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Autore: luciadom    29/05/2020    11 recensioni
A poche settimane dal matrimonio di Miki ed Umibozu, il duo City Hunter si trova ad affrontare un nuovo caso, delicato e difficile, senza precedenti.
Il precario stato emotivo dei due sweeper, causato dall'atteggiamento di Ryo dopo l'episodio della radura, la sua nuova cliente, e una Kaori vittima della sua ambivalenza, porteranno Ryo a prendere finalmente una decisione definitiva, per entrambi.
DAL TESTO DEL SECONDO CAPITOLO:
Se avesse eliminato anche loro, tutti loro, avrebbe scalato i vertici della malavita giapponese.
Poteva farcela, non era certo un novellino.
Forse doveva solo aspettare, o fare la prima mossa per trarli in trappola, dopotutto, Nami Kobayashi aspettava ancora informazioni riguardo suo marito.
Guardò l’uomo di fronte a sé. Lui non poteva certo annoverarlo tra i suoi migliori uomini.
Non era stato capace di spiare le sue prede, lasciandosele scappare, e tremava come una foglia al suo cospetto.
Non aveva le palle per quel lavoro, ma poteva ancora usarlo per il suo tornaconto finché gli fosse stato utile, e poi, avrebbe eliminato una traccia tanto fastidiosa.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: City Hunter
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Disclaimer: Tutti i personaggi, le citazioni, le musiche e le varie argomentazioni che saranno presentati nell’arco di tutta la fan fiction non mi appartengono e sono dei rispettivi autori.
Li uso solo a scopo di passione e non di lucro.
La mia storia conterrà riferimenti sia all’Anime che al Manga, e cosa molto importante, per esigenze di trama non è ambientata all’inizio degli Anni ’90, ma ai nostri giorni.
Saranno trattate tematiche delicate, come anticipato negli Avvertimenti.
La storia parte da poco dopo il matrimonio di Falco e Miki, cambia solo l’anno :P
Spero di avervi incuriosito, buona lettura!
 
