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Autore: Shadow writer    28/05/2020    9 recensioni
Tridell è una moderna metropoli in cui nessuno è estraneo a scandali e corruzioni. Una giovane donna, abile nell'uso delle vie più o meno lecite, si è fatta strada fino alla vetta di questo mondo decadente.
Dalla storia:
“La duchessa viveva in periferia.
Il suo era un palazzo dall’esterno modesto, circondato da una striscia di giardino prima del grande cancello metallico. Chiunque avesse avuto l’onore di entrarvi, parlava di stanze suntuose, pareti affrescate, una grande corte interna, in cui si innalzava una fontana zampillante decorata da statue di marmo bianco. […]
Chi lei fosse veramente, non si sapeva. Che non avesse davvero il sangue blu, questo era quasi certo, ma nessuno osava contestarlo.
La verità sul suo conto, qualunque fosse, non era nota al pubblico, e alla gente piaceva guardare a questa donna enigmatica nel costante sforzo di capire chi fosse, senza mai riuscirci.”
[Storia partecipante al contest “Il Lago dei Cigni” indetto da molang sul forum di Efp.]
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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La vendetta di Medea
 
 




Alla domanda di Alexander, Emily roteò vistosamente gli occhi, appoggiando il capo alla poltrona su cui era seduta.
«Non devo spiegarti cosa due adulti consenzienti facciano di notte in una camera da letto» ribatté, ottenendo un verso di frustrazione da parte dell’altro.
«Merda, Em, quante altre cazzate avvengono dietro alla mia schiena?»
Alex gesticolava agitato e si muoveva a grandi passi nello spazio ristretto della sala.
«Calmati».
«Calmarmi? Tu giri con signori del crimine e ti procuri droga come se fossero caramelle, Roman è l’amante della madre di mia moglie e Dio solo sa cos’altro sta succedendo in questa città marcia del cazzo!»
«Alexander, calmati» gli intimò alzandosi in piedi per ridurre la loro differenza di altezza.
Lui smise di muoversi e si fermò, a pochi passi di distanza,
«Va bene, mi calmo se mi dici che hai un piano».
Emily alzò gli occhi al cielo e sbuffò, scocciata.
Alex sgranò gli occhi, prendendo atto che erano allo sbando. Si costrinse a fare un respiro profondo prima di parlare.
«Ecco cosa faremo» le disse ed Emily puntò gli occhi nei suoi, in attesa. «Rilasceremo il video».
«Che cazzo stai dicendo?» sbottò la ragazza infiammandosi nel volto. La tensione del suo collo indicava lo sforzo che stava compiendo di non lanciarsi avanti e prenderlo a sberle.
«Credono che il video sia una minaccia. Rilasciamolo e togliamo loro questo potere.»
Emily storse il naso e arricciò le labbra, contrariata.
«Alex, ti stai sentendo?» lo apostrofò.
Lui parve estenuato dal doversi spiegare ancora. 
«Roman non ne verrà danneggiato, non più di tanto almeno. Viviamo nel tipo di società per cui l’uomo cade sempre in piedi e ci preoccuperemo di fargli una propaganda positiva. La madre di Camille ha tradito suo marito e questo è uno di quei segreti che presto tutti sanno. In ogni caso, le basterà rifugiarsi in Francia per sfuggire all’eventuale scandalo. È semplice.»
Emily lo guardava come se attendesse che una parola sensata uscisse dalla sua bocca. Quando lei parlò, lo fece in modo conciso: «Toglitelo dalla testa».
«Em!» protestò lui, ma lei si diresse verso la porta della stanza.
«Non sei più una persona gradita in questa casa. Ti accompagno all’uscita» si fermò sulla soglia per assicurarsi che lui la seguisse.
Alex sondò il suo volto, alla ricerca di un qualche appiglio, ma il furore rendeva chiaro che ogni tentativo di dialogo sarebbe stato inutile.
«Me ne vado, ma dobbiamo risolvere questa cosa, il prima possibile.»
Si avvicinò alla porta e passò accanto a lei, che torse il capo in un’altra direzione per non doverlo guardare.
«Lo facciamo per Noah» mormorò, «lo hai dimenticato?»
Gli occhi di Emily guizzarono su di lui, incandescenti.
«Scelgo io le regole del gioco» ribatté.
Alexander sospirò e si lasciò guidare verso l’uscita.
 
