto questo si infilò l'elmo puntuto sul capo e si buttò al di là del parapetto, poggiandosi sul bordo di esso e facendo leva con il solo braccio destro.

 

Ho sempre sognato di farlo, pensò, mentre si gettava a capofitto nel vuoto col fin troppo chiaro intento di montragli in groppa da quell'altezza e dopo un volo di parecchie decine di metri.

Anche il cavallo aveva pensato in quel frangente, non appena lo aveva visto precipitare a rotta di collo verso di lui.

Veramente avrebbe voluto persino commentare a parole, se Iddio avesse voluto dotare sia lui che i suoi simili della parola e della capacità di poter dialogare con l'uomo. Ma fu invece sufficiente il lampo che attraversò i suoi occhi neri, perché un eventuale curioso che fosse semplicemente di passaggio potesse rendersi conto al volo di cosa stesse frullando nel suo encefalo di equino.

 

Starà scherzando, spero.

 

No. Affatto. Il tizio grosso che lo cavalcava e a cui concedeva la parte bassa della schiena come momentanea ditta di appoggi stava facendo sul serio. Dannatamente sul serio.

Urgeva pertanto porre rimedio e correre ai ripari.

Fece un paio di ampi passi di lato con entrambe le zampe di sinistra e le altre due a seguire subito dopo, quel tanto che gli bastava per finire così totalmente fuori portata e fuori dalla traiettoria dall'atterraggio ormai imminente.

Il Re mancò del tutto il bersaglio e si schiantò a terra con un enorme frastuono, sollevando e lanciando sassi e detriti per ogni dove. E provocando una profonda voragine. Grossomodo della stessa decina e più di metri necessari per raggiungere il suolo e sfondarlo a quel modo. E da cui fuoriuscì una leggera colonna di fumo color della sabbia.

Il cavallo si mise a correrci intorno ed in circolo, riprendendo e continuando a nitrire in segno di scherno.

Si, sembrava che stesse proprio sghignazzando.

Pochi istanti più tardi due braccia vigorose spuntarono dal crepaccio appena formato ed issarono il resto del corpo a cui stavano attaccate.

Il Grande Re guardò in silenzio il proprio destriero, che smise all'istante sia di correre che di nitrire.

“Hm” gli fece, scrollandosi la polvere e la terra di dosso sia dal vestito che dall'armatura, e rimanendo pressoché impassibile.

“Carino, come scherzo” sentenziò subito dopo. “Davvero niente male. Proprio una bella pensata, vecchio mio. Questa te la devo proprio concedere. Siamo uno a zero, almeno per ora.”

“Ma sappi che la giornata é ancora lunga” lo avvertì.

Gli si avvicinò e gli salì sopra. Poi, dopo che ebbe avvolto il suo avambraccio fino al gomito attorno al suo nerboruto ed eburneo collo, gli mise la bocca vicino ad una delle sue orecchie.

“Tu devi solo ringraziare che non ho la patente e che non so nemmeno guidare. Altrimenti ti avrei già fatto trasformare in tante di quelle bistecche da sfamare un intero villaggio, razza di buono a nulla. Mi stai costando un capitale a furia di ingravidarmi femmine, brutto idiota.”

Un fremito percorse l'orecchio interessato nella brusca conversazione, e lo stallone soffiò facendo vibrare le labbra.

Messaggio ricevuto. Ed in pieno, anche.

“Ho idea che il mio cavallo mi odia” disse tra sé il sovrano, a voce bella alta.

Tanto, non vi era nessuno che potesse sentire, lì attorno.

Lo afferrò quindi per le briglie e gli diede un vigoroso strattone, reindirizzando l'animale nella giusta direzione dove avrebbero dovuto procedere da lì a poco.

Quest'ultimo si adeguò ed obbedì docilmente. Roteando su sé stesso di mezzo giro e a passo di trotto.

“In marcia, adesso” gli ordinò il suo padrone. “Conosco la strada.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il villaggio di provenienza del messaggero diventato ormai salma distava circa una mezza giornata di galoppo.

Arrivarono praticamente due giorni dopo. Si erano persi.

Il fatto era che in mezzo al deserto, alle gole ed ai canyons, con tutte quelle dannatissime dune e montagne che gli parevano tutte uguali, era facilissimo smarrire il percorso. Almeno quanto in un bicchiere d'acqua, volendo parafrasare l'ancor piuttosto celebre modo di dire.

Non riusciva mai a raccappezzarvisi, ogni volta. E di muschio con cui potersi orientare, manco a pagarlo a peso d'oro per averlo.

Aveva dovuto quindi arrangiarsi guardando il sole e basandosi unicamente sulla direzione del vento, dopo aver umettato la punta dell'indice con la propria lingua, per saggiarne la direzione e la provenienza esatte.

Purtroppo lo stesso indice con qui, qualche istante prima, aveva provveduto all'esplorazione approfondita di una tra le sue cavità nasali alla spasmodica ricerca di qualche reperto raro. Anche se di questo aveva finito con l'accorgersene solamente dopo, purtroppo.

Con suo sommo disappunto, tra l'altro.

Ma la tentazione era stata irresistibile. Anche se con tutta quella sabbia e rena svolazzanti, la mitica caccola variegata verde smeraldo con venature dorate era sempre più difficile che si trovasse. Così come era sempre più improbabile a formarsi.

Insomma...per farla breve e per dirla in quattro parole anzi cinque...

Era andato totalmente a culo.

Per giungere a destinazione, s'intende. E per volerne aggiungere altre cinque...

Gli era andata pure bene. Fin troppo bene.

Raggiunse lo sparuto gruppo di palazzi ancora in piedi che stava adocchiando all'orizzonte già da un bel po' dopo aver attraversato un'interminabile sequela di altri palazzi, che a differenza di quelli parevano invece sul punto di crollare ed accartocciarsi su sé stessi. Da un momento all'altro, con tutta probabilità.

Non appena mise piede nel quartiere principale, lo spettacolo che gli si parò davanti fu a dir poco desolante.

La gente che lo abitava era seduta con le schiene contro al muro, tenendo l teste e i volti coperti dai cappucci di pesanti pastrani.

Nessuno si stava muovendo, così come nessuno stava parlando. Sembrava che stessero unicamente attendendo il momento in cui sarebbero trapassati e finiti al creatore. Ed il discorso valeva sia per i villici che per la soldataglia.

Tra loro non vi era più alcuna differenza. Ad unirli tutti vi era l'apparente ma tuttavia completo abbandono, il disinteresse totale per la propria vita. O almeno per quel che ne rimaneva.

L'unico distinguo, in fatto di moribondi che aspettano placidamente la propria misera fine, lo costituiva il fatto che qualcuno tra di essi avesse optato per una posizione più comoda in vista dell'imminente termine della loro esistenza terrena.

Alcuni avevano scelto di rimanersene sdraiati a terra colti dalla più feroce ignavia, aspettando presumibilmente di crepare causa il sopraggiungere di inevitabile inedia.

Non vi era anima viva che stesse facendo il lavoro che gli era stato assegnato, fosse quello di arare i campi oppure di tirare su l'acqua dal pozzo con l'apposito secchio legato ad una fune talmente fibrosa da parer composta da stoppia. O costruire case, o magari strade.

E così come non era nessuno ma proprio nessuno che stesse facendo andare le mani, non c'era nemmeno nessuno che punisse, bastonasse, fustigasse o uccidesse trapassando a fil di spada o lancia o che fracassasse a suon di mazza ferrata, chiodata o la pura e semplice ma pur sempre efficace spranga.

Gli arrivò incontro un subalterno in tutto e per tutto non identico ma simile a quello che gli era schiattato davanti agli occhi, al quartier generale. Fatta debita eccezione per la cresta di colore verde e con una coda dietro che terminava fin sotto alla nuca.

Da quanto aveva visto era uno dei pochi ad essere rimasto ancora in piedi, oltre al tipo che aveva dato il suo fetente quanto inutile spreco di cellule per lo meno nel buon proposito di provvedere ad avvisarlo del problema.

