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Autore: Roscoe24    28/05/2020    5 recensioni
“Non mettere alla prova la mia pazienza, Maryse. Ne ho poca. Molto poca.”
Maryse sospirò.
Era il suo ultimo tentativo, quello. Aveva provato di tutto, negli anni. Magie di ogni tipo, ma nemmeno l’Angelo aveva potuto aiutarla. La sua condizione era irreversibile. Tutti gliel’avevano detto, tranne il libro bianco.
Il Grimorio Proibito aveva detto che dove non arriva la magia angelica, arriva quella demoniaca.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Maryse Lightwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il tonfo fu sordo.
Magnus e Alec vennero catapultati fuori dal portale come due schegge esplose da una bomba. Il pavimento attutì la loro caduta in malo modo e Alec sentì chiaramente tutto il peso del proprio corpo finire sulla sua spalla. Magnus arrivò al suo fianco, cadendo in malo modo anche lui.
“Stai bene?” gli domandò Alec, e lo Stregone annuì. Si alzò e aiutò Alec a fare lo stesso. Così facendo notò l’espressione sofferente sul suo viso e immediatamente si preoccupò.
“Sei ferito?” gli domandò, quando furono entrambi in piedi. Gli prese il viso tra le mani, controllando ogni centimetro, e quando vide che non aveva subito ferite, passò a controllare il resto del corpo. Alec gli bloccò le mani, prendendole saldamente tra le sue.
“Sto bene, Magnus. Non sono ferito. Sono solo caduto male.” Gli sorrise, per tranquillizzarlo. “Non sono fatto di cristallo, sai? Ho subito ferite peggiori, nella mia vita.”
Magnus emise un sospiro. “Scusami. Ho avuto solo paura…”
Alec appoggiò la fronte sulla sua. “Lo so.” Chiuse gli occhi, come se volesse prendersi un momento per realizzare che l’attimo in cui avevano rischiato di perdersi era passato. Magnus era lì, con lui. Lo stava sfiorando. Aveva temuto davvero che rimanesse ad Edom senza di lui, che lo lasciasse andare in un posto più sicuro da solo, e che rimanesse all’Inferno per scoprire da solo quale fosse la causa di quel crollo. E Alec non sopportava l’idea che Magnus rimasse da solo in mezzo al pericolo. Per questo si era impuntato. Se dovevano andare in un posto dove tutto intorno a loro non crollava, ci sarebbero andati insieme.
Per sua fortuna, Magnus l’aveva seguito.
“Sto bene,” lo rassicurò. “Stiamo bene.” Aggiunse, rassicurando se stesso. Ricordandosi, un’altra volta, che Magnus stava bene.
Perché qualcuno aveva voluto far crollare il suo palazzo? Perché qualcuno stava cercando di fargli del male. “Ora dobbiamo capire chi c’era dietro a quell’attacco.”
Magnus annuì. Sembrava preoccupato. Alec glielo leggeva negli occhi. E sentì nascere dentro di sé un forte moto di protezione. Lo abbracciò, stringendolo a sé più forte che poté. “Scopriremo chi è stato, insieme. Te lo prometto.” Sussurrò al suo orecchio, prima di allontanarsi quel tanto necessario da riuscire a baciarlo. Magnus ricambiò e si sciolse contro Alec. Allacciò le braccia dietro al suo collo e fece aderire perfettamente i loro corpi. Alec era alto, saldo – Magnus riusciva a percepire la sua fisicità definita anche attraverso i suoi vestiti, ma più di tutto, riusciva a percepire la sicurezza che Alec gli trasmetteva, quel senso di appartenenza, la consapevolezza che non era più da solo.
Alec lo faceva sentire al sicuro, protetto. Ed era una sensazione che non aveva mai provato in vita sua.
Era una sensazione della quale aveva creduto di non avere mai avuto bisogno in vita sua, convinto che si sarebbe sempre bastato da solo, che non avrebbe mai avuto bisogno di nessuno.
Dio, quanto si sbagliava. Se ne rendeva conto adesso, con Alec che lo stringeva a sé come se avesse voluto proteggerlo dal mondo intero.
Nessuno era mai stato così premuroso nei suoi confronti, nessuno l’aveva mai ritenuto meritevole di attenzioni gentili.
Nessuno, tranne Alec.
Perché Alexander era speciale, ed era suo. Soltanto suo.
“Grazie.” Sussurrò, la fronte appoggiata alla sua e gli occhi che andarono a cercare quelle iridi bellissime. Non si sarebbe mai abituato al loro colore, o alla loro espressiva intensità. Ma nonostante questo, nonostante avessero un potere devastante su di lui, quegli occhi erano casa. Il suo porto sicuro, il luogo dove si sentiva più a suo agio in questo pianeta. Perché era lì, in quello sguardo, che Magnus smetteva di essere un mostro e cominciava ad essere un uomo.
“Non devi ringraziarmi.” Sorrise Alec, strofinando il naso contro il suo. “Io voglio esserci sempre per te. In qualsiasi situazione. Non ti lascerò mai solo.”
Magnus sentì il suo cuore espandersi, quasi come se diventasse più grande ad ogni parola detta da Alec. Sapeva che era la verità, perché Alec era sincero. Sempre. Lo baciò di nuovo e Alec ricambiò immediatamente. A Magnus piaceva come Alec reagiva ad ogni suo tocco, quasi come se entrambi non desiderassero altro che fondersi l’un l’altro non appena ne avevano l’occasione.
“Adesso dobbiamo andare.” Affermò Alec, quando si separarono. Per la prima volta, da quando erano piombati all’interno dell’Istituto, si guardò intorno. Erano finiti nella sala degli allenamenti, che a quell’ora era deserta. “Tutti sono a cena. Potremmo andare dalla mia famiglia, passando inosservati. Non voglio che altri Shadowhunters vengano coinvolti. Non ci si può fidare, dal momento che prendono molto seriamente le leggi del Clave.”