1) Un caso delicato

Era una tranquilla mattina in casa Saeba – Makimura.
Non erano che le 11.00 h, e Kaori era già andata e tornata dalla stazione, senza un nuovo incarico, ovviamente, aveva rassettato casa e fatto la spesa.
Ryo ronfava beatamente al piano di sopra nel suo letto, dopo l’ennesima nottata fuori.
Era trascorso un mese e mezzo dal matrimonio di Miki e Falco, in giro si respirava già l’atmosfera natalizia, ovunque la gente sembrava impazzita di vivacità, tra la corsa ai regali, canti, addobbi e quant’altro.
Tutti.
Tutti tranne lei.
La sua vita era di nuovo in una posizione di stallo, sul punto di vista professionale, dato che la lavagna la trovava quasi sempre vuota, e anche su quello personale.
La sua vita privata era emozionante come fare un trasloco senza l’aiuto di una ditta specializzata!
Solo stanchezza a valanghe e rotture.
Stanchezza, soprattutto, sì, perché dopo quella che aveva soprannominato la pseudo dichiarazione di Ryo,nella radura, il suo partner non aveva più fatto passi avanti, per l’ennesima volta.
Per l’esattezza non si era nemmeno poi tanto tirato indietro! In realtà sembrava non sapere nemmeno lui cosa gli passasse per la testa.
Lei, animata da una nuova speranza dopo quelle parole, aveva ripreso ad aspettarlo con una strana pazienza che stava andando via via affievolendosi.
Parlavano, litigavano come il solito, poi tutto tornava alla normalità, qualche volta scherzavano e il massimo che le aveva concesso, era stato qualche carezza o qualche abbraccio, cosa che era successa qualche volta anche prima di Croiz.
Di fatto però, non era cambiato assolutamente niente.
Ryo non sembrava indifferente, piuttosto sembrava … indeciso, e questo la faceva pensare di più.
Quando dopo aver sconfitto Croiz avevano lasciato il bosco, per raggiungere il Professore e tutti gli altri al capezzale di Miki, ogni questione era stata automaticamente messa da parte, per far fronte alla preoccupazione per la giovane barista, ma tutti avevano notato che era cambiato qualcosa tra i due sweeper.
Tuttavia, quando erano tornati a casa, con la scusa di essere stanco e di dover riflettere, Ryo si era rinchiuso nella sua stanza e il mattino dopo vi era uscito con un’espressione indecifrabile.
L’aveva salvata di nuovo, ma era arrivato all’ultimo minuto, rischiando che dieci bastardi soldati la uccidessero sparandole addosso.
Ancora una volta lei era stata presa di mira per colpa sua.
Si era quasi lasciato andare dicendo a modo suo di amarla, e sapeva che l’aveva resa felice.
Per un attimo Croiz, i suoi tirapiedi, il pericolo e tutto il resto erano spariti lasciando posto solo a loro due, ma sapeva anche che Kaori, aveva ancora una volta rischiato la vita a causa sua.
Si era addirittura detta disposta a morire per lui, e non ne aveva dubbi che l’avrebbe fatto, testarda e coraggiosa qual era, ma lui non avrebbe mai potuto permetterglielo.
Se non fosse stato per Umibozu accorso ad aiutarlo, quando aveva abbracciato Kaori dopo averla liberata, Croiz gli avrebbe sparato alle spalle.
Lui se ne era accorto e aveva già impugnato la sua arma incastrandola fuori dal suo abbraccio, ma il suo gigantesco amico era intervenuto per salvargli la pelle, e soprattutto, come aveva bofonchiato poi, per non permettere a quell’idiota generale di interrompere quel loro momento.
No. Ancora una volta aveva deciso lui per entrambi.
Aveva egoisticamente appurato che il solo modo di amarla, e di proteggerla, era quello di non cambiare le cose.
Avrebbe continuato ad amarla in silenzio e di nascosto per sempre, ma mai alla luce del sole, alla stregua non solo dei loro amici, ma soprattutto dei nemici.
Ryo aveva passato una lunga notte a pensare e quella era stata la sua vigliacca decisione, in realtà non convinto fino in fondo che fosse davvero quella giusta.
Se magari si era ripetuto fino alla nausea che solo così Kaori sarebbe stata un po’ più al sicuro, un minuto dopo i dubbi lo avevano assalito, e la stessa oscillazione di coscienza lo colpiva ogni qualvolta ci pensava di nuovo.
Era un completo idiota. Quando Kaori glielo rinfacciava aveva ragione!
In realtà non aveva deciso assolutamente niente di definitivo, perché non riusciva ad uscire dall’assurda situazione in cui si era andato a cacciare.
Sì, era un vigliacco, e non era il solo a ripeterselo.
Anche la petulante e sveglia sorellina di Saeko se ne era accorta, scrittrice famosa ed incallita anche se giovanissima.
Yuka Nogami non era che una liceale quando Kaori e Ryo l’avevano conosciuta, eppure lei aveva capito tutto fin dall’inizio.
Era scaltra quanto le sue sorelle maggiori, Saeko e Reika, e forse anche le due gemelline, ultime due figlie di quella famiglia, erano furbette quanto le altre tre.
Ad ogni modo, tutti avevano capito fin dall’inizio quale fosse il legame che univa lui e Kaori.
Tutte le sue clienti se ne erano accorte negli anni, e più di tutti la piccola Mayuko, quando ancora preda della cecità aveva fatto affidamento agli altri sviluppati sensi.
Loro due erano gli unici e non voler capire che non potevano stare separati, che mai avrebbero resistito lontani l’uno dall’altra per troppo tempo.
In realtà, Ryo era pur fin troppo consapevole che la colpa stava maggiormente dalla sua.
Kaori aveva cercato più volte di riprendere l’argomento, nonostante la sua timidezza e il suo imbarazzo, anche se aveva capito fin dall’inizio che le cose non si sarebbero mai evolute.
Lui aveva sempre evitato la questione per i giorni a seguire, o meglio, quando aveva potuto aveva evitato lei, con la scusa di dover fare costantemente visita ai loro informatori perché non del tutto convinto che la storia di Croiz fosse chiusa, anche se lo era.
Il suo atteggiamento era stato per Kaori come una stilettata al cuore, e lo sapevano entrambi.
Comportarsi in quella maniera ambivalente, oscillando tra il desiderio di allontanarla ancora una volta, e la voglia costante di stringerla a sé per non lasciarla più, li stava gettando in un vortice senza fondo che presto o tardi li avrebbe distrutti.
Le settimane si erano intercorse velocemente, tra le solite litigate, i martelloni, Ryo che aveva ripreso a fare il cascamorto dietro ogni gonna o tacco a spillo che respirassero e lei che doveva stargli dietro.
Lui continuava ad uscire quasi tutte le sere, ma contrariamente a quanto credeva Kaori, non era per ubriacarsi e per stare con le conigliette di quei night club.
In certe occasioni passava davvero dai suoi informatori, in altre lo sweeper trascorreva ore a riflettere, al porto, guardando le navi partire, oppure su uno dei grattaceli più alti della città, suo posto preferito, o addirittura sulla tomba di Hideyuki.
Se il suo migliore amico avesse potuto, dall’alto, gli avrebbe scagliato una maledizione fulminandolo sul posto.
Se da un lato credeva che rifiutare l'idea di lui e Kaori insieme fosse la cosa migliore, dall’altra sapeva che quel suo comportamento avrebbe potuto contribuire ad una rottura definitiva tra loro, e questo gli avrebbe fatto molto più male dell’immobilità che stavano vivendo.
Maledizione!
Era così difficile affrontare la paura di amare?
Proprio per lui? Lo stallone di Shinjuku?
Non erano che tre semplici paroline quelle che Kaori si aspettava dalla sua voce, con tutto ciò che ne conseguiva, certo.
Kaori era pur sempre una donna, con dei desideri e dei bisogni.
Era una ragazza giovane e romantica, sognava come tutte le sue coetanee l’abito bianco, ma da lui non avrebbe mai preteso ciò che legalmente non poteva darle.
Proprio come Miki, che le aveva spiegato che lei ed Umibozu non avevano deciso di sposarsi solo per un fatto puramente formale, anche lei non pensava di certo a firme e documenti.
Le bastava averlo accanto come suo uomo, l’uomo della sua vita.
Dall’altra parte, se lui aveva impiegato tutto quel tempo ad arrovellarsi il cervello, Kaori non si era fermata mai, quasi come a volersi tenere occupata.
Si era divisa tra la casa, qualche raro e noioso caso che avevano avuto, il prendersi cura di lui, in ogni senso, le lunghe chiacchierate al locale di Miki e le interminabili videochiamate con sua sorella. Le ultime due, soprattutto, erano scappatoie per confidarsi con le uniche persone che la conoscevano forse quasi quanto Ryo.
Il suo socio però era l’unico che la conosceva meglio di chiunque altro, così come lei conosceva fin troppo bene lui.
Forse Kaori aveva capito cosa tormentasse il suo partner, una lotta interiore che durava da quasi due mesi, ma su quel punto non poteva fare niente per lui.
Ryo doveva crescere, doveva maturare e capire da solo la realtà dei fatti, e lei doveva limitarsi a fare quello che aveva sempre fatto in quegli anni.
Sei lunghi anni che adesso rischiavano di vedere un doloroso capolinea per loro.
Entrambi sapevano che quella situazione non sarebbe durata al lungo, e anche i loro amici ormai si erano quasi rassegnati, offrendo a Kaori tutto il loro supporto.
Anche se Ryo l’amava davvero, non era disposto a fare di più, per delle motivazioni assurde cui ormai credeva solo lui.
La sweeper sapeva che a lungo andare le sarebbero rimaste solo due cose da fare: affrontarlo, mettendolo davanti al fatto compiuto, o mandarlo al diavolo e lasciarlo una volta per tutte, ma la seconda ipotesi le faceva mancare l’aria dal dolore.
Non avrebbe mai resistito lontana da lui.
Sapeva anche, però, che solo mettendolo alle strette avrebbe chiuso una volta per tutte quella faccenda, nel bene o nel male.
Persa nei suoi lunghissimi pensieri, Kaori non si era quasi accorta di aver sistemato meccanicamente tutti gli acquisti fatti, dai viveri in dispensa ai detersivi in lavanderia.
Salì al piano superiore per cambiarsi, liberandosi dei jeans attillati e del maglioncino arancione aderente, per sostituirli con una felpa e una tuta molto più comode.
Passò davanti alla camera del suo socio, quasi tentata di bussare.
Vi si appiattì contro cercando di percepire ogni suo minimo rumore, poggiando un orecchio al legno e concentrandosi.
Senza troppa fatica, lo sentì indistintamente russare.
Indietreggiò fino alla balaustra e scosse la testa, scendendo di sotto.
L’avrebbe chiamato quando il pranzo sarebbe stato pronto, forse, tanto quello sfaticato non avrebbe fatto che oziare, quindi tanto valeva godersi un’ultima ora di tranquillità.
Era già pronta a chiudersi in cucina quando il campanello trillò.
Chi accidenti poteva essere a mezzogiorno passato?
Il suo istinto le stava già suggerendo un nome.