Con consitente quanto riprovevole ritardo, stando a quel che poteva vedere.

“Sire! Sire!!” Gridò, mentre gli si faceva sempre più vicino. “E' successa una cosa terribile!!”

Gli parve di rivivere una scena già vissuta.

Arieccoci. Questo era un altro.

“Grazie al cielo siete qui!!” Urlò ancora il soldato. “Non...non sappiamo più che fare!!”

“Cos'é successo?” Gli domandò il sovrano.

“I – io...io non lo so, maestà” gli fece l'altro, mettendosi su di un ginocchio in segno di riverenza, come prevedeva l'etichetta. Nonostante la situazione a dir poco critica.

Un gesto davvero degno di un encomio.

“I – io non...non ho mai visto niente del genere in vita mia, Vostra Maestà!!” continuò. “Nessuno di noi ha mai visto niente del genere, o di simile! Mai!!”

“Voglio parlare immediatamente col vostro capitano” ordinò il Re. “Dov'é?”

Il sottoposto indicò una grossa tenda da accampamento, in lontananza. Somigliava a quella di un circo al coperto.

“Il...il nostro capitano si trova nel suo ciaciglio. Da...da tre giorni, ormai. Senza dare più segno di sentimento. Gli...gli abitanti e così molti dei miei compagni, cioé quasi tutti, non riescono nemmeno più a reggersi in piedi! I primi...i primi a stare male sono stati i bifolchi. Noi...noi tutti li pestavamo ben bene e sodo per costringerli a rialzarsi e a darsi da fare, ma quelli...quelli non ne volevano sapere, in alcun modo. Non gli facevano più paura nemmeno le botte, dal tanto che stavano male. E subito dopo...subito dopo é toccato a noi. Sembrerebbe...sembrerebbe una sorta di epidemia o di pestilenza, o qualcosa del genere!!”

“Ho capito” disse il sovrano, senza aggiungere null'altro.

Diede un ulteriore colpetto con le briglie, ed obbligò il suo cavallo a piegarsi sulle ginocchia e a poggiare le rotule sul terreno per agevolargli la discesa. Cosa che fece subito dopo, con gran stupore e sconcerto del suo subalterno.

“C – cosa...cosa state facendo, Vostra Maestà?” gli domandò quest'ultimo, rimasto pressoché esterrefatto dalla sua decisione.

Il Re non badò nemmeno, alla sua domanda. Ma lui insistette.

“V – vostra Maestà!!” Esclamò. “D – dovete...dovete andarvene, presto! D – dovete...dovete andarvene via subito, o rischiate anche voi di infettarvi! E'...é pericoloso!!”

“Non per me” gli rispose il suo sovrano. “E fatti da parte. Ci penso io.”

Prese ad avanzare per il piazzale, ridotto ormai ad uno spiazzo dalle sembianze a dir poco spettrali. Al punto di apparire agli occhi di chiunque potesse osservarlo, e che avesse un minimo di cultura per identificarla, come un'ara. Una di quelle su cui, nei tempi antichi, si diceva che si praticassero arcaici riti di sangue a base di sacrifici umani. Per ingraziarsi gli Dei.

Beh, che si decidesse di crederci o meno, agli Dei...poco importava. E poco gli importava.

I sacrifici erano stati fatti, in un modo o nell'altro. E a furia di invocarlo a forza di morti...il Dio era arrivato, finalmente. A salvare tutti e a risolvere tutto. Una volta per tutte, finalmente.

L'inutile quanto assoluto usufrutto di vita umana che gli aveva appena inquinato e guastato l'aria, decidendo di aprire la propria fogna puzzolente che si ritrovava al posto della bocca ci aveva azzeccato in pieno su di una certa cosa, pur dal basso della sua ignoranza. E con tutti i limiti che ne scaturivano ovviamente da essa.

Lampi, scintille di parvenza di pensiero semi - intelligente e a prima vista senziente che ogni tanto si potevano riscontrare nelle menti di basso anzi, di bassissimo livello come quella che si ritrovava quel tizio. E non senza una certa sorpresa, tra l'altro.

C'erano dunque altri esseri dotati di certe e qual minime capacità di raziocino e di scelta consapevole, oltre a lui.

Davvero incredibile.

Aveva tirato in ballo epidemie e pestilenze, e così facendo ci era andato vicino. Molto, molto vicino.

Più di quanto potesse rendersene conto. Probabilmente non se ne doveva neanche essere accorto.

Ora rimaneva solo da capire cosa o chi l'avesse provocata e scatenata, sempre ammesso che si volessero considerare anche gli agenti patogeni come elementi dotati di sentimento ed intelletto.

Ritornò a scrutare in giro. E non gli ci volle molto per capire cosa aveva creato un tale, simile disastro. L'origine di tutti i guai ed i problemi che stavano affliggendo quel posto e chi vi risiedeva.

Pare, secondo certi studi, che l'occhio perfettamente allenato ed abituato di un lavoratore di precisione specializzato in campi dell'estremamente minuscolo come l'oreficeria o la microchirurgia se non addirittura in quelli dell'infinitamente microscopico come la micro – biologia applicata arrivassero a addirittura a poter vedere i corpuscoli che si agitavano e si muovevano davanti alle loro pupille, nella porzione di spazio che li circondava.

Quindi per uno come lui, il cui primo senso era in grado per natura di distinguere ed identificare persino le aure e le energie combattive di coloro che aveva davanti ed in particolare degli avversari, la cosa costituiva un autentico gioco da ragazzi.

Lungo il tragitto per giungere fino a lì, oltre a scervellarsi nel tentativo di comprendere meglio la direzione da seguire insieme alla giusta rotta ed ai punti di riferimento che la contraddistinguevano, aveva cercato anche di capire chi avesse potuto osare ad addentrarsi all'interno dei suoi domini per sottoporli ad un attacco.

Fatta dovuta e debita eccezione per i suoi due fratelli minori, a memoria sua aveva fatto strage e sterminato senza alcuna pietà chiunque altro si era voluto opporre al suo regime. Fosse per mero interesse personale o per autentica e genuina quanto stupida voglia di libertà e di affrancarsi dalla schiavitù.

Che idiozia. Nessuno é davvero libero. Tutti sono schiavi. Nascono tali e muoiono altrettanto tali.

La libertà...non esiste, a questo mondo.

E comunque...chi poteva essere? Chi si permetteva ancora di oltraggiarlo ed irriderlo in tale maniera, con tale arroganza e sprezzo sia della sua autorità e del grande, grandissimo pericolo che ne conseguiva a farlo?

Il Re dell' Inferno, forse?

No. Era pressoché impossibile. Oltre a far fuori quel sudicio lardoso pitturato ed imbellettato, di quella scalcagnata famiglia aveva sistemato a dovere pure eventuali fratelli, nipoti, zii e cugini di secondo, di terzo e di quarto grado.

La Tribù degli Artigli Insanguinati, allora? Poteva essere?

Improbabile. Altamente improbabile anche quello. Se aveva fatto i giusti calcoli...tra eredi e discendenti vari doveva averli tumulati tutti almeno fino alla settima generazione, come minimo.

Stando così le cose, per un bel po' entrambi non gli avrebbero creato problemi. Perciò era da escludere a priori che si trattasse di qualcuno dei loro in cerca di rivalsa o di vendetta.

Ma allora...chi?

Questo quesito lo aveva tormentato senza sosta per tutto il viaggio.

Ma adesso che si trovava lì, e che vedeva con chiarezza il nemico, si rese subitaneamente conto di quanto fossero stati inutili ed infruttuosi tutti quanti i lambiccamenti e gli arzigogoli mentali a cui si era sottoposto praticamente da solo, per voler cercare e trovare a tutti i costi una risposta.

Non aveva senso. Tutto quel che aveva fatto non aveva alcun senso, perché il nemico...non era da considerarsi propriamente umano. Anche se per sua natura doveva di sicuro considerare gli esseri umani alla stregua di confortevoli rifugi, nonché i posti più caldi e sicuri dove infilarsi e nascondersi.