“Anche tu.”
“In genere sì, ma adesso rispettarle significherebbe metterti in pericolo. E non ho intenzione di trasformarti in un capro espiatorio per uno dei processi inquisitori del Clave.” Alec si fece cupo in volto, a quel pensiero. “Ti giustizierebbero solo per fare di te un esempio. E non voglio questo.”
Alec lo prese per mano, facendo intrecciare le loro dita. “Andiamo.”
Magnus annuì e lo seguì in quel luogo a lui così estraneo, ma del quale non aveva la minima paura. Sapeva che finché c’era Alec al suo fianco, insieme sarebbero stati in grado di affrontare qualsiasi cosa.



*


Alec si muoveva con agilità e discrezione. Se Magnus non fosse stato letteralmente al suo fianco, avrebbe pensato che fosse addirittura in grado di rendersi invisibile. Si muoveva attraverso i corridoi dell’Istituto, cercando sempre il punto meno illuminato per far sì che nessuno li vedesse. Per Alec veniva davvero facile, dal momento che era costantemente vestito di nero – a quanto pare, aveva preso il suo ruolo di Cacciatore di ombre estremamente sul serio, cercando di diventare lui stesso un’ombra per mimetizzarsi meglio. Per Magnus il discorso era diverso. Lui non aveva niente di nero addosso e ogni volta che si nascondevano nei punti ciechi, o più bui, i suoi pantaloni rosa e la sua camicia bianca rischiavano di attirare l’attenzione su di loro. Per non parlare di quanto tintinnassero i suoi braccialetti o le sue collane, come tante campanelle che inevitabilmente rischiavano di attirare l’attenzione su di loro. Ma Alec era abbastanza bravo da proteggere entrambi. E infatti, ogni volta che sentiva un movimento sospetto, si metteva davanti a Magnus, facendogli scudo con il suo corpo. Ogni volta, le persone sporadiche che passavano per quei corridoi, non si accorgevano di niente.
Magnus fu particolarmente affascinato dall’aura che emanava Alec in versione Shadowhunter. Sembrava sicuro di sé, conscio delle sue capacità. Trasmetteva in qualche modo autorità. E una sorta di predisposizione al comando.
“Sai, zucchero, sei molto affascinante in versione Shadowhunter-guardia-del-corpo.” Sussurrò Magnus, mentre attraversavano l’ennesimo corridoio, rigorosamente incollati al muro.
Alec si voltò brevemente verso di lui. “Flirti con me in un momento simile?”
“Ogni momento è buono per flirtare con te, in realtà, ma non era questo il punto della mia affermazione.”
Alec arrossì. “E qual è il punto?”
Magnus sorrise. “Che hai un sacco di potenziale per diventare un Capo.”
“Non diventerò mai un Capo dell’Istituto, se è quello che intendi.” Ammise Alec, la sua voce piena di rammarico. “La mia vita è già scritta. Entrerò in politica, come mio padre, e porterò avanti il nome dei Lightwood.”
“E questo ti rende felice?” Domandò Magnus, sebbene conoscesse già la risposta. La leggeva negli occhi di Alec.
“No. Perché non potrò fare le cose a modo mio, dovrò farle nel modo in cui gli altri si aspettano, il che significa farle come le ha sempre fatte mio padre. Ma io non sono lui, io voglio essere me.”
“E allora sii te. Puoi fare qualsiasi cosa, Alexander.” Magnus gli afferrò una mano. “E vorrei ricordarti che sei stato tu quello che ha detto che mi merito di prendere tutte le strade che voglio. Perché per te questo discorso non dovrebbe valere? Sei per metà angelo, quindi mi piace immaginare che tu possa avere delle ali. Spiegale e vola dove vuoi volare. E, possibilmente, vola il più alto possibile.”
“Icaro è morto perché ha voluto volare troppo vicino al sole.”
“Punto 1: Icaro era un idiota, tu non lo sei. Punto 2: le sue ali erano di cera, le tue no. Sono bellissime, forti e in grado di portarti ovunque tu voglia.”
Alec non riuscì a non sorridere. Magnus aveva questa costante fiducia in Alec, che era quasi contagiosa. Se Magnus credeva in lui, automaticamente l’autostima di Alec saliva di una tacchetta, portandolo a pensare che avesse ragione, che forse anche lui doveva cominciare a credere più in se stesso. Si chinò leggermente per sfiorargli le labbra, un contatto leggero e quasi fugace.
“Niente distrazioni.” Si giustificò, quando Magnus lo guardò con estremo disappunto per non aver ricevuto un bacio appropriato. “È il primo punto alla base di una missione, se vuoi che riesca bene.”
“Tu sei una distrazione ambulante, per me. Direi che la missione è fallita in partenza.”
Alec emise una leggera risata, scuotendo la testa. “Andiamo, siamo quasi arrivati.”
“Dove stiamo andando, di preciso?”
“Nell’ufficio di mia madre. È sempre sola, a quest’ora.”
“Mi porti da Maryse? Quella donna mi odia,” giustamente, aggiunse mentalmente, senza dirlo ad alta voce. “Cosa ti fa pensare che sarebbe disposta ad aiutarmi?”
L’aveva ferita nel modo più orribile possibile, l’aveva privata di una delle cose a cui teneva di più, qualcosa che l’aveva spinta ad evocarlo, vent’anni fa. Il suo desiderio di diventare madre era così forte che era scesa a patti con lui. E lui, esattamente vent’anni dopo, le aveva portato via uno dei suoi figli, costringendola a scegliere. E lei, non volendo condannare nessuno dei suoi adorati figli, era stata costretta a guardare Alec scegliere per lei e sacrificarsi.