-Ciao, Saeko!- sorrise alla poliziotta, non appena aprì la porta. - Non me lo dire! Hai qualche simpatico incarico per noi?-
 
Quando Saeko Nogami si presentava da loro alle ore più strampalate e con un’espressione che ormai lei sapeva riconoscere bene, c’era sempre qualcosa di particolare per loro.
L’ispettrice annuì, e si avviò verso il divano invitata da un’accogliente Kaori.
 
- Ryo non c’è? -
 
Kaori indicò con un indice alzato il piano superiore.
 
- Dove vuoi che sia a quest’ora? Sta ancora dormen… -
 
La sweeper non terminò la frase, che un martello di dieci tonnellate fu lanciato all’indietro senza che avesse nemmeno il bisogno di voltarsi.
Un Ryo tuffatosi silenziosamente verso la loro amica fu bloccato a mezz’aria, cadendo sotto il peso del martello.
 
- Aja! E io che sono stato così cauto per non farmi sentire!-
 
L’uomo rimase per terra steso a quattro di spade, prono, lamentandosi verso le due donne che non si mossero dalle loro posizioni.
L’ispettrice non si scompose, limitandosi ad aggiustare una ciocca di capelli svolazzante per colpa dello spostamento d’aria.
 
- Complimenti, Kaori! Migliori sempre di più! I tuoi sensi si sono molto raffinati e con i tuoi martelloni ormai sei un asso! Stendi Ryo ancor prima di percepirlo! -
 
La più giovane scosse le spalle con sufficienza.
 
- Abitudine! -“… o disperazione …!” aggiunse mentalmente. - Vuoi rimanere a pranzo con noi? Di cosa vuoi parlarci? -
 
Saeko scosse la testa.
 
- No, ti ringrazio. Ho da affidarvi un caso, ma sono in attesa delle informazioni complete. Sarà molto delicato, e noi della polizia abbiamo bisogno di voi. Ci sarà bisogno di tutta la vostra professionalità, e non solo della vostra.-
 
- Cioè?- Ryo, ripresosi dalla botta, prese posto accanto alla sua socia con un cerotto sul naso e un bernoccolo sulla fronte. - Che intendi dire?- continuò.
 
- Ci sarà bisogno di tutta la banda. - specificò la donna, guardandoli con attenzione.
 
Ryo e Kaori per un attimo si guardarono perplessi, poi tornarono a concentrarsi su di lei.
 
- Tsè! Il grande City Hunter non avrebbe bisogno dell’aiuto di nessuno! - disse l’uomo, spavaldo. - Comunque, di cosa si tratta? Belle clienti in vista vero? - insistette, con faccia da maniaco.
 
Kaori si voltò verso di lui facendo apparire dal nulla un nuovo martello.
 
- Scherzavo, scherzavo  … -
 
Il martello sparì due secondi dopo.
Saeko finse di non notare la scenetta, cercando di restare seria, anche se quei due a volte sfioravano la comicità.
 
- Saprete tutto stasera. Ritroviamoci tutti da Miki ed Umibozu dopo la chiusura. Posso dirvi soltanto, per ora, che qui non basterà solo la vostra abilità … tecnica. Armi e lotte non saranno sufficienti, soprattutto all’inizio. La cliente deve potersi fidare ciecamente di voi, ma non è facile per lei, capirete il perché. Dovrete mettere in campo anche la parte empatica di City Hunter. -e detto questo, gli occhi le si posarono per un lungo istante su Kaori.
 
- Empatica? -
 
La rossa sbatté le palpebre incredula indicando se stessa.
Ryo inarcò un sopracciglio. Tutti quei misteri non gli piacevano.
Cosa c’entrava Kaori? Perché d’improvviso ebbe la sensazione che Saeko contava quasi più su di lei per la riuscita di quel fantomatico lavoro?
Non gli piacque l’occhiata che Saeko aveva lanciato alla sua socia.
C’era qualcosa sotto.
 
- Sarete informati di tutto. -
 
Saeko si alzò in piedi pronta a congedarsi, sfilando verso il portone.
Kaori si alzò a sua volta per accompagnarla, seguendola fin oltre la porta d’ingresso.
Aveva una strana sensazione e voleva saperne di più, possibilmente prima della loro riunione.
Uscirono entrambe sul pianerottolo.
 
- Saeko a cosa ti riferivi? Perché mi guardavi a quel modo? -
 
Lei le fece un occhiolino ammiccante e se ne andò davvero, parlando dalle scale.
 
- Non ti preoccupare, saprai tutto stasera. A più tardi! -
 
- Ma … - la sweeper cercò di obiettare, ma Saeko era già sparita oltre l’angolo del muro.
 