La minaccia non la costituiva altro che un finissimo filamento di basilare corredo genetico protetto e racchiuso da una striscia, una capsula rivestita di materia enzimatica ad alto tasso e contenuto proteico.

Una struttura organica semplicissima, eppure letale.

Un virus.

Una bestiolina che sapeva e che poteva essere rognosa, stoica, ostinata e ottusa. E decisamente molto, molto, molto coriacea da debellare. Che intaccava le cellule e si moltiplicava a dismisura una volta che gli era riuscito di penetrare per poi romperla, distruggerla ed attaccare quelle vicine con miriadi di copie di sé stesso.

Utilizzava di sicuro un metodo piuttosto differente da quello della Divina Arte di Hokuto per debellare i propri avversari, ma di sicuro altrettanto micidiale. Se non di più.

Si ricordava di aver letto qualcosa in merito su di un vecchio ed ingiallito libro di scienze, quando si trovava al tempio e sotto il severo, rigido e spietato allenamento imposto dal suo padre putativo.

Adorava molto anche quel libro, tra le altre cose. Anche se altro non era che uno dei tomi di un'enciclopedia multi – volume per ragazzi, con i caratteri formato gigante e decine di illustrazioni a colori. L'unico barlume di cultura concesso ed autorizzato in un maniero dove gli occupanti impiegavano gran parte, se non addirittura la totalità, del loro tempo unicamente per massacrarsi senza ritegno alcuno a suon di calci e pugni.

Gli piaceva da matti. E naturalmente...anche quello finto nel cassonetto in seguito al voto di povertà del vecchio.

Tra le altre cose.

Riusciva a vederlo come una sorta di deformazione trasparente della soluzione di continuità dell'aria, o qualcosa del genere. Non poteva definirlo in altro modo.

Eccolo lì. Anzi...eccoli lì.

Suddivisi in banchi come una sorta di bruma, di nebbia o di foschia anche se rispetto a quegli esempi appena elencati li si poteva trovare e notare posizionati ben più in alto del consueto, rispetto al livello del terreno. E che vagavano per le strade ormai vuote di ciò che rimaneva del villaggio, alla ricerca di nuove e potenziali vittime.

Sembravano prendersi con cura e calma il loro dovuto tempo, al punto che procedevano lentamente nonostante il vento li sospingesse con una forza ed una potenza più che discrete.

Passavano scartando quelli già contagiati. E lo facevano sfoggiando quasi una sorta di sdegno misto a malcelata indifferenza, visto che doveva giudicarli ormai inservibili sia a loro che alla loro perpetuazione e sopravvivenza.

Più in lontananza, inoltre, li si poteva vedere con chiarezza mentre procedevano spediti contro quei pochi fortunati che ancora riuscivano a restare sulle loro gambe e a deambulare, con passo apatico e malfermo e sguardo oltremodo cianotico.

Ce n'era già più di uno che si era messo a seguirli. E altri che già li ghermivano aggrappandosi alle loro schiene e da lì farsi strada verso il naso, la bocca o gli occhi del malcapitato. Per poi venire inalati, ingeriti ed assorbiti dalle parti molli e quindi invadere tessuti, vasi sanguigni o più semplicemente nella laringe e nei bronchi fino a culminare negli alveoli. Ed infine l'intero resto del corpo sfruttando a dovere gli scambi respiratori dettati dal ritmo cadenzato e regolare della circolazione grande e piccola, a loro volta dirette entrambe dalla pompa cardiaca.

E ce n'era già una, tra quelle impalpabili e quasi invisibili conformazioni, che già si stava accingendo a mettersi in cammino per andargli giusto incontro.

Si aveva davvero l'impressione che fossero dotati di volontà e di pensiero autonomo, quei dannati. Come se una sorta di coscienza o di mente comune ne guidasse le azioni e le intenzioni.

Intelligenti, oltre che bastardi.

Tanto meglio. Se davvero erano in grando di intendere e di volere, quei maledetti...allora dovevano anche essere benissimo in grado di capire. E lui aveva giusto due paroline da dirgli, in tal proposito.

Ma sia l'attesa che la ritirata non facevano parte, del suo modo di porsi. Non ne avevano mai fatto parte. Sia in battaglia che nella vita.

No. Decisamente quello non rappresentava né costituiva il suo atteggiamento tipico, nei confronti di tutto. Nei confronti di ogni cosa.

Il Grande Re Conquistatore della Fine del Secolo non arretra, e nemmeno resta fermo.

Procede solo in avanti, in linea retta e fregandosene delle eventuali curve. E senza scendere ad alcun tipo di compromesso.

Mai.

Anticipò la nube venefica, mettendosi a camminare deciso nella sua direzione e facendosi sotto.

La massa impalpabile fece altrettanto, e proseguì imperterrita la sua corsa.

Non appena entrarono in contatto il Re scatenò la propria forza combattiva nel tentativo di interferire col processo di contagio, facendo fremere e friggere l'aria insieme a tutto ciò che vi era contenuto in essa, fino a cercare di interromperlo.

Lo strano pulviscolo sembrò non risentirne affatto. Ed iniziò a circondarlo. Arrivandogli a pochi, pochissimi millimetri dagli ingressi delle vie respiratorie.

Lo avrebbe senz'altro infettato, da lì a poco. Questione di attimi, ormai. Di decimi di secondo.

Ma proprio un istante prima che ciò potesse avvenire, il volto del sovrano acquisì di colpo un'aria spaventosamente truce.

“Attento” gli intimò. Con la voce che riusciva a mantenere un tono alquanto imperioso, nonostante la cadenza risultasse piuttosto fredda, meccanica ed impersonale. E che sommata allo sguardo feroce contribuì a dare al quadro d'insieme un'impressione piuttosto minacciosa.

“Bada a te, virus” lo avvertì. “Pensa bene a quel che stai per fare. Se oserai entrare dentro di me, dentro al corpo del Grande Re di Hokuto...sappi che qui dentro ti aspetta solo e soltanto la MORTE, se ti azzardi a provare!!”

Il nembo trasparente sembrò recalcitrare per un attimo, davanti all'eventualità che quell'energumeno le aveva appena palesato. In maniera così plateale e temeraria, tra l'altro.

“Avanti!!” Lo sollecitò lui. “Provaci. Sei liberissimo di provarci, se ci tieni tanto. Fallo. Così lo scoprirai a tue spese, se non dico il vero!!”

L'agglomerato tossico questa volta prese ad arretrare vistosamente, cercando di guadagnare e di mettere una certa distanza da quella non più così tanto potenziale vittima. E nemmeno più così tanto appetibile, a volerla dir tutta.

La maggior distanza che gli fosse possibile.

“Chi é il capo, qui?” Gli chiese il Re.

La nube se ne rimase immobile.

“Voglio sapere chi comanda, ho detto!!” Gli ribadì. “Ora! Subito!!”

L'insieme di corpuscoli, incredibilmente, si spostò e si scostò di lato proprio come se avesse per davvero voluto farsi da parte. E lasciò campo e spazio ad un'altro suo simile, solo molto più grosso e vasto.

“Siamo sicuri?” Chiese il colosso.

Il nuovo arrivato ed interpellato rimase anch'esso immobile, subito dopo essersi unito allo sparuto gruppetto ed aver formato un terzetto, col suo arrivo improvviso.

Ma anche quello poteva costituire una risposta. Se é vero che, come si dice...chi tace, acconsente. Anche se non andava di certo tralasciato il fatto che non fossero dotate del dono della parola.

E comunque, la più recente in ordine di apparizione nonché a prima vista più agguerrita conformazione di esseri mononucleari parve ondeggiare ripetutamente all'ingiù e poi all'insù. Come se volesse...

Come se stesse per davvero annuendo.

“Ora statemi bene a sentire” proclamò il sovrano. “Vi ordino di abbandonare immediatamente questi territori, e di allontanarvi dai miei possedimenti. Cessate all'istante ogni attività ostile, e senza condizioni. O altrimenti...sarà peggio per voi. Per tutti voi.”