Magnus, se prima con la sua natura di demone che dominava ogni sua fibra, l’aveva trovata patetica, adesso con la sua nuova umanità risvegliata grazie alla vicinanza di Alec, capiva quanto avesse sofferto, e quanto lui fosse stato orribile con lei. E provava…rimorso.
“Perché glielo chiederò io, gentilmente.”  Alec cercò di rassicurarlo. Lo guardò con i suoi occhi bellissimi colmi di fiducia e speranza, e accennò persino un sorriso dolce. E Magnus, ancora una volta, sentì la fiducia che cominciava a conquistare ogni centimetro di sé. Si fidava ciecamente di Alec e di qualsiasi cosa dicesse.
“D’accordo.” Magnus sospirò. Alec gli strinse la mano e lo guidò ancora, attraversando un altro corridoio, e Magnus si chiese se non fossero finiti in un vero e proprio dedalo. Non era mai stato dentro ad un Istituto tanto a lungo da coglierne i dettagli. E adesso notava quanto, almeno quello di New York, fosse pieno di corridoi, con i muri principalmente di pietra, e illuminato da lampadine che emettevano una luce arancione.
Era così intento a guardarsi intorno, a cogliere quei dettagli che urlavano alla semplicità e all’asetticità – cosa che lo turbava alquanto, dal momento che lui tendeva sempre ad esagerare, nei dettagli – che non si rese conto che Alec, con la sua stazza da albero, si era bloccato in mezzo al corridoio. Per questo andò a sbattere contro la sua salda e muscolosa schiena. Non che gli sarebbe dispiaciuto, in altre circostanze, ma visto la situazione dove si trovavano, si accese un campanello d’allarme in fondo al suo cervello – qualcosa che gridava al pericolo.
“Che c’è?” Sussurrò, cercando la causa dell’immobilità di Alec. Si sporse oltre la sua spalla per vedere che davanti a loro ci stava un gatto. Era grigio scuro e ricordava molto Presidente, con l’unica differenza che non aveva la schiena a strisce.
“Lui è Church.” Spiegò Alec con un filo di voce, prima di voltarsi completamente verso Magnus. “Ci siamo dimenticati di Presidente!” Si sentì terribilmente in colpa per averci pensato solo in quel momento. Magnus poté leggere la sofferenza negli occhi del Nephilim. Gli afferrò il viso tra le mani.
“Presidente sta bene, Alexander.” Lo Stregone sorrise con dolcezza, mentre gli accarezzava le guance con i pollici. “Appena l’ho adottato gli ho fatto un incantesimo. Se c’è una situazione di pericolo, lui viene portato automaticamente in un posto sicuro.”
Alec si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. “E dov’è adesso?”
“Nel mio loft, a Brooklyn.”
Il viso del Nephilim si accartocciò all’istante. “Hai un loft, qui? Perché?”
“Può sorprenderti, zucchero, ma Edom può essere una vera noia, in certe occasioni.” Fece Magnus, con sarcasmo. “Quel loft è il mio rifugio segreto anti-noia. Vado lì, quando voglio organizzare feste, per lo più con Mondani annoiati a loro volta, facilmente impressionabili da qualche trucchetto che loro scambiano per magia vera. Ingenui.”
Alec era oltremodo curioso, ma non era il momento adatto per approfondire l’argomento. “Sono contento che Presidente stia bene.”
“Lo so, zucchero. Ora, vogliamo proseguire?”
Alec annuì e si incamminò di nuovo, afferrando la mano di Magnus e guidandolo verso l’ennesimo corridoio.


*


Maryse e ne stava nel suo ufficio, in mano la lettera di Alec. Stava leggendo quelle poche righe che ormai erano diventate l’unico rapporto rimastole con il suo primo genito.
Funzionava così, negli ultimi tempi: lei stava seduta nel suo ufficio in attesa di veder comparire nell’aria il messaggio di fuoco, lo afferrava, lo leggeva per prima e se c’erano solamente aspetti positivi, allora chiamava i suoi figli per metterli al corrente delle parole di Alec.
Era davvero triste che quello fosse il loro unico rapporto. Maryse riusciva a leggere la sofferenza che provavano entrambi a causa della lontananza di Alec. Erano sempre stati un trio molto legato, si erano supportati a vicenda sempre, anche in una comunità come la loro, dove l’affetto e le sue manifestazioni non sono esattamente ben visti. Ai suoi figli non era mai importato. Si erano sempre abbracciati, e da bambini capitava spesso che dormissero tutti nello stesso letto. A volte capitava fosse quello di Alec, a volte quello di Isabelle, altre volte ancora, quello di Jace.
Crescendo insieme, il loro rapporto era diventato così forte da risultare indistruttibile. Non c’era lite che riuscisse a rompere ciò che li legasse, il loro amore era sempre stato più forte di qualsiasi loro divergenza.
E Maryse sapeva quanto fossero diversi. Diversi a tal punto che le liti di Jace e Alec erano quasi all’ordine del giorno, perché avevano due modi completamente diversi di concepire l’autorità. Entrambi testardi e cocciuti, Alec insisteva perché le regole venissero rispettate, Jace perché venissero infrante. Tendeva sempre a fare a modo suo, e Alec spesso doveva rimediare. Questo portava a degli scontri all’interno della squadra che venivano mediati da Isabelle, più testarda di tutti e due i suoi fratelli messi insieme, che si rifiutava sempre di prendere le parti di uno dei due, ma si incaponiva per farli fare pace. Sempre.