Quando salì in macchina, la poliziotta si lasciò andare per un lungo momento lungo lo schienale del sedile.
Sarebbe stato un caso duro e delicato assieme, e Kaori poteva avere un ruolo predominante.
Era certa che sarebbe stata dura soprattutto per lei, ma aveva piena fiducia nelle sue capacità e poteva farcela.
Già in passato si era dimostrata ben al di sopra delle aspettative, soprattutto da quel punto di vista.
Kaori col suo essere semplicemente se stessa era l’unica socia degna di Ryo, l’unica che poteva davvero ricoprire quel ruolo.
Con nessuno, in passato, Ryo aveva condiviso un affiatamento così profondo come con lei, e la fiducia che nutrivano l’uno nell’altra andava molto al di là di un mero rapporto di lavoro.
Perché quell’imbecille non si decideva a portare quell’affiatamento e quel legame a livelli più alti?
Saeko era convinta che, se le cose fossero andate bene e come sperava che dovessero andare indipendentemente dalla riuscita dell’incarico, ne avrebbero tutti ricavato un grande insegnamento, quello stupido di Ryo più di tutti.
Avrebbero preso due piccioni con una fava!
Si sporse verso il palazzo di mattoni, sorridendo.
Diede gas al motore e partì.
 
***
 
La sera era arrivata e tutti erano al Cat’s Eye da almeno un’ ora.
Ognuno aveva gli occhi fuori dalle orbite.
City Hunter e tutti gli altri, avrebbero dovuto proteggere una donna e la sua bambina adottiva, affetta da Sindrome di Down.
Il marito della giovane era tenuto in ostaggio da una famiglia emergente della yakuza, che minacciava e ricattava la ragazza, Nami Kobayashi.
La bambina, Hotaru, era stata affidata ai due dalla sua vera madre e loro amica, Saori Nakamura, prima di morire.
La giovane, ragazze madre, aveva avuto quella bambina speciale in seguito ad una notte con un uomo, dopo aver bevuto un po’ troppo nel locale dove l’aveva conosciuto.
Per le prime settimane susseguitesi a quella notte, i due avevano anche iniziato a frequentarsi, ma quando lei aveva scoperto di essere rimasta incinta l’uomo era sparito declinando ogni responsabilità.
All’inizio era stata molto dura, ma poi Saori non si era persa d’animo.
Superato lo smarrimento iniziale, si era rimboccata le maniche e aveva portato avanti la gravidanza.
Al mattino lavorava come segretaria per un noto studio legale, e per arrotondare faceva piccoli lavori di ricamo e sartoria, abilità e passione che aveva ereditato da sua madre.
Quando la piccola Hotaru era venuta alla luce, lei già era al corrente di cos’altro avrebbe dovuto affrontare.
Durante la gravidanza si era sottoposta a tutte le analisi e agli esami precoci, e quando con l’amniocentesi, le era stata data la non proprio piacevole notizia, lo sconforto non era durato che poco.
Lei aveva deciso di far nascere quella piccola vita che aveva scoperto nel suo grembo.
Nonostante il modo in cui era stata concepita non aveva mai minimamete pensato a lei come ad un errore.
Sua figlia non sarebbe stata diversa, sarebbe stata speciale, e poi, caspita, erano nel nuovo millennio già da un pezzo ormai!
C’era ancora qualcuno che poteva guardare alla disabilità a quel modo?
Aveva rifiutato anche la più lontana idea di abortire e dopo mesi da quel verdetto era nata la sua nuova ragione di vita.
Tuttavia, il destino aveva deciso diversamente per lei.
Quando la piccola Hotaru aveva poco più che un anno, una mattina, mentre stava andando a lavoro, Saori fu investita in pieno da un’ auto che correva a tutta velocità, nonostante i limiti imposti dal codice stradale in centro, non fermandosi a soccorrerla.
Dopo le prime indagini, durate settimane senza ricavare un ragno dal buco, l’incidente era stato archiviato come un caso di pirateria stradale, ma alcuni elementi della squadra della polizia che se ne erano occupati avevano storto il naso.
C’erano troppe cose che non convincevano.
Nonostante fosse pieno giorno, proprio in quel momento quella zona della città non era particolarmente trafficata, nessuno era riuscito a prendere il numero di targa o anche solo provare a ricordare che modello di macchina aveva travolto la ragazza.
I segni degli pneumatici sull’asfalto avevano chiaramente evidenziato una velocità elevata e nessun segno di frenata, e tutto era accaduto all’improvviso.
Per qualcuno più zelante, dietro quella faccenda si nascondeva qualcosa, ma non c’era stato verso di avere il permesso di approfondire.
La donna, parsa da subito gravissima, era stata portata in ospedale non appena i soccorsi tempestivamente allertati erano arrivati, ma le lesioni interne e le fratture avevano da subito fatto capire che non ci sarebbe stato niente da fare.
Quel giorno Saori aveva affidato sua figlia alla sua migliore amica, Nami Kobayashi, un’educatrice d’infanzia specializzata anche in BES, come ogni volta che andava a lavoro.
Erano amiche fin da piccolissime, avevano condiviso insieme gli anni della scuola fino al liceo, non perdendosi mai di vista nemmeno dopo gli studi.
Saori non aveva più avuto un uomo, non dopo l’abbandono del padre di sua figlia, era figlia unica e orfana da qualche anno.
Era sola al mondo, a parte Hotaru e i suoi amici.
Loro erano la sua famiglia.
Quando aveva scoperto che aspettava una bambina, e che avrebbe avuto la Trisomia 21, aveva subito iniziato ad informarsi su ogni intervento e quant’altro avesse potuto assicurare a sua figlia una vita il quanto più normale possibile, ma soprattutto, aveva subito fatto stilare dei documenti presso l’ufficio in cui lavorava, in cui la tutela della bambina e tutti i suoi pochi averi sarebbero passati ai coniugi Kobayashi, Nami e Hiroshi, fino alla maggiore età di Hotaru.
Non si aspettava di certo di morire giovane.
Secondo chi la conosceva, i colleghi, gli amici, era una donna solare, forte, ma anche molto previdente e giudiziosa.
Quando Nami era corsa con suo marito in ospedale, in lacrime e con la bambina tra le braccia, Saori era riuscita a vederle attraverso le grandi vetrate della rianimazione, prima di chiudere gli occhi e non lasciare altro di sé in quella stanza se non l’allarme dei macchinari cui era attaccata.
Da allora erano passati tre anni, e Hotaru era entrata a tutti gli effetti a far parte della Famiglia Kobayashi.
Grazie allo studio dove Saori aveva lavorato, e ad una forte insistenza del capo della polizia, data la delicatezza del caso, le pratiche dell’adozione erano state incredibilmente velocizzate, e si era evitato che la piccola finisse dimenticata in un orfanotrofio.
Complice dello smaltimento burocratico, era stata anche la chiarissima volontà sottoscritta di sua madre di lasciarla alle cure di Nami ed Hiroshi.
Erano stati tre anni di serenità e d’equilibrio per la piccola, ma adesso qualcos’altro rischiava di lenire la sua quiete, a soli quattro anni.
Se da un punto di vista curativo ed affettivo, Hotaru aveva trovato una famiglia, dall’altro tutta quella storia era molto triste ma alquanto strana.
La morte di sua madre era stata davvero un incidente?
Il rapimento del suo padre adottivo aveva qualcosa a che fare con la madre o erano solo coincidenze?
Negli ultimi giorni poi, minacce e ricatti avevano turbato Nami e la bambina, immediatamente dopo il sequestro di suo marito, intelligente ricercatore farmaceutico.
Chi aveva rapito l’uomo, era Yutaka Hishikamoto, capoclan di una famiglia mafiosa che si stava facendo largo sulla piazza.
Inizialmente arricchitosi chiedendo il pizzo a numerosi negozi della città, con il gioco d’azzardo clandestino e lo strozzinaggio, i loro interessi si erano allargati ben oltre i traffici illegali non solo di droga.
Avevano inizialmente adescato Hiroshi Kobayashi con la scusa di voler entrare in affari con lui, interessati alle sue ricerche in campo farmaceutico, ma ben presto avevano rivelato i loro veri interessi e la loro vera identità.
Volevano qualcosa di loro proprietà che gli era stato sottratto.
Casa loro era stata devastata, ma la cosa strana era che anche il piccolo appartamento di Saori, incluso nel testamento della donna e anch’esso cointestato a Nami fino a quando Hotaru non avrebbe potuto usarlo, era stato messo a soqquadro, ma apparentemente non era stato portato via nulla di valore.
Cosa c’entrava Saori, che non era nemmeno più in vita, con Hiroshi Kobayashi?
Poteva davvero essere solo una coincidenza, rientrando al momento anche quell’appartamento nel patrimonio dei Kobayashi?
Quella storia aveva troppi punti oscuri, e nessuno credeva davvero alle coincidenze.
Saeko aveva appena finito di esporre tutto.
 