“A circa trenta miglia da qui” suggerì poi, al termine di una brevissima pausa che dava l'impressione di essere stata studiata a puntino. “In direzione compresa tra il Sud ed il Sud – Ovest, iniziano i territori del generale Souther, il Sacro Imperatore della Scuola del Pugno di Nanto. E detentore della leggendaria Tecnica della Fenice, il mitologico uccello immortale che risorge ripetutamente dalle proprie ceneri. La siete liberi di fare tutto quel che volete, e ciò che più vi aggrada. Delle sue genti come del suo esercito.”

“Ora andate!!” Gridò.

E a quel punto...avvenne l'impensabile.

Il virus non se lo fece ripetere due volte. Tutte le varie formazioni in cui si era scisso di colpo uscirono dalle case in cui stavano o si erano annidati, dopo averle invase. Lasciarono perdere gli esseri umani che erano ancora sani e quindi tutti da contaminare, e addirittura fuoriuscirono dalle deboli ed affaticate membra dei malati e dei moribondi. Che di colpo presero a sentirsi meglio.

Si ragrupparono tutte nel punto dove si trovava la porzione più grande tra le tante lì presenti, per fondersi e riunirsi ad essa. Ed una volta fatto questo presero la direzione che che era stata loro appena consigliata ed indicata.

Qualcuno tra i presenti che nel frattempo era persino riuscito di rimettersi in piedi, e di camminare come se nulla fosse accaduto, avrebbe potuto giurare sulla propria testa e su quanto aveva di più caro al mondo di aver sentito quella roba emettere addirittura una serie di guaiti sommessi, mentre si allontanava spedita in fuga.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutto era risolto, dunque. Era giunto perciò l'inevitabile momento del commiato.

Tutta la gente del villaggio, sia i soldati come i villici, si trovavano come in raccoglimento, perfettamente allineati ed in fila.Tutti in adorazione, e pronti ad omaggiare e salutare il loro salvatore.

I primi poggiati su di un ginocchio e con il braccio corrispondente piazzato proprio sopra e piegato ad angolo retto a sorreggere. Gagliardi, orgogliosi e convinti.

I secondi invece, genuflessi con mani e pancia poggiate a terra e faccia rivolta verso il suolo, un pochino meno. Ma non potevano fare altrimenti, vista la moltitudine di sgherri che si trovavano alle loro spalle. E le armi che tenevano puntate contro alle loro schiene.

Il primo che si fosse azzardato ad apparire anche solo lievemente contrariato se ne sarebbe finito appeso per il collo e sbudellato, come un pasciuto maiale dritto filato allo scanno. Con la pancia bella aperta e le trippe esposte sotto al sole a sanguinare, marcire e colare. Fino a puzzare.

Loro insieme a quello che avrebbero potuto contenere, al momento stesso dell'uccisione. Anche se gli stomaci erano perennemente vuoti. Sia quelli degli eventuali rivoltosi che quelli degli abituali aguzzini.

Compreso quello del generale adibito al comando di quell'avamposto, che se ne rimaneva accosciato su di una gamba alla pari di tutti quanti i suoi uomini. Con l'unica differenza che si trovava decisamente distanziato da tutto quanto il nutrito drappello di guerrieri, di servi e di schiavi.

Portava una corazza nera sul busto ed un elmo di eguale tonalità, intarsiato di borchie lungo i lati delle tempie. E con una visiera anteriore con tanto di maschera a protezioni degli occhi e del setto nasale.

Anche lui era guarito all'istante, dopo la clamorosa cacciata del morbo. E adesso si trovava vicino al suo Re, stupito ed insieme confuso. Con quest'ultimo ben ritto in piedi e quasi poggiato al suo cavallo all'altezza dei lombi.

Il generale non sapeva davvero trovare delle parole che risultassero adatte, per indicare la sua gratitudine.

“V – vostra Maestà, I – io...io n – non so davvero che dire. M – ma...ma come avete fatto?” Gli chiese.

La faccenda era molto semplice, in realtà. Più semplice di quanto egli potesse immaginare.

“Si parla, tutto qui” gli spiegò il monarca. “Con le bestie, coi germi o i virus. Non sono mica gli uomini.”

Mollò una pacca decisa sulle terga del suo destriero, che nitrì. Era stato un gesto alquanto vigoroso, pur affettuoso che fosse.

“Già” aggiunse il suo padrone. “Ci si parla, con gli animali. Non é forse così, vecchio mio?”

Per tutta risposta il cavallo si mosse ed alzò la coda. E subito dopo fece partire dal didietro una sonora quanto puzzolente scorreggia.

Quasi tutti i presenti si accasciarono a terra, capitano della brigata compreso, in preda all'asfissia e col volto cianotico e di colorito verdastro.

Tra i pochi che riuscirono a resistere c'era ovviamente il sovrano, che non batté ciglio. E che si limitò a turare il proprio naso tra pollice e indice destri.

“Whew” commentò, facendosi ripetutamente aria con l'altra mano rimasta libera. “Dall'odore mi sa tanto che abbiamo esagerato con le verze, questa settimana. Dovrò farti cambiare dieta, sarà meglio.”

Il ronzino eseguì una serie di passi in avanti, in modo da far combaciare la riga di mezzo tra i suoi glutei con gli stivali del suo proprietatrio. E non appena li ebbe a tiro, da lì scaricò una bella montagna di letame nero e fumante, insozzandoli completamente.

Nel frattempo gli si era avvicino un vecchietto mezzo ingobbito e rivestito di abiti laceri e consunti, con passo tremolante.

Doveva trattarsi quasi certamente del decano, e per una fortunosa coincidenza doveva essere miracolosamente riuscito a non svenire per via dell'orrendo fetore.

“V – vostra M – Maestà...” disse con tono esitante, non appena gli arrivò davanti. “I – io...io v – vorrei ringraziarvi a nome m – mio e d – di t – tutti i m – miei...”

Il Re non fece il benché minimo caso, a quelle parole. E nemmeno lo lasciò terminare di pronunciarle.

Stese il proprio braccio su di lui, con la mano aperta che sembrava così enorme e terribile, e che durante l'esecuzione di quel gesto sembrò persino aumentare di dimensioni.

L'arto piombò e si abbatté sull'ottuagenario, afferrandolo per la collottola.

“M – maestà!!” Escalmò l'anziano, esterrefatto. “V – vostra M – Maestà! M -. ma...ma c – cosa...”

Totalmente incurante dei suoi flebili lamenti e delle sue accorate suppliche, il sovrano lo prese e lo sollevò senza il minimo sforzo, come se si fosse trattato di un misero fuscello. Poi abbassò il braccio con cui lo aveva appena ghermito, portò il povero tapino all'altezza dei gambali che coprivano le sue calzature e lo utilizzò alla stregua di uno straccio.

“M – maestà!!” Lo implorò il disgraziato. “B – basta! P – pietà! A – abbiate p – pietà!!”

Non vi era nessuno che fiatasse, in quel momento. Né tra la soldataglia, né tra i cittadini. Persino il comandante della guarnigione non osava emettere nemmeno un solo e possibilmente compromettente respiro.

Il sovrano strofinò il vecchio ben bene, con forza e a lungo contro alle proprie tibie bardate e non più così tanto lucenti, a causa dello sterco. Fino a togliere completamente ogni lerciume e sozzura. E solo quando vide che era tutto pulito e fu soddisfatto del risultato, lo issò all'altezza del busto e lo lanciò oltre le sue spalle.

Il vecchio si fece un volo in orizzontale sparata di quasi una decina di metri. Senza smettere di urlare per tutta quanta la durata del tragitto, nemmeno per un decimo di secondo.

Si schiantò contro ad un'abitazione, e per voler essere precisi contro a ciò che rimaneva di quella che un tempo ed in principio doveva essere l'ampia vetrata di qualche ormai defunto negozio ospitante un ormai altrettanto defunto esercizio, trapassandola da parte a parte e mandandola in frantumi insieme alle poche assi e ai pochi cocci che ancora la componevano e che la tenevano insieme.