Funzionavano come l’ingranaggio perfetto, alimentati dalla loro intesa e oleati dalle loro straordinarie capacità. Era difficile trovare una squadra che riuscisse ad eguagliarli. Erano il meglio, e Maryse poteva affermarlo con un certo orgoglio. Lo sapevano tutti.
E se erano diventati i migliori, dipendeva solo dal rapporto che avevano quando non erano dei soldati.
Perché prima di essere tre soldati, erano una famiglia. Per questo Maryse sapeva quanto soffrissero per la lontananza di Alec. Più di una volta in questo mese li aveva visti dirigersi verso la sala delle armi, prima di una missione, e gettare un’occhiata malinconica all’arco di Alec, che nessuno aveva più osato toccare. Lo guardavano ogni volta, quasi come se si aspettassero che, fissandolo, avrebbe riportato Alec indietro. Ma non era mai così. Alec non tornava, e quell’arco era il doloroso promemoria della sua assenza che gravava sui cuori dei suoi figli – e sul suo – come un macigno pesante.
Più di una volta aveva visto Jace arrabbiarsi per cose futili – come un pugnale rimesso al posto sbagliato – per poi prendersela con la prima persona che gli capitava a tiro. Maryse sapeva che era solo una scusa per dare libero sfogo alla sua rabbia, alla sua frustrazione. Jace percepiva l’assenza di Alec a livello molecolare: la sua runa parabatai, che da sempre era stata una benedizione, si stava trasformando nel suo più grande fardello, una specie di maledizione. Con Alec, mancava anche un pezzo di Jace, qualcosa che andava a minare il suo equilibrio emotivo. E Jace, che non era mai stato bravo con le emozioni, si trovava sfogare questo suo disagio tramite la rabbia.
Maryse non lo giustificava, ma lo comprendeva.
Lei stessa era furiosa.
Furiosa con se stessa per aver permesso ad un mostro di portarle via suo figlio, per non essere stata abbastanza coraggiosa da impedirgli di strappare Alec dalla sua famiglia.
Furiosa per non aver mosso un dito in vent’anni. Aveva lasciato che Magnus fosse la sua spada di Damocle per due decenni. Era rimasta in attesa che lui si manifestasse e chiedesse il suo pagamento, come una sciocca – quando invece avrebbe potuto escogitare un modo per eliminarlo, una volta per tutte. Togliere il problema alla radice, rimuovere la minaccia prima che la suddetta minaccia rischi di minacciare lei stessa.
Ma non era andata così.
Semplicemente era rimasta in attesa, e si detestava per questo. Se avesse agito in modo diverso, Alec sarebbe lì con loro. Se avesse combattuto, Jace non sarebbe diventato quasi schiavo della sua rabbia, e Isabelle non si sarebbe chiusa in se stessa, manifestando solamente il suo disappunto verso chiunque e trasformando ogni suo gesto in una scusa per ribellarsi o sfidare le autorità.
Sua figlia era così profondamente ferita, che aveva deciso di punire chiunque intorno a lei per l’assenza del fratello.
In pratica, senza Alec, sia Jace che Isabelle erano diventati ingestibili. E tutti l’avevano notato. Persino Robert, che in un momento simile anzi che rimanere con loro, aveva deciso di tornarsene ad Idris perché era convinto che in quel modo sarebbe riuscito a placare le voci che avevano cominciato a girare sulla loro famiglia, dopo la scomparsa di Alec.
Maryse sapeva che era solo una scusa per prendere le distanze, per dissociarsi da quella tragedia, e lo detestava un po’ per questo. E lo detestava anche per essersi portato dietro Max, convinto che tutta quella situazione non gli facesse bene.
Era ovvio che non gli facesse bene, dal momento che il piccolo sentiva la mancanza del fratello, ma sarebbe stato ancora peggio separarlo anche dal resto della sua famiglia. Ma Robert aveva insistito, nascondendosi poi dietro la scusa che Max doveva ricominciare gli allenamenti. E Maryse aveva lasciato che il bambino seguisse il padre.
Una parte di lei era furiosa con se stessa anche per aver permesso ciò.
Maryse, proprio come i suoi figli, era diventata schiava della propria rabbia, della propria frustrazione e di quel senso di ingiustizia che le parole rassicuranti di Alec non riuscivano a placare.
Non le bastavano, quelle parole sterili. Non le sarebbero mai bastate perché non sapeva fino a che punto Alec le scrivesse di sua volontà o fosse costretto a scriverle.
Dei pezzi di carta non l’avrebbero mai aiutata a placare il suo animo in tempesta. L’unica cosa che l’avrebbe aiutata a ritrovare un po’ di pace sarebbe stata riavere Alec.
Voleva riaverlo con sé, saperlo in un posto dove nessuno gli avrebbe mai fatto del male. E quel posto era l’Istituto, non certo Edom.
Per questo, finì di leggere l’ennesimo biglietto dove Alec la rassicurava che stava bene, appuntandosi di chiamare Jace ed Izzy più tardi, dopo cena, e tornò a sfogliare il libro che stava leggendo e nel quale stava cercando un modo per scendere ad Edom a tutti i costi: era determinata a riprendersi suo figlio.
E, di certo, non si aspettava di vederselo comparire davanti da un momento all’altro.



*



Dopo quella che parve un’eternità, arrivarono davanti alla porta chiusa dell’ufficio di Maryse. Entrambi avevano il cuore in gola per motivi differenti: Alec era ansioso di rivedere sua madre, Magnus aveva paura. Non gli era mai capitato in vita sua di temere qualcuno e analizzando quel nuovo sentimento, si rese conto che la sua, più che paura della persona, era paura di confrontarsi con lei, di vedere il dolore che le aveva provocato riflesso nei suoi lineamenti, o nei suoi occhi.