 
 
L’aria del pomeriggio era fredda e il debole sole che ormai tendeva verso l’orizzonte non riusciva a riscaldarla.
Sulla terrazza di camera sua, Emily scrutava il volto di Roman in cerca di una qualche reazione. 
«Questo non lo avevamo previsto» fu l’unica cosa che disse, senza scomporsi.
Emily si sentì pervadere da un senso di impotenza e rabbia. Roman l’aveva sempre protetta e accudita e ora lei non sapeva come fare altrettanto.
«Cosa ha detto Alexander?»
La ragazza roteò gli occhi: «È un idiota. Ha detto di rilasciare il video per togliere loro potere.»
Roman non rispose, ma abbassò gli occhi, pensieroso.
«Non lo starai davvero considerando?» gli chiese Emily allarmata e allungò una mano per stringere il suo braccio.
Roman riportò i suoi occhi nocciola sul volto di lei: «Sto valutando ogni opzione. Se a noi sono state recapitate due copie dello stesso video, è probabile che ne esistano altre. E magari una è stata portata a Liliane.»
Emily sentì il suo battito accelerare improvvisamente. Non aveva considerato che anche la signora Lefebvre avrebbe potuto far parte del gioco. I Fairbanks erano amici di famiglia, ma avrebbero fatto qualsiasi cosa in loro potere per scagionarsi dalle accuse.
«Credi che lei ti tradirebbe per questo?» gli domandò e subito si pentì della domanda quando gli occhi lucidi di Roman si posarono nei suoi.
«Ho sempre saputo che nella nostra relazione il mio amore andava senza tornare e la cosa mi stava bene. Finché lei voleva vedermi, potevo fingere di ignorare la sensazione di essere solo una fuga momentanea dal suo matrimonio».
Emily gli si avvicinò, prese le sue mani e le strinse a sé. Roman le rivolse uno sguardo carico di dolore.
«È in momenti come questo che capisco il peso dell’illusione. Forse Liliane mi ha voluto bene, ma non mi ha mai amato. Io l’ho sempre amata e ora le voglio meno bene.»
La ragazza allungò una mano e gli accarezzò la guancia su cui minacciava di cadere una lacrima.
«Troveremo un’altra soluzione, abbiamo ancora tempo.»
Lui fece un cenno di assenso e abbozzò un piccolo sorriso tirato: «Ce la caveremo».
Assicurandosi che Roman non avesse più bisogno della sua presenza, Emily lasciò la terrazza e si diresse verso il piano interrato, dove la piscina l’attendeva già cosparsa di petali di rosa. Sentiva la necessità di immergersi nell’acqua calda, distanziarsi dalla realtà e pensare.
 
 
Riemerse dalla piscina un’ora più tardi, con la pelle calda e profumata e la sensazione di essere rinata. La sua mente non era ancora lucida, ma stava ricominciando a ragionare sulle alternative che avevano.
Più le idee si facevano chiare, più considerava stupido il senso di disperazione che l’aveva attraversata prima.
Indossò una vestaglia asciutta e raccolse i capelli in un asciugamano, poi risalì verso la sua stanza.
Mentre si trovava sulle ampie scale di marmo che conducevano al primo piano, un domestico la fermò.
«Signorina, c’è una cosa che deve vedere».
Perplessa, Emily si lasciò guidare verso la sala con il televisore, che era già acceso e nuovamente sintonizzato sul telegiornale. Sullo schermo scorrevano le immagini che lei e Alexander avevano visto poche ore prima dal dvd, mentre la voce della giornalista commentava quello che si prospettava come uno degli scandali più chiacchierati per le settimane seguenti. Il video era stato rilasciato.
Con la mente sconvolta e sconcertata, Emily si lanciò in avanti, verso il lettore, dove il dvd era ancora inserito. Afferrò allora l’involucro di plastica sul tavolo e scoprì che l’altro disco era scomparso.
Una rabbia feroce cominciò a montarle dentro e i suoi pensieri si fecero a dir poco vorticanti. Superò il domestico e lasciò la stanza, diretta verso il proprio studio. Si chiuse dentro, cercò il cellulare giusto per chiamare l’unico numero della rubrica.
«Cassandra!» le rispose gioviale la voce dall’altro capo. «A cosa devo la chiamata?»
Lei faticava a respirare e percepì il tono duro con cui le parole le uscirono dalla bocca: «Alexander Henderson è fuori dai giochi. Fai ciò che devi con la tua “garanzia”.»
 