- Mio Dio … - sussurrò Kaori, rimasta pietrificata dall’intero racconto.
 
Il tono flebile che aveva usato, fece voltare Ryo verso di lei.
Erano tutti seduti ad un grande tavolo di fondo, quello dove si accomodavano spesso per le loro chiacchierate o discussioni importanti, di fronte le loro consumazioni.
Kaori aveva lasciato la cioccolata calda a metà.
Se ne stava seduta vicino alla finestra, e il suo socio poteva vedere anche il suo riflesso stagliarsi lungo la vetrata.
Una morsa di dolore lo colpì allo stomaco guardando quello sguardo.
La cosa la stava colpendo molto e non fu sicuro che sarebbe stato facile per lei affrontare emotivamente quell’incarico.
Poi, gli vennero in mente le parole di Saeko di quella mattina, quando si era rivolta a Kaori come la parte empatica di City Hunter.
Aggrottò le sopracciglia.
Quella storia non gli piaceva.
Si promise di tenere gli occhi aperti più del solito, soprattutto data la lotta che stava combattendo nel suo animo, e dopo le conseguenze che Kaori stava nuovamente assorbendo.
La banda si sciolse momentaneamente.
Miki ed Umibozu cominciarono a rassettare e a caricare la lavastoviglie, e Mick e Ryo uscirono a fumare una sigaretta.
Saeko andò alla toilette, ma quando ne uscì trovò Kaori ad aspettarla sulla porta, con uno sguardo serissimo e allo stesso tempo preoccupato.
Come la poliziotta aveva immaginato, quella vicenda doveva averla scossa molto, e quasi si sentì in colpa. Sapeva tuttavia, di stare facendo la cosa giusta.
 
- Kaori …-
 
- Sei sicura di avermi detto tutto, Saeko? -
 
Saeko sorrise, comprensiva.
 
- Davvero non capisci?-
 
Kaori scosse la testa. Saeko le poggiò una mano sulla schiena con fare fraterno e la condusse ad un tavolino.
Quando si furono sedute, fu Kaori a parlare per prima.
 
- No. Non mi hai ancora detto cosa voleva dire la tua occhiata di oggi. Che cosa intendevi con la mia empatia? - fece il segno delle virgolette con le dita di entrambe le mani.
 
Saeko scosse le spalle. - Beh, empatia vuol dir… -
 
- SO, cosa vuol dire empatia. - Kaori la interruppe sottolineando le parole, seppur gentilmente. -Non capisco cosa centro io. -
 
- Ma come!-
 
Saeko allargò il suo sorriso, e anche le braccia. Sembrava vedere solo lei l’ovvietà della situazione.
 
- Hai dimenticato quante clienti speciali avete avuto in passato? - E stavolta il segno delle virgolette lo fece lei.
 
Kaori sbatté le palpebre, inclinando la testa da un lato.
La donna più matura iniziò un lungo elenco con le sue dita affusolate.
 
- Dunque vediamo … la piccola Shiori e sua madre, Sarah con la sua governante, e soprattutto con quella sua straordinaria dote empatica, poi Mayuko, e poi quella ragazzina che era rimasta paralizzata per via della sparatoria … com’ è che si chiamava? Ehm …-
 
Finse di ricordare, ma Kaori la precedette.
 
- Kozue. Si chiamava Kozue. - rispose, collegando i ricordi. - E quindi?-
 
- Anche se ricordo che all’inizio per te non è stato facile, alla fine è stata la tua umanità a far sì che loro si fidassero ciecamente di entrambi. Certo, adesso è diverso, ma sono sicura che ce la farai. Sai … - si fermò un istante, ma riprese subito. - Per ora madre e figlia sono costantemente piantonate, ma sarà sicuramente necessario trasferirle da voi per tutta la durata dell’incarico, almeno fino a quando non scopriremo dove si trova il clan e dove tengano prigioniero Hiroshi Kobayashi. Inoltre, la piccola Hotaru è dolcissima, ma anche molto diffidente. Per lei è molto difficile integrarsi, anche nei centri ricreativi dove i suoi genitori la portano costantemente, per metterle di socializzare. Se ricordi anche tu, non hai avuto un’esperienza poi tanto differente con Sarah … No? -
 
Kaori ricordò velocemente quel vecchio caso e si lasciò andare lungo il divanetto con aria depressa.
 