Fissando quella porta, Magnus provò un forte desiderio di zittire il suo cuore, ma gli risultò impossibile. Probabilmente, la condizione umana implicava anche questo: l’impossibilità di fuggire dai sentimenti negativi. Ci sono anche loro, nella vasta gamma delle emozioni umane, e non può essere tutto soleggiato. Come ogni esperienza che si rispetti, prima o poi arriva anche la pioggia – e quello era il momento piovoso di Magnus.
Con Alec era felice, lui faceva battere il suo cuore ad un ritmo gioioso, riempiendolo di tutto ciò che di positivo poteva esistere al mondo. E da quel punto di vista le emozioni erano decisamente ben viste. Alec gli scatenava tutte quelle positive. Ma, d’altro canto, se con Alec era così, con sua madre era tutta un’altra faccenda.
Lei lo faceva sentire ansioso, timoroso, e gli faceva persino provare un senso di vergogna per come si era comportato, per non parlare del rimorso.
Da questo punto di vista, le emozioni umane fanno davvero schifo.
“Andrà tutto bene.” Sussurrò Alec, stringendogli la mano. Magnus non poté fare a meno di guardare l’intreccio delle loro dita. E improvvisamente sentì il nodo di ansia che gli attanagliava il petto sciogliersi un po’. Era sempre lì, ma sembrava meno aggrovigliato, più sopportabile.
Si guardarono entrambi e fecero un grosso respiro.
“Sei pronto?” gli domandò Alec e quando lui annuì, il Nephilim aprì la porta, senza nemmeno bussare. La spalancò quasi, e una volta aperta, si rese conto che forse sarebbe stato meglio bussare. Sua madre era seduta alla scrivania, teneva un foglio in mano, e davanti a lei, seduti sulle sedie ci stavano i suoi fratelli. Tutti si voltarono di scatto, sussultando e preparandosi a reagire a quella che inizialmente era sembrata loro una minaccia. Ma quando poi tutti riconobbero Alec, nei loro volti comparve dapprima stupore, poi felicità e poi, quando notarono Magnus, sospetto.
Alec rimase immobile a fissarli per qualche istante. Era stato un mese lontano da loro, e per quanto fosse stato bene con Magnus, aveva sentito la loro mancanza. Si avvicinò a grandi passi, senza dire una parola, e abbracciò Isabelle e Jace con entrambe le braccia. Li strinse a lui in contemporanea, usando un braccio a testa, e lasciò un fugace bacio tra i capelli di Isabelle.
I due rimasero spiazzati solo per qualche istante, increduli che Alec fosse effettivamente lì con loro. E poi ricambiarono la stretta. Lo strinsero così forte che Alec sentì il respiro venirgli meno, ma non gli importava. Si sarebbe lasciato stritolare. 
E davanti a quella scena, Magnus sentì il rimorso divorarlo. Aveva pensato a quanto la distanza avesse ferito Maryse, o Jace e Isabelle, ma non si era mai soffermato, fino a quel momento, a quanto la lontananza potesse far soffrire anche Alec.
Aveva dato importanza al fatto che loro due insieme stessero bene. Aveva solo dato importanza a quella bolla quasi surreale nella quale erano finiti e in cui esistevano solamente loro due e nient’altro, se non forse il seme dei sentimenti che entrambi stavano coltivando, in attesa di vederlo germogliare.
Magnus era ancora più demone di quanto si aspettasse. Nonostante i cambiamenti che percepiva all’interno del suo cuore, grazie ad Alec, aveva ancora continuato a dare più importanza a se stesso, alla sua felicità e non aveva minimamente pensato che, per quanto Alec potesse stare bene con lui, magari si sentiva incompleto senza la sua famiglia.
Sospirò impercettibilmente, mentre guardava Alec che veniva stritolato dai suoi fratelli. Non riusciva a sentire cosa gli stessero dicendo esattamente, dal momento che le loro voci erano attutite dalla loro vicinanza, ma Magnus riuscì comunque a percepire qualcosa: ci sei mancato così tanto, Alec e ancora stai bene? Eravamo così preoccupati.
“Sto bene. Ve l’ho scritto, mi pare.” Alec sorrise e sciolse l’abbraccio. Jace ed Isabelle rimasero a guardarlo per qualche istante, quasi come se ancora non credessero di averlo davanti.
“Non sapevamo se fosse vero.” Si intromise Maryse, facendo il giro della scrivania per raggiungere Alec. Lo abbracciò e il ragazzo dovette chinarsi leggermente per ricambiare quell’abbraccio. Maryse lo strinse forte a sé, e Alec riuscì quasi a percepire in quell’abbraccio tutta la sofferenza e l’angoscia che doveva aver provato in quel periodo.
Sapeva che sua madre non era il tipo che si lasciava andare troppo ad effusioni, ma era anche consapevole di quanto li amasse.
“Non vi avrei mai detto una bugia.”
“Tu no,” Affermò la donna, convinta, “Ma lui sì.” Si staccò da Alec per guardare Magnus. L’occhiata che gli riservò era tagliente e piena di risentimento, e Magnus poteva persino capirla. Sostenne comunque il suo sguardo, senza aria di sfida o di superiorità, solamente con l’intento di risponderle, ma Alec lo precedette.
“Nemmeno Magnus avrebbe detto bugie. Non mi ha costretto a fare niente. Ero sincero nei messaggi, quando dicevo che con lui stavo bene.” Alec guardò le facce dei tre presenti. “Non è come credete che sia.” Un’espressione morbida attraversò il suo viso, per un attimo così fugace che, per un istante, Maryse credette di averlo solamente immaginato.
“Mi aveva persino chiesto se volevo tornare da voi. E l’avrei fatto, se…” Alec si interruppe, cercando di trovare le parole.