 
 
***
 
 
 
Quel leggero singhiozzare intercalato da parole francesi suonava come un’antica nenia dimenticata.
Quando Camille gli aveva detto che dovevano andare a casa dei suoi genitori, Alexander non aveva immaginato l’uragano in cui si stavano cacciando.
Liliane si era chiusa nella camera da letto mentre il marito gridava dall’esterno minacciando di buttare giù la porta e farcendo tutto con una serie di insulti in francese poco comprensibili. Alexander aveva temuto di essere sul punto di assistere ad un omicidio domestico.
Un’ora più tardi, la situazione si era fatta più calma. Liliane non era ancora uscita dalla stanza, ma parlava con Camille attraverso la porta. La giovane se ne stava con il capo appoggiato al legno, mormorando frasi dolci alla madre.
Il signor Lefebvre si era spostato nel salotto, al piano inferiore, e stava sorseggiando nel whiskey per calmarsi i nervi. Alex si muoveva tra l’anticamera e il salotto, assicurandosi che la situazione rimanesse se non quieta, almeno non turbolenta. 
«Ti porto qualcosa?» domandò a Camille.
Lei scosse il capo e gli rivolse un sorriso di ringraziamento. Nonostante il volto disteso, i suoi occhi erano corrucciati come non mai e le borse al di sotto rendevano palese il pianto ormai asciutto. I capelli chiari, sempre ben pettinati, erano raccolti in una coda scomposta e disordinata.
Alex si trattenne per qualche minuto con lei, poi scese al piano inferiore per assicurarsi delle condizioni del padre di Camille.
Gerald Lefebvre era un uomo affascinante nonostante gli anni gli avessero scolpito numerose rughe sul volto e dipinto di bianco molti capelli. Teneva la sua chioma ancora folta pettinata all’indietro, il che gli dava un’aria da principe di altri tempi insieme ai completi eleganti che indossava.
Se ne stava seduto al tavolo, con il bicchiere di cristallo vuoto e la bottiglia aperta e per metà svuotata poco distante.
Si voltò di scatto verso Alexander quando lo sentì entrare e i suoi muscoli si rilassarono nel riconoscerlo.
«Un intero matrimonio basato su una bugia» sputò. «Perché? Perché lo ha fatto?»
Scandagliò il volto di Alex alla ricerca di una risposta, ma lui scosse il capo: «Non saprei, signore.»
«Per il rischio? Per l’adrenalina?» continuò lui, poi sgranò gli occhi, improvvisamente allarmato. «Perché lo ama?»
Scacciò subito quell’opzione con un’espressione disgustata: «Non può amare un ragazzino, non può.»
Il suono del campanello interruppe i suoi vaneggiamenti, con sollievo per Alex, che fece per dirigersi verso la porta, ma il signore Lefebvre lo anticipò: «Vado io, ragazzo.»
Alex lo seguì ugualmente, assicurandosi che si reggesse sulle sue gambe e quando raggiunsero l’ampio ingresso, un cameriere aveva già aperto e dalla porta stavano entrando due poliziotti e un terzo uomo in borghese.
«Grazio a Dio!» esclamò il padrone di casa. «Stavo proprio per chiamarvi.»
Il detective, l’uomo in borghese, lo bloccò: «Mi dispiace, signore, ma siamo qui per un altro motivo. Abbiamo un mandato d’arresto.»
Il signor Lefebvre diventò bordeaux, come se non riuscisse a sostenere quell’ennesimo colpo.
«Per arrestare chi?» domandò, improvvisamente ostile.
Gli occhi del detective si spostarono sull’altro uomo che li aveva accolti.
«Alexander Henderson.»
 