Si udì un clamoroso tonfo, e con esso il cessare immediato delle grida. E com'era prevedibile, non vi era nessuno che pensò di prendersi la briga o l'iniziativa di andare a tentare di soccorrerlo o almeno vedere come stava. Sempre ammesso che fosse ancora vivo, cosa di cui si poteva fortemente dubitare se ci si basava sul disastro appena accaduto.

Il Re guardò il comandante.

“Tu” gli disse.

L'interpellato si alzò ritto in piedi e sull'attenti, portandosi le punte delle dita della mano destra accanto alla tempia corrispondente in un saluto marziale.

“Ai...ai vostri ordini, Maestà” gli fece.

Il suo sovrano si guardò i gambali.

La stoffa degli stracci che portava addosso quel vecchio decrepito li aveva sfregiati, intaccandone e compromettendone la doratura.

“La carta igienica che usate da queste parti é troppo dura e ruvida” osservò. “Vedete di provvedere, per la prossima volta che passerò di qui.”

“E sappiate che ciò avverrà molto presto” lo avvertì. “E prima che voi pensiate. Quindi vi conviene darvi da fare immediatamente.”

Non appena ebbe terminato col suo sermone montò in sella e diede una sferzata con entrambi i capi delle briglie, facendo procedere il proprio destriero a marcia lenta ma decisa. Col risultato che, in men che non si dicesse, i due dopo appena pochi minuti formavano già un puntino indistinto all'orizzonte per poi sparire completamente alla vista degli astanti.

Il comandante del drappello rimase ad osservarli, in silenzio, fino al momento in cui preciso in cui entrambi disparvero.

Nel suo sguardo rapito vi si poteva scorgere una nutrita quanto sincera ammirazione.

“Ah!!” Sentenziò poi, visibilmente orgoglioso sia di sé che delle proprie parole appena emesse. “Che uomo, il nostro Grande Re! Una di quelle persone di cui si é perduto da tempo lo stampo, e definitivamente! Pare proprio che gli Dei il suo lo abbiano per davvero buttato via, subito dopo aver creato lui! Sissignore!!”

“E meno male” aggiunse un bisbiglio dietro il suo busto. “Che già uno basta e avanza...”

Un sussurro quasi impercettibile. Ma non del tutto.

La voce non era stata che poco più di un sussurro. Ma il comandante l'aveva udita. E l'aveva udita benissimo, purtroppo per chi aveva avuto la pessima idea di esternarla.

“C – chi...chi diavolo ha osato?!” Ruggì il capitano, mentre si voltava furente nella direzione da cui era provenuto l'ancora fresco commento, alla ricerca del colpevole.

Guardò la folla, ancora stesa e genuflessa a quattro zampe, con i suoi subalterni che già avevano preso ad aggirarsi tutt'intorno ad essa con fare minaccioso. E brandendo le armi, pronti a scovare e punire il responsabile non appena egli si fosse deciso a palesarsi.

“Avanti!!” Gridò di nuovo. “Chi é stato?!”

La moltitudine davanti a lui si dileguò all'istante disperdendosi in mille e mille rivoli, e lasciando l'autore del denigratorio parere completamente isolato.

Capita sovente che all'interno di una comunità un unico individuo debba essere costretto a sacrificarsi ed immolarsi per il bene e la salvezza di tutti gli altri. Almeno fino a che esiste ancora una speranza di poterle ottenere.

Peccato solo che il tizio in questione non si doveva trovare poi molto d'accordo, nel recitare i panni ed il ruolo della pecora nera mischiata ed incrociata col capro espiatorio.

Cominciò a guardarsi intorno mentre se ne era ancora rimasto carponi per tutto il tempo, forse nel tentativo di meglio mimetizzarsi tra i vicini di folla ed i compaesani.

Voltò alternativamente il capo a destra e poi a sinistra, a ripetizione. Solamente per rendersi conto di vedere nient'altro che un enorme spazio, attorno a lui. E terra bruciata.

“D – dannazione...” imprecò. “C – che...che razza di b – bastardi...”

Il terrore unito ad evidente disappunto si impadronì dello sventurato, dipingendoglisi dritto sulla faccia.

Cercò dapprima di alzarsi. E poi di arretrare. E poi ancora di scappare. Ma non vi era più alcuna via di uscita.

Non vi era più via di uscita alcuna. Gli uomini del Re lo avevano già bello che circondato, precludendogli di fatto ogni possibile scampo.

Il comandante gli si fece sotto, esibendo un sorriso sadico, e fregandosi le mani con impazienza. E ben supportato dalle sua truppa, i cui componenti battevano ognuno i propri strumenti di offesa a ritmo cadenzato sul palmo che era riamsto inoccupato, ansiosi anch'essi di dargli libero sfogo. Sia alle loro armi che ai loro istinti omicidi. E di diveritrsi un mondo a farlo, pure.

Sembravano tutti quanti non vederne l'ora, davvero. Compreso il loro superiore.

“Allora...” fece quest'ultimo, rivolgendosi al civile. “...visto che adesso stiamo tutti quanti di nuovo bene, direi che é proprio il caso di mettersi a festeggiare, no?”

Risate di contorno provenirono dalle bocche dei suoi sottoposti, altrettanto ghignanti.

“Tu” chiese quindi al tizio tremante. “Ora che ne diresti di partecipare come volontario a un bel gioco?”

“C – che...che g – genere di g – gioco?” Domandò a sua volta l'altro.

“Oh, é un giochino davvero simpatico” gli confidò il bruto. “Si chiama CAMPO POCO.”

“E...e in c – cosa consisterebbe?” Balbettò l'ormai futuro e designato partecipante, indipendentemente dalla sua volontà o meno di farlo. E che già iniziava a temere il peggio.

Giustamente, tra l'altro.

“Anche questo é davvero molto semplice, in realtà” spiegò il capo – avamposto, dando addito ai suoi più lugubri sospetti e timori esibendo sia un tono che un sorriso eccessivamente melliflui. E che per l'appunto non lasciavano presdagire nulla ma proprio nulla di buono. Almeno per colui a cui era destinato il discorso.

“Adesso” continuò, “darò ordine ai miei uomini di prenderti, di spellarti vivo e di metterti dentro a una botte sotto sale. Poi chiudiamo il tutto con un bel coperchio e ce ne rimaniamo lì a sentirti gridare. Vince chi indovina quante urla riuscirai a fare prima di crepare o di impazzire per il bruciore e il dolore.”

Il contadino era talmente atterrito che che non disse né fece più nulla. Perché tanto a nulla sarebbe servito.

Nulla sarebbe cambiato. Nulla avrebbe cambiato la sua sorte.

Non provò nemmeno a contestare, ribellarsi o reagire.

Il comandante si girò quindi verso i suoi sottoposti.

“Voi che ne dite, ragazzi?” Domandò loro.

I soldati lanciarono un furioso quanto trionfante ed assordante grido all'unisono, alzando ed agitando le armi al cielo.

“SIIIII!!”

“Bene!” Esclamò soddisfatto il loro capo. “E' tutto vostro, allora. Scuoiatelo a puntino, e poi...si aprano le scommesse!!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si trovava di nuovo in pieno deserto.

Completamente assorto nei suoi imperscrutabili pensieri. Tra cui quello di non sbagliare di nuovo strada e di perdersi un'altra volta ancora. Sarebbe stato davvero troppo.

Poi guardò dall'alto in basso il suo magnifico stallone dal manto nero, e decise di dare fiato e corpo ad almeno una delle sue considerazioni.

“Ho come l'impressione che il mio cavallo mi odia” affermò tra sé.

Penso anche che avrebbe potuto fare davvero a meno di Re Nero, ed imparare a guidare un veicolo.

Avrebbe potuto chiedere a qualche idiota del suo esercito di dargli lezioni personali e private, per poi ucciderlo o farlo uccidere in altrettanto gran segreto. Che non fosse mai che si venisse a sapere che il Grande Re avesse bisogno dell'aiuto di qualcuno per fare qualcosa.

Peccato solo che...