“Se…?” Lo spronò Jace.
“Se non ci avessero attaccati.”
“Da chi?” Fu la domanda che formularono all’unisono i tre Shadowhunter, le voci allarmate.
“Non lo sappiamo.” Magnus prese parola per la prima volta. “Hanno attaccato il mio palazzo, tutto ha iniziato a crollare e siamo venuti qui.”
“Hai messo in pericolo la vita di mio figlio, un’altra volta! Non solo l’hai costretto a venire con te all’Inferno, ma hai anche rischiato di farlo uccidere!” Maryse era furiosa.
E Magnus si sentì particolarmente colpito da quell’accusa. Lei non era lì. Non poteva sapere come fossero davvero andate le cose. Non poteva sapere la paura che aveva provato Magnus alla sola idea che Alec venisse ferito, solamente perché qualcuno aveva deciso di prendersela con lui.
“Attenta a come mi parli, Nephilim. Non dimenticare con chi hai a che fare.” Magnus sibilò, e sentì dentro di sé quella sensazione familiare che aveva sempre associato alla sua natura demoniaca. Come se tutta la sua anima, improvvisamente, fosse stata fatta solamente di icore velenoso. Era come se il demone che abitava dentro di sé avesse improvvisamente preso il sopravvento ed esigesse di essere rispettato, temuto. Magnus era stato solamente un sovrano dell’Inferno per troppo a lungo e, di conseguenza, se non si trattava di Alec, era facile che quella parte di sé si risvegliasse.
“Se pensi anche solo per un momento che permetterei a qualsiasi essere presente su questa terra anche solo di sfiorare Alexander, ti sbagli di grosso. Chiunque provasse anche solo a pensare di fargli del male, sarebbe morto ancora prima di tentare di avvicinarsi a lui.”
Gli occhi felini di Magnus scintillarono di un’intensa tonalità dorata. Le sue pupille si assottigliarono maggiormente e Maryse, mentre ricambiava quello sguardo e si rifiutava di lasciarsi intimidire dall’atteggiamento improvvisamente arrogante dello Stregone, fu colpita da una consapevolezza improvvisa: quell’atteggiamento non era quello di un demone nei confronti del suo ostaggio. Lo sguardo di Magnus era serio e il suo tono di voce non lasciava trasparire il minimo dubbio.
Credeva alle parole che avevano appena lasciato la sua bocca.
Avrebbe davvero massacrato chiunque si sarebbe avvicinato ad Alec con l’intenzione di ferirlo e questo atteggiamento significava solamente una cosa.
Un demone non prova un istinto di protezione così forte e viscerale nei confronti di un mortale, mai, a meno che…
“Non è possibile.” Sussurrò, guardando Magnus. “Non con lui, non mio figlio!
Magnus capì a cosa si stava riferendo, e si impietrì. Non riuscì a proferire parola. Non negò e non confermò. Rimase immobile, pensando solo a quanto questo fosse il modo sbagliato nel quale Alec stava per venire a conoscenza del loro destino.
“Di che parli, mamma?” Domandò Isabelle.
Ma Maryse non lasciò gli occhi dello Stregone. “Dillo tu, di cosa sto parlando.”
Magnus sostenne quello sguardo di sfida. Avrebbe tanto voluto gridare, o mordersi le guance fino a farsi uscire il sangue. Era frustrato, arrabbiato. Non era così, in questo modo orribile, che avrebbe voluto dire la verità ad Alec. Non era così che lui meritava di venire a conoscenza di ciò che li legava.
Davanti al silenzio di Magnus, Alec decise di prendere parola. “Di cosa sta parlando, Magnus?”
La voce spezzata del Nephilim fece stringere il cuore di Magnus. Si voltò verso di lui, incontrando i suoi occhi spaesati e incuriositi.
“Era la cosa che volevo dirti, che stavo per dirti, quando ci è crollato addosso il palazzo.” Magnus sospirò e si voltò completamente verso Alec. Prese le sue mani tra le proprie, senza nemmeno domandarsi se fosse giusto esprimersi in un gesto simile davanti alla famiglia ignara di Alec. Ma il Nephilim non si divincolò dalla sua presa, quindi Magnus reputò che fosse un gesto che poteva compiere.
Prese un profondo respiro per cercare di calmare il suo cuore agitato. Ma l’unica cosa che riuscì davvero a tranquillizzarlo fu trovare gli occhi di Alec.
Il loro potere devastante ebbe effetto su Magnus anche quella volta, tanto che gli diedero il coraggio di cominciare a parlare.
“C’è una leggenda, tra i demoni. Come sai, i demoni superiori erano angeli, una volta. Sono stati cacciati dal Paradiso, insieme a Lucifero, e una volta raggiunta la dimensione infernale, hanno sviluppato i loro poteri. La loro natura angelica si è trasformata in qualcosa di demoniaco. Ma…non sono bilanciati. I demoni sono solo… demoni. Sono il Male. E per questo, sono solo capaci di cose orribili. Si dice che Raziel avesse voluto trovare un modo per riuscire a far redimere, in qualche modo, quelli che una volta erano i suoi fratelli angeli. Con la redenzione i demoni non tornano angeli, ovvio, ma… diventano più più equilibrati tra il bene e il male, diventando persino capaci di azioni gentili. E ci riescono solamente grazie ad un essere mortale.” Magnus deglutì. “In pratica, per ogni demone presente su questa terra è destinato a nascere un essere umano che custodisce dentro al suo cuore l’umanità di quel demone, grazie alla quale lo renderà più buono, e, appunto, più umano. E tu, Alexander, sei il custode della mia. L’ho capito nel momento in cui Presidente ti è venuto in contro. Lui, prima di me, aveva percepito quella parte di me che vive dentro di te.” Magnus fece una pausa, aspettandosi una reazione da Alec, ma il Nephilim stava in silenzio. Sembrava stesse elaborando quelle nuove informazioni, così Magnus decise di continuare. “Non ne ero sicuro, all’inizio. Ma poi… la prima sera, sul terrazzo…” Lo Stregone evitò di raccontare i dettagli, consapevole che Alec ricordasse benissimo. “E poi, la sera della festa,” Ed era sicuro che Alec ricordasse anche quell’episodio. “In quei momenti ho avuto la conferma ai miei dubbi. Ho avuto così paura… Non avrei mai sopportato l’idea di poterti perdere, perché mi completi. Sei quella parte che ho perso da tempo e che mi rende migliore. Tu sei la cosa migliore che mi sia mai capitata e ti proteggerò sempre. E mi dispiace non avertelo detto prima, ma ero spaventato. È così tutto nuovo per me. La tua vicinanza accende la mia parte umana e con essa tutta la gamma delle emozioni umane, e io non le so gestire.”