 
 
Alexander non sapeva quante ore fossero passate da quando la polizia lo aveva scortato via da casa Lefevbre sotto lo sguardo sconcertato del padrone di casa. A giudicare da come il suo stomaco brontolava, dovevano essere parecchie.
Sapeva come funzionavano quelle cose, ma viverle dall’interno lo aveva lasciato confuso e frastornato. E sicuramente non pronto a sentire la predica che Jefferson gli stava facendo in quel momento. Aveva già parlato con il suo avvocato e gli era stato concesso quel colloquio aggiuntivo, anche se per una volta Alex si pentì di non essere trattato come tutti gli altri. 
Sapeva che non era più sindaco, senza che Jefferson glielo sbattesse in faccia insieme al cellulare su cui veniva riprodotto ininterrottamente il video del suo incontro con Arthur Lowe. In quel momento, sul piccolo schermo, lui e Lowe si stavano stringendo la mano per sugellare il patto che gli aveva fatto vincere e perdere la carica di sindaco nell’arco di pochi giorni. La figura di Lowe era abilmente in ombra e non riconoscibile, a differenza della sua. Il video era stato consegnato al giornale più importante di Tridell e rapidamente era arrivato il mandato d’arresto. 
Alex si chiese cosa suo padre avesse promesso a Jefferson per costringerlo a rimanere dalla sua parte. Conoscendo suo padre, si era trattato più probabilmente di minacce che di promesse.
«E non immaginerai cosa ha fatto la cara duchessa un’ora prima del tuo arresto» gli stava dicendo in quel momento.
Alex si passò le mani tra i capelli: «Ero impegnato ad impedire un’altra tragedia familiare. Cos’ha fatto?»
«Ha annunciato il suo fidanzamento con Gabriel Leroy, il figlio del tuo avversario.»
Alex lo fissò interdetto, cercando di capire se fosse serio. Richard Leroy, ex sindaco di Tridell e suo avversario nella campagna appena conclusa, aveva un unico figlio e non poteva credere che Emily intendesse sposarlo.
«Ha deciso di abbandonare la barca non appena ha cominciato ad affondare» commentò Jefferson, rivolgendogli uno sguardo grave. «C’è da chiedersi se non fosse stato il suo piano fin dall’inizio, fare il doppio gioco.»
Alex si sentì mozzare il fiato e si diede dello stupido. Era così chiaro che non aveva senso metterlo in dubbio.
Fin dall’inizio Emily aveva stabilito che tutto ciò a cui puntava era riprendersi Noah e che altrimenti non avrebbe mai sostenuto la sua campagna elettorale. Non doveva destare sorpresa che avesse cambiato partito non appena lui aveva perso ogni possibilità di vittoria.
Alex avrebbe voluto vomitare. Aveva mentito a Camille, aveva portato avanti quella farsa nell’illusione di poter salvare suo figlio e rimediare ai suoi errori passati e invece non si era procurato altro che problemi. E non aveva nulla in mano per fare pressione su Emily. Alla fine, la duchessa aveva fatto scacco matto.
«Dobbiamo sapere chi ha consegnato questo video al giornale» gli disse Jefferson, battendo l’indice sul tavolo metallico.
«Ha importanza?»
Si sentiva esausto. Il video era così incriminante che il giudice non avrebbe permesso il rilascio su cauzione e non sapeva quanto tempo sarebbe trascorso fino al processo.
«Potrei metterci la mano sul fuoco che è stata la duchessa» continuò Jefferson e lui avrebbe voluto contraddirlo, ma si rese conto che l’ipotesi aveva le sue motivazioni. Aveva appena constato quanto la fedeltà di Emily fosse scostante e non poteva escludere che quella fosse stata la sua mossa per eliminarlo dal gioco, soprattutto dopo la discussione che avevano avuto a casa di lei.
Sembrava passata un’eternità da quando avevano guardato il filmato di Roman e Liliane e invece era stato solo quel pomeriggio. 
«È ora di andare».
Un poliziotto era entrato nella stanza e fece cenno a Jefferson di alzarsi in piedi. 
«Ci vediamo domani» disse ad Alexander e lui gli rispose con un fiacco cenno di saluto.
 