Peccato solo che ci aveva già provato. Da solo e di nascosto. Per scoprire poi, con un certo rammarico, che era semplicemente troppo grosso per una vettura di dimensioni più o meno normali.

Con la sua mole ed il suo fisico a dir poco monumentali non riusciva nemmneo ad entrare al posto di guida o nell'abitacolo di una jeep o di una camionetta.

Non ci stava, semplicemente. Figurarsi poi se si trattava di girare un volante o di premere i pedali della frizione per cambiare le marce, del freno o anche solo dell'acceleratore.

Avrebbe potuto sempre andare a piedi. Ma non ci teneva proprio a farsi venire i calli, i duroni e le vesciche alle piante, ai talloni ed ai ditoni.

Quella rappresentava l'assoluta specialità di quel minchione di suo fratello più piccolo.

Chissà dove si trovava, in quel preciso momento. E chissà che diavolo stava facendo...a parte massacrare a colpi di Sacro Kenpo di Hokuto qualcuna delle divisioni distaccate. E pertanto più isolate, esposte e vulnerabili. Che fossero sue oppure di Souther.

O magari farsi venire i calli, i duroni e le vesciche ai piedi, tanto per cambiare.

Il sole aveva già cominciato a picchiare e a bruciare in pieno sopra alla sabbia, alle dune, alle montagne e su di un'altra giornata miserabile.

Che era appena cominciata ma già stava volgendo alquanto sul pesante.

Ma non era ancora detta l'ultima parola.

Poteva ancora peggiorare.

Restava da decidere sul da farsi, una volta rientrati a casa.

Oh, beh...prima di tutto, c'era da far mobilitare le truppe.

C'era da scommettere che erano impazienti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il pover'uomo era sdraiato su di un tavolaccio di legno, con braccia e gambe assicurate e tirate da robusti e spessi legacci. Le prime stese e portate in verticale dietro alla testa, mentre le seconde erano state aperte e ben divaricate.

Era a torso nudo, e non poteva fare altro che continuare ad alzare la testa per vedere che intenzioni avessero i carnefici nei suoi confronti. Anche se ormai, con tutta probabilità, aveva già capito tutto quel che vi era da capire a tale riguardo.

D'altro canto...gli aguzzini non stavano facendo pressoché nulla per dare eventuale spazio alla sua immaginazione, almeno in senso prettamente macabro.

Non volevano di certo impedirgli di assistere in prima fila al truce quanto orrido spettacolo che si stava profilando e che stavano pazientemente allestendo solo e soltanto per lui. In suo onore.

Che se la gustasse pure in prima persona la sua atroce agonia, quindi.

Aveva almeno sperato, pregato fino all'ultimo che lo imbavagliassero. Avrebbe avuto qualcosa da addentare, almeno. Da mordere, per resistere meglio e di più. Ed invece...niente. Niente da fare.

Volevano sentirseli in pieno, tutti i suoi urli. Goderseli uno per uno, dal primo all'ultimo. Che si auguravano arrivasse solo dopo un bel pezzo. Tutto il contario di chi li avrebbe emessi da lì a poco, che confidava nel fatto che potesse sopraggiungere il prima possibile. Prima di iniziare a perdere del tutto il senno.

Lo avevano denudato dalla cintola in su per un motivo ben preciso. Perché volevano iniziare a scorticarlo vivo proprio partendo dal torace, che era una delle zone da sempre più sensibili e che gli avrebbe causato maggior dolore e sofferenza. Ma non abbastanza né sufficiente da ucciderlo.

Proprio a puntino. Proprio quel che ci voleva per farlo patire ben bene, e a lungo.

La vittima non aveva nemmeno più la forza di gridare, strepitare né implorare, mentre vedeva avvicinarsi il tizio che da lì a poco avrebbe iniziato a cavargli la pelle una striscia dopo l'altra, fino a separarla dalla carne e dalle ossa.

Costui brandiva un grosso coltellaccio da macellaio opportunamente modificato per l'occasione e dotato di lama seghettata, e celava i lineamenti di sicuro mezzi deformi dietro ad una maschera molto simile a quelle che venivano usate in passato dai portieri di hockey su ghiaccio, quando ancora veniva praticato insieme a tutte le altre discipline sportive.

Un tempo talmente lontano e remoto al punto da non sembrare nemmeno che fosse potuto esistere.

La maschera era piena zeppa di minuscoli fori lungo tutta la superficie, talmente lurida da aver quasi perso tutto il bianco originale, e su cui spiccavano due buchi più grandi che lasciavano intravedere due occhi sbarrati, spiritati ed iniettati di sangue.

Oltre a celargli le fattezze, magari proprio perché qualche malformazione o menomazione oppure le radiazioni o addirittura due cose a libera scelta tra le tre se non persino tutte insieme dovevano aver provveduto a sfigurarlo, in quel preciso istante doveva senz'altro provvedere a nascondergli un'espressione fremente, soddisfatta ed oltremodo compiaciuta.

Per quel che era in procinto di mettere in atto. Ed era la stessa che stavano esibendo tutti i suoi degni compari.

Nessuno che parlasse o che fiatasse, tra di loro. E nemmeno lo stavano facendo gli abitanti del villaggio, costretti sotto la minaccia delle armi all'ormai prossima quanto imminente macellazione di una persona. Di un essere umano. Per mano di belve feroci che in comune con lui e loro avevano solo il fatto di camminare in posizione bipede ed eretta.

Per tacere poi del disgraziato che la stava per subire, tale terribile sorte. Che non lo si sentiva nemmeno imprecare o ingiuriare al tremendo fato che era ormai imminente a compiersi. E che lo riguardava ovviamente da vicino. Molto da vicino. Direttamente, visto che era proprio del suo che si stava parlando.

Non stava fiatando nemmeno l'ultimo ed il più defilato della soldataglia, piazzato oltre e al di là dell'assembramento e proprio nella zona limitrofa e di confine tra la città e l'esterno. Il punto limite dove terminava l'agglomerato urbano ed iniziava il deserto.

E naturalmente, oltre a non parlare, sorrideva anch'egli. Anche se ad un occhio attento si sarebbe potuto notare una lieve nota di rammarico, in quel ghigno sadico.

Così lontano che era si stava perdendo tutto il bello, dannazione. E solo per fare da guardia ad uno sparuto e miserabile branco di zotici da cui non sarebbe potuta venire la benché minima minaccia.

Neanche un minimo straccio di pericolo o di preoccupazione.

Poteva arrivare qualcuno dal deserto mentre erano impegnati, gli avevano detto.

Stronzate. Nient'altro che un mucchio di stronzate fumanti.

Chi diavolo doveva arrivare da quel mucchio di sassi, rocce, sabbia e scorpioni?

Lo avevano fatto apposta, quel branco di luridi stronzi e figli di puttana.

Aguzzò la vista, mettendosi una mano aperta e in orizzontale disposta tra fronte e sopracciglia.

Era davvero tutto preso ed assorto. In una maniera tale che non si accorse di nulla.

Non si accorse per niente che qualcuno gli era sopraggiunto alle spalle. Se ne rese conto solo quando lo sentì parlare.

“Voglio scommettere anch'io.”

“Arrivi tardi,bello” gli rispose seccato. “Le scommesse sono chiuse. Dovevi svegliarti prima.”

“Non hai sentito, forse?” Gli ordinò la voce. “Ti ho appena detto che voglio scommettere anch'io. Sei sordo oppure sei soltanto duro d'orecchi, BASTARDO?”

Quell'improvvisa ingiuria gli fece salire il sangue alle tempie facendogli pulsare e gonfiare le vene limitrofe a quella zona, che iniziarono a affiorare increspandogli la cute.

“C – cosa...che cosa hai detto?” Sbraitò. “R – ripetilo se hai il coraggio, gran figlio di troia!!”

Si voltò, mentre era già montato in bestia ed aveva preso a scagliare improperi a sua volta. Ma a getto continuo, a differenza del precedente che era rimasto singolo ed isolato.

Ed allungò il braccio per afferrare, ancor prima di potr capire e di vedere con chi avesse veramente a che fare. E almeno la prima cosa gli fu esaudita, per ciò che concerneva l'immediato.

