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Autore: jarmione    29/05/2020    1 recensioni
[La bottega dei suicidi]
Ma essere felici non era un opzione valida in quel mondo cupo e pieno di tristezza, dove lui ne approfittava e lucrava sulle disgrazie altrui.
“Come si può vivere felici in un mondo così crudele?”
Un mugugno “Hai detto qualcosa, Mishima?” domandò la sua amatissima Lucréce, stropicciando gli occhi.
“No, cara, torna pure a dormire”
Attese che la donna si rimettesse a dormire e, non appena ne fu sicuro, si alzò e scese in negozio.
Non poteva andare avanti così.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questo missing-moment si colloca prima che Lucréce si svegli accorgendosi che il marito non è più nel letto e lo trova nel negozio che tenta il suicidio.
Sono i pensieri di Mishima prima di arrivare ad esso.
Spero di averli resi bene e se qualcosa vi turba vi prego di dirmelo. Il film è pesante già di suo e non vorrei urtare qualcuno con questa mia shot.
Buona lettura
 
 
 
 
Mishima era sempre stato un uomo tutto d’un pezzo e non aveva mai ceduto per un istante.
Ridere? Essere felice? Non erano parole che rientravano nel suo vocabolario.
Era cresciuto in un mondo crudele e pieno di tristezza dove non c’era posto per un sorriso, a meno che quest’ultimo non fosse “maligno”.
Quando aveva ottenuto la licenza per vendere prodotti per il suicidio, aveva fatto il suo primo vero sorriso di felicità; mutato subito dopo in un sorriso di copertura per attirare i clienti.
Non per niente il suo motto era –Trapassato o rimborsato–, nessuno era mai sfuggito alla letalità dei suoi prodotti (venduti regolarmente).
Eppure, volendo vedere, Mishima aveva avuto altre occasioni in cui il suo sorriso era gioioso. Alla nascita dei suoi figli.
Se mentre era in salta d’attesa si sentiva angosciato e preoccupato, appena sentiva il vagito dei suoi bambini lui si scioglieva ed un sorriso di felicità appariva sul suo volto.
Sapeva che nessuno l’avrebbe visto fare quella curvatura, sapeva di essere nell’anonimato più totale e ancora di più gioiva nel sentirli piangere.
Piangere era ormai d’obbligo in quel mondo e se i suoi figli piangevano lui era felice perché sapeva che imparavano a vivere.
Ma, a parte quello, era solo al momento della loro nascita che lui si sentiva umano.
Era successa la stessa cosa con il suo l’ultimo figlio, Alan, anche se era durato poco perché il bambino rideva invece che strillare.
Mishima, in confronto ai suoi clienti, non poteva permettersi il suicidio. Che motivi aveva? Gli affari andavano bene e poteva permettersi una vita dignitosa grazie alla pelle altrui.
Volendo vedere, era felice così e ci teneva alla vita.
Ma come poteva confessare alla sua amata Lucréce che lui provava felicità? Come poteva andare contro le leggi dei Tuvache in cui solo la tristezza e la malinconia dovevano regnare sovrane nella famiglia?
Le aveva imposte a lei e ad i suoi figli e lui, col passare degli anni, si era auto convinto di ciò.
Ma dentro di lui, nel suo profondo, la vita gli piaceva e in fondo, molto in fondo, vedere che il suo terzo genito Alan rideva e amava la vita era come rivedere se stessi da piccoli; lui lo faceva in privato, Alan pubblicamente.
Ma essere felici non era un opzione valida in quel mondo cupo e pieno di tristezza, dove lui ne approfittava e lucrava sulle disgrazie altrui.
“Come si può vivere felici in un mondo così crudele?”
Un mugugno “Hai detto qualcosa, Mishima?” domandò la sua amatissima Lucréce, stropicciando gli occhi.
“No, cara, torna pure a dormire”
Attese che la donna si rimettesse a dormire e, non appena ne fu sicuro, si alzò e scese in negozio.
Non poteva andare avanti così.
Era felice, ma era una felicità amara, sbagliata e vomitevole che quel giorno era venuta a galla grazie al signor Calmel.
Era ora di farla finita.
  
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