 
 
***



 
Emily guardava Gabriel, in piedi davanti a lei, e pensava che se si ignorava la sua arroganza, la passione per lo sballo, la tendenza alla distruzione e le sue due o più dipendenze, tutto sommato poteva essere un buon partito. Il suo viso era di una bellezza algida ed era abbastanza alto e ben formato da fare un certo effetto quando camminava.
Il sarto aveva appena finito di prendergli le misure e si congedò con un piccolo cenno del capo.
Emily trangugiò il contenuto del suo bicchiere, sentendosi rapidamente riscaldare. Erano passate meno di dodici ore dall’annuncio del suo fidanzamento e già si sentiva stanca.
«Quando ci siamo conosciuti?» domandò a Gabriel, che si stava rimirando nell’alto specchio verticale al suo fianco. Indossava solo una camicia bianca e un paio di pantaloni blu che Emily gli aveva procurato e pareva uno studente di college in vacanza, il che non era lontano dalla verità se le vacanze durassero dai tre ai cinque anni.
«Lo abbiamo già ripetuto» le disse con un sorriso canzonatorio.
Emily roteò gli occhi: «Tre anni fa, ad un’asta di beneficenza. Quali erano le circostanze?»
Fu il turno di Gabriel di sbuffare, interrotto nella sua autocontemplazione: «Mio padre era invitato all’asta in quanto sindaco e tu hai fatto la più grande donazione della serata».
Gabriel scese dal suo piedistallo – solo fisicamente, pensò Emily – e le si avvicinò. Si mise in ginocchio, ai suoi piedi e con fare melodrammatico aggiunse: «Perché la mia futura sposa è una donna dal cuore immenso.»
Emily lo calciò delicatamente via e lo incalzò: «Perché abbiamo tenuto la nostra relazione segreta?»
«Volevamo prendere le cose con calma e non amiamo l’attenzione della stampa».
La ragazza si sentì soddisfatta. Gabriel era perfino un bugiardo migliore di quanto si aspettasse.
«Ricorda il piccolo favore che dovrai chiedere a tuo padre» gli disse e lui, alzandosi in piedi, le rivolse uno sguardo perplesso: «Ancora non ne ho capito il senso.»
Emily gli rivolse uno sguardo comprensivo: «Il tuo compito non è capire, ma seguire il piano.»
La porta alle sue spalle si aprì e Roman fece il suo ingresso nella stanza. Ad una qualsiasi persona, la sua espressione sarebbe parsa serena, ma Emily lo conosceva abbastanza bene da leggervi tracce di turbamento. 
«Possiamo parlare?» le chiese infatti.
Non si vedevano dalla loro conversazione sulla terrazza, il pomeriggio precedente, perché Emily aveva voluto lasciargli il tempo di riprendersi dopo gli ultimi avvenimenti. Immaginò che Roman avesse ormai scoperto che il video era stato rilasciato.  
Intimò a Gabriel di rimanere nella sala - «Senza rompere nulla» - e seguì Roman verso il proprio studio.
Non appena furono all’interno, il giovane chiuse la porta a chiave e si allontanò da essa, per non far udire la conversazione all’esterno, nonostante le pareti fossero insonorizzate.
«Che diavolo sta succedendo?» le chiese, con gli occhi sgranati. Raramente Emily lo aveva visto così stravolto e la cosa la preoccupava.
«A mali estremi, estremi rimedi» replicò lei e Roman aprì la bocca esterrefatto: «Gabriel Leroy mi sembra un rimedio piuttosto estremo.»
Emily strinse le labbra, scocciata di non potergli dare torto. Lei e Roman avevano sempre deciso insieme, ma non avevano mai messo in discussione che fosse lei a prendere la decisione finale.
«Dopo quello che Alexander ti ha fatto, mi sono assicurata che venisse arrestato e con lui fuori dai giochi, non ho avuto altra scelta.»
Roman le si avvicinò e il modo in cui la preoccupazione continuava a rabbuiargli il suo volto spaventò la ragazza.
«Stai parlando del video di me e Liliane?»
Emily annuì e fece per slanciarsi in avanti e stringerlo tra le braccia, certa che non avesse ancora superato quel dolore, quando le parole di lui la colpirono come sassi.
«Sono stato io a condividerlo».
La ragazza si bloccò, sbigottita e sconcertata da quella rivelazione. Dovette appoggiarsi alla scrivania al suo fianco perché le gambe le si fecero molli.
«Cosa stai dicendo?»
Roman la guardava con le sopracciglia corrugate: «Devo la mia lealtà a te molto più che a Liliane. Non mi hai dato motivo di dubitare del tuo amore per me e sapevo che era la cosa giusta da fare, nel caso i Fairbanks avessero minacciato anche lei. Liliane avrebbe solo complicato la situazione pur di non essere scoperta e non potevo permetterlo.»
Emily boccheggiò, senza fiato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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