Mentre per la seconda...forse pensava di aver a che fare con un compagno che fosse particolarmente in vena di spiritosaggini. E grande fu la sua sorpresa, quando si accorse che le cose non stavano affatto così.

Le sue dita trovarono ed artigliarono un pastrano con tanto di cappuccio. Sporco, lacero e visibilmente malandato. E dello stesso colore della sabbia di cui del resto era abbondantemente impregnato, visto che il brusco strattone gliene sollevò dalle pesanti falde un'ampia zaffata.

In quanto a chi vi doveva stare intabarrato dentro...beh, buio pressoché completo.

Certo che era ben strano, però. Come aveva fatto ad arrivargli ad un palmo di naso senza che se ne accorgesse minimamente era un vero mistero.

Sembrava uno spettro. Un fantasma.

Ma poco importava. E poco gli importava, del resto.

Indipendentemente da come vi fosse riuscito o meno, altro non era che un povero stronzo che aveva appena firmato la sua condanna a morte, mettendosi a rompergli quelli che gli stavano già girando per essere stato messo in disparte. Alla pari dell'altro stronzo che in quel momento giaceva sul patibolo. E che come lui avrebbe fatto meglio ma molto, molto meglio a tenere la sua bocca di merda ben chiusa.

Era proprio quello che gli avrebbe tanto voluto dire. E che stava per dirgli, da un momento all'altro.

Ma lo straniero lo anticipò prendendo la parola per primo.

“Vedo che l'insulto lo hai capito, visto che ti sei girato” disse, con tono quasi sarcastico.

“Non c'é proprio nulla da fare” aggiunse. “Voialtri capite una sola lingua. Una cosa soltanto. E un'altra ancora, come avrai il piacere di scoprire tra poco.”

“Ma che diavolo...”

Ok. Era decisamente troppo. Avevano davvero deciso di attentare all'integrità del suo fegato, quel giorno.

Qualcuno doveva pagare. E doveva essere quel coglione, a farlo. Per tutti.

Il soldato ne aveva davvero abbastanza. Fece per alzare la propria scure sopra la propria testa e per vibrare il colpo decisivo, quando...accadde un'altra cosa strana. Ancora più strana del fatto che quel tale dall'umorismo gratuito fosse comparso praticamente all'improvviso, come se si fosse materializzato dal nulla.

“Ugh!!”

Fu un attimo. E un movimento simile a quello di un lampo. Talmente rapido, preciso e veloce da risultare praticamente impercettibile.

Il teppista si ritrovò un indice piantato nella fronte, giusto una decina scarsa di centimetri.

Non l'aveva visto neanche arrivare, così come non lo aveva visto nemmeno partire. In compenso usò gli organi di tale senso per mettersi ad osservarlo bene adesso che era ben fermo, quasi a compensare la mancanza di riflessi che aveva avuto in precedenza.

La falange gli era affondata dentro come un punteruolo caldo e rovente che penetra in un panetto di burro reso già molle dal calore ancor prima che dalla pentrazione stessa. E per quasi la metà della sua lunghezza complessiva.

Doveva essergli arivato fin dentro al cervello, come minimo. Eppure...ciò che sentiva in quel momento e che doveva aver sentito al momento di subire l'attacco, ad opportuno paragone, doveva essere stato più o meno l'equivalente di una puntura di zanzara. O giù di lì.

“M – ma c – che...”

Voleva muoversi. Togliersi da lì e toglierselo di dosso, per poi dargli finalmente la lezione che si meritava. Ma scoprì...

Scoprì di non poterlo fare. Una scoperta che gli causò ed a cui reagì con una suppellettiva quanto estrema dose di terrore, tra l'altro.

Era come...

No. Non come.

Era completamente paralizzato.

“Vuoi scoprire cos'altro capisce bene, la gentaglia della tua risma?” Gli fece lo sconosciuto, mentre estraeva e ritirava il dito con cui lo aveva colpito.

Inspirò quindi profondamente con il torace gonfiando vistosamente il petto, che di conseguenza prese a tirare il vestito fin quasi a lacerarlo.

Pareva che dovesse ridursi a brandelli da un momento all'altro.

“Hmmmm...”

Una sfilza di pugni partì all'indirizzo del malcapitato.

“AHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAH!!”

Furono una serie di attacchi consecutivi e concatenati di impressionante potenza. Devastanti, a dir poco. Che piallavano e piegavano l'epidermide sotto alla loro furia, e che squassavano senza pietà membra ed organi interni che si trovavano al di sotto della pelle, da essa racchiusi e protetti.

Vanamente ed inutilmente, almeno per questa volta ed in quell'occasione.

Il soldato schizzò via come un proiettile impazzito, attraversando in volo l'intera folla così come il piazzale, e finendo addosso al suo collega dotato di maschera e coltellaccio.

Non appena si socntrò con lui esplose, finendo smembrato e buttando getti di sangue tutt'intorno come e peggio di una fontana.

Quell'autentica bomba umana , durante la propria deflagrazione, finì per dilaniare in tanti minuscoli pezzettini pure il corpo del suo compare, che facendogli da scudo aveva arrestato la sua folle e grottesca corsa a mezz'aria. Rimendiando come ringraziamento la perdita pressoché in simultanea di braccia, gambe e testa.

L'intera zona sembrava essersi tramutata nell'anticamera di un macello bovino.

Doveva finire così. Ma non certo per merito dei due che ci erano andati di mezzo.

Non era certo la loro, l'esecuzione prevista quel dato giorno. Ma nemmeno quella del villico era all'ordine del giorno, almeno in principio.

In ogni caso...c'era sempre un posto libero, sulla forca.

I cambiamenti di programma erano all'ordine del giorno. Ma quella regola...valeva, doveva valere soltanto per i bifolchi. Non certo per gli uomini del Grande Re.

Era da sempre che andavano così, le cose. Ma oggi...

Oggi qualcuno, per la prima volta, aveva osato sovvertire quell'ordine.

Tra i pezzi e i brindelli macilenti che volarono per ogni dove un bulbo oculare con tanto di radice e filamenti nervosi, che con tutta probabilità apparteneva al tizio da prima massacrato e poi ridotto ad un purulento fuoco d'artificio, finì sul capo di un suo commilitone. Che per tutta risposta diede immediatamente di stomaco e svenne. Le prime file dei suoi degni compari erano tutte quante chiazzate e coperte del rosso proveniente dai vasi sanguigni dei due che avevano appena fatto quella fine tanto sanguinolenta.

Erano tutti atterriti, ed in preda ad un paralizzante tremore. Sentivano le gambe di gelatina, e qualcuno tra di loro si era persino lasciato andare di vescica o di intestino. O di entrambi allo stesso tempo.

Il loro generale si girò nella direzione da cui aveva visto arrivare il corpo. E da dove presumeva fosse giunto.

“M – ma...ma c – che...”

Poco prima di finire in orbita e stabilire così il nuovo record di lancio mondiale del buzzurro con successivo maciullamento, il buzzurro in questione aveva per riflesso istintivo serrato ancora meglio le adunche dita che teneva impegnate nella presa. E non aveva mollato nemmeno quando i colpi lo avevano scaraventato via. Si era quindi trascinato con sé la pesante e polverosa mantella, almeno per un breve tratto. Rivelando così a tutti i presenti l'identità del suo misterioso assalitore.

Il viandante non più tanto misterioso ma tuttavia ancora sconosciuto, almeno nel nome, ora si trovava anch'egli a torso nudo esattamente come il poveretto in procinto di venire giustiziato. Ma qualcosa lasciava presupporre che le cse non sarebbero andate affatto così. Che non sarebbero andate più così.

Il vento stava cambiando. Anzi, era già cambiato. Lo si sentiva. Lo si percepiva fin troppo chiaramente.

Nell'aria, nelle facce delle persone. Sia di chi stava guardando che di chi stava subendo. Con questi due ruoli che, nel giro di una frazione di secondo, si erano clamorosamente ribaltati.