- Beh … più o meno.-
 
Saeko si sporse in avanti ad accarezzarle una mano.
 
- Conto su di te.-
 
 
Ryo, ancora fuori col suo amico americano, si voltò verso l’interno e vide Kaori mollemente appoggiata allo schienale e con un’espressione ancora triste in volto.
Stava parlando con Saeko ma non riusciva a capire cosa le due donne si stessero dicendo.
Poteva avere a che fare con le enigmatiche parole della poliziotta?
Doveva essersi incantato a guardarla, non ascoltando più cosa l’altro gli stesse dicendo, sempre che gli stesse realmente parlando, perché Mick se ne accorse.
 
- Ehi? - gli sventolò una mano davanti gli occhi per disincantarlo. - Sei ancora sulla Terra? -
 
Ryo tornò immediatamente a lui.
 
- Eh? -
 
Gli occhi azzurri di Mick si ridussero a due sottilissime fessure.
Quello lì era proprio ottuso!
 
- Tu sei un idiota! Un imbecille! Un cretino! Un senza palle! -
 
L’amico giapponese si accigliò. - Ma grazie! Come mai tutti questi complimenti?-
 
- Perché si vede lontano un miglio che sei pazzamente innamorato di lei eppure continui a farla soffrire! Dovresti vederti quando la guardi! Hai la tipica faccia da pesce lesso innamorato! -
 
- Non sono affari tuoi Mick!-
 
Ryo lo guardò gelido. Che ne sapeva lui di quello che stava passando?
 
- Sì che sono affari miei! –
 
Mick serrò la mascella e lo guardò sprezzante. Detestava il suo amico quando faceva l’orgoglioso gnorri non volendo ascoltare i consigli altrui.
 
- Mi sono fatto da parte perché ho capito di non avere chance, di nessun genere! Quando a casa vostra, sulle scale, mi hai detto di non provarci con lei, che ti era stata affidata dal tuo migliore amico e di quanto fosse importante per te, ho preso il tuo avvertimento come un pretesto per insistere, invece. Era diventata una sfida! Poi man mano mi sono reso conto che non avevo proprio possibilità, che con te avrei perso in partenza! -
 
Ryo lo guardava in silenzio, serio e con uno sguardo scuro. Mick riprese.
 
- Mi ero seriamente innamorato di lei, ma non è stato destino! Certo, ora ho Kazue, e sono felice con lei e voglio renderla felice, ma questo non significa che io non abbia a cuore anche la serenità di Kaori! Lei è il collante di tutto noi Ryo, merita più di tutti noi messi assieme se proprio vuoi saperlo!-
 
Ryo aprì la bocca per rispondergli a tono, per dirgli che lo sapeva fin troppo bene cosa Kaori meritasse, ma Mick fu più rapido e non gli permise nemmeno di fiatare.
 
- Sono quasi due mesi che Umi e Miki si sono sposati, quasi due mesi dalle tue parole, eppure cos’hai fatto di concreto? Niente! Un emerito niente! Ho osservato Kaori mentre Saeko ci esponeva il caso, e ascoltava, sì, ma sembrava anche presa da altro. Ho visto come si comporta quando ci sei tu nei paraggi, e penso di conoscerla bene anche io. Si sta allontanando Ryo. Sempre di più! Se non fai subito qualcosa la perderai, e sarà solo colpa tua! Perderai la sola cosa bella che la vita ti ha dato! Non sprecarla, o non ti servirà a nulla essere il grande City Hunter, perché sotto sotto non sai essere uomo! -
 
Detto questo con tono disgustato, il biondo americano lasciò cadere la sua cicca spegnendola con un movimento semicircolare della scarpa e rientrò al Cat’s Eye, lasciando l’amico da solo.
 
***
 
L’indomani come previsto, Nami e Saori Kobayashi si erano trasferite al palazzo di mattoni.
Dai rapitori non erano arrivate altre notizie, sebbene Saeko avesse provveduto a mettere sotto controllo i telefoni.
Avevano passato l’intera giornata prima alla centrale, poi a casa Kobayashi e solo in ultimo erano giunti tutti a destinazione.
Avevano bisogno di raccogliere tutto ciò di cui necessitavano, dai tabulati telefonici ai primi rivelamenti.
Ryo era sulla terrazza, gli occhi rivolti verso le luci della sera e le mani nelle tasche.
Il freddo pungente di dicembre gli infastidiva la pelle, ma non sembrava farci caso.
Si sentiva un completo idiota, un inetto.
Lui, il grande Ryo Saeba, City Hunter, capace di evitare proiettili sparatogli contro spostando semplicemente la testa, esperto combattente e abile con le armi, una macchina per la lotta che era sopravvissuto a situazioni estreme e con dei sensi impareggiabili, era un completo imbecille nella vita privata.
Si stava di nuovo comportando da stronzo e Kaori come al solito subiva tutto.
Ripensò alle parole di Mick.
Accidenti! Il suo amico non aveva di certo torto, lo sapeva!
Kaori lo aspettava da anni ormai, ma prima o poi si sarebbe davvero stancata.
Dopo quanto successo quasi due mesi prima, dopo i primi tentativi di chiarimento trovato l’ennesimo muro, Kaori non gli aveva detto più nulla, rassegnata.
Non era certo che l’avrebbe perdonato di nuovo, aveva tirato troppo la corda.
Mick aveva ragione.
Lui Kaori la sentiva sempre più distante. Non era più la Kaori dolce, pazza e testarda che l’aveva fatto innamorare, ma stava diventando quasi un guscio vuoto.
In quelle settimane non era cambiato assolutamente nulla, e anche se era cambiato qualcosa, di certo non in meglio.
Lui continuava a fare apparentemente lo stupido, e lei a prenderlo a martellate, ma nemmeno quelle avevano più la stessa energia di prima.
Quasi non c’era coinvolgimento.
Kaori stava cambiando e le sue emozioni con lei.
Una fitta di dolore gli si propagò dallo stomaco fino al cuore quando capì cosa quell’allontanamento poteva significare.
Se non avesse fatto subito qualcosa Kaori l’avrebbe davvero lasciato definitivamente, prima o poi, e perderla sarebbe equivalso a vivere a metà.
Lui avrebbe di nuovo perso la sua anima, tornando ad essere il killer che si alzava dal letto solo per uccidere e per sopravvivere.
La prospettiva che lo turbava maggiormente però, non era quella.
Era abituato a dolore, morte e solitudine.
Se in tutti quegli anni grazie a Kaori li aveva rilegati in un angolo profondo e nascosto del suo io, viverli di nuovo non gli sarebbe pesato, non glie ne sarebbe importato.
Infondo al suo animo, restava comunque macchiato, e forse Kaori meritava davvero di più.
Ciò che più gli faceva maledire se stesso, era il non aver mantenuto completamente il giuramento fatto ad Hideyuki.
 