Alec rimase in silenzio. I suoi occhi cervoni erano ancora fissi in quelli di Magnus. Scrutò le iridi dello Stregone e quasi come se fosse capace di decriptare un codice misterioso di cui solo lui sapeva la soluzione, riuscì a leggerci tutta la sincerità di cui Magnus era capace.
Tutto ciò che gli aveva appena raccontato, era vero. E Alec, dal canto suo, non si stupì nemmeno troppo di venire a conoscenza di quella leggenda. Sapeva, in cuor suo, che doveva esserci una spiegazione più grande di loro per la nascita improvvisa dei suoi sentimenti nei confronti di Magnus.
Quella profezia era la spiegazione al fatto che uno diffidente come lui, si era fidato quasi subito di Magnus.
Era la spiegazione del perché, nonostante fosse all’Inferno e conoscesse Magnus da pochissimo, aveva provato l’impulso di baciarlo e aveva provato gelosia alla sola idea che qualcuno lo facesse al posto suo.
Tutti i tasselli stavano andando al loro posto.
Alec aveva provato – provava – qualcosa per Magnus perché erano legati dal filo del destino. Raziel stesso aveva voluto che loro due stessero insieme.
E chi era Alec per contrastare la volontà dell’Angelo?
“Si spiegano tante cose.” Sussurrò Alec, quasi impercettibilmente. Gli accarezzò il dorso di una mano con il pollice, mentre guardava Magnus negli occhi e, dopo anni, si sentiva al suo posto.
L’avrebbe fatto anche se non ci fosse stata una profezia ad approvare la loro unione, ma… adesso che riusciva a dare una spiegazione alla velocità con cui erano nati i suoi sentimenti sapeva che ciò che provava era più che giusto.
L’Angelo non aveva legato un uomo e una donna, aveva semplicemente legato due persone. Di conseguenza, significava che Raziel non proibiva legami tra due persone dello stesso sesso. A quanto pare erano gli uomini che disapprovavano tali legami. E Alec si rese conto di essere ancora più arrabbiato con il Clave di quanto non lo fosse già.
“Qualsiasi cosa sia… la provi anche tu.” Un sussurro disorientato attirò l’attenzione di Alec. Lasciò il viso di Magnus per portare i suoi occhi su quello di Jace. Il ragazzo si stava accarezzando sul fianco la runa parabatai da sopra la maglietta.
Jace osservò Alec, spaesato. “Tu credi… di amarlo.” Poi il suo tono si indurì, i suoi occhi si fecero freddi, glaciali. “Come puoi provare sentimenti simili?”
Alec si sentì morire dentro. Non gli piaceva essere esposto in quel modo, soprattutto se si trattava di sentimenti che lui stesso doveva ancora capire. Per quanto fosse vero ciò che aveva appena insinuato Jace, non aveva nessun diritto di parlarne. E il suo primo istinto fu mettersi sulla difensiva.
“E anche se fosse? Ti crea problemi sia un ragazzo?”
Jace emise una risata sprezzante. “Tu credi che il mio problema sia che ti sei preso una cotta per un maschio? Cristo, Alec! Il mio problema è che ti sei innamorato di Magnus Bane. Magnus Bane!” La sua voce si incrinò, i suoi occhi bicromatici si velarono di lacrime di rabbia, che trattenne. “Ci ha distrutti. Tutti. Te lo ricordi vero che solamente un mese fa ha tentato di ucciderci tutti? Ha ricattato mamma. Ti ha costretto a scendere con lui all’Inferno. Come puoi credere di amare qualcuno di simile?”
“Tu non lo conosci, Jace. Non come lo conosco io.”
“Credi di conoscerlo perché ci hai passato un mese insieme? E per una stupida profezia? È più probabile che la tua sia sindrome di Stoccolma!”
Alec ribolliva di rabbia. Jace non aveva nessun diritto di parlargli in questo modo. Non aveva diritto di credere di potergli dire cosa stava provando, quali fossero i suoi sentimenti veri. Non ne aveva il diritto semplicemente perché lui non poteva sapere. Non poteva capire la velocità con cui si erano manifestati e l’intensità con cui si erano facilmente accesi nel momento in cui aveva capito che in Magnus c’era dell’altro, oltre al demone. Era una cosa che non si poteva spiegare. Per capirla, andava solamente provata. E dal momento che era Alec l’unico a provarla, Jace non poteva credere di sapere.
“Dici così solo perché hai paura che ti venga tolto qualcosa. Non pensi a me, pensi a come questa situazione possa avere delle ripercussioni su di te, perché sei un egoista!” Alec era arrabbiato. Non avrebbe detto quelle cose se non lo fosse stato, non le pensava quelle cose, ma si rese conto di non avere più il controllo di sé. Era come se fosse esploso. L’idea che una delle persone a lui più care non cercasse nemmeno di capirlo, ma si limitasse a sparare giudizi su quella situazione lo feriva profondamente. “Non cerchi di capire cosa provo io, stai solo portando avanti l’idea che ti sei fatto.”