Il torace di quel tipo, così come le spalle e la coppia di muscoli antagonisti delle braccia erano asciutti, ma ben delineati e scolpiti. L'insieme in sé dava una vivida impressione di forza e possenza. Ma anche di armonia e di equilibrio.

Ma il particolare più significativo risiedeva nel petto.

Vi erano sette cicatrici dalla forma perfettamente circolare, simili a dei fori. Eseguiti con quello che doveva essere una sorta di grosso punteruolo o qualcosa di altrettanto acuminato, di sicuro.

Chiunque fosse stato a conciarlo così non poteva avergliele procurate che in quel modo, quasi certamente.

Ma la cosa curiosa erano disposte, quelle sette cicatrici.

Erano allineate secondo un ordine nient'affatto casuale. La forma a cui davano vita col loro schema ricordava...ricordava una costellazione ben visibile in cielo, durante le notti in cui esso era sereno e limpido con la luna in bella mostra.

La costellazione che, secondo un'antica ma ancora ben nota leggenda...era preposta a governare la morte.

Il Grande Carro. L' Orsa maggiore.

“Ora la voglio fare io, una bella scommessa” annunciò lo straniero, rivolgendosi alla marmaglia che gli stava davanti. “Scommetto di riuscire a far urlare tutti quanti voi dal terrore, prima che voi riusciate a fare altrettanto con quell'uomo che tenete imprigionato.”

“Allora, gente” incalzò poi, mentre aveva preso ad avanzare verso di loro facendo scrocchiare in alternanza le nocche delle proprie mani. Ora la sinistra, ora la destra. “Coraggio, fatevi sotto. I giochi sono aperti, si accettano puntate. E vediamo chi vince.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Re senza corona (virus),

 

27 Maggio 2020

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Per la seconda volta nello stesso mese, aggiungo.

Allora? Che ne dite di questa sorpresa?

Diciamo che ogni tanto, insieme alle mie long me ne esco con qualche gustoso fuori programma. In base all'ispirazione del momento.

Non sono molto bravo a scrivere storie singole o auto – conclusive, infatti non ne realizzo molte. E quando ci riesco...tra una e l'altra ne passa parecchio, di tempo.

Questa mi é venuta fuori così, di punto in bianco.

Realizzata nel giro di un mese, ed é inutile dirvi da cosa ho preso spunto.

Sembra che il peggio sia passato, anche se molto dipenderà da noi. Almeno nei prossimi periodi.

Ma é innegabile che stiamo vivendo una situazione a dir poco paradossale.

Ancora non ci si crede, vero?

Sembra di stare in un film, certe volte.

Ma se c'é una cosa che ho imparato, anzi due...é che prima di tutto, TUTTO E' POSSIBILE.

Anche l' 11 Settembre sembrava una roba giusto buona per qualche film o libro di fantaspionaggio. Eppure...é successa.

Cose simili ti fanno riflettere. Soprattutto sui motivi per cui ti piacciono certi generi.

Credo che uno adori la fantascienza oppure l'horror per il semplice fatto che, in cuor suo...ritenga che cose simili POSSANO DAVVERO ACCADERE.

Intendiamoci. Non siamo certo degli scemi.

Lo sappiamo tutti benissimo che i mostri, gli zombie, gli alieni, le meteore che si schiantano sulla Terra...NON ESISTONO.

Ma se accade qualcsa fuori dall'ordinario...non ci facciamo trovare impreparati.

Certo, si rimane un po' spiazzati. Almeno all'inizio. Ma poi...si prende un bel respiro, si riordinano le idee e ci si rimbocca le maniche.

Abbiamo vissuto queste cose nella nostra fantasia per decenni. In quanti film o romanzi abbiamo letto di virus che sterminavano l'umanità?

In particolare cito una frase del grande Stephen King, quando si riferisce ad una delle sue opere più acclamate. Vale a dire L' OMBRA DELLO SCORPIONE.

 

Volevo dar da capire ai personaggi che il buon Dio non gli ha salvato il culo dall' Apocalisse per vederli rifare le stesse cazzate di prima.”

 

Parole sante. Riusciremo a capirla anche noi, questa volta?

Spero di si. Ne va della nostra sopravvivenza.

Per anni abbiamo visto e letto di queste cose. E non é tutto.

Abbiamo a fianco i nostri eroi. Quelli con cui siamo cresciuti. Ce ci stanno a fianco e ci spronano.

Li sentite? Parlo di Ken, di Toki, di Joe, di Seiya, di Ikki, di Actarus/Duke Fleed e di Tetsuya. Giusto per citarne alcuni. Ma anche di Raoul, giusto per citarne altri. E per non dimenticare anche quelli dalla parte opposta dell'oceano...anche i vari Rambo, Jack Burton, Jena Plissken, Martin Riggs, Axel Foley, Maverick, McClane e Matrix. I due John più fighi della storia del cinema.

Ma anche Ripley e Sarah Connor, per non tralasciare due grandi, grandissime protagoniste femminili.

Li sentite?

Sono vicino a noi, anche se non li vediamo. Che ci dicono FORZA, RAGAZZO. CI HAI SEGUITI PER ANNI, ED ORA...ORA TOCCA TE.

SAI COSA DEVI FARE.

E ALLORA FALLO, FORZA.

Sono sempre con noi. A consigliarci, aiutarci e proteggerci.

Ed é a quel punto che ti rialzi. Ti rimetti in piedi, guardi il pericolo che minaccia te e i tuoi cari dritto negli occhi e gli fai OK, BASTARDI. FATEVI SOTTO. IO SONO PRONTO.

Ci sentiamo tutti un po' eroi, in questo periodo. Anche solo a fare la vita di tutti i giorni.

Dobbiamo farcela. Anche in onore di chi non ce l'ha fatta e non ha avuto la nostra stessa fortuna-

Abbiamo il DOVERE di sopravvivere. Di VIVERE. Anche per tutti loro.

La seconda cosa...é che niente é così tanto terribile da NON POTERCI RIDERE SOPRA.

Nei dovuti limiti, s'intende.

Ho quindi scritto questa storia per sdrammatizzare un po'. Spero vi piaccia.

Era da tempo che volevo scrivere una storia più o meno comica su Ken.

Forse per il tono austero e serioso, ma direi che la storia di Buronson e Hara si presta volentieri, a questo genere di operazioni.

Di recente (beh, l'anno scorso) era uscita anche da noi la parodia (ufficiale) HOKUTO NO KEN – ICHIGO AJI, realizzata da Yushi Kawata e Imoto Yukito. Davvero divertentissima, ve la consiglio.

Ma mi ricordo che nella metà degli anni 90 erano uscite anche due opere demenziali (e queste non proprio ufficiali...) e tutte nostrane. Molto spassose, tra l'altro.

Sto parlando di OSUDO di Fabio Lai e di KENSHEMO IL GUERRAIOLO, creata dalla mitica e ormai defunta Zero Press di Sal Virelli.

Un'ultima cosa: ovviamente, con le considerazioni di Raoul sulle donne in genere...non é mia intenzione offendere nessuna. E nessuno.

Del resto ho come idea che il Re di Hokuto, almeno all'inizio, non sia molto ferrato sulle questioni che riguardano i rapporti amorosi.

Basti vedere quando aggredisce Julia mentre si trova ad accudire dei bambini, per convincerla a mettersi con lui.

Stringendola al busto fin quasi a triturargli le costole e torcendole un braccio.

Tipico corteggiamento umano, direi. Proprio.

E comunque, il succo del suo discorso lo si poteva riassumere così:

 

RAAARRGH!! ME RAOL, TU JULIA! TU PIACERE ME! ADESSO NOI FARE FIKKI FIKKI!!”

 

No, dico...I CAVERNICOLI. Ci mancavano giusto le RANDELLATE IN TESTA E IL TRASCINARLA NELLA CAVERNA.

Meno male che é arrivato Toki a redarguirlo, và.

Bene, ho concluso. Ci risentiamo il prossimo mese col nuovo capitolo della mia long.

Alla prossima, e...

 

See ya!!

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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