“Ci sono due cose che un uomo deve fare nella vita: una è amare la propria donna e l’altra è rendere i favori agli amici.”
 
Gli vennero in mente le sue stesse parole.
Aveva salvato Kaori tante volte, sì, e l’avrebbe protetta fino a che avrebbe avuto fiato nei polmoni, ma altrettante volte, se non di più, l’aveva fatta soffrire.
Quante volte le aveva detto che lei non era tagliata per quel mondo?
Quante volte le aveva rinfacciato, anche poco garbatamente, che quello non era il mestiere che faceva per lei?
Eppure non era vero.
Lei negli anni era migliorata tantissimo e aveva dimostrato di essere alla sua altezza, una sua pari.
Non aveva mai esitato a mettersi in gioco e ad esporsi ogni qualvolta si era rivelato necessario farlo, per la riuscita degli incarichi e la salvezza dei clienti.
Ryo non sapeva, o forse sì, quanto male le avevano sempre fatto quelle sue sfuriate.
Cosa peggiore, l’aveva denigrata come donna, come cuoca, come sweeper, minando alla sua autostima.
Come donna le aveva fatto più male.
Le aveva ripetuto tante volte che per lui non era nemmeno una donna, che non era femminile, che non lo eccitava minimamente e che non era che un mezzo uomo,un maschio mancato.
Accidenti! Si era morsicato la lingua ogni volta!
Aveva sempre mentito.
Aveva mentito a lei, agli altri e primo fra tutti aveva mentito a se stesso.
Kaori a causa del suo carattere insicuro, in certi momenti si era anche convinta che tutto quel veleno avesse un fondo di verità, e non aveva altro modo per sfogarsi se non quelle stupide martellate.
Ogni incrinatura nel loro rapporto, ogni sbaglio, qualsiasi cosa successa in tutti quegli anni, era stata solo ed unicamente colpa di Ryo, anche l’ incapacità di sparare della sua partner.
Per lungo tempo Kaori era sempre stata convinta di non esserci portata, ma solo quando era venuta fuori la manomissione della pistola, di cui si era accorta addirittura Sayuri, aveva capito tutto.
Ryo non era mai stato veramente sincero con lei, fin dall’inizio, e continuava a non esserlo.
Proprio come in quelle settimane.
Dopo Kaibara, dopo la fuga di lei da Mick e dopo la radura, si erano riavvicinati talmente tanto che Kaori aveva davvero sperato in una qualche evoluzione per loro, in ogni sua molecola.
Lui aveva di nuovo rovinato tutto, e adesso non gli restava che tentare un’ultima volta.
Non poteva portare avanti quella sceneggiata ancora a lungo, né poteva continuare a comportarsi in maniera così ambivalente.
Se amarla e farsi amare da lei avrebbe significato esporla ancora di più ai pericoli di quel mondo, lui l’avrebbe difesa anche a costo della sua vita, ma la paura e l’ostinazione non potevano più avere la meglio.
Lui Kaori la amava. Era sempre stata sua, e lui era sempre appartenuto a lei.
Quella era una realtà che non poteva essere cambiata.
Non ci era mai riuscito in tanti anni, come avrebbe potuto dopo tutto quello che era successo?
Kaori gli era entrata dentro, diventando il suo completamento, l’aria che gli alimentava il petto ad ogni respiro.
Loro due erano complementari, due ingranaggi indissolubili di un solo meccanismo che non era solo il loro lavoro di sweeper, ma anche la felicità che avevano tra le mani e che lui rischiava di farsi sfuggire.
Quel caso si preannunciava particolarmente difficile e forse non era saggio distrarsi.
Doveva essere professionale, per pensare all’incolumità delle sue clienti e a trovare quell’uomo, ma qualcosa gli diceva che se prima non avesse regolarizzato le cose con Kaori, anche il loro sodalizio sul lavoro ne avrebbe risentito.
Doveva fare qualcosa, e doveva farla subito! Uniti lui e Kaori sarebbero stati più forti.
Lui e Kaori erano sempre stati molti affiatati, ed era stato chiaro a tutti quando lei per un breve periodo aveva collaborato con Mick.
L’americano aveva capito che non avrebbe mai condiviso lo stesso feeling con lei, da nessun punto di vista.
Quando erano andati a prendere Nami ed Hotaru a casa loro, accompagnati da Saeko, Ryo si era concesso di osservare come Kaori si presentasse alle due, alla bimba specialmente.
Aveva dispensato uno dei suoi sorrisi in grado di far sciogliere un ghiacciaio, abbassandosi anche all’altezza della bambina e giocando con un suo codino.
L’aveva vista sussurrarle qualcosa e farle l’occhiolino.
La bimba l’aveva guardata incuriosita, aggrappata alla gonna di sua madre.
Aveva alzato la testa verso di lei che l’aveva guardata, per poi annuire e sorridere.
Inspiegabilmente, Hotaru si era staccata dalle gambe di sua madre e si era avvicinata a Kaori, porgendole la sua bambolina e accarezzandole una guancia.
Kaori aveva ricambiato quella carezza, allargando poi le braccia.
La piccola aveva esitato di nuovo, ma poi si era voltata un solo istante verso Nami prima di abbracciare Kaori, come se quella non fosse affatto la prima volta che la vedeva.
A quella visione Ryo aveva sentito un calore nascergli nel petto ed una sensazione di pace avvolgerlo.
Kaori riusciva a farsi voler bene da tutti. Solo con lui era costretta a mostrare la parte più reattiva e violenta di sé.
Quando Nami gli aveva mostrato una foto di Saori poi, erano rimasti di stucco.
Kaori le somigliava in una maniera impressionante.
Saori aveva solo avuto i capelli molto più lunghi e di un castano più scuro, lisci come seta, a dispetto dei capelli castano-ramati, corti e mossi di Kaori.
Seppur piccolissima e nella sua condizione, Hotaru sapeva che Nami non era la sua vera mamma, ma era comunque molto legata ai suoi genitori adottivi.
E così, ancora una volta Saeko non gli aveva detto tutto, manco a dirlo, preoccupandosi di rivelare quel piccolo particolare solo all’ultimo minuto.
Ryo ora capiva il perché di tutta quell’insistenza riguardo a Kaori, ma la cosa poteva essere rischiosa!
Scese di sotto, con la mente più leggera ma il cuore in subbuglio.
Aveva preso la sua decisione.
Quella terrazza e quel panorama avevano da sempre il potere di calmarlo e rilassarlo, ma in quel momento sembrava un ragazzino alla prima cotta.
Il cuore gli martellava in petto ad ogni passo che lo avvicinava a Kaori.
Passando per il soggiorno, guardando verso le scale, notò dalla porta socchiusa della camera degli ospiti che la sua compagna stava facendo gli onori di casa.
 