“Perché io so che è la verità. E quando ti accorgerai che questo è solamente un dannatissimo sortilegio allora mi darai ragione!”
“Solo perché non approvi una cosa non significa che sia sbagliata, o che la tua idea sia giusta! Perché non provi a capirmi??”
“Perché non stai ragionando!!” gridò Jace, in preda alla rabbia. “Perché questa cosa è assurda, insensata, e perché tu non sei così. Quando tornerai in te, allora potremmo riparlarne.”
Alec ridusse gli occhi a due fessure. Sentì le lacrime che gli pungevano gli occhi. Tutta quella situazione lo lacerava dentro. La rabbia di Jace, il silenzio di sua madre. Glielo leggeva in faccia che lei stessa la pensava come Jace.
“Cosa ne sai di come sono fatto io, mh? Non hai mai pensato a quanto mi sia nascosto in tutti questi anni? A quanto abbia cercato di rispettare tutti gli ideali che si erano fatti su di me? A quanto tempo ho dovuto passare a rinunciare ad essere me stesso perché gli altri si aspettavano qualcosa da me? Tu stesso l’hai fatto. Tu stesso ti aspetti che io rimedi ai tuoi danni, perché a te è permesso tutto, non è vero, ragazzo d’oro?” Alec non aspettò una risposta – e sembrò, comunque, che davanti a quello sfogo, Jace stesso avesse perso l’uso corretto della parola – e non guardò nemmeno sua madre. Sapeva che il suo silenzio era solo dovuto al fatto che Jace stesse dicendo cose che lei stessa pensava. Non riusciva a credere che due delle persone a cui tenesse di più lo stessero trattando in quel modo. Si diede dello stupido, mentre ripensava a tutti i suoi ragionamenti, al fatto che ad Edom aveva potuto pensare che Magnus e la sua famiglia avrebbero potuto coesistere, nella sua vita. A quanto pare, non era così. Era stato un ingenuo anche solo per aver sperato una cosa simile.
Guardò l’unica persona rimasta: Isabelle. Lei gli accennò un sorriso. Debole, quasi insicuro, ma che nonostante questo aveva un che di familiare. Forse lei era dalla sua parte, forse lei lo capiva un po’ di più. Alec non lo sapeva, e non aveva le forze per capirlo in quel momento.
“Ci hanno attaccati, ad Edom.” Gracchiò, lapidario. “Ho intenzione di scoprire chi è stato. Inizierò a fare delle ricerche. Se non vi indispone troppo l’idea di avere a che fare con me e Magnus, sapete dove trovarmi.”  
Si voltò e afferrò di nuovo Magnus per mano, poi uscì da quella stanza. Quando si chiuse la porta alle spalle, si rese conto della lacrima che solcava il suo viso solamente perché Magnus gliela asciugò via.
“Loro ti vogliono bene, Alexander.” Gli sussurrò, prima di afferrargli delicatamente il viso tra le mani e sfiorare la sua bocca con la propria. “Andrà tutto bene, tesoro.”
E davanti ad un gesto tanto dolce e premuroso, Alec si rifiutò di credere che i sentimenti che li legavano non fossero onesti e sinceri. Si rifiutò di credere alle insinuazioni di Jace.
Davanti ad un gesto simile, decise di credere solamente al suo cuore, che ancora una volta lo spingeva verso Magnus.

 





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Ciao a tutti, spero stiate bene! 😊
Questo doveva essere l’ultimo capitolo, ma come avrete capito non è così.
Mi sto rivelando più disorganizzata di quanto credessi, ma in questo periodo l’ispirazione per scrivere va e viene. Comunque, ho deciso anzi di fermarmi qui con questo capitolo perché temevo che continuando sarebbe venuto troppo lungo e quindi avrebbe creato anche una discrepanza con gli altri, che comunque hanno più o meno tutti questa lunghezza.
Nel prossimo capitolo vorrei dare un po’ di spazio alla figura di Isabelle, perché vorrei avesse una parte tutta sua. Quasi sicuramente il prossimo capitolo inizierà con il suo punto di vista.
Non sono molto sicura della fine di questo capitolo, più che altro perché la lite tra Jace e Alec l’avevo immaginata in modo diverso, ma alla fine, per come si è sviluppata la storia, questo modo è forse quello un po’ più coerente. Non lo so, sono piena di dubbi. Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!
Ad ogni modo… spero almeno di essere riuscita a spiegare la faccenda dell’umanità di Magnus custodita da Alec. Non è una cosa troppo elaborata, come concetto è anche piuttosto semplice, però spero almeno che sia carino da leggere…
La faccenda che i demoni superiori erano angeli viene menzionato ne LA MANO SCARLATTA di Cassandra Clare, dove viene scritto che “…il sangue di fata poteva essere usato per evocare i Demoni Superiori, un tempo annoverati tra gli angeli sommi e in seguito caduti.” Quindi non è assolutamente una mia idea, ma della scrittrice originale.
La faccenda di Raziel che unisce due persone, invece, me la sono inventata.
Credo di aver detto tutto. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate! Io ringrazio chiunque legga questa storia, l’abbia messa tra le seguite/preferite/ricordate e chiunque trovi il tempo per recensirla. Mi fa davvero moltissimo piacere!
Vi saluto, ci vediamo al prossimo capitolo, che con ogni probabilità questa volta sarà davvero l’ultimo!
Un abbraccio, a presto! <3 
   
 
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