- Allora mettetevi comode.- la sentì dire. - Se volete potete anche rinfrescarvi, avete bisogno di rilassarvi. Vi chiamerò quando sarà pronto in tavola!-
 
Ryo sorrise. Kaori si prendeva sempre cura di tutto e tutti.
 
- Grazie, Kaori.- disse Nami.
 
La porta si spalancò completamente e lui fece appena in tempo a fiondarsi sul divano, fingendo di cercare il telecomando tra i cuscini.
Non voleva che lei lo sorprendesse a spiarla, ma ora era di nuovo ad un soffio da lei e tutti i suoi buoni propositi si stavano ingarbugliando ancora una volta.
Sentì la lingua improvvisamente impastata.
 
“Sei un emerito imbecille, Ryo Saeba! Lo Stallone di Shinjuku non è in grado di dire due semplici paroline alla donna che ama!”
 
- Ryo? -
 
Quasi sobbalzò al suono della sua voce.
Riemerse dall’angolo del divano, improvvisamente con lo stomaco stretto in una morsa.
 
- Sì? -
 
Lei lo guardava tranquilla ed indicò con un dito il mobile accanto alla TV, sotto le ampie finestre del salotto.
 
- Se cerchi il telecomando, è al suo posto, nel cestino accanto al televisore.-
 
Abbassò il braccio ed indietreggiò, poi si voltò verso la cucina.
 
- Comincio a preparare la cena. - disse quasi atona. - Mi raccomando, non ci provare anche con Nami, abbi almeno un po’ di accortezza per la piccola Hotaru, e poi … non voglio che il cibo mi si bruci sul fuoco mentre sono costretta ad evitare che tu faccia il maniaco! -
 
Non gli diede il tempo di dire nulla, sparendo subito oltre la tenda della cucina.
Il rumore di pentole e cassetti gli fece capire che si era subito messa ai fornelli.
Ryo guardò il vuoto con aria triste.
Sarebbe stato più difficile del previsto, ma non poteva arrendersi.
 
***
 
NdA
 
Saaaaalve!
Ecco terminato il primo capitolo di questa mia nuova follia.
Innanzitutto chiedo scusa se ho eventualmente offeso la sensibilità di qualcuno inserendo una tematica tanto delicata quanto la Sindrome di Down.
Non è la prima volta che inserisco nelle mie storie concetti di questo tipo.
Ho scritto una lunga AU in Sailor Moon, e non ho ancora terminato i vari Spin – Off che vi sono legati a formare una vera e propria serie, che ha come ambientazione una clinica pediatrica. All’epoca, quando la iniziai, chiesi il permesso all’amministrazione del sito di parlare di eventuali patologie o simili.
Il tema della disabilità e della malattia mi è molto vicino.
Sono un’Educatrice ed una Pedagogista, e l’ho incontrato praticamente subito nel mio percorso professionale e nella mia formazione, sempre in aumento, ma in realtà mi tocca molto da vicino già nella vita reale.
È un tema molto importante e delicato per me, tanto che sto studiando anche per entrare al Corso di Specializzazione per diventare Insegnante di Sostegno.
Come avrete notato, la maggior parte del capitolo è occupata dalle pippe mentali del nostro Ryo, tutto il resto, Hotaru Kobayashi soprattutto, sarà approfondito man mano.
Grazie a chi ha letto le mie due precedenti One Shot pubblicate in questo Fandom.
Sia per Shallow, sia per Rain and Memories, siete state tutte molto carine e simpatiche, e mi avete dato la grinta per dare sfogo alla mia ispirazione e tornare davvero con una storia a capitoli!
Le idee ci sono, e ho anche abbozzato qualcosa per i prossimi capitoli, ma spero di non tardare troppo tra un aggiornamento e l’altro tra il lavoro, lo studio, gli altri Fandom e le storie che ho da leggere, anche le vostre!
Grazie a vento di luce, silviasilvia, EleWar, Velenicolefede, Stellafanel87, Kyoko_09, briz65, Kaori06081987, Funny Jumping Sparrow, MaryFangirl e Saori Chan, che hanno commentato le mie storie precedenti sui nostri due testoni Ryo e Kaori, e anche a chi mi ha scritto in privato o ha letto solamente.
Grazie a chi ha inserito le mie storie tra quelle seguite, da ricordare o preferite e me tra gli autori preferiti.
A presto!!!

 
   